11 settembre: un'oscura tragedia
nel cuore dell'impero
In questo capitolo elencheremo le molte questioni irrisolte sull'oscura tragedia dell'11 settembre. Cercheremo di entrare nelle contraddizioni delle stesse versioni ufficiali e analizzeremo le molte ricostruzioni a esse alternative. Partiremo dalle domande dei famigliari delle vittime per arrivare alle tesi che mettono sotto accusa l'amministrazione Bush. Vedremo quali sono le questioni ancora poco chiare circa le dinamiche dei fatti: i mancati controlli, le mancate indagini preventive, le piste scartate, le mancate indagini successive ai fatti. In alcune schede di approfondimento verranno trattati i dettagli dei maggiori misteri ancora irrisolti. Partendo dalla dichiarazione di Kissinger, già protagonista del 11 settembre 1973 in Cile, vedremo poi come l'estrema destra statunitense ha ingannato il mondo, tramite l'invenzione di Bin Laden, un'ottima copertura mass-mediatica. L'11 settembre si presenta come una zona rossa nella misura in cui la catena legittima di comando saltò e si realizzò uno stato di eccezione.
L'11 settembre segna l'occasione, auspicata già anni prima dai neoconservatori, con cui gli USA, nel nome della guerra al terrorismo, sferrano un attacco militare esportando zone rosse a quelle popolazioni che hanno l'unica sventura di abitare su territori geostrategici.
I fatti chiari ed evidenti dell'11 settembre
Alle ore 8.45 un aereo della American Airlines si schianta contro la torre Nord del World Trade Center. Quindici minuti dopo, ripreso dalle televisioni un secondo aereo si schianta sulla torre Sud. L'avvenimento è sotto l'occhio di milioni di telespettatori. Poco dopo le torri precipitano una dopo l'altra. Alle 9.40 un terzo aereo si schianta sul Pentagono. Più tardi un quarto aereo precipita in Pensilvania. Inizialmente si stima che sotto le torri ci siano circa 30.000 vittime. Il popolo degli Stati Uniti è sgomento. Tutto il mondo è incredulo. Non si capisce cosa succede. Vengono additati i terroristi musulmani.
Mai un attentato così grande nella storia. Mai tanta violenza in diretta televisiva. Eppure proprio questa evidenza dell'immagine è stata alla base di tanta disinformazione. Molti hanno sostenuto che con l'11 settembre la realtà abbia fatto irruzione nella fantasiosa quotidianità degli statunitensi poco abituati ad avere la guerra in casa. Pochi invece sostengono che con l'11
settembre è la fiction che ha fatto irruzione nella quotidianità. E' proprio ciò che per anni era solo stato rappresentato al cinema come fiction, come scenario di attacco extraterrestre, veniva rappresentato in diretta televisiva, e il carattere della diretta televisiva mondiale le conferiva di per sé il carattere di prova inconfutabile. La morte e la violenza costituisce da tempo uno degli intrattenimenti più seguiti nella società dello spettacolo, non solo negli Usa. Con delle chiare immagini tutto sembra vero, ma Guy Debord ci avvertiva: "lo spettacolo è la ricostruzione materiale dell'illusione religiosa; la tecnica spettacolare non ha dissipato le nuvole religiose dove gli esseri umani avevano riposto i propri poteri distaccati; essa li ha solamente relegati a una base terrena; così è la vita terrena che diventa opaca e irrespirabile"[1]. Infatti mai come l'11 settembre la diretta
televisiva permise di mettere a fuoco alcune immagini e nasconderne altre. I mass-media raccolsero i frutti della loro pedagogia dell'ignoranza e della rimozione della memoria. Il senso critico fu annichilito sull'intero globo. L'esercito americano avrebbe dispiegato il suo scudo stellare per salvare l'umanità da quell'attacco disumano, proprio come nei film. Cosa era successo sarebbe però rimasto davvero sconosciuto e superato da altri eventi da intrattenimento.
Alcuni sforzi giornalistici seri (testate di sinistra come "Le Monde", "Libération", "Spiegel") si concentrarono per dimostrare come alcune tesi non ufficiali, e anzi sospettose nei confronti di quelle ufficiali, che circolavano in internet erano in realtà basate su fonti mai verificate, su citazioni estrapolate in modo strumentale, su teorie che non avevano nulla di vero: prima tra
tutte la tesi secondo cui l'aereo finito sul Pentagono non sarebbe mai esistito.[2] In questo modo questi giornalisti progressisti possono dedurne che tutte le teorie che circolano su internet e che non corrispondono alla versione ufficiale sono basate su tale approssimazione, benché seducano l'opinione pubblica. Colpisce comunque come questi sforzi professionali siano venuti da giornalisti che si sono ben guardati dall'analizzare le contraddizioni interne alla versione ufficiale.
D'altra parte non tutti gli sforzi alternativi hanno il pregio di accettare il terreno della ricostruzione della verità, obiettivo a cui aspirano invece le famiglie delle vittime [vedi box], e alcuni vengono attirati dalla trappola sensazionalistica della società dello spettacolo. È il caso degli autori del libro Tutto quello che sai è falso.[3] Qui proprio nel capitolo sull'11 settembre si teorizza l'assenza di una possibile verità. Si preferisce così la narrazione fantastica che dice più cose vere della versione ufficiale, ma condivide con questa la visione relativista del mondo. Una versione nichilista dove diverse verità possono convivere. Si tratta proprio dell'inflazione della verità, operazione della società dello spettacolo che permette a tante verità di convivere l'una a fianco dell'altra come in un talkshow dove la politica è chiacchiera e intrattenimento. Non esiste una verità tenuta nascosta ma una pluralità di versioni, tutte lontane dal vero. Questo approccio, invece di cercare di dare indizi al lettore, punta a stupirlo, a dirgli un'altra verità, non a ricercarla insieme, con criteri scientifici. Teorizzare che sull'11 settembre non ci sarà mai una verità è ciò che qui non vogliamo fare, né vogliamo offendere l'intelligenza della lettora: vogliamo ricostruire fatti e domande rimandando alle fonti. È in questo conflitto di interpretazioni che dobbiamo agire, non creare novelle di fantascienza. Creare tante verità è ciò che già fa questa nostra società dello spettacolo.
L'invenzione di Bin Laden
La versione ufficiale non ha tardato a fare propria la versione di Kissinger, uno degli esponenti dell'estrema destra statunitense, che come in altre occasioni è diventata senso comune a livello globale. Il primo a segnalare Bin Laden come responsabile dei fatti dell'11 settembre fu proprio Kissinger, il noto ex segretario di Stato ed ex-capo della CIA. A poche ore dall'attentato pubblicava Destroy the Network, sul The Washington Post, in cui si sosteneva: "Non sappiamo ancora esattamente se Osama Bin Laden abbia fatto questo benché sembra esserci il marchio di una operazione di Bin Laden, ma qualsiasi governo che protegge gruppi capaci di questo tipo di attacco, sia che risultino coinvolti sia che non siano coinvolti dovranno pagare un prezzo esorbitante". È in questo breve intervento che si paragona l'attacco alle Torri a quello militare a Pearl Harbour.[4]
La politica estera americana, compresa la teoria dell'attacco preventivo, era dichiarata in nuce a poche ore, il giorno stesso, l'11 settembre. È dubbio che Bin Laden abbia effettivamente rivendicato l'attentato, né sono mai state esibite grandi prove a suo carico. La versione ufficiale è già di per sé strana: prima dell'11 settembre 2001 nessuno sapeva niente, due giorni dopo ci sono già colpevoli, esecutori e mandanti. Eppure dopo 5 mesi Robert Baer, del consiglio di direzione della Cia dal 1976 al 1997, disse che l'indagine era ancora tutta da fare.[5]
A molti mesi di distanza da quei fatti, questo Bin Laden appare sempre più per quello che è: un'invenzione mass-mediatica. A sostenerlo sono oggi in molti, bastava ascoltare anche e soprattutto alcuni servizi di intelligence americani, fin dai primi giorni dopo l'11 settembre: "C'è molta finzione in tutto ciò. Ma a noi piace. Osama Bin Laden è tutta mitologia. E' parte dell'intrattenimento. Non abbiamo più un nemico nazionale, e non l'abbiamo da quando l'impero del male è caduto sommerso dalle onde nel 1991".[6]
Uno dei motivi principali per cui è lecito pensare che Bin Laden sia solo un'invenzione massmediatica costruita per nascondere i veri motivi dell'attacco all'Afghanistan risiede nella certezza che esistessero dei piani di attacco e conquista del Centro Asia già prima dell'11 settembre, questione ormai molto nota che vedremo nel capitolo successivo.[7]
Stan Goff, veterano dell'esercito, sergente maggiore delle forze speciali, esperto militare osserva: "L'aver trasformato Bin Laden in un personaggio da fumetti non ha senso, quando si comincia a capire la complessità e la sincronia degli attacchi... Posso dirvi che si è trattato di un'impresa molto sofisticata e costosa, che avrebbe lasciato sul campo ciò che chiamiamo una `firma' enorme. In altre parole sarebbe stato molto difficile nascondere la cosa".[8]
Insomma che Bin Laden così come lo presentano i media non esista e sia pura mitologia o fumettistica lo sostenevano chiaramente importanti esponenti delle agenzie americane di intelligence, oltre a gran parte di esponenti del movimento di Porto Alegre e giornaliste radicali (vedi oltre). Si punta invece il dito contro la collaborazione di agenti di servizi segreti non ben identificati, ma capaci di non lasciare tracce. Bin Laden ha occupato lo spazio televisivo quando invece giudici, intelligence, giornalisti avrebbero dovuto chiedere pubblicamente molte più cose.
Come la riproduzione seriale delle immagini delle Twin Tower sotto attacco ha la funzione di totalizzare lo spazio mentale dello spettatore in modo da veicolare una verità priva di interrogativi ("America under attack!"), così la riproduzione seriale dell'immagine di Bin Laden dà volto al male da sgominare. Due immagini totalizzanti che ricoprono la verità producendo una zona rossa dell'informazione. La chiacchiera televisiva che ha assuefatto tutti. Siamo di fronte al carattere religioso della società dello spettacolo in cui Bin Laden è la proiezione ultrasensibile di tutti i mali terreni. Ciò è stato possibile anche perché un presidente attore, Reagan, ha portato in politica il gergo cinematografico di un noto film, Guerre stellari. Da allora il nemico indossa i panni del male da esorcizzare e i politici i panni dell'esorcista. Questo fenomeno è ulteriormente comprensibile alla luce della grande diffusione delle idee religiose del fondamentalismo cristiano statunitense. I danni maggiori di questa immagine non sono però in Occidente. Dopo l'11 settembre molte immagini di Bin Laden sono apparse nel mondo. I nemici degli Usa hanno trovato un loro redentore, benché creato dal fondamentalismo cristiano e dai media statunitensi: è la spirale dell'odio dove i fondamentalismi cristiano, sionista, musulmano si alimentano a vicenda a detrimento dell'ascesa del dialogo inter-religioso. Da molte parti è stato festeggiato con questa icona l'odio che gli americani hanno, a ragione o a torto, seminato nel mondo.[9] Poco importa il suo lato reale, è l'icona mediatica Bin Laden che si globalizza, la cristallizzazione dell'odio fondamentalista grazie alla società dello spettacolo. Bin Laden è quindi forse più che un'immagine, un vero e proprio logo che in franchasing può aprire filiali in tutto il mondo a beneficio delle polizie locali e di gruppuscoli che si sentono finalmente in rete.
La globalizzazione afghana made in Usa
Bin Laden, quello in carne e ossa, benché oggi malaticcio (sarebbe stato in cura in dialisi nelle grotte di Tora Bora), viene da una ricca famiglia wahabita, dedita alla costruzione e ricostruzione di santuari della Mecca e Medina, strade e altro. Apparve da subito alla Cia e ai servizi sauditi come una ottima pedina: partì così infervorato per la guerra in Afghanistan, dove pian piano costruì le sue basi e i suoi rifugi, iniziò ad addestrare da solo le truppe che reclutava con una ampia rete in diversi paesi nella guerra santa contro l'Unione Sovietica. Nel 1985 fonda Al-Qaeda.
Bin Laden è quindi forse una scheggia impazzita, sicuramente era un collaboratore della Cia, ma con ancora tanti e poco chiari amici. Tecnicamente dalla Cia era classificato come "intelligence asset ", ovvero una risorsa esterna dei servizi segreti, una pedina che rispondeva alla politica estera statunitense, la quale prevedeva e prevede l'uso indiscriminato di organizzazioni criminali se queste sono coerenti con gli obiettivi prioritari della politica estera statunitense, e ciò non è mai stato un mistero. Secondo chi ritiene che attualmente sia a capo di una coalizione anti-americana nel mondo mussulmano, il suo piano segreto potrebbe essere quello di scatenare guerre in Medio Oriente per allontanare l'invasione americana nell'area, mettendo in crisi Pakistan e Arabia Saudita, favorendo l'ascesa di regimi fondamentalisti in questi stati.[11] Probabilmente è riuscito a scampare all'attacco statunitense in Afghanistan e riparare in Pakistan o Iran.[12] Sembra comunque meglio, per il governo statunitense, che Bin Laden sia vivo e magari si trovi proprio nel prossimo paese che gli Usa vogliano attaccare. E' stato persino possibile montare a livello globale la tesi che Saddam Hussein fosse una filiale del logo Bin Laden. Negli Usa comunque la metà della popolazione è rimasta convinta che Hussein sia responsabile degli attentati dell'11 settembre. La questione del logo Bin Laden è brillantemente sintetizzata dal giornalista del quotidiano Islambad Ausaf, autore di una biografia su di lui e di ben quattro interviste: "Solo i dittatori possono proteggere gli interessi americani nel mondo arabo. Ma invece di ostacolare la democrazia, Washington dovrebbe rivedere la sua politica. Per la gioventù araba Bin Laden non è un eroe in virtù della sua ideologia radicale: è un eroe perché non c'è niente di meglio".[13]
Il terrorismo di matrice musulmana è stato additato come responsabile dei fatti del l'11 settembre. Per essere compreso va ricondotto al suo contesto di origine: la terza guerra mondiale [vedi box]. Non si tratta infatti di un retaggio medioevale e tribale quale viene presentato dai media.[14] Questa banalità storica è necessaria per capire chi sono e come si sono armati i combattenti della Jihad.[15] Dobbiamo quindi tornare alla terza guerra mondiale, quella fredda, la guerra silenziosa tra Usa e Urss combattuta sempre nel "terzo" mondo. Durante questo conflitto il fondamentalismo religioso è stato trasformato in un fronte politico-culturale degli Usa. La Jihad afghana costituisce la più grande guerra occulta degli Usa: prima di allora il "black budget" (fondi neri) della Cia non aveva superato i 9 miliardi di dollari.[16] L'asserzione di Zbigniew Brzezinski, ex-Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Usa ai tempi dell'inizio della guerra in Afghanistan, è una prova della consapevolezza e sfrontatezza degli statunitensi nel rivendicare la santità di quella guerra, di cui si proclamano iniziatori. Egli rivendicò che nella metà del 1979 il governo aveva promosso l'appoggio segreto ai Mujahidin che combattevano contro il governo afghano filosovietico in un tentativo di attirare i russi in quella che lui definì la "trappola afghana". Sempre Zbigniew Brzezinski asserì compiaciuto che in tale trappola l'Urss avrebbe trovato il suo Vietnam. [17]
Il giornalista J. K. Cooley così riassume alcune tappe della lunga storia del forte sostegno dato dalla Cia alla nascita dell'estremismo islamico: "Anche per l'addestramento di oltre cinquantamila mercenari musulmani da inviare contro i russi la Cia aveva scelto di agire per procura. Gli ufficiali pakistani dell'Isi - servizio segreto pakistano - e alcuni capi della resistenza afghana seguirono così dei corsi appositi presso i centri della CIA e delle forze speciali della Marina e dell'Esercito degli Stati Uniti. L'addestramento vero e proprio si svolgeva sotto lo sguardo attento di ufficiali pachistani e di un numero limitatissimo di funzionari della Cia, prima in Pakistan e, alla fine nelle zone dell'Afghanistan libere dalla presenza di truppe sovietiche e del governo comunista afghano. Per l'invio di armi si utilizzavano vari canali pubblici e occulti e diversi stratagemmi. (...) I finanziamenti arrivavano da diverse fonti che, alla fine del conflitto, servirono a convertire i combattenti in terroristi internazionalisti. Per prima cosa, nel corso delle due presidenze Reagan (1981-89), si utilizzarono i soldi dei contribuenti americani. I contributi sauditi, di origine pubblica e privata, come quelli di Bin Laden, si sommarono, dollaro su dollaro, a quelli americani. Altri miliardi arrivarono dalla Bank of Credit and Commerce International e dal commercio internazionale della droga."[18]
Il terrorismo afghano tornò e si diffuse in vari paesi perché la maggior parte degli afghani non era appunto afghana ma straniera, saudita per lo più, chiamata a combattere contro i russi uno dei conflitti della terza guerra mondiale. Questo spiega l'emergere del fondamentalismo armato in Egitto e Algeria proprio agli inizi degli anni Novanta, quando persone in carne e ossa provenienti dalla guerra santa all'Urss tornarono in patria, dove erano per lo più ricercati.[19] Altri rimasero in Afghanistan e dintorni.
Seguendo l'analisi di Chossudovsky, la rete del terrorismo islamico opera in quattro aree geografiche, tutte rivali economiche, militari e politiche degli interessi Usa in Asia: Unione Europea, Russia, India e Cina. In Europa, Uck (esercito di liberazione kosovaro) e Nla (esercito di liberazione macedone) combattono in Kosovo e Macedonia con il supporto di Nato e mujahidin, quali consulenti, addestratori o combattenti. Esiste persino una relazione del Partito Repubblicano che accusa l'amministrazione Clinton di "aver contribuito a trasformare la Bosnia in una base per fondamentalisti islamici".
In Cecenia è ormai noto che il coinvolgimento del servizio segreto pakistano (Isi), molto legato alla Cia, va decisamente oltre la semplice fornitura di armi ed esperti ai combattenti ceceni: ha il controllo della guerra. L'Iis ha poi un ruolo diretto nel fomentare rivolte musulmane in India, in un'scalation che aveva portato India e Pakistan molto vicini al conflitto atomico.
Lungo i confini con l'Afghanistan e il Pakistan numerosi movimenti islamici separatisti sono fomentati da chi fa riferimento ad Al-Qaeda. Washington sta cercando di destabilizzare questa regione con operazioni sotto copertura. Nella stessa regione, un po' più a occidente (Afghanistan, e ex-repubbliche sovietiche) si stanno già allestendo basi militari statunitensi.
Unione Europea, Russia, ma soprattutto India e Cina: queste le principali potenze rivali degli Usa, che sono attualmente i luoghi dove il fondamentalismo islamico è usato per destabilizzare il tessuto sociale, con la copertura della Cia. Dopo una dettagliata analisi Chossudovsky conclude: "La politica estera statunitense non punta a contenere la marea del fondamentalismo islamico. In realtà si potrebbe quasi dire il contrario: il significativo sviluppo del fondamentalismo islamico dopo l'11 settembre in Medio Oriente e nell'Asia centrale è una logica conseguenza dell'agenda segreta di Washington, che consiste nel sostenere, piuttosto che combattere, il terrorismo internazionale, per destabilizzare società nazionali e prevenire l'articolarsi di genuini movimenti sociali che si oppongano all'Impero americano".[20]
Ci sono interessi economici e militari degli Usa nel mantenere il terrore afghano sul globo, per fomentare lo scontro di civiltà coerentemente con gli interessi strategici statunitensi? In tutto ciò l'11 settembre giocò favorevolmente agli interessi statunitensi. Quella tragedia da chi fu organizzata ed eseguita? Siamo forse di fronte a una vera e propria arte di piani anti-insurrezione [vedi box] per stabilizzare gli interessi statunitensi destabilizzando grosse aree del pianeta: una sorta di "strategia della tensione globale" per governare una globalizzazione sotto il segno neoliberista altrimenti politicamente non governabile?
Domande aperte
Dopo l'11 settembre molte piste non sono state seguite. In primo luogo le indagini si sono dirette in Germania e altri paesi ma si sono ben guardate dal puntare l'attenzione sull'Arabia Saudita, anzi se sono tenute alla larga, e questo su precise indicazioni. Un primo gruppo di domande si interroga quindi su come mai la Cia e l'Fbi pur avendo determinate informazioni sminuirono i pericoli. Recentemente persino il New York Times è arrivato a interrogarsi rivelando che la Cia sapeva il nome e il numero di telefono di uno dei presunti dirottatori. In particolare non avendo passato l'informazione, ricevuta dall'intelligence tedesca, all'Fbi, la Cia avrebbe perso una grande occasione per prevenire l'attacco.[21] In realtà le molteplici piste scartate sono sempre quelle che conducono in Arabia Saudita e Pakistan. Una delle domande aperte è quindi come mai fu permesso a circa venti persone della famiglia Bin Laden di rientrare dagli Usa in Arabia Saudita dopo l'11 settembre. Più in generale le domande vertono sulle mancate analisi della pista saudita. Altra grande pista scartata [vedi box] è quella che conduce al maggior sospettato finanziatore dei terroristi, l'ex-capo del servizio segreto pachistano. È questa la pista che ci sembra più interessante di tutte.
Altre questioni aperte sono i motivi per cui i servizi americani sottovalutarono o non presero in considerazione informazioni date da servizi stranieri. Si tratta delle avvisaglie scartate. Inoltre, cosa ancora più grave, il giorno 11 settembre qualcosa non funzionò nei dispositivi di sicurezza normali. Non si alzarono caccia come prevedono le procedure standard. La difesa antiaerea fu disattivata? Chi diede gli ordini quella mattina? A chi? Quali ordini furono eseguiti e quali no? Perché non ci sono ancora provvedimenti per questi gravi inadempienze? Perché è stato ritrovato il passaporto del capo del commando suicida e non le più robuste scatole nere? Sono le questioni relative alla disattivazione del sistema di sicurezza aereo statunitense [vedi box].
Infine, il gruppo di questioni più scottanti investe il ruolo dell'amministrazione Bush. Perché il presidente non è ritornato immediatamente a Washington? Perché il presidente ha deciso di continuare con la visita programmata alle classi, quindici minuti dopo aver saputo che il primo aereo dirottato si era abbattuto contro il World Trade Center e anche dopo la notizia del secondo schianto? Chi stava in quel momento comandando le forze armate? Perché non solo non ci sono risposte a queste domande ma addirittura ostacoli a reperire informazioni per la stessa commissione parlamentare. Il comitato dei famigliari delle vittime [vedi box] sta cercando faticosamente la verità, nonostante gli impedimenti di Bush. Non solo inizialmente molti famigliari si erano schierati contro la "Guerra al terrorismo" dicendo "Not in our name", ma successivamente hanno fatto azioni contro Bush, trovando appoggi in tutti gli USA. Nel marzo 2004 hanno dichiarato: "Il presidente Bush si è opposto alla creazione della Commissione di inchiesta e la sua Amministrazione ha alzato barricate che hanno impedito il progredire dei lavori della Commissione. Attualmente la Casa Bianca sta cercando di limitare sia il tempo sia il numero dei membri della Commissione che possono partecipare all'interrogatorio del Presidente, nonostante i 10 membri della Commissione godano dei più alti livelli di sicurezza. Mentre alcuni documenti resi inaccessibili alla commissione sono stati messi a disposizione di Bob Woodward, un autore che non gode di altrettanta affidabilità, durante la ricerca per il suo libro Bush at War".[40] In altre parole si accusa esplicitamente l'Amministrazione di aver strumentalizzato i fatti dell'11 settembre e di aver fatto direttamente pressione sulla commissione per non procedere.[41] Ora la questione è se questi fatti sono stati strumentalizzati prima o dopo la tragedia, da chi e in quale modo.
Il ruolo dell'amministrazion Bush
L'11 settembre i massimi comandi militari degli Usa non fecero nulla. Interrogato dal senatore Carl Levin, il generale Richard Myers, sostenne, subito dopo i fatti, che al momento del primo impatto fosse "stata convocata una squadra d'intervento per le situazioni di crisi (...) Il momento che non so è quello in cui il Norad ha risposto con i caccia."[42]
Mentre al presidente sarebbe stato richiesto di prendere decisioni importantissime, la realtà è che, a dispetto delle diverse versioni ufficiali date dallo stesso Bush sulle attività da lui svolte quel giorno, una caratteristica ricorra sempre: quel giorno il presidente degli Usa non fece nulla, non prese nessuna decisione. Alle 8.46 Bush, che si stava dirigendo verso una scuola elementare, era scortato dalla sua squadra e doveva essere stato informato che quanto meno due aerei erano stati dirottati e che uno si era appena schiantato sul Wtc. Se i caccia fossero decollati solo il presidente poteva ordinare l'abbattimento dell'aereo. Si stava almeno preparando a una decisione del genere? Quando il presidente fu informato di fronte alle telecamere (ma era stato già informato almeno una volta dopo il primo schianto) invece di tenere una riunione di emergenza, rimase in visita alla scuola elementare. Rimase a fare foto mentre tutto il mondo guardava in diretta le immagini del secondo impatto e se ne andò tardi senza che l'aereo presidenziale fosse scortato da caccia militari mentre "l'America era sotto attacco" e la popolazione credeva che ci fossero 11 aerei dirottati.
L'assoluta indifferenza sia di Bush sia di Myers inducono diversi giornalisti a ritenere che la negligenza fa pensare a complicità.[43] Per queste ragioni i teorici del complottismo asseriscono che ci fu un "colpo di stato". Molti fatti lasciano supporre che le decisioni in questo grave caso di emergenza fossero state prese dai servizi segreti e da altri vertici militari, ma comunque non fossero decisioni dei sommi comandanti dell'esercito: Bush e Myers. Ma se non ci fu nemmeno una decisione politica di conferire potere ai militari è sbagliato parlare di prova di golpe? Se il presidente degli Usa era in totale balia degli eventi e degli spostamenti militari non si può certo dire che l'11 settembre negli Usa gli ordini abbiano seguito la legittima catena di comando. L'emergenza ha quanto meno messo a nudo un vuoto del potere politico dell'amministrazione. Il fatto che la legittima catena di comando sia stata sostituita da un altra che operò nell'ombra ci permette di parlare di stato di eccezione.[44]
È la zona rossa creata negli Stati Uniti, apertasi quel giorno e continuata con la sospensione dei diritti del Patriot Act di cui parleremo nel capitolo successivo. L'analogia con la zona rossa di Genova consiste non solo nel terrore provocato sulla gente e nella successiva sospensione dei diritti, ma proprio in questo cambio della catena legittima di comando. Come a Genova, anche a New York le decisioni fondamentali non vennero prese dal potere politico legittimo, ma da quello militare non seguendo la legittima catena di comando, ma con dinamiche mai sufficientemente ricostruite.
La zona rossa è quello spazio d'ombra in cui, con la scusa dell'allarme terroristico, il potere militare può agire fuori dal controllo pubblico.
Samir Amin (e a Porto Alegre nel 2002 molte avevano posizioni analoghe) vide nella crociata contro il terrorismo "un alibi per farla finita con il movimento". Spiegava a caldo anche la storia del terrorismo islamico in modo differente dai mass-media occidentali. Fin dai tempi di Nasser, Samir è stato un attivista che si è scontrato con l'islamismo politico (o fondamentalismo) che egli considerava una creazione degli Usa, da far risalire al Congresso islamico mondiale. Questo congresso fu la risposta statunitense tre anni dopo la conferenza di Bandung del 1955, dove Egitto e India cercavano di costituire un fronte socialista afro-asiatico.[45]
Barry Zwicker, importante giornalista, attualmente presso CBSTV, CTV's News 1 e Vision Tv, fa a pezzi la linea ufficiale: "Bene a differenza dell'Air Force io partirò all'inseguimento. Basta porsi queste poche domande per accorgersi che la versione ufficiale francamente non è plausibile. Più domande fate più diventa plausibile che la spiegazione sia un'altra: vale a dire che elementi all'interno del massimo comando dell'esercito, dell'intelligence e della politica americana - che sono strettamente legati fra loro - siano complici per quel che è accaduto l'11 settembre."[46]
Ritt Goldestein [47] sostiene che tutti i punti del Patriot Act fossero già predisposti prima del 11 settembre e non aspettavano migliore occasione. Del resto anche gli attacchi militari successivi (Afghanistan e Irak) erano già stati progettati e aspettavano solo una grande occasione. Sempre Ritt Goldestein va oltre, affermando che i teorici della cospirazione hanno avuto maggiori timori: nel settembre 2002 infatti "le speculazioni sono state ulteriormente alimentate da un'indagine senza precedenti del Fbi sui parlamentari che investigavano sull'11 settembre. Molti considerano l'azione del Fbi un palese tentativo di intimidazione."[48] Esiste inoltre un'agenzia federale per la protezione civile (Fema) che presenta una struttura ambivalente: si occupa, fin dai tempi della "minaccia sandinista" (Reagan, anni Ottanta), sia di protezione civile sia di dissenso interno. Starebbe predisponendo sia dei campi per rifugiati da attacchi batteriologici sia dei campi di prigionia interna. La Fema avrebbe già fatto un'esercitazione per detenere stranieri e radicals.[49] Anche il ricorso all'esercito per gestire l'ordine pubblico e la schedatura informatica di massa con un piano di coinvolgimento della società civile (piano Tips) sono strategie che sono state seriamente esaminate e rafforzate dopo l'11 settembre.[50]
Giulietto Chiesa ipotizza che esistano servizi segreti deviati diretti da una cupola in grado di guidare il ponte di comando dell'impero. Il loro identikit sarebbe: ottimi conoscitori dell'occidente, ottimi analisti della disperazione sociale del Sud del mondo, manipolatori brillanti del fanatismo islamico, frequentatori di circoli finanziari. Un sistema mafioso extra-statuale che si sta impadronendo dello stato. Eppure i più vedono proprio all'interno dei poteri americani le origini del tutto.[51]
Michael Chossudovsky ritiene che gli Usa usino ancora il terrorismo islamico per interessi geostrategici anche in Asia e che qualcuno dell'amministrazione, dei servizi segreti e tra i senatori, avesse legami personali con il mandante dell'11 settembre, l'allora capo del servizio segreto pakistano. Ritiene che attualmente gli Usa siano un sistema totalitario e che occorra disarmare questo loro nuovo ordine mondiale. Sostiene che "la guerra americana minaccia il futuro dell'umanità".[52]
Fulvio Grimaldi partendo dalla constatazione che nel Sud del mondo ben presto si intuirono i possibili legami tra i presunti terroristi e i servizi di sicurezza statunitensi ricorda: " Ogni interpretazione alternativa appariva irrealistica, peggio, impensabile. Fuorché nel mondo arabo e, più in generale, nel cosiddetto Terzo Mondo, quello delle brutalità coloniali, delle cento guerre per procura o dirette sofferte dagli Usa dal 1945, dei colpi di stato, delle provocazioni sanguinarie, delle operazioni coperte della Cia. Da Baghdad a Buenos Aires, da Teheran a Caracas, da Gerusalemme a Mogadiscio, dal Cile a Cuba sentii riecheggiare le parole e la convinzione del leader druso libanese: ognuno, da quelle parti, aveva ben presente il ricordo di capacità terroristiche quali Sabra e Shatila, lo stadio di Santiago, il Piano Northwood, Pearl Harbour, il Golfo del Tonchino". Non esita poi a proporre un paragone che a tanti è balenato, quello con l'incendio del Reichstag quando i nazisti bruciano il parlamento dando la colpa ai comunisti".[53]
Sbancor, fine critico, banchiere anarchico, è alla ricerca dei lupi e degli sciacalli, del filone principale e dei secondari. Difficile impresa. Per lui la guerra è la prosecuzione dell'economia con altri mezzi. L'11 settembre segue la più grande recessione economica nordamericana dopo il 1929. Il modello è quello della contro-insurrezione: si creano economie criminali legate al traffico di droga, si usano i soldi per i piani anti-insurrezione, si crea terrore per imporre regimi e fare affari: sono i falchi della destra americana, i Wasp (White anglo-saxon and protestant), i veri protagonisti della grande scacchiera, quelli che dopo l'11 settembre volevano uno scontro di civiltà immediato in tutto il Medio-oriente.[54] Quelli del Skull & Bones,[55] i fondamentalisti cristiani. Quelli con le mani sia nella finanza sia nei comandi militari.
Al di là della scoperta di un piano - Northwood Operation- di attacco di Cuba che aveva molte analogie con le dinamiche dell'11 settembre [vedi box], una questione su cui molti sono tornati è infatti proprio l'assenza di investigazioni in campo finanziario.
Le speculazioni finanziarie
I grandi misteri intorno all'11 settembre permangono infatti se si esamina un'altra pista non seguita, quella finanziaria. Nonostante il premio Nobel Dario Fo, con grande lucidità, in mezzo a tanto sgomento e dolore, cinque giorni dopo l'attentato avesse dichiarato "se volete i colpevoli seguite i soldi", le indagini in questo campo si sono insabbiate.[58] Eppure potrebbe essere proprio questa pista a rivelare conoscenze del piano dell'attacco a grandi livelli. Più vicino a Wall Street che non a Kabul.
Qualcosa in effetti sembrava essersi mosso, anche se si sa ben poco. Dal 6 al 7 settembre alcuni titoli azionari più esposti agli effetti della tragedia dell'11 settembre (compagnie aeree e assicurazioni) fanno registrare una forte speculazione al ribasso. Tramite put options, contratti futures, che garantiscono di poter vendere e comprare determinate azioni a un prezzo fissato in anticipo, qualcuno puntò (proprio come le scommesse). Quando la borsa riaprì alcune azioni persero circa il 40%, ma quel qualcuno, più probabilmente più persone, portò a casa circa 10 milioni di dollari. Aveva giocato in anticipo con questi contratti futures. Molte di queste operazioni speculative sono state localizzate nel Chicago Board Options Exchage; i protagonisti non paiono essere musulmani, ma bravi cristiani; sono dirigenti di una importante banca americana, la Bankers Trust. Molti titoli della United Airlines erano stati acquistati attraverso la Deutschebank/A.B. Brown, società gestita fino al 1998 dall'attuale direttore esecutivo della Cia, A.B. Krongard, detto "Buzzy".[59] La A.B. Brown è stata denunciata dal senatore Carl Levin come una delle venti maggiori banche americane implicate nel riciclaggio di denaro sporco. "Buzzy" forse ha in qualche modo frequentato ancora qualche terrorista prima degli attacchi e ne era informato?
Nonostante l'Fbi abbia confermato che il generale Mahmoud Ahmad, capo dei servizi segreti del Pakistan, abbia versato 100.000 $ a Mohamed Atta, presunto capo di tutti i gruppi di attentatori [vedi box], nulla sembra essersi mosso.
Perché non si indaga sugli spostamenti finanziari per ricostruire la rete dei finanziatori dei terroristi? Se lo chiese persino Di Pietro, certo non un intellettuale radicale. La mancanza di volontà di iniziare le indagini ripercorrendo i flussi di denaro che, a quanto pare, anche in occasione dell'11 settembre si sono mossi, lascia molto perplessi. Forse non c'è volontà perché i nessi tra economia pulita e economia sporca, soprattutto a livello finanziario, sono indicibili e forse non esiste un libero mercato non sporco. Né un libero mercato che non conosca in anticipo le mosse dei "terroristi". O, detto altrimenti, il libero mercato ha un volto oscuro e uno terroristico. Il libero mercato ha sempre più bisogno di zone rosse. In borsa dopo l'11 settembre le azioni che sono andate più forte sono state quelle delle aziende legate al settore militare. E questo anche grazie alla spesa pubblica dei sostenitori del libero mercato.
Il re è nudo, lo dice involontariamente ma chiaramente un economista prestigioso, Paul Krugman: "i fatti dell'11 settembre hanno prodotto politiche più espansioniste dal punto di vista fiscale. La Federal Reserve ha tagliato i tassi di un altro punto. Per quanto sia sgradevole ammetterlo, quell'atrocità le ha dato l'opportunità di agire con più prontezza e forza di quanto osava pensare. In secondo luogo l'attacco ha aperto le porte a un forte aumento della spesa pubblica, proprio la politica invocata da tanti economisti, ma che sembrava politicamente impossibile (...) vale la pena ricordare che le guerre stimolano le economie più che deprimerle (...)".[60] L'11 settembre è stato un tentativo di uscire dalla recessione e non la causa della recessione come è stato presentato.
Dopo l'11 settembre tutte le industrie legate al settore degli armamenti salgono in borsa e ingenti risorse pubbliche vengono stanziate per la sicurezza. Sono le zone rosse della globalizzazione armata che restringe i diritti verso l'interno e apre zone di guerra per il controllo dei flussi di risorse al suo esterno. Sul piano dei meri avvenimenti sono troppe le questioni aperte e i misteri. La costruzione dell'immagine mass-mediatica di Bin Laden; le ragioni della diffusione del suo logo; le mancate indagini delle piste saudite e pakistane; le mancate considerazioni degli allarmi precedenti; le inadempienze sul piano delle procedure standard di difesa antiaerea. Per ora rimangono le numerose domande delle vittime senza risposte. Anzi le pressioni e infine il rifiuto a rispondere da parte di Bush. Rimangono infine i sospetti che quel giorno e subito dopo sia stato sperimentato uno stato di eccezione. Lo scenario delineato in cui molti sospetti fanno supporre che l'amministrazione abbia lasciato agire quando addirittura non incoraggiato i protagonisti degli attentati alle Twin Towers. Nel successivo capitolo rivolgeremo l'analisi su quei cambi strutturali che già erano presenti e programmati prima dell'11 settembre: l'attacco in centro Asia, l'incremento delle spese militari, il dispiegamento della cultura della sicurezza e le restrizioni dei diritti civili (Patriot Act -2001). Cercando di capire il contesto e i piani di guerra, già tutti preparati prima dell'11 settembre, vedremo anche come l'avvenimento fosse già stato addirittura auspicato e teorizzato da alcune menti della destra americana. L'11 settembre è l'occasione preparata e disposta per l'imposizione del sicuritarismo che segna soprattutto l'esplosione su scala globale delle zone rosse.
Note:
1 Guy Debord, La società dello spettacolo, Roma, Baldini Castaldi, 2001 (ed. orig. Paris, Editions Buchet-Chastel, 1967)
2 Autore di questa tesi è T. Meyssan (L'incredibile menzogna, Fazi, Roma 2002) primo autore a esplicitare il ruolo diretto dei servizi segreti statunitensi nell'attentato; gli autori che maggiormente hanno contrastato le presunte evidenze empiriche su cui questa tesi si basava sono Guilaume Dasquié e Jean Guisnet in L'effroyable mensonge, Paris, La Decouverte, 2002; il loro studio getta molti sospetti sugli esperti di cui si sarebbe avvalso Meyssan nel suo studio parigino. In Germania diversi giornalisti del Der Spiegel si sono dilungati a decostruire molti dettagli, cf. Panoptikum des Absurden, Der Spiegel, 8 settembre 2003, n. 37.
3 Roberto Quaglia, Tutto quello che avresti voluto sapere sull'11 settembre (e su tutto il resto) e non hai mai osato chiedere, in Tutto quello che sai è falso, Nuovi mondi media, a cura di Russ Kick, Bologna, 2002. Il libraio che non venderebbe il suo libro sarebbe una pedina del grande complotto. L'autore invita ironicamente a non credere a mezza parola del suo racconto e inoltrarsi nel paese delle meraviglie del suo "mondo" fantastico. Un bel saggio ricco di spunti interessanti e confezionati con uno spirito sensazionalistico che non dà ragione dell'intelligenza del lettore/a.
4 Kissinger, Destroy the Network, The Washington Post, 11 settembre 2001; tuttora disponibile su intenet:www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn/A13653-2001Sep11; Kissinger è ritenuto responsabile dei peggiori crimini terro-ristici del secolo XX in Cile, Timor Est, Vietnam, Cipro, etc..., si veda Christopher Hitchens, Les crimes de Monsieur Kissinger, Paris, Saint-Simon, 2001
5 Giulietto Chiesa, La guerra infinita, Milano, Feltrinelli, 2002, p.84
6 Sono queste le parole di Milton Bearder, agente della CIA, che dal 1964 al 1994 fu in Afghanistan, dove supervisionò gli aiuti clandestini ai ribelli afgani nella loro guerra santa contro l'URSS. Una persona che, grazie al suo lavoro sul campo di 30 anni, con molti più argomenti sapeva distinguere quello che Kissinger aveva chiamato il "marchio" di Bin Laden. Hunting Bin Laden, Interview with Milton Bearder, Fronteline, 13 settembre 2001 in www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/binladen/
7 Pierre Abramovici, I negoziati segreti tra Washington e i talebani, Le Monde Diplomatique, gennaio 2002; vedi oltre. Questo parere è confermato anche da una dichiarazione del comandante delle azioni Usa in Afghanistan, riportate in USA Today: "Non abbiamo detto che sia Osama Bin Laden l'obiettivo di questa iniziativa -ha detto Franks ai giornalisti nel corso del primo briefing al Pentagono da quando è iniziata la guerra". Franks presiede la struttura del comando centrale in Medio Oriente ed è il terzo anello della catena di comando dopo Bush e Rumsfeld. John Omicinski, General: Capturing Bin Laden is not part of Mission, USA Today 23.11.2001, cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, Il ruolo dell'amministrazione Bush nell'attacco dell'11 Settembre, Roma, Fazi editore, 2002, p.6
8 Stan Goff, The so called Evidence is a farce, in www.narcosnews.com/goff1.html; cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.194. Anche la testimonianza dell'ex-direttore delle operazioni della CIA in Afghanistan merita attenzione: "Senta se non avessero avuto a disposizione Osama Bin Laden, avrebbero dovuto inventarselo" (CBS Evening News, 12.11.2001, cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.195); infine Robert Baer, sostiene, nell'anticipo della sua biografia pubblicata da The Guardian: "Bin Laden avrebbe agito da solo tramite la sua rete Al-Qaeda nel lanciare gli attacchi? Posso solo rispondere senza la minima incertezza: no." (See No Evil, part II, The Guardian, 12 gennaio 2002; cit. anche in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.195).
9 Sull'odio per gli americani e i festeggiamenti per l'attentato di Bin Laden, ha fatto considerazioni molto interessanti: Tariq Alì, Lo scontro dei fondamentalismi, Milano, Rizzoli, 2002
10 http://www.911independentcommission.org
11 Immanuel Wallerstein, Il piano di Bin Laden, Guerre&Pace, Novembre 2001
12 Robert Fisk, Bin Laden dove sei?, The Indipendent, 14 novembre 2002; trad. it. Internazionale, 29.11.2002; Hamid
Mir, La pista iraniana, trad. it. Internazionale, 29 novembre 2002
13 Hamid Mir, La pista iraniana, cit.
14 Per una rapida analisi giornalistica cf: A. Rashid, I Talibani grandi destabilizzatori della regione, Le Monde Diplomatique, novembre 1999; O. Roy, Un fondamentalismo in cerca di guerre, ma senza progetto politico, Le Monde Diplomatique, Ottobre 1998.
15 E' interessante notare come il termine arabo Jihad, che significa sforzo morale e religioso, venga tradotto in Occidente con guerra santa, usando il termine nell'accezione conferita dalla minoranza fondamentalista musulmana. Un po' come tradurre fede (cristiana) con Crociata.
16 J. K. Cooley, Una guerra empia. La Cia e l'estremismo islamico, Milano, 2001, pp.178 sgg
17 Interviesta a Zbignew Brzezinski a cura di Vincent Javert, Le Nouvelle Observateur, 15-21 gennaio 1998; trad. it. Guerra & Pace, novembre 2001; una traduzione inglese è disponibile sul sito www.globalresearch.ca/articles/BRZ110A.html; cf anche J. K. Cooley, Una guerra empia, cit.
18 J. K. Cooley, Una guerra empia, cit. p.19; sulla Bank of Credit and Commerce International, e in generale sul peso dell'economia sporca in Asia e Europa, rimane fondamentale: Jean Ziegler, I signori del crimine, le nuove mafie europee contro la democrazia, Milano, Marco Tropea, 1998
19 Il ricorso al fanatismo islamico da parte degli USA è da ricondurre a una più generale strategia antisocialista in medioriente, volta a limitare l'ascesa dei movimenti socialisti, che con l'asse India-Egitto stavano cercando una terza via. Secondo Samir Amin alla conferenza di Bandung del 1955 sarebbe seguita la decisione di Arabia Saudita e Pakistan, spinte dagli USA, di creare un Congresso Islamico Mondiale nel 1958, con matrice fondamentalista. In una sua preziosa intervista ricorda come il suo amico primo ministro egiziano Nasser si infuriò molto: "Arabia Saudita e Pakistan hanno finanziato tutto. Ma dietro ad essi vi erano gli Stati Uniti. Quando se ne accorse Nasser si infuriò. Me lo ricordo ancora che gridava `cos'è questo Congresso Islamico mondiale?' Chi ne ha bisogno se abbiamo già la conferenza di Bandung?'" Intervista a Samir Amin di Anne Marie Merger, Proceso, 25 gennaio 2002, ora in Samir Amin, Il terrorismo, il grande alibi, in AAVV, Guerra globale, globalizzazione e militarizzazione del mondo, le alternative dei movimenti sociali, Milano, Punto Rosso, 2002.
20 M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, la verità dietro l'11 settembre e la nuova politica americana, Torino, EGA, 2002, pp. 33-39, 50-53
21 CIA Had Hijacker Name, Number Before 9 / 11 Report Says, New York Times, 24 febbraio 2004
22 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.180 (fonti: The Irish Times, 19 novembre 2001; CNN, 8 gennaio 2001)
23 Giulietto Chiesa, Guerra infinita, cit., p.87; sulle delusioni di O'Neill nelle trattative segrete con i Taliban, cf anche Pierre Abramovici, I negoziati segreti, cit.
24 Reuter 11 settembre; Giulietto Chiesa, Guerra infinita, cit., p.88
25 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.158 sgg (fonti: Strained Family Ties, ABC News, 1 ottobre 2001)
26 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. p.160; cf. Stich, Rodney, www.unfriendlysky.com, cit. in Gregory Palast, Green Press, 14. febbraio 2002, www.greenpress.org cit.
27 Green Press, 14.2.2002, www.greenpress.org, cit. anche in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.161
28 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. p.163 (fonti: New Yorker, 22 ottobre 2001; Now, 22 novembre 2001; The Los Angeles Times, 18 novembre 2001)
29 J-C.Brisard e G.Dasquiè, La verità nascosta, Marco Troppa, Milano 2002.
30 J. K. Cooley, Una guerra empia, cit. pp.193 sgg
31 Alexandra Richard, La CIA aurait rencontré Ben Laden en juillet, Le Figaro, 31 ottobre 2001, disponibile sul sito:www.mindfully.org/Reform/Bin-Laden-Met-CIA.htm#2
32 The Guardian del 1 novembre 2001 sostiene che il proprietario di Le Figaro è il gruppo Carlyle che con bin Laden e i sauditi ha sempre avuto relazioni. "Messaggi trasversali, mafiosi" commenta Sbancor, American Nightmare, incubo americano, Bologna, Nuovi Mondi Media, 2003, p. 105; cf anche The Times, 1 novembre 2001, cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp.182 sgg, p.321.
33 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. pp. 165-188
34 J. K. Cooley, Ricerca senza fine del tesoro nascosto di al Qaeda, Le Monde Diplomatique, novembre 2002
35 Raffaella Menichini, L'Arabia Saudita aiutò i kamizake dell'11 settembre, Repubblica, 27 Luglio 2003; cf anche Sergio Finardi, I meandri dell'intelligence, Il Manifesto, 6 agosto 2003.
36 Golden, Daniel e altri, Bin Laden Family Could Profit from Jump in U.S. Defense Spending Due to Ties to U.S. Banks, The
Wall Street Journal, 27.9.2001, pubblicato anche sul sito: www.geocities.com/vonchloride/wsjarticle.html; in questo articolo si spiega come paradossalmente l'aumento di spese militari in funzione antiterrorismo potrebbe creare profitti per la famiglia Bin Laden. Cf. Anche: David Lazarus, Carlyle Profit on Afghan War, San Francisco Chronicle, 2 dicembre 2001; entrambi cit. in Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp.155-156
37 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, op. cit. p.157, n.22 p.305 (fonte: United Press International, 13 febbraio 2001)
38 Times of India, 11 ottobre 2001, cit. in M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit., p. 62
39 M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit., pp.55-66; Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., pp.191-193
40 Statement of the Family Steering Committee for The 9/11 Independent Commission, 8 marzo 2004
41 Si vedano gli articoli di Gennaio-Marzo 2004 sull'interessante sito: http://www.septembereleventh.org/index.php
42 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. , p.143
43 Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit. , p.145 (fonte è l'articolo di Jared Israel su New York Press)
44 Su questo torneremo oltre seguendo l'analisi del filosofo Giorgio Agamben, che riprende le categorie di Carl Schmitt. L'emergenza in quanto limite della normalità giuridica, spiega e descrive la normalità. Lo stato di eccezione è intimamente legato al potere legittimo pur rivelandosi appieno solo nelle situazioni di emergenza e di guerra.
45 Intervista a Samir Amin di Anne Marie Merger, cit.
46 Barry Zwicker, The great Deception: What realy happened on September 11th, in www.visiontv.ca/Archive/Archive.html, cf. anche Nafeez M. Ahmed, Guerra alla libertà, cit., p.195
47 Ritt Goldstein, americano, è clandestino in Svezia. Leader di un movimento per la trasparenza nell'operato della polizia, negli Stati uniti, ha subito aggressioni, sabotaggi e un tentativo di assassinio. Ha chiesto asilo in Svezia, che non glielo ha concesso, nonostante i fatti siano documentati perché proveniente da un paese "democratico".
48 Ritt Goldestein, Patrioct Act, il desiderio proibito, Il Manifesto, 11 settembre 2002
49 Ritt Goldestein, Usa, le sbarre dentro casa, Il Manifesto, 26 luglio 2002
50 Ritt Goldestein, Bush sogna un popolo di spioni, Il Manifesto, 18 agosto 2002
51 Giulietto Chiesa, La guerra infinita, cit.
52 M. Chossudovsky, Guerra e globalizzazione, cit., p.136
53 Fulvio Grimaldi, 11 settembre, un Reichtag americano, http://www.pane-rose.it/pagina_art.php?id_art=1922&loc=1
54 Sbancor, American Nightmare, cit.
55 Esclusiva società segreta dell'università di Yale composta da studenti dell'aristocrazia venale di cui faceva parte Bush padre e forse anche il figlio. Sulla aristocrazia finanziaria statunitense e il gruppo di Yale cf. Geminello Alvi, Il secolo americano, Milano, Adelphi, 1966, pp.160-161.
56 J. Bamford, Body of Secrets, Anatomyof the Ultra-secret National Security Agency from the Cold War trough the Down of the new Century, Dubleday, New York, 2001, II ed. 2002 con un Afterword sul 9/11, pp. 78-91; cf. anche N. Hager, Al cuore dei sevizi segreti americani, la Nsa dall'anticomunismo all'antiterrorismo, Le Monde Diplomatique, novembre 2001
57 Eisenhower's Farwell Adress to the Nation, 17 gennaio 1961 (ora su internet in http://mcadams.posc.mu.edu/ike.htm)
58 Dario Fo e Franca Rame, Volete i colpevoli? Seguite i soldi!, 16 settembre 2001, ora in http://www.francarame.it/cacao/colpevoli.html
59 G. Chiesa, La guerra infinita, op cit., pp. 97-98; la fonte è D. Radlauer che lavora al New York Future Exchange.
60 Paul Krugman, cit. in Sbancor, American Nightmare, cit., p. 52