Tracce egiziane in Sicilia

di Bent Parodi di Belsito


L'"egittocentrismo" risponde ad una profonda esigenza, quella di manifestare latenti ma inesauste modalità dello spirito, di tracciare una via "esemplare" nella riscoperta delle nostre motivazioni originarie e dell'universo simbolico ad esso connesso.

L'aspide che uccise Cleopatra diede la morte ad una regina ma non dissolse l'Egitto. In quanto simbolo solare dell'ideologia faraonica (l'uraeus), quel serpente consentì a quell'estrema erede di tremila anni di splendori di fermare il tempo, eternificando il passato con la sua "spiritualizzazione", grazie al rito suicida che magicamente l'aveva assimilata ad Atum-Ra.

Cicerone fa riferimento ad un Serapeo a Siracusa ma prima di quell'età (70 a.C.), le testimonianze relative a forme di rapporto intrattenute dalla Sicilia antica con l'Egitto sono estremamente labili. Sappiamo da Giustino che una congiunta di Tolomeo Sotéer, la principessa Teossena, probabilmente attorno al 306 a.C., andò sposa al tiranno di Siracusa, Agatocle, che la rimandò in Egitto con i figli nati dal matrimonio, prima introduzione ufficiale di culti egizi in Sicilia, a Siracusa ed a Catania. Altri preferiscono far più solido conto della politica decisamente filoegiziana attuata da Ierone II, durante la sua lunga signoria (169-215 a.C.). Testimoniano del felice rapporto fra i due paesi gli intensi scambi commerciali favoriti dall'allineamento ponderale tra la moneta siracusana e la solidarietà manifestata da Ierone con l'invio in Egitto d'una nave detta "Siracusana" e carica di merci, in occasione d'una grave carestia nel delta nilotico. Sono note anche dirette relazioni culturali: il poeta Teocrito fu in quell'epoca attivo anche alla corte dei Tolomei. Un gruppo di studiosi indica quale periodo di fondazione dei culti egiziani in Sicilia l'età della "quinta repubblica" siracusana (214-212 a.C.). L'emissione di monete raffiguranti Serapide ed Iside non lascia dubbi sull'instaurazione d'un culto pubblico a Siracusa sin dagli inizi della dominazione romana (fine del III - inizi del II sec. a.C.). A Siracusa, Tauromenium, probabilmente Catania e forse anche a Messina, sorsero Serapei in cui si tributava culto e devozione agli dei egizi; a Centuripe, un autore del secolo scorso credette di poter identificare una religiosità specifica centrata sulla figura del bue Apis (Ansaldi, 1846). Anche precedentemente, sin dall'VIII-VII sec. a.C., l'isola aveva conosciuto temi egittizzanti, ma le numerose testimonianze archeologiche non erano andate oltre la generica attestazione d'una affinità col pantheon egizio, indice di devizione di privati, di diffuse credenze magiche oppure di gusto artistico per l'esotico.

Il primo Serapeo, storicamente accertato, sorse a Tauromenion (Taormina), città conquistata attorno al 270 a.C. da Ierone II siracusano, che vi fece edificare templi e ginnasi. I suoi resti, ancor oggi visibili, sono inglobati nelle strutture murarie della chiesetta di San Pancrazio.

Nella Sicilia occidentale, di cultura punica, dove la gran messe di prodotti dell'artigianato minore egizio o egittizzante (sarabei, saraboidi, statuette ushabti, occhi oudja) non si accompagna alla testimonianza di culti pubblici.
Gli storici, forzando la vocalizzazione tuttora ignota dell'egiziano, hanno letto il nome
Shekelesh - SKLS - (identificandolo in quello dei futuri Siculi) nella lista dei "popoli del mare" che invasero l'Egitto nella prima metà del XII sec. e che Ramses III riuscì a respingere (rilievo del tempio commemorativo di Medinet Habu). L'età dei rapporti organici tra Sicilia ed Egitto ha inizio con il cosidetto "Rinascimento" saitico e con la politica filoellenica di Psammetico e di Amasis. I due mondi, quello egizio e quello greco, impararono a conoscersi in quella singolare colonia ellenica del Delta-Naukratis, che doveva rivelarsi un'anticipazione della stessa Alessandria.

Tre testimonianze originali, ascrivibili al Nuovo Regno egizio, si trovano presso i musei siciliani. Si tratta, per ordine di antichità: di uno scarabeo dell'età di Thutmòse IV (1409-1402 a.C.), di un frammento di statua di scriba, attribuito all'età di Amenhotpe II (1402-1367 ca. a.C.), e di un vasetto balsamario che ritrae Ramses II (1301-1232 a.C.).
L'amuleto di Thutmòse è conservato presso il Museo archeologico di Palermo e fu ritrovato in località Castello di Diana, a Cefalù (area sacra in cui si venerava una ninfa delle acque in età pre-greca): è uno scarabeo in diorite verde del tipo cosiddetto "del cuore", che è stato accostato ad un esemplare dell'età di Amenhotpe IV (re eretico nipote di Thutmòse) la cui presenza a Cefalù (l'antica Kefaloidion) è stata spiegata in rapporto con le correnti del commercio fenicio. Studiato per la prima volta da Emanuele Bacchi, lo scarabeo di Cefalù reca sulla base un'iscrizione geroglifica, eccone la traduzione proposta dallo stesso Bacchi:
(figura del dio Anûp sdraiato sul ventre) "quegli che è in Wet". "O cuore mio, cuore mio della madre mia, cuore mio della mia forma (esteriore), uscito fuori (sottointeso: dal ventre di lei). Sia fatta elevare dalla tomba; sia ella... quando si ode (=giudica) nell'aula delle due giustizie; sia dato a lei la sua bocca ed i suoi occhi, mentre il suo cuore sta fermo al suo posto (di prima). Si mette ella come uno degli elogiati (dell'altro mondo) che è al seguito del dio. La signora di casa, la musicante della dea Bastê, Thj (= nome di mese) fatta dalla signora di casa M''t - b'ś (=Mee è Bastê)".
Quasi contemporaneo allo "scarabeo del cuore" è il frammento di statua egizia di scriba (ne rimane solo la parte inferiore fino alla vita ed al braccio destro; manca l'angolo destro della base e le ginocchia del personaggio presentano larghe scheggiature) conservata al Museo Nazionale di Messina: rappresenta uno scriba egizio, seduto con le gambe incrociate, nell'atto di svolgere con entrambe le mani un rotolo con geroglifici. Sul ginocchio sinistro è rimasta traccia di un calamaio con due recipienti (per l'inchiostro nero e rosso). La Sfameni Gasparro non esclude l'origine locale e si suppone che il frammento sia da porsi nel contesto di "quelle opere di notevole antichità con le quali in età ellenistico-romana, si amava adornare i templi delle divinità egiziane".
A Siracusa, nella zona dell'Athenaion, in uno strato archeologico complessivamente databileal VII sec. a.C., sono stati ritrovati tre frammenti di un vasetto balsamerio, sferico in porfido grigio e chiazze bianche della valle del Nilo; in uno di essi è ritratta l'immagine del faraone Ramses II intento ad offrire un oggetto non identificabile alla dea Hathor. La datazione proposta (1350-1300 a.C.) va corretta di almeno 30 anni in avanti. Alla raffigurazione si accompagna un'iscrizione in caratteri geroglifici. Eccone una traduzione, proposta dallo Schiapparelli: "Il sovrano delle terre Usemara Sotepenza, signore dei diademi, Ramsses-Miamun (amato da Ammone), Hathor signora del sicomoro meridionale". Il vasetto balsamario fu offerto quale dono votivo nel tempio siracusano in ragione della sua antichità e pregievole fattura.

Una statuetta di Iside è stata rinvenuta nella necropoli di San Placido, un ushabti - statuetta funeraria in uso dal Medio Regno, che doveva magicamente risparmiare al defunto i lavori pesanti nell'Al di là, assumendone l'onere. Una stele di granito è stata rinvenuta nel 1902 durante i lavori di restauro della Tribuna del Duomo (?). Una statua di Serapide-Plutone è conservata al Museo archeologico di Siracusa, essa recava quattro attributi divini: modio, scettro, cornucopia e cerbero (tricipite, la cui testa centrale è sicuramente cane e quella sinistra con muso levato verso l'altro, forse di lupo, la testa a destra è troppo danneggiata per essere riconoscibile).

Ptah e Bes sono tra gli elementi iconici preferiti da quella devozione privata siciliana che non conosce ancora i culti egizi, ma che si sente irresistibilmente attratta dalla "forza" magica dei due personaggi divini. Le statuette hanno evidente carattere apotropaico per ciò che esse rivelavano alla koiné religiosa di matrice egizia, sia dell'area greca che di quella punica. La mentalità prettamente magica di quei secoli si appagava con gli hekau, le formule espresse dagli idoletti della magia ordinaria. E di magia, sia pure ad un più alto livello, si deve egualmente parlare per gli scarabei, simbolo di immortalità e garanzia di resurrezione. Nella facies punica, mantnero più a lungo la loro funzione ultramondana mentre, col trascorrere dei secoli, la religiosità a sfondo magico dei sicelioti si andava affievolendo e degradando nel puro gusto per l'artigianato esotico. Gli antichi siciliani affidavano alle tecniche solari egizie le loro speranze di resurrezione dopo la morte.

Il "demone ventruto", con libera rielaborazione greca e "ionizzante", lo Ptah embrionale viene ritratto nelle statue rinvenute in Sicilia nelle forme tozze di nano nudo, con le gambe flesse e le mani poggiate sul ventre solcato da striature orizzontali.
Ptah, il gran dio di Menfi, fu il primo artefice - storicamente accertato - della creazione per Logos, ex nihilo. Demiurgo per eccellenza (il suo pontefice si chiamava "gran capo degli artigiani"), diede vita al mondo col pensiero e con la parola, cioè col "cuore" e con la "lingua" per dirla con i termini tramandatici dalla stele di Shabaka (VIII sec a.C.) con cui fu riesumata la "teologia menfita". Col deglinare di Amon-Ra e della potenza tebana fu il Delta a riprendere l'antica autorità, e con essa il primato religioso del ciclo di Eliopoli e della teologia menfita. Ma Ptah, riattualizzato dai principi nostalgici di Sais, era personalità divinta dai molteplici aspetti. Alla forma di creatore per Logos (e si sa quanto rilievo ebbe la "parola" nella magia egizia) univa anche quella del "mummiforme", assorbendo in sè gli attributi di Sokaris, precursore e ipostasi menfita di Osiride. In quest'ultima species Ptah conobbe grande fortuna magica; e l'aspetto "embrionale" delle statuette apotropaiche conferma queste preoccupazioni escatologiche: il dio menfita era giudice e garante dei defunti, esattamente come Osiride. Non v'era contraddizione in tutto ciò; secondo l'ideologia dell'"Unico che si è fatto milioni" (il Nether Ua, "dio uno") Osiride non escludeva Ptah, e viceversa. Entrambi erano ipostasi della medesima funzione reale; al più si poneva il problema di "specializzazioni". La norma ha valore universale quando si tratta di religione egizia, la quale rivela una connatura "molteplicità di approcci", tutti sentiti come veri dal fedele.

Bes, filtrato attraverso i moduli espressivi ellenici, prototipo egizio del Sileno greco, al di là delle somiglianze con i satiri, viene appare frequentemente in Sicilia nell'età arcaica.
La figura di Bes, caratteristica del pantheon nilotico, fu utilizzata principalmente come amuleto. In questa veste egli si apparenta magicamente al ruolo funerario di Ptah: non casualmente è anche nume tutelare dei "misteri", definiti come Bes sheta. Il suo ideogramma specialistico raffigura un pesce e sin da allora la forma ittica avrà significato di grande rilievo nelle religioni misteriche (non escluso il proto-cristianesimo). Probabilmente è nel suo aspetto di Bes sheta che il Genio egizio si è affermato come strumento apotropaico dell'ideologia funeraria panmediterranea, affermandosi quindi anche in Sicilia. La magia di Bes serviva al defunto, ma anche ai vivi. Al di fuori della necropoli, egli è semplicemente, nel suo aspetto più bonario e profano, un "genio familiare, deforme, irsuto e sogghignante, piumato, coperto da una pelle di leone, che ha la funzione di proteggere gli uomini contro le influenze maligne: rettili, esseri malefici" (Posener, 1959). Protettore della casa, con Thueris tutelava le partorienti da ogni spiacevole incidente. Era anche dio della danza e delle manifestazioni gioiose, e perciò spesso veniva anche rappresentato nell'atto di battere su un tamburello. Caro alle donne, ne presiedeva la toeletta. Un dio dai molteplici aspetti e dalle più svariate funzioni. Di queste fu quella oltremondana a rivestire un ruolo di primo piano nella magia mediterranea.

Gli egizi riconoscevano in Serapide il loro Osiride, la cultura greca Zeus. Nella venerabile figura di Osiride confluisce anche quella di Apis, il sacro bue nume tutelare della necropoli di Menfi. Serapide, come Osiride-Apis, è dunque un rafforzamento, di valenze anche magiche, delle nozioni arcaiche di forza e fecondità il cui periodico ridestarsi nel mondo della natura deve trovare riscontro, per analogia, anche in quello umano.

I misteri di Dioniso venivano sentito come affini a quelli egizi di Osiride ed Iside.

Madonna col bambino = Iside che allatta Arpocrate (il piccolo Horus).

Emanuele Ciaceri (1905) ha visto nelle processioni di Sant'Agata, patrona di Catania,
sopravvivenze di moduli isiaci (alcuni particolari della mascheratura e del comportamento dei partecipanti al rito ricorderebbero il navigum, nella descrizione fattane da Pietro Carrera nel 1639).

Il sacrificio delle chiome in onore di Iolao, nipote di Eracle, ad Agira ha cambiato il
destinatario: San Filippo si è sostostituito a Iolao (Eugenio Manni, 1963).

La massoneria egizia (il rito di Misraim-Memphis) viene fondata dal palermitano Cagliostro.


estratti da Bent Parodi Miti e storie della Sicilia antica - Moretti & Vitali


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