L'esplosione delle zone rosse
In questo capitolo vedremo come i piani dispiegati dall'amministrazione Bush dopo l'11 settembre fossero già stati preparati precedentemente. Le presunte azioni di guerra anti-terrorismo più che rispondere a un reale intento di combattere il terrorismo hanno lo scopo di rafforzare lo "stato di polizia globale", limitando i diritti in particolare delle opposizioni: l'arte di governo neoliberista in tutto il globo ha approfittato dell'evento mass-mediatico dell'11 settembre per imporre misure gravemente restrittive nei diritti umani e civili. In questo senso gli effetti "collaterali" delle guerre esportate dagli Stati Uniti e i loro vassalli, in Afghanistan e Irak e gli effetti interni provocati dalle restrizioni dei diritti non sono qualitativamente diverse. Quindi, seppur per comodità esplicativa ci soffermeremo prima sugli aspetti di politica estera della guerra permanente al terrorismo e poi su quelli di politica interna, essi sono trattati nel medesimo capitolo per mostrarne maggiormente i nessi. Diritto internazionale e diritti civili sono in entrambi i casi le vittime di questo nuovo stato di eccezione di polizia globale. Guantanamo non è un'eccezione ma il paradigma del nuovo modello di zona rossa in cui guerra esterna e guerra interna coincidono nel cercare di legalizzare l'inumanità di alcuni esseri umani. Non è quindi casuale che gli attentati dell'11 settembre siano stati descritti come attacco "alieno". Siamo di fronte al nuovo paradigma giuridico dello stato di eccezione, la globalizzazione delle zone rosse. La globalizzazione quale modalità dell'attuale processo di mondializzazione capitalistica è il processo di soppressione dei diritti delle persone in nome della libertà delle imprese. La violazione dei diritti umani in Irak sta avvenendo oggi non solo sul piano delle torture, che ha assunto tratti ellettoral-scandalistici, ma soprattutto sul piano delle condizioni schiavistiche in termini economici imposte su questa nuova zona rossa. Il capitalismo è infatti, come era apparso già alcuni secoli fa ai suoi maggiori detrattori, non l'uscita da un supposto stato naturale di guerra permanente tra individui e specie bensì l'imposizione a livello mondiale dello stato di guerra permanente. In questo senso potremmo iniziare a suggerire alcune vittime delle zone rosse della globalizzazione (migranti, lavoro coatto, lavoro minorile, rifugiati ambientali,etc...) e descrivere la creazione delle zone rosse come il dispositivo culturale e militare di imposizione del neoliberismo all'umanità.
La guerra duratura era già iniziata
Con la caduta del muro di Berlino e il tramonto del mondo bipolare (Usa-Urss), sembrava si aprisse per il pianeta un lungo periodo di pace. Il capitalismo da parte sua sembrava poter realizzare l'utopia che il socialismo non aveva realizzato: tutte avrebbero potuto liberamente soddisfare i propri bisogni grazie al mercato in un mondo senza confini. Qualcuno arrivò a parlare di fine delle ideologie, fine delle classi sociali, fine della lotta di classe e persino di fine della storia.
Eppure, mentre i cervelli europei discutevano sulla fine delle ideologie, la destra americana aveva già cinicamente capito che la guerra si doveva orientare a Sud, contro gli stati poveri per il controllo dei flussi di risorse. Nel 1990 l'amministrazione Bush, nel sottoporre al Congresso la richiesta di un enorme finanziamento militare per il Pentagono, si giustificò con dei termini che oggi appaiono come una vera dichiarazione di guerra al Sud del mondo: "In una nuova era prevediamo che il nostro potere militare resterà un puntello fondamentale dell'equilibrio globale, ma (...) le più probabili richieste di usare la nostra forza militare possono non riguardare l'Unione Sovietica, bensì il terzo mondo, dove potrebbero essere richieste nuove abilità e strategie".[1] Era il 1990, la terza guerra mondiale, la guerra fredda, sarebbe finita l'anno successivo con la caduta dell'impero sovietico. Iniziò la quarta guerra mondiale: una grande quantità di armi convenzionali prese a circolare e la produzione da parte degli stati sarebbe ripresa a salire negli anni successivi. L'ultimo decennio del secolo avrebbe fatto milioni di vittime in tutti i continenti del pianeta, soprattutto, come mai in passato, tra la popolazione civile.[2] Un documento interno al Pentagono del 1992 spiegava: "Il nostro obbiettivo primario è impedire il riemergere di un nuovo rivale (...) che ponga una minaccia nell'ordine di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica. La nuova strategia richiede che noi operiamo per impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti (...) a generare una potenza globale".[3]
In questo contesto di disordine del mondo che, con Marcos, chiamiamo "quarta guerra mondiale" [vedi box], gli Stati Uniti tendono a ristabilire il proprio dominio sul mondo utilizzando il proprio incontrastato potere militare. Nonostante siano state condotte "guerre umanitarie", il tentativo di riportare l'ordine con le armi non sembra finora aver stabilizzato nulla, anzi sono queste stesse guerre causa di ulteriori devastazioni ambientali e umane. In effetti gli Usa si sono trovati come unica potenza militare mondiale pur avendo avuto un calo del loro peso specifico sull'economia mondo: se dopo la seconda guerra mondiale (1945) il peso dell'economia monetaria statunitense (Pil) era più della metà di quello globale, alla fine della terza guerra mondiale (1991) era di circa un terzo. Da allora ad oggi il deficit della bilancia commerciale degli Usa è passato da 100 a 450 miliardi di dollari: gli Usa non solo non possono più vivere della loro produzione ma hanno un tremendo bisogno del mondo per le materie prime, mentre il mondo scopre l'inutilità degli Usa.
Strategie dell'impero prima dell'11 settembre
Per capire la natura imperiale della globalizzazione vogliamo ripercorrere la lettura di quello che potrebbe essere definito un vero e proprio manifesto programmatico della politica estera americana, uscito prima della guerra nel Kosovo: La grande scacchiera.[4] Scritto da Zbigniew Brzezinski, neoconservatore statunitense, il libro, dedicato ai suoi studenti, "per aiutarli a plasmare il mondo", è tutto un programma ideologico. Il cinismo è il tratto distintivo dell'opera, ma tale vizio ha la virtù di non mistificare la realtà. Secondo l'autore la guerra fredda fu vinta dagli Usa anche per la maggior debolezza dei propri "vassalli". Il "crollo dell'Unione Sovietica ha fatto sì che gli Stati Uniti diventassero, in pari tempo, la prima e unica potenza globale. Nella supremazia globale degli Stati Uniti è possibile scorgere in qualche modo le tracce degli antichi imperi, benchè la loro estensione fosse senz'altro più ridotta."[5] La prima parte del libro confronta quindi con molta attenzione l'Impero americano con quello romano, mongolo e cinese, e descrive infine le cause del crollo di questi imperi. Secondo l'autore quella americana è un'egemonia - si noti anche qui l'utilizzo di Gramsci- di tipo nuovo. I primati americani sono quattro: militare, economico, tecnologico e culturale.
La forza del sistema americano è la "cooptazione". L'analisi di Brzezinski valorizza il dominio culturale più che quello militare: dall'università al Mc Donald l'impero americano produce "imitazione di stile di vita", elemento indispensabile per l'egemonia imperiale.[6] La supremazia americana ha prodotto così un "nuovo ordine internazionale che non solo replica, ma istituzionalizza all'estero molte delle caratteristiche del sistema americano". Nell'elenco di queste caratteristiche troviamo: Nato, Nafta, Fmi, Wb, Wto, il Tribunale speciale per i crimini di guerra (Bosnia). Se gli Usa vogliono essere all'altezza della leadership del nuovo ordine mondiale, devono portare a termine il controllo del continente più difficile: l'Euroasia. Il punto più delicato da controllare è l'Asia centrale.
Altre parti del libro sottolineano i vari punti deboli dei possibili rivali nel controllare queste aree, e quindi i principali alleati, visti nell'Unione Europea, evitando che si costituisca una potenza regionale euroasiatica ostile agli Usa, cioè cercando di spaccare il blocco euroasiatico di Russia, Cina, a cui vanno aggiunti anche India e Giappone quali grandi competitori dell'Asia.
L'unica alternativa all'egemonia americana sarebbe il caos totale per cui, con Clinton, è lecito affermare che gli Usa sono "nazione indispensabile".[7] Nel lungo periodo è tuttavia improbabile che i destini del mondo verranno retti da un solo paese: gli Usa non sono "solo la prima e unica superpotenza mondiale ma probabilmente anche l'ultima". Non prima però di aver portato a termine la loro missione storica.
A questo punto l'autore si preoccupa per l'opinione pubblica: "il mutamento culturale in atto, non sembra favorevole alla continuazione di una politica imperiale", politica che "richiederebbe un impegno intellettuale e una gratificazione del sentimento patriottico." E poi: "quanto più l'America diventerà una società multietnica, tanto più sarà meno facile che si crei un consenso su questioni di politica estera, salvo di fronte a una minaccia esterna diretta ampiamente percepita come tale".
La consapevolezza della crisi del sistema economico è grande. Così come la paura che gli Usa possano star fuori dal grande gioco se non controllano l'Euroasia. Sempre per Brzezinski l'America non deve perdere tempo e diventare potenza globale, facendo fronte al clima di pessimismo culturale: "lo sviluppo economico non riesce a soddisfare le crescenti aspettative materiali, stimolate da una cultura tutta rivolta al consumo". E i poveri del mondo minacciano: parlando di armi di distruzione di massa, Brzezinski sostiene che "nel prossimo futuro sarà ben difficile che le loro remore possano frenare i due terzi più poveri dell'umanità."[8] Non facciamoci illusioni: Brzezinski è un uomo dichiaratamente di destra, e le sue idee sono oggi "egemoni". Per lui "la democrazia è nemica della mobilitazione imperiale".[9] Dal momento che la società multietnica non coltiva il sentimento patriottico, è auspicabile che venga posta di fronte "a una minaccia esterna diretta ampiamente percepita come tale". Gli attentati dell'11 settembre asseconderanno questo suo viscerale desiderio.
Esiste però un altro documento - pubblicato nel 2000 - che auspicava una nuova Pearl Harbor negli Stati Uniti. Si tratta di un docuemnto elaborato dal tristemente noto Project for the New American Century (Pnac), il Progetto per il nuovo secolo americano. Organizzazione non-profit costituita nel 1997 con lo scopo di promuovere la leadership mondiale americana, riducendo il ruolo dell'Onu, dell'Europa e della Cina, il Pnac è una fondazione che ha un suo sito e promuove moltissime attività di ricerca e divulgazione. Questa fondazione scriveva nel 1998 una lettera a Clinton chiedendo di "intraprendere un'azione militare per rimuovere Saddan Hussein dal potere" poiché in caso contrario "una significativa porzione di riserve petrolifere mondiali sarà messa a rischio". Continuava dicendo: "mentre il conflitto irrisolto con l'Irak fornisce una giustificazione immediata, l'esigenza di avere una sostanziosa presenza delle forze americane nel Golfo va oltre la questione del regime di Saddam Hussein". Insomma già da allora richiedevano una guerra sia in Irak sia in Afghanistan. Il documento è firmato da persone che sarebbero diventate personaggi chiave nella nuova amministrazione Bush: Rumsfeld (attuale segretario alla difesa), Wolfowitz (vice segretario alla difesa), Armitage (viceministro degli esteri), Dick Cheney (attuale vicepresidente) e molti altri "cervelli" dell'amministrazione Bush.[10]
L'11 settembre è servito per passare dalle teorie ai fatti: quello che conta non è tanto e non è solo la spesa militare annua del bilancio degli Stati Uniti per le armi quanto il piano di investimento che si è delineato dopo l'11 settembre per i successivi 8 anni: un piano che dai 296 miliardi di dollari del 2001 porterà a 502 miliardi di dollari le spese militari del 2009. Un piano di spese di morte esorbitante se si pensa che già oggi gli Stati Uniti spendono in armi più della maggior parte degli altri paesi del mondo messi insieme.[11]
Gli interessi geostrategici statunitensi in Asia possono essere velocemente così riassunti. Appena cinque giorni prima dell'inizio dei bombardamenti della Iugoslavia, il 19/3/1999, il Congresso degli Stati Uniti ha promulgato il Silk Road Strategy Act, il Documento strategico per la via della seta. Questo documento definisce gli interessi geostrategici degli Stati Uniti dall'Europa, passando per il Mar Nero e l'Asia centrale fino ai confini con la Cina. Strategia che richiede la militarizzazione del territorio e azioni politiche e diplomatiche combinate. Lo scopo è il controllo non tanto delle risorse naturali vitali quanto dei flussi di risorse; il controllo della Cecenia quale crocevia degli oleodotti strategici ne è solo un pezzo, così come la guerra in Kosovo e in Afghanistan. Nell'ambito del controllo di questi flussi vi è anche il controllo sulle rotte della droga - la cui messa fuori legge non fa che aumentarne il costo e quindi i ricavi - che dalle coltivazioni di papavero in Asia centrale portano verso il mercato europeo. Rotta che avrebbe un giro di miliardi del tutto comparabile a quello degli oleodotti.[12]
L'egemonia imperiale statunitense
Alla luce della crisi imperiale e delle ambizioni degli strateghi americani cerchiamo ora di capire la natura delle guerre scatenate dagli Usa, così come sono state legittimate agli occhi dell'opinione pubblica. Dietro ai proclami bellicosi del presidente degli Usa, continuati dall' 11 settembre a oggi, la macchina militare americana si è preparata alle aggressioni contro i paesi accusati di formare "l'asse del male": Irak, Nord Corea, Iran e altri stati scomodi.
L'individuazione di stati canaglia e le relative teorie umanitarie per far accettare delle eccezionalità al rispetto del diritto internazionale, che attualmente esclude (come la costituzione italiana) il ricorso alla guerra quale mezzo di risoluzione dei conflitti, sono da far risalire alla terza guerra mondiale.
Secondo Paul-Marie de la Gorce [13] l'evoluzione degli obiettivi fondamentali della difesa degli Usa ha avuto tre fasi essenziali. La prima, degli anni Settanta, aveva l'obiettivo di prepararsi a condurre "due guerre e mezza". Durante la guerra fredda, bisognava prevedere l'eventualità di una guerra contro l'Unione Sovietica e di un'altra contro la Cina, e contemporaneamente di un terzo conflitto di dimensioni più ridotte, contro paesi più piccoli come per esempio la Corea, il Vietnam, il Libano, il Guatemala o Santo Domingo.
La seconda fase, dovuta al divorzio tra l'Unione Sovietica e la Cina, ha visto il presidente Nixon adottare il concetto di "una guerra e mezza": si trattava di un solo conflitto, con l'Urss o con la Cina, e un "mezzo" conflitto limitato a uno stato più piccolo.
La terza, iniziata nel 1992, subito dopo la fine della guerra fredda, ha visto l'amministrazione di Bush padre pubblicare un documento intitolato Base Force Review. In questa nuova dottrina si prevedevano due conflitti regionali importanti (Major Regional Conflicts). Con Clinton questi orientamenti furono confermati e i conflitti venivano definiti guerre di teatri importanti (Major Theater Wars).
Nel gennaio 2002, parlando a un gruppo di giovani ufficiali all'Università della difesa nazionale a Washington, Donald Rumsfeld, segretario alla difesa americano, ha esposto la nuova dottrina militare. "Dobbiamo agire ora - ha dichiarato - per avere una capacità di dissuasione su quattro importanti teatri di operazione"; Rumsfeld ha sostenuto così che gli Usa devono essere in grado "di battere simultaneamente due aggressori, mantenendo al tempo stesso la capacità di condurre una controffensiva di vasta portata e di occupare la capitale di un paese nemico, per insediarvi un nuovo regime". È stata una svolta storica, perché Rumsfeld non si è accontentato di estendere da due a quattro i teatri importanti, ma ha anche definito le minacce che gli Usa dovrebbero affrontare, associando nello stesso schieramento nemico le organizzazioni terroristiche e gli stati che le sostengono.
La questione centrale verte sul concetto di controllo strategico, che consiste nel porsi in condizioni di identificare l'avversario e di ridurne la potenza con la distruzione pianificata delle sue capacità militari, industriali e politiche. Il controllo strategico non implica, almeno all'inizio, l'occupazione del territorio nemico. La conclusione di La Gorce è: "Nel complesso, per l'Afghanistan come per l'Iraq, la Bosnia e il Kosovo, i responsabili americani hanno motivo di credere che il loro concetto di `controllo strategico' si possa applicare sempre, con inevitabili varianti, ma con sufficiente efficacia, tanto da aver consentito agli Usa di raggiungere sostanzialmente, e a un costo per loro irrilevante, i propri obiettivi politici".
Gli artefici e i sostenitori della dottrina militare americana espongono senza alcun imbarazzo il legame esistente tra questo concetto di controllo strategico e gli attuali progetti di difesa anti-missilistica. Eppure qui si annidano le peggiori questioni. Secondo questa teoria il territorio americano, le aree considerate di interesse vitale e situate presso gli alleati, così come le basi, devono essere difese da un sistema anti-missilistico. Ma contro chi? Chi potrebbe minacciarle seriamente? A cosa serve questo sistema anti-missilistico, questo controllo totale sullo spazio? Ufficialmente per alcuni si tratterebbe di prevenire degli stati canaglia (rogue states) sempre demagogicamente denunciati. Per altri, si tratterebbe evidentemente della Cina. Nel documento (pubblicato, nel giugno 2000, in una versione edulcorata) emanato dal Comitato dei capi di Stato maggiore, intitolato Joint Vision 2020 la Cina è definita Peer Competitor cioè rivale di pari livello. Queste teorie, almeno così come sono state presentate pubblicamente, si sono però meglio definite nella teoria giuridica imperiale auspicata dall'amministrazione statunitense: la teoria dell'attacco preventivo. Teoria, secondo noi, abbozzata da Kissinger poche ore dopo l'attacco dell'11 settembre sul Washington Post.
L'infinita guerra preventiva
Per assicurarsi il controllo totale sullo spazio e sul globo, l'amministrazione Usa sta faticosamente mettendo a punto un nuovo ordine, dunque una nuova dottrina politica e un nuovo diritto internazionale. Nel giugno 2002, Bush ha presentato all'accademia militare di West Point la dottrina strategica a cui si ispirerà in futuro. Le minacce che gli Usa dovrebbero affrontare provengono da gruppi terroristici internazionali e dagli stati che li tollerano o li sostengono, ma anche da coloro che detengono armi di distruzione di massa o stanno per dotarsene. Secondo Bush, poiché l'origine e la natura delle minacce sarebbero cambiate, anche la risposta dovrebbe cambiare completamente. Gli Usa non possono più accettare che i nuovi nemici attacchino con atti terroristici di ampia portata. Ha perciò annunciato che la strategia mira a impedire che le minacce si realizzino, scatenando contro i nemici potenziali azioni preventive (preemptiv actions).
Si tratta di proposte organiche elaborate da esperti del Pentagono in importanti studi: due sono apparsi nel Nuclear posture review (Npr, Revisione della posizione nucleare) e nella Quadriennal Defense Review (Revisione quadriennale della difesa). Il discorso del presidente ne ha chiarito la realizzazione pratica. Fino a quel momento gli Usa sostenevano pubblicamente - anche se la realtà non lo confermava - che avrebbero fatto ricorso alla forza militare solo per rispondere a un'aggressione e che l'iniziativa delle guerre a cui avrebbero risposto sarebbe sempre stata dei loro nemici. In questo modo si era giustificato l'intervento in Kuwait e in Kosovo.
Kissinger aveva lanciato la sfida, l'amministrazione Bush lo aveva già spiegato; i mass-media ne avevano preparato l'humus culturale, con le paure del terrorismo, del pericolo mai chiarito dell'antrace e con le puntuali comparse a puntate di Bin Laden. Il 31 gennaio 2002 Rumsfeld dichiarò la svolta: "La difesa degli Usa richiede prevenzione, autodifesa e talvolta azione preventiva. Difendersi dal terrorismo e dalle altre minacce emergenti del XXI secolo, può certamente voler dire portare la guerra in casa del nemico. Talvolta, la sola difesa è una buona offensiva". Nel corso della riunione ministeriale della Nato del 6 giugno 2002 disse: "Poiché i terroristi possono attaccare in qualsiasi momento, ovunque e con qualsiasi tecnica, mentre è fisicamente impossibile difendere tutto, sempre e contro tutte le tecniche, allora abbiamo la necessità di ridefinire cosa vuol dire difensivo. (...) La sola difesa possibile è lavorare per scovare le reti terroristiche internazionali e trattarle come meritano, come gli Usa hanno fatto in Afghanistan".
"Trattare come meritano" vedremo che in concreto significa, prendendo appunto l'esempio dell'Afghanistan, violare sistematicamente i diritti umani, il diritto internazionale e il diritto di guerra previsti nella convenzione di Ginevra.
Il Consiglio nazionale di sicurezza raccolse queste teorie sotto il titolo generale di National Security Strategy,[14] annunciando esplicitamente l'abbandono delle dottrine precedenti di "dissuasione" o "arginamento" e definendo la nuova dottrina con espressioni quali intervento difensivo, azione preventiva o prelazione.
Dove si fermano le azioni preventive? Chi decide quale sia lo stato di turno a mettere a repentaglio la democrazia e la libertà che l'occidente ha portato nel mondo? E se i prossimi fossero Russia e Cina, a che tipo di conflitto "preventivo" andremo incontro?
Forse è opportuno guardare alle risorse energetiche e ai rapporti governativi in proposito, dal momento che tale questione energetica sta assumendo una rilevanza di "interesse e sicurezza nazionale". Proprio nel momento in cui un grande movimento globale contesta la legittimità che l'80% delle risorse del globo siano consumate dal 20% dei cittadini, proprio nel momento in cui viene contestato il diritto degli Usa di inquinare l'aria del globo, i fatti dell'11 settembre sembrano rimettere tutto in discussione. La relazione 2002 del vice-presidente degli Usa sulle risorse energetiche - National Energy Policy Development Group - programma di dipendere più dall'estero (52% nel 2001, 66% previsto nel 2020), allargando la dipendenza statunitense per materie prime dall'America Latina all'area del Golfo, cioè proprio la zona in cui si vendono più armi e le forze armate americane vorrebbero imporre dei protettorati. D'altro lato, lo stesso rapporto della difesa - Quadrennial Defense Review - lo dice chiaramente: "gli Stati uniti e i loro alleati dipenderanno dalle risorse energetiche del Medio Oriente". La programmazione energetica e quella militare convergono. Il concetto di sicurezza include esplicitamente anche quello di sicurezza energetica. In questo senso sicurezza è davvero una parola magica e l'aggettivo "preventivo" indica bene la molteplicità delle vere ragioni delle guerre "umanitarie". E' la sicurezza del padrone di assicurarsi la fedeltà forzata del servo, che gli è indispensabile per sopravvivere.
Tornando alla questione propriamente militare, la nuova dottrina dell'attacco preventivo è alla base del capovolgimento che già è in atto nel diritto internazionale: non sono più le Nazioni Unite a dare un ultimatum a uno stato ma uno stato (gli Usa) a dare un ultimatum alle Nazioni Unite. Il diritto non è de jure, secondo accordi, ma de facto, quello del più forte. L'Onu agisce solo per prendere atto delle invasioni Usa.
È l'esplosione delle zone rosse, la creazione di protettorati statunitensi in Medio-oriente, dove ogni diritto è sospeso. Bere, mangiare, andare a scuola, avere una casa, non subire intimidazioni, torture, non essere detenuto senza accuse e senza avvocato, non essere torturato durante la detenzione sono diritti revocabili dall'autorità militare per motivi insindacabili che fanno dell'eccezione la norma.
Che questa nuova dottrina abbia importanti conseguenze soprattutto per i sistemi nucleari, è rivelato dalla citata Revisione della posizione nucleare (Npr) pubblicata dal Pentagono nel gennaio 2002. Qui si conferisce all'atomica la virtù principale della "flessibilità", definita come adattamento permanente alle nuove minacce. La Npr ha previsto in anticipo la ricomposizione delle équipe di ricercatori, sciolte dopo la decisione del 1992 di cessare le ricerche sulle nuove armi atomiche, e la ricostituzione delle unità di produzione, specialmente nel campo di piccole armi nucleari per piccoli colpi (small strikes) o per il primo colpo d'attacco (first strike) per decapitare il nemico. La NPR ne dà un'adeguata giustificazione: "era evidente la necessità di rivitalizzare la struttura di produzione delle armi nucleari", prevedendo esplicitamente "la definizione di opzioni nucleari variabili per ampiezza, portata e obiettivo, che siano complementari agli altri strumenti non nucleari". È così apertamente proclamato l'inserimento di una gamma di armi nucleari nell'insieme delle forze sia convenzionali che atomiche, le une e le altre utilizzabili là dove sembrano più opportune, quindi anche contro paesi non dotati di nucleare. Il nucleare quindi non è più considerato come deterrente ultimo ma come una delle potenziali risorse preventive.[15] Del resto l'ipotesi di uso di armi nucleari era già stata presa in considerazione alla vigilia della prima guerra del Golfo, quando il segretario di stato statunitense, James Baker, aveva consegnato al ministro degli esteri iracheno, Tariq Aziz, una lettera con cui lo avvertiva che, se fossero state impiegate armi chimiche irachene, la risposta sarebbe stata di natura nucleare[16]
Il nucleare nella sua forma di uranio impoverito è già stato utilizzato in Kuwait e Irak, in Somalia, in Bosnia, in Kosovo, in Afghanistan e in Serbia. I danni maggiori nella prima guerra del Golfo sono molto probabilmente derivati dall'utilizzo di "questa sorella minore del nucleare" anche se non sono mai stati spiegati ufficialmente. Gli Usa tendono a negare gli effetti devastanti dell'uranio impoverito, benchè negli addestramenti forniscano agli stessi soldati le istruzioni per difendersi dai suoi effetti. L'evidenza di tali effetti è emersa con la sindrome del golfo, una malattia che ha colpito in diversi modi sia 110.000 soldati statunitensi (e parenti) che combatterono la guerra del Golfo, sia un numero maggiore di civili e soldati irakeni. Gli effetti sono simili a quelli riscontrati a Hiroshima e Nagasaki.[17]
Secondo Paul Marie De la Gorce, "questa ipotesi di utilizzo delle armi nucleari prevista nella Npr non è una novità nella storia della politica americana di difesa. Si tratta piuttosto di una restaurazione. In una forma più consona all'attuale contesto internazionale, essa segna il ritorno alla strategia della `risposta graduale', concepita (...) agli inizi degli anni '60. Nella prospettiva di un conflitto, l'utilizzazione della gamma delle armi nucleari, dette tattiche, veniva proposto come rinforzo, complemento o sostituzione delle armi convenzionali, sulla base dell'evoluzione delle operazioni e del comportamento degli avversari". La differenza rispetto all'oggi però non è piccola. L'eventuale utilizzo di armi nucleari sarebbe lo strumento dell'azione preventiva decisa dagli Usa contro stati e non una risposta ad attacchi. Leggendo queste dichiarazioni nella cornice che stiamo analizzando, più che a un piano di difesa siamo di fronte a un vero e proprio piano di attacco di uno stato economicamente in crisi. Piano di attacco che prevede l'uso delle armi nucleari e delle armi chimiche. Esse non possono essere detenute da stati che non godano della fiducia degli Usa, ma usate dagli Usa per distruggere questi stati. In questo senso gli accordi sulla produzione e detenzione di armi batteriologiche (Btwc) è pura carta straccia: l'Irak deve essere attaccato anche se non esiste nessuna prova di detenzione mentre gli ispettori dell'Onu non possono nemmeno entrare a verificare negli Stati Uniti che si rispetti quanto da loro stessi sottoscritto.
La Npr lo stabilisce a chiare lettere: la militarizzazione dello spazio, l'unificazione del comando spaziale e di quello nucleare quale tappa primaria e fondamentale del post 11 settembre implica uno salto fondamentale: "Le capacità nucleari posseggono proprietà uniche che danno agli Stati Uniti opzioni per esporre a rischio una serie di bersagli che sono importanti per il conseguimento degli obiettivi strategici e politici".[18] Finalità politiche quindi che possono essere perseguite militarmente. Si stanno prefigurando due umanità, due cittadinanze, una per gli esseri umani, l'altra per gli abitanti degli stati canaglia. Alcune popolazioni possono essere bombardate senza rispondere a nessun organismo internazionale. La realtà è che più che preventive le ultime guerre sono state tutte delle cacce a degli elementi usciti fuori dal controllo, ma tutti addestrati e cresciuti dall'esercito statunitense: Noriega, Marcos, Saddam, Osama Bin Laden. Aggiustamenti di conti tra criminali per l'egemonia dell'impero? E cosa succederà quando questi criminali useranno fuori da ogni controllo il potere militare per perseguire i fini politici dell'assoggettamento di altri paesi?
Il nucleare è diventato un mezzo normale di controllo di territori e di popolazione in quegli stati che di volta in volta diventano terroristi. Delle vere e proprie zone rosse in cui si normalizza ciò che un tempo era l'eccezione. Ma lo abbiamo già visto: la guerra globale é quello stato d'eccezione in cui operano senza controllo le forze economiche, militari e poliziesche globali. Le zone rosse, in cui il deserto viene chiamato pace, sono il nuovo territorio globale in cui imperano i profitti delle multinazionali.
Il mercato delle armi
I cambiamenti attuali possono essere compresi meglio se valutati sotto l'ottica dei cambiamenti avuti nel mercato, partendo proprio da quello delle armi. In quanto mercato, l'offerta deve incontrare la domanda. Venendo meno il ruolo dello stato, l'impresa è portata a cercare le guerre per soddisfare la propria capacità produttiva.
Quanto è avvenuto dopo l'11 settembre avrà ripercussioni di rilievo nel processo di ristrutturazione e internazionalizzazione finanziaria e industriale che, dai primi anni Novanta, interessa il comparto della produzione militare nel mondo industrializzato. Achille Ludovisi,[19] ricercatore italiano, mette in risalto la differenza del mondo attuale con quello precedente: "In passato l'apparato militare-industriale si costituiva ed operava - in tutte le fasi del ciclo di produzione delle armi e dei beni e servizi di impiego bellico - seguendo le direttive del governo; oggi il ruolo di controllo ed indirizzo degli organismi politico-militari degli stati nazione, soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra la gestione del marketing, la pianificazione finanziaria ed industriale e gli assetti proprietari delle aziende, si è trasformato assumendo la forma della continua interrelazione sistemica tra la sfera politico militare e quella industriale".
E' avvenuto nel campo della produzione di armamenti, con un leggero ritardo, esattamente quello che è avvenuto in altri tipi di impresa dopo la caduta del muro di Berlino: in Europa, e già prima in USA, c'è stata una spinta verso la concentrazione produttiva e finanziaria.
In primo luogo - sempre secondo l'analisi di Ludovisi - vi sono state crescenti e significative economie di scala (diminuzione dei costi mediante l'aumento delle dimensioni delle imprese) attraverso l'integrazione verticale. In secondo luogo c'è stata una "evoluzione `politico-culturale' tra i responsabili dei governo nazionali sempre più disponibili ad accettare la presenza di monopoli nel settore della produzione di sistemi d'arma". Gli stati si sono così trasformati in partners di grandi concentrazioni finanziarie e produttive transnazionali privatizzate, che condizionano i mercati interni ed internazionali.[20] In questo contesto, i governi nazionali stanno esercitando un controllo sempre minore sulle forniture di armamenti alle proprie forze armate e sulle esportazioni. Secondo Ludovisi "l'assetto monopolistico ha inoltre fatto insorgere problematiche assai complesse e dalle evidenti conseguenze negative. Infatti le aziende che vantano posizioni di privilegio nello sviluppo di determinati programmi d'armamento riescono spesso a condizionare le scelte di politica estera e di difesa; inoltre la scomparsa della concorrenza nel settore sta generando perplessità di carattere tecnico-industriale persino tra i vertici militari. Le aziende hanno assunto un ruolo decisivo anche per quanto concerne la fornitura di attrezzature e servizi per la logistica militare, ciò è avvenuto grazie al ricorso all'outsourcing, ossia l'appalto a imprese private di funzioni e servizi in precedenza gestiti dall'organizzazione militare. I rischi associati a questa strategia, ispirata dalle politiche di ristrutturazione dei bilanci per la difesa, riguardano il diffondersi della corruzione associata alle gare d'appalto, il costituirsi di potenti lobby d'affaristi capaci di condizionare le scelte del mondo politico e l'accentramento monopolistico delle conoscenze nel settore dell'addestramento e della manutenzione dei sistemi d'arma".
Secondo l'International Institute for Strategic Studies di Londra le due possibili strade che può percorrere l'industria europea degli armamenti sono l'allargamento della collaborazione con gli Stati Uniti al fine di costruire una base tecnologica e industriale comune, o, all'opposto, la creazione di una seconda fortezza industriale-militare indipendente e in aspra competizione. La prima ipotesi è sostenuta dalla dirigenza dell'industria britannica per difendere i numerosi investimenti (realizzati sin dagli anni Ottanta negli Usa). La seconda dalla Francia che punta a uno sviluppo separato. La Germania è in mezzo. L'industria statunitense è comunque restia a condividere con gli europei il know-how tecnologico e logistico, dovuto al predomio acquisito durante la terza guerra mondiale e ai continui investimenti a fondo perduto (30 miliardi di dollari all'anno per la ricerca e lo sviluppo nel settore militare) sostenuti dal contribuente americano. Costi che hanno il vantaggio di lasciare ai soli USA il primato tecnologico in campo militare (con tutte le relative conseguenze). E' quindi nel campo della ricerca - e conseguente gap tecnologico - che si gioca molto della battaglia per l'egemonia militare-industriale.
I costi della concentrazione monopolistica dell'industria a produzione militare vengono, precisa Ludovisi, "affrontati ricorrendo alle sovvenzioni pubbliche, agli ordinativi interni, alla promozione delle esportazioni - il più possibile svincolate da controlli di qualsiasi genere - e all'indebitamento. Non vanno dimenticati anche il ricorso ai mercati finanziari tramite le borse e la forte riduzione dell'occupazione nel settore, provvedimento che avvia ed accompagna tutta la fase di ristrutturazione".[21]
Eppure la privatizzazione e la relativa concentrazione, non riesce a risolvere i problemi cronici dell'eccesso di capacità produttive, mentre cresce solo l'abilità delle lobbies di condizionare il potere politico per ottenere risorse pubbliche. Un progetto di costruzione aeronautico, assegnato nel 1991 alla McDonnel Douglas (successivamente incorporata dalla Boeing) è stato ufficialmente cancellato a causa dell'insostenibilità economica, "ma alla decisione hanno concorso anche i nuovi equilibri di potere nella sfera militare-industriale che vedono il prevalere del `partito' Lockheed (quest'ultima finanziatrice di rilievo della campagna elettorale di Bush) antagonista della Boeing".[22] I rischi del mercato degli armamenti sono impressionanti. Sono i pochi gruppi industriali che condizionano le politiche di armamento dei governi e che vedono nelle guerre delle buone occasioni per la crescita del loro mercato.
L'affermarsi di una concezione dell'impiego degli armamenti sempre più basata sull'integrazione di reti di comunicazione, comando, controllo e informazione ha reso strategiche le forniture e la consulenza di aziende leader nell'Information Technology, non necessariamente specializzate nel settore militare.
D'altro lato il processo di concentrazione dovuto alle politiche di privatizzazione e deregulation che riguardano tutti i settori stanno portando anche a ben peggiori alleanze tra il mondo delle comunicazioni e quello dei media. Riferisce Ignacio Ramonet: "due gruppi - Dassault e Lagardère - che dominano ormai i media francesi, hanno in comune l'inquietante caratteristica di essersi costituiti intorno a una società centrale, la cui principale attività si esplica nel campo militare (caccia, elicot- teri, missili, razzi, satelliti). Un'antica preoccupazione si è dunque trasformata in realtà: alcuni dei più importanti media sono ormai nelle mani dei mercanti di cannoni".[23]
Il rapporto tra mercato e guerre deve essere analizzato alla luce del nuovo contesto bellico: la quarta guerra mondiale. La crisi del ruolo dello stato sociale e il nuovo contesto, non più bipolare ma dominato dalla strategia della guerra preventiva statunitense. Un mondo dove le privatizzazioni si diffondono in tutti i settori ma dove gli apparati di produzione di armi sono ancora legati a un contesto nazionale. Gli attori militari sono tuttavia sempre meno eserciti regolari e sempre più eserciti paramilitari o eserciti mercenari stranieri. L'inversione dei rapporti di forza tra stato e impresa nel campo militare è comunque un elemento molto destabilizzante: si aprono zone rosse con interventi di multinazionali in concerto con stati o gruppi di pressione, incluso l'utilizzo di eserciti e armi.
L'effetto paura il fondamentalismo cristiano
La religione ha sempre giocato un ruolo centrale nella mobilitazione bellica, perché la guerra pone di fronte alla morte. Secondo Mary Kaldor, "mentre si affermava che l'interesse razionale dello stato era il vero scopo della guerra, cause più emotive sono sempre state necessarie per rendere gli uomini fedeli e per convincerli a rischiare le loro vite. Dopotutto, fu il fervore religioso a ispirare la New Model Army di Cromwell, che fu il primo esempio di moderna forza professionale. E il successo prussiano è spesso attribuito all'influsso del luteranesimo".[24]
Dopo l'11 settembre la paura ha invaso i cuori e le menti della popolazione statunitense, esattamente come previsto dai manuali di contro-insurrezione. La risposta del popolo statunitense a questa paura è stata apparentemente di tipo patriottico, in sostanza di tipo religioso. Senza una vera e propria religione non sarebbe possibile costruire un'identità americana, un sentimento patriottico. Più propriamente si è rafforzato il carattere fondamentalista della religione civile statunitense.
Reagan ha iniziato a usare una terminologia religiosa definendo l'allora Urss "l'impero del male". Passando nella politica il linguaggio della fiction holliwoodiana - il primo presidente attore cinematografico, emblema marionetta dell'apogeo della società dello spettacolo - gettò le basi per la retorica e le falsità che seguirono. Scomparso l'impero del male andava inventato un anticristo e questo fu trovato in Saddam Hussein prima e in Bin Laden dopo. Personaggi che, benché l'ignoranza della metà della popolazione degli Stati Uniti confonde o crede amici, hanno in comune il solo fatto di essere degli ex-collaboratori della Cia.
In questo clima di paura, le idee della ultra-destra americana crescono, e crescono non tanto nella loro dimensione politica quanto piuttosto sul terreno religioso. Paradossalmente proprio mentre l'Occidente si faceva paladino delle libertà contro la Jihad armata, che costituirebbe l'essenza di una religione, quella islamica, per sua natura anti-illuminista, il consenso per la guerra in Usa si creava soprattutto sul terreno del fondamentalismo religioso cristiano degli evangelicals.[25]
Milioni di persone scompaiono nel giro di una notte e l'anticristo diventa segretario generale delle Nazioni unite ed è un ex presidente della Romania che inganna quasi tutti tranne un gruppetto di prodi. L'anticristo "mette su un trattato di pace con Israele, vara una moneta unica mondiale, ricostruisce il tempio di Salomone, sposta la sede delle Nazioni unite in Iraq, e persuade tutte le nazioni a disarmare. Questo è almeno il riassunto che il settimanale The Economist fa del primo volume della serie Left Behind ("lasciati indietro", appunto), primo volume che negli Stati uniti ha venduto sette milioni di copie. Il quinto volume, Apollyon (3,1 milioni di copie vendute) riguarda la calamità di cavallette con teste umane e ali metalliche. L'ottavo volume, The Mark ("Il marchio", 3 milioni di copie) mette in scena gli umani che fanno la fila per farsi impiantare dal governo dell'Anticristo nella mano destra un microchip, che è il marchio della Bestia (inteso come Satana). In The Remnant (prima tiratura: 2 milioni di copie), metà dell'umanità è stata uccisa o vive sotto terra, mentre le calotte polari si sciolgono e i mari si trasformano in sangue. Finora la serie ha venduto negli Stati uniti la strabiliante cifra di più di 40 milioni di copie".
Sono queste le idee che appassionano quaranta milioni di lettori statunitensi. Sono le idee degli avventisti, che aspettano la fine del mondo, dei born-again, i "risorti" dopo il giorno del giudizio. I fedeli in attesa dell'Apocalisse e i fondamentalisti cristiani non costituiscono più una sparuta (per quanto aggressiva, rumorosa e armata) minoranza, ma sono una fetta della popolazione culturalmente ignorante ma egemone.
Riferisce sempre Marco D'Eramo che per il 59% degli americani l'Apocalisse si avvererà e un quarto degli americani ritiene che la Bibbia avesse predetto l'11 settembre. E' qui che George W. Bush trova lo zoccolo duro del suo elettorato. Quando Bush descrive la guerra contro il terrorismo, come una "battaglia contro il Male" sa molto bene quello che fa. Si stabilisce così un'interazione tra l'amministrazione repubblicana e l'estrema destra cristiana. L'amministrazione Bush è spesso accusata di unilateralismo, di diffidare delle organizzazioni internazionali (Fondo monetario, Nazioni unite, Banca Mondiale, Wto). In Left Behind l'Anticristo è infatti il segretario dell'Onu. In questo modo viene incoraggiata la politica estera di Bush contando sulla sua retorica religiosa.[26]
Dopo l'invasione barbarica dell'Irak, questi fanatici fondamentalisti sono in prima fila, portando oltre 60.000 bibbie insieme agli aiuti umanitari. La rivista Time del 4 agosto 2003 vi dedica la copertina e un servizio e si pone la domanda di fondo sul senso per i cristiani della conversione dei musulmani in Irak. Franklin Graham, il predicatore evangelico noto per aver organizzato preghiere per la presidenza di George Bush, passò alla cronaca per una intervista televisiva dopo l'11 settembre nella quale definiva l'Islam come una religione "malvagia" e il profeta Maometto come un "terrorista pedofilo". Graham si spiega così: "siamo lì per cercare di amarli e di salvarli e lo faremo in nome di Gesù Cristo... in costante contatto con le autorità Usa". Del resto sempre secondo Franklin Graham il Corano insegnerebbe la violenza e non la pace, e l'Islam sarebbe una religione terrorista.[27]
Le notizie dell'arrivo in Iraq dei nuovi crociati evangelici antimusulmani aveva suscitato le proteste della Lega Internazionale Musulmana, il cui segretario generale Abdullah bin Abdulmohsen al-Turki, ha invitato gli iracheni a evitare di cadere nella trappola di coloro che vogliono portare avanti il progetto di uno "scontro tra civiltà" e di stare attenti alle "faide etniche o religiose". Scontro di civiltà che è proprio l'obiettivo di chi ha voluto la guerra in Iraq. Con Ralph Reed, Jerry Falwell, Pat Robertson, Gary Bauer, Franklin Graham unisce le posizioni dell'ultradestra repubblicana con un deciso sostegno alla politica di Sharon: sono i nuovi evangelicals, un tempo antisemiti, e ora in prima fila con la destra israeliana per la distruzione dei palestinesi e dei musulmani. Il padre fondatore di tale corrente è stato Jerry Falwell, della moral majority che una volta ricevette come regalo un aereo dall'allora premier israeliano Menachem Begin, e Pat Robertson della Christian coalition che finanzia, tra l'altro, la Christian Embassy a Gerusalemme nota per sostenere le organizzazioni dei coloni ebraici più fanatici. Il nuovo programma in arabo via satellite per l'Iraq è prodotto nello studio della Grace Digital Media un network "strumento nelle mani di Dio" noto per aver prodotto nel 2002 un documentario dall'illuminante titolo: Il destino di Israele e il ruolo degli Stati uniti. Conclude Chiarini, corrispondente dall'Irak del Manifesto: "tra predicatori folli, pretrolieri rapaci e coloni israeliani il futuro dell'Iraq potrebbe essere ancor più nero di quello che molti pensano. E così l'inevitabile reazione, di fronte a tanta barbarie".[28]
Benché sia consapevole che Jihad significa "sforzo morale" e non "guerra santa", Barber, uno dei noti saggisti che affronta il tema del rapporto tra fondamentalismo e globalizzazione, usa il termine per indicare qualsiasi forza di opposizione fondamentalista alla modernità, e cade nell'errore di mettere tra questi movimenti anche quella che erroneamente e confusamente definisce la Jihad americana, quella condotta dalla Coalizione cristiana, dalla National Rifle Association, dalla White Aryan Resistance, e da tutte quelle correnti che stanno sempre più condizionando e indirizzando il Partito Repubblicano. Secondo Barber ci sarebbero da una parte le forze modernizzanti del mercato (McMondo) e dall'altra quelle conservative della Jihad. Con questo schematismo non capisce il ruolo "modernizzante" del fondamentalismo cristiano che desidera lo scontro di civiltà. Questo schematismo inoltre non solo non permette di ricondurre l'origine del fondamentalismo islamico armato alla sua matrice statunitense della guerra fredda, ma impedisce anche di rendersi conto che la diffusione del fondamentalismo armato crea conflitti sociali soprattutto nei principali stati competitori degli Usa in Asia: India, Cina, Russia, Medio Oriente. In altri termini non vede il carattere tutto post-moderno che il fondamentalismo armato ricopre nelle attuali lotte imperialiste per il controllo dei flussi di risorse. Parimenti il fondamentalismo cristiano (armato e non) non è una forza del passato che rallenta la modernizzazione ma una forza sinergica con la modernizzazione neoliberista.[29]
Il fondamentalismo critiano non è un'istituzione e questo spiega come negli Usa sia possibile una netta separazione tra stato e chiesa oltre a una varietà molto alta di sette religiose. In realtà negli Usa il fondamentalismo è un atteggiamento culturale diffuso e trasversale alle tante e variegate sette. Non ha bisogno di essere istituzionalizzato perché è ben radicato nella società. Esso è stato giustamente definito religione civile americana. Si tratta dell'adesione intima alla mission americana, a quello scopo ultraterreno a cui ogni cittadino è chiamato: libertà e proprietà sono gli attributi naturali conferiti da Dio al genere umano, il governo degli Usa ha il dovere di diffonderle nel mondo. Nella bibbia ci sono tutte le indicazione pratiche di come coniugarle. Questa religione civile riesce a dare con la forma religiosa un radicamento forte all'individualismo più sfrenato: difendendo con le armi la sua piccola proprietà da ogni ombra che sembra avvicinarsi, il cittadino statunitense medi si riconosce nel grande conflitto tra bene e male che il suo Presidente e il suo popolo combattono nel mondo. Nel 1999 John Ashcroft, che dopo l'11 settembre si sarebbe distinto per aver demolito lo stato di diritto, asserì seriamente: "unica tra le nazioni, l'America ha riconosciuto che la fonte del nostro carattere è divino ed eterno, non civile e temporale. E poiché sappiamo che la nostra fonte è eterna, l'America è diversa. Non abbiamo altro re che Gesù".[30]
Quello che a noi comunque preoccupa è soprattutto l'accoglienza riservata a tale fondamentalismo religioso dall'Europa "laica e moderata". Come mai il discorso di Bush di attacco all'Afghanistan e di guerra infinita al terrorismo è stato proclamato da una cattedrale? Come si è potuti passare dall'orazione funebre per i martiri dell'11 settembre alla santificazione della guerra duratura? Come si è potuto far seriamente credere al mondo intero che un guerriero armato dalla Cia che parlerebbe dalla caverne sia il leader di tutti i musulmani, mentre nella stragrande maggioranza delle moschee del mondo si predica la pace? Perché i mass-media hanno tradotto Jihad ("sforzo morale") con "guerra santa"?
Il 14 settembre 2001 fu dichiarata giornata mondiale della preghiera. Nella National Cathedral si svolge una cerimonia senza precedenti storici a cui assistono quattro ex-presidenti degli Usa e in cui il presidente Bush si improvvisa predicatore, con un'omelia preparata da Michael Gerson, un biblista fondamentalista: "Abbiamo una responsabilità storica ... dobbiamo rispondere a questi attacchi e liberare il mondo dal male... Hanno attaccato il nostro paese perché è l'anima e la difesa della libertà". Il Washington Post commentava: "per la prima volta dopo che la destra religiosa è diventata un movimento politico, il presidente degli Usa ne è diventato il leader de facto, uno status che nemmeno Reagan, adulato dai conservatori religiosi, è mai riuscito a ottenere".[31] Il Newsweek del 10 marzo 2003 dedicherà la copertina e un servizio a "Bush and God", spiegando le novità religiose del capo degli Stati uniti.
Di fatto dopo l'11 settembre la retorica fondamentalista venne globalizzata, perchè in tutto il pianeta i governi imposero un silenzio per decreto, una vera e propria celebrazione religiosa globale: il decreto che annunciava la santità della guerra duratura. Chirac e Jospin firmeranno il decreto che impose il lutto planetario ancora prima che lo firmasse Bush. Manipolando i sentimenti religiosi, l'ultradestra americana ha trasformato le vittime di un attentato in martiri, ha sacralizzato la versione ufficiale dei fatti dell'11 settembre, ha sancito religiosamente la guerra e investito i soldati americani del ruolo di difensori della civiltà cristiana. Ancora una volta la religione ha scoperto la sua vocazione guerriera. Mentre la retorica ufficiale vuole che la causa di tutti i mali sia il fondamentalismo musulmano, la tragica realtà dice che siano proprio i fondamentalisti cristiani a spingere per lo scontro di civiltà dopo aver usato - nella terza guerra mondiale - il fondamentalismo armato musulmano per combattere la guerra santa contro il comunismo.
Lo scontro di civiltà è cominciato: islamofobia
Un primo effetto dell'11 settembre è stato proprio sul piano religioso. La paura e la caccia del musulmano. L'attacco alla civiltà musulmana è stato fomentato da folte schiere di intellettuali e lo scontro di civiltà è diventato il maggior argomento dei talk-show televisivi, dove i più progressisti sostenevano che "non tutti" i musulmani sono fondamentalisti, come se fosse un'eccezione essere musulmano non fondamentalista. Inoltre nell'opinione intellettual-televisiva dominante, fondamentalismo e fondamentalismo armato venivano costantemente confusi. C'è invece una differenza tra opinioni fondamentaliste e la via armata del fondamentalismo; spostando il discorso in ambito cristiano l'antiabortismo è una posizione fondamentalista, ma non va comunque confusa con chi ammazza i medici che praticano l'aborto. In un clima denunciato da pochi intellettuali come "islamofobo",[32] venivano fermate, arrestate e detenute in carcere senza un'accusa specifica molte persone musulmane poi rivelatesi estranee a qualsiasi atto terroristico. In tutti i paesi occidentali sono state rinforzate misure o leggi contro l'immigrazione clandestina.
Guerra interna e guerra esterna si sono dimostrate essere due aspetti di una medesima guerra dai tratti razzisti e religiosi. Mentre infatti Berlusconi proclamava la superiorità della civiltà occidentale su quella musulmana, molte opinioniste non facevano che raffinare la tesi di cui ogni occidentale è intimamente convinto: l'occidente avrebbe portato democrazia, diritti, benessere e in breve tutte le virtù della globalizzazione al resto del mondo. Al contrario la civiltà musulmana non conoscerebbe la laicità, il progresso, il rispetto della donna e sarebbe condannata a una perenne confusione tra stato e religione, quando non peggio tra stato e fondamentalismo religioso. Persino su Repubblica ci si poteva rallegrare che "il mondo è diventato più piccolo intorno all'occidente ritrovato".[33] Intanto la sinistra istituzionale europea, pentitasi del proprio passato marxista, ritrovava la propria essenza occidentale piangendo gli Usa vittime dell'intolleranza.
Togliere libertà per dare sicurezza
Il triste scenario in cui questa guerra infinita o quanto meno duratura ha legittimato uno stato di polizia globale, può essere descritta come la globalizzazione delle zone rosse, un processo dove le garanzie dello stato di diritto sono state formalmente e praticamente tolte, in particolare ai cittadini e alle cittadine del Sud del mondo. Il senatore repubblicano Trent Lott, subito dopo l'11 settembre, aveva affermato che "in tempo di guerra è necessario considerare in maniera diversa le libertà civili". Infatti, nei primi mesi dopo l'attentato sono state incarcerate oltre 1.000 persone. Per il Washington Post del 22 Ottobre 2001, l'Fbi sarebbe stata sul punto di considerare per i presunti complici di Bin Laden "l'uso di droghe o di mezzi di pressione" oppure l'estradizione "verso paesi alleati i cui servizi di sicurezza impiegano abitualmente minacce contro le famiglie o fanno ricorso alla tortura".[34] Il dibattitto pubblico sulla legittimità della tortura nella lotta al terrorismo fu uno dei molti argomenti dei talkshow. In realtà proprio in quei mesi fu messo a punto un piano segreto in cui la Cia era autorizzata a procedere con questi mezzi illeciti considerati legittimi di fronte alla gravità dell'attacco contro gli Usa, anche se a livello massmediatico lo scandalo scoppierà solo con le foto delle torture in Irak nell'aprile 2004. Il tutto mentre i famigliari di Bin Laden, il colpevole ufficiale, erano stati autorizzati a lasciare gli Usa. Molti degli arrestati sono rimasti in carcere senza potersi rivolgere ad avvocati e senza sapere di cosa erano accusati; in tutti i casi non esistevano prove a loro carico. Minacciati e picchiati erano stati arrestati per il semplice fatto di essere pachistani o stranieri. La repressione indiscriminata ha colpito anche i settori politici più radicali del movimento anti-globalizzazione, come nel caso delle Women in Black. In Canada addirittura era stata presentata (e poi ritirata) una legge che avrebbe equiparato le azioni nonviolente dei manifestanti anti-G8 a quelle di azioni terroristiche con imputazioni pesantissime e condanne fino a 8 anni. Negli Usa del resto l'Fbi ha una lunga storia di repressione dei gruppi politici americani, specialmente quelli non bianchi: Black Panthers e indiani. In Italia, nel clima creatosi dopo l'11 settembre, sono stati riesumati articoli del codice civile mai applicati dopo il periodo fascista: i manifestanti imputati per i fatti di Genova sono stati accusati di devastazione e saccheggio, o persino di sovversione dell'ordine economico.
"Gli attacchi dell'11 settembre e la guerra in Afghanistan - scrive il Washington Post - hanno notevolmente accelerato la dinamica di rafforzamento dei poteri presidenziali ricercata dall'amministrazione Bush (...). Il presidente gode di un dominio che lo pone al di sopra di tutti i presidenti successivi al Watergate, sfidando addirittura la supremazia finora incontrastata di Franklin D. Roosevelt".[35] Sono proprio i neoliberisti più sprezzanti dello stato che poi ne rafforzano notevolmente il suo potere esecutivo, e in particolare il potere di fare la guerra. Teorizzando lo stato "minimo", Ronald Reagan era stato il presidente della più ampia espansione militare in tempo di pace di tutta la storia degli Usa.[36] Il suo successore George Bush senor aveva portato avanti lo stesso programma di rimobilitazione dell'apparato di sicurezza nazionale nel contesto del dopoguerra fredda. Bush junior ha spinto la medesima logica alle estreme conseguenze.
La sottomissione volontaria delle due Camere del Congresso che hanno votato lo Us Patriot Act (26 ottobre 2001) le ha spogliate di gran parte delle proprie prerogative. I tempi con cui viene approvato sono rapidissimi, i deputati non fanno nemmeno in tempo a leggere il testo e c'è chi ragionevolmente sospetta che il testo fosse già pronto prima. In ogni caso è proprio in quei giorni che per accelerare la decisione arrivano delle buste contenenti l'antrace a dei deputati democratici, forse per convicerli a votare più rapidamente; gli attentati all' antrace comunque scompaiono dopo l'approvazione della legge. Si scoprì solo dopo che quel tipo di antrace poteva provenire ragionevolmente solo da alcuni laboratori militari statunitensi, ma quella non fu una notizia che i mass-media considerarono rilevante. In ogni caso il Patriot Act permette alla polizia di effettuare perquisizioni segrete e sequestrare oggetti in case e uffici, anche a insaputa degli indagati e senza comunicazione giudiziaria; con lo stesso criterio sono controllabili linee telefoniche, internet e posta elettronica.[37] Fu il trionfo definitivo di Tolleranza zero e del sicuritarismo precedentemente descritto.
Bush ha dotato l'esecutivo di poteri straordinari: la popolazione statunitense ha ceduto volentieri le proprie libertà in cambio della sensazione di maggior sicurezza. Le prime persone a perdere le libertà effettive infatti sono migranti e militanti politici che si oppongono al governo e vogliono uscire dalla logica "o con Bush o con i terroristi". Con un decreto presidenziale - il Military Order (del 13 Novembre 2001) - sono stati instaurati tribunali militari speciali (rispondenti direttamente all'esecutivo e quindi diversi dai tribunali militari esistenti) che hanno permesso l'arresto indiscriminato di oltre 1.000 persone all'indomani dell'11 settembre. Alcune di queste erano ancora in carcere nei mesi e negli anni successivi, senza che si sapesse chi fossero o quali fossero le accuse a loro carico. Né i detenuti né i loro famigliari hanno avuto accesso al materiale probatorio raccolto dall'accusa. Questi tribunali militari speciali, creati senza consultare né il Congresso né la Corte suprema, sono autorizzati a incarcerare, giudicare e giustiziare "terroristi" e "criminali di guerra" identificati come tali soltanto dal potere esecutivo, e in base a testimonianze o prove segrete. Sono segreti anche luoghi, procedure, accuse, deliberazioni, sentenze e composizione di tali tribunali. Contrariamente alle procedure dei tribunali militari comuni, gli imputati non avranno possibilità di ricorrere in appello, neanche nei casi di condanna a morte.
Come ha sottolineato il New York Times, queste violazioni dei principi fondamentali dello stato di diritto - principi che in teoria si applicano con criteri uniformi e universali a tutte coloro che rientrano nella sua giurisdizione - equivalgono a "costruire un sistema giudiziario parallelo". Per i cittadini americani, per gli stranieri, residenti o non residenti negli Usa, ci saranno i tribunali speciali. Insomma la legge non è uguale per tutti perché un potere extra-giudiziario con criteri extra-giudiziari decide chi ha diritto e chi no ai normali tribunali. In altri termini, l'esecutivo ha creato una istituzione di non diritto nello stato di diritto. Chi farà la guerra, identificherà i colpevoli e somministrerà la giustizia alle aliens.
Secondo Golub "l'esecutivo avrà ampliato notevolmente il suo spazio d'intervento nella vita pubblica americana: sottraendo di fatto alla Corte suprema il suo ruolo di giudice di ultima istanza e riducendo all'impotenza il Congresso, Bush infligge un duro colpo a quella separazione dei poteri che costituisce il fondamento stesso della democrazia americana. Si tratta di una deriva autoritaria senza precedenti nella storia recente degli Usa. Neppure al culmine della guerra fredda l'esecutivo americano aveva mai osato tanto".[38]
Molti intellettuali temono il ritorno al maccartismo, periodo buio per la democrazia americana, che accusò di comunismo molti intellettuali e artisti (che di comunista non avevano nulla, come nel caso di due tra i più grandi registi cinematografici del 900, Chaplin e Wells costretti all'esilio). Nel dopoguerra gli Usa avevano infatti già incoraggiato e sostenuto la caccia alle streghe, la censura, le liste di proscrizione, la repressione violenta dei movimenti per i diritti civili, il segreto e le menzogne di stato, i poteri esorbitanti dell'Fbi, le operazioni illegali in patria e all'estero. Eppure nessuna guerra aveva portato alla creazione di una giustizia parallela controllata dalla presidenza e dall'apparato di sicurezza nazionale. Secondo l'espressione di un editorialista libertario di destra, abitualmente entusiasta sostenitore dei repubblicani, si tratta di una "presa di potere dittatoriale". Constatazione analoga in Chalmers Johnson, saggista e ricercatore critico, che parla di "un colpo di stato militare in embrione, forse irreversibile che, come già avvenuto nell'ex Ddr, trasformerà il paese in un covo di delatori, in cui saranno al sicuro soltanto i mormoni bianchi".[39] Lo stato di massima sicurezza di Bush, così contrario alle tradizioni politiche americane, potrà istituzionalizzarsi soltanto se la guerra continuerà a oltranza. Il nuovo ordine imperiale non è amico della democrazia, aveva spiegato Brzezinski. Sostenendo che "il terrorismo ha sostituito il comunismo come movente per militarizzare il paese", Howard Zinn paragona il clima attuale a quello del maccartismo postbellico e cita il pastore Niemöller sul nazismo: "Prima vennero ad arrestare i comunisti, ma io non ero comunista e non dissi nulla. Poi vennero per i socialdemocratici, ma io non ero socialdemocratico e non feci nulla. Poi vennero per i sindacalisti ma io non ero sindacalista. Poi vennero per gli ebrei ma io non ero ebreo e feci pochissimo. E allora, quando vennero a prendere me non c'era più nessuno che si levasse a difendermi".[40]
Dall'11 settembre 2001, altre leggi e decreti sono stati varati e altri disegni di legge discussi. L'opinione pubblica statunitense sta però lentamente prendendo coscienza della natura totalitaria di queste leggi. Duecentocinquanta consigli comunali, tra cui quello di New York, Los Angeles, Philadelphia, chiedono la revisione e la momentanea non applicazione del Patriot Act. A evocare il clima di colpo di stato sono sempre di più.
La zona rossa: terrorismo, il nuovo alibi planetario
Il concetto mass-mediatico e ideologico con cui si stanno applicando tutte queste restrizioni delle libertà, che ricordano il Big Brother di Orwell, è quello di "lotta al terrorismo". Eppure il terrorismo non è mai stato menzionato nel diritto internazionale perché è visto come un atto di guerra illecito, nella misura in cui colpisce la popolazione civile: il terrorismo è quindi assimilato ai crimini di guerra che, in base ai principi del Tribunale di Norimberga, sono così definiti: "Violazioni delle leggi e consuetudini di guerra, che comprendono, a titolo esemplificativo ma non esclusivo, l'assassinio, il maltrattamento, la deportazione della popolazione civile dei territori occupati per assoggettarla ai lavori forzati o per qualsiasi altro scopo; l'assassinio o il maltrattamento di prigionieri di guerra o di persone in mare; l'esecuzione di ostaggi; il saccheggio di beni pubblici o privati; gli atti perversi di distruzione di città o villaggi o le devastazioni non giustificate da esigenze militari".[41]
La storia dell'anti-terrorismo è sempre stata comunque nel quadro del diritto penale classico, e la legge mirava a punire e a prevenire atti concreti: dirottamenti, sequestro di ostaggi, attentati dinamitardi. Mai compariva la parola terrorismo. Nel diritto internazionale il termine terrorismo compare invece in due testi molto recenti: le Convenzioni internazionali per la repressione degli attentati terroristici mediante esplosivi (New York, 15 dicembre 1997) e la Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo (New York, 9 dicembre 1999). In questi testi il termine non è ben chiarito. "La Convenzione sulla repressione del finanziamento del terrorismo ... considera come reato ... `ogni (...) atto destinato a causare la morte, o a infliggere lesioni fisiche gravi, a qualsiasi civile, o ad altra persona che non partecipi direttamente alle ostilità, in una situazione di conflitto armato, quando, per la sua natura e il contesto in cui ha luogo, il suddetto atto sia volto a intimidire una popolazione, ovvero a costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere, o ad astenersi dal compiere, un atto qualsiasi'."
Questa formula giustappone due concezioni diverse e contraddittorie: la prima insiste sui danni inflitti alla popolazione civile, in linea con i principi del tribunale di Norimberga, la seconda, pone l'accento sul sovvertimento dell'ordine politico.
Così alle descrizioni di odiosi crimini, di cui lo Stato di diritto non imputava lo scopo politico, si va sostituendo la finalità politica, introdotta per fondare una nuova categoria di reati. Questa vera e propria rivoluzione copernicana nel diritto ci porta però sul terreno del reato politico, reato tipico di regimi e non di democrazie.
Il concetto di finalità politica ha le sue radici in una definizione poliziesca del terrorismo, e precisamente in quella del Fbi: "Il terrorismo consiste in un uso illecito della forza e della violenza contro persone o beni, allo scopo di intimidire o di coartare un governo, la popolazione civile o una sua parte, nel perseguimento di obiettivi politici o sociali". In questo modo ogni "azione anti-capitalistica che utilizzi metodi al limite della legalità, o magari anche illegali, ma senza alcun uso della violenza, sarebbe allora considerata un atto terroristico". Il parere di John Brown sulla definizione del Fbi è preoccupante: "Se è vero che elenca una serie di azioni, non le definisce però in maniera chiara e inequivocabile, e per caratterizzarle come atti terroristici fa riferimento a un criterio interpretativo di triste memoria nel campo del diritto penale: quello dell'analogia, e più concretamente, di un'analogia di intenti". Definendo il terrorismo in base alle intenzioni, "chiunque abbia la pretesa di sovvertire l'ordine costituito, e voglia `infliggere gravi danni o (...) distruggere strutture politiche, economiche e sociali di un paese' con alcune azioni la cui definizione rimane imprecisa, è un terrorista. Quindi, secondo una logica prettamente poliziesca, l'elemento fondamentale di incriminazione nel reato di terrorismo non è l'atto, bensì l'intenzione; in altri termini, è il soggetto stesso a essere considerato un individuo `pericoloso'". [42]
In Italia, il caso più eclatante è stato il tentativo di incriminazione da parte della Procura di Cosenza di alcuni manifestanti antiG8 accusati di "compartecipazione psichica agli scontri e sovvertimento dell'ordine economico", accuse derivate da un codice fascista (codice Rocco) e succesivamente cadute in seguito alle numerose proteste.
L'Europa sta procedendo velocemente nell'unificazione delle sue forze di polizia (Europol), mentre l'armonizzazione del diritto sembra rincorrere tali disposizioni.[43] Questo ovviamente desta preoccupazioni. Il termine terrorismo è stato storicamente usato dalle destre di tutto il mondo per combattere le lotte dei movimenti sociali. Così in Turchia, così in Argentina e Cile, così in Nicaragua: sempre le dittature si sono legittimate con la repressione dei movimenti di liberazione che è stata presentata come una lotta al terrorismo. Non deve quindi sorprenderci che dopo l'11 settembre la Cia abbia consegnato una lista delle associazioni terroriste del pianeta includendovi sia organizzazioni criminali, sia movimenti di liberazione (Farc, Pkk, Eln, ...).[44]
Lista con il tempo fatta propria anche dall'Unione Europea. Quello che preoccupa è, ancora una volta, come le idee dell'estrema destra americana siano diventate luogo comune, e che gli autori dei peggiori piani terroristici (i sequestri clandestini, le torture e le desapariciones) possano oggi proclamarsi i precursori della lotta al terrorismo, che fu appunto lo slogan con cui i militari fermarono le mobilitazioni sociali nel Cile di Allende e in molte parti dell'America Latina.
In questo senso le responsabilità del nuovo uso del termine terrorismo sono da addebitare molto ai mass-media. Eppure giova segnalare che la Reuter si è attirata delle critiche proprio per essersi rifiutata di usare il termine terrorista come parte della sua politica di informazione che "eviti l'uso di parole emotivamente contrastanti". I dirigenti spiegavano il 2 ottobre 2002: "la nostra politica è di evitare l'uso di termini emotivi e di non esprimere giudizi di valore riguardo a fatti che cerchiamo di riportare in maniera accurata". In un memo a uso interno si specifica: "il terrorista di qualcuno è il combattente per la libertà di qualcun altro". La Reuter ha corrispondenti in 160 paesi e non può accettare tutte le pressione governative che ogni governo fa per classificare i propri nemici come terroristi.[45] Del resto se con terrorista si intendesse chiunque compia azioni contro dei civili - in linea appunto con le disposizioni di Ginevra e Norimberga che lo assimilavano ai crimini di guerra - molti eserciti regolari potrebbero essere classificati alla stessa stregua, a partire da quello statunitense.
Le zone rosse nei Sud del mondo
Le norme anti-terrorismo si sono diffuse dopo l'11 settembre in tutto globo e hanno molto spesso significato un aumento di potere per i militari specialmente in tanti paesi dove si sta sperimentando un faticoso ritorno alla democrazia dopo anni di dittature dovute alla guerra fredda. In questi paesi pur essendoci formalmente la democrazia, i militari hanno conservato un grande potere, che stava per essere loro faticosamente e lentamente tolto. Questo lavoro è stato vanificato.
Paradigmatico in questo senso è il caso indonesiano. In Indonesia, dopo l'attentato a Bali, il rischio di un ritorno dei militari, che hanno regnato dopo il più sanguinoso colpo di Stato del dopoguerra (appoggiato dalla Cia) che costò la vita a quasi un milione di attiviste socialiste, comuniste, anarchiche è molto forte. Di fatto i militari non hanno mai completamente rinunciato al controllo, specialmente a quello municipale, e ora si rifanno avanti.[46] I militari qui portano avanti progetti per conto di multinazionali e giocano un ruolo fondamentale nell'aprire oleodotti: sono essenziali per lo smantellamento delle popolazioni resistenti a tali progetti e il reclutamente forzato per la manodopera che deve costruirli. Gli abitanti si riferiscono ai militari come "l'esercito Exxon".[47]
In Africa siamo in un'era di conquista delle risorse strategiche che sta seminando le peggiori guerre del pianeta nel totale silenzio dei media occidentali; i media che raramente parlano di questi conflitti alludono razzisticamente ai "soliti conflitti etnici e religiosi". Le politiche di sicurezza elaborate da Washington vengono ora volentieri applicate dai governi dispotici africani per far piacere agli Stati uniti e ricevere aiuti economici: "le dittature africane pretendono di scoprire delle cellule di Al-Qaeda dopo aver benladenizzato (ben ladenisé) i ribelli locali e sfuggendo così alle critiche delle organizzazioni di petizione dei diritti umani".[48] Ci sono inoltre molti buoni motivi per credere che le collaborazioni tecniche offerte dagli Usa in Africa per combattere il terrorismo rientrino in una strategia geostrategica di controllo dei territori africani per togliere l'egemonia coloniale soprattutto francese della zona: con il pretesto della "guerra contro il terrorismo" gli Usa, consapevoli della loro dipendenza nel campo delle materie prime strategiche, hanno moltiplicato
gli accordi politici e militari con un gran numero di paesi africani per "rendere sicuri" i rifornimenti.[49]
I conflitti sono aumentati in tutta l'America Latina, a partire dalla Colombia, dove la Us Army già sta intervenendo con corpi speciali, oltre al supporto tecnico e agli addestramenti. In Europa, tra le organizzazioni terroristiche la Cia voleva inizialmente mettere anche l'Ira irlandese. Ai margini della Eu, il Pkk kurdo è nella lista nera con tutte le conseguenze per un popolo che non riesce a vedere la possibilità della fine del dominio razzista.
Per non parlare infine delle ripercussioni sul conflitto palestinese, dove finalmente Israele ha trovato un nome per gli abitanti originari della Palestina: terroristi. La vita per questo popolo dopo l'11 settembre si è terribilmente complicata e tutto si misura con coprifuochi imprevedibili. Il termine "terrorismo" sta servendo a condurre un'estrema guerra di liquidazione finale con la costruzione di un muro della vergogna in cui si vogliono rinchiudere i palestinesi ancora vivi; con la scusa del terrorismo si stanno spianando le case. Una guerra che non fa più distinzioni razziste e ha ammazzato anche i militanti dei corpi di interposizione pacifica. Infine persino le organizzazioni per i diritti umani - come Human Rights Watch e Amnesty International - hanno subito attacchi e sono state accusate di fiancheggiare i terroristi.
Il quadro delle conseguenze delle misure anti-terrorismo nel mondo andrebbe maggiormente articolato e sinceramente non sappiamo se tale lavoro sia stato fatto, ma qui ci limitiamo a segnalarne solo il pericolo. In questo senso condividiamo la preoccupazione di Samir Amin [50] e di molti e molte attiviste specialmente del Sud del mondo, che alla luce delle conseguenze di queste misure sui movimenti di liberazione hanno visto l'attentato dell'11 settembre come un colpo inferto ai movimenti di resistenza. Del resto, come riportato in un documentario presentato a Cannes nella primavera 2003, sono gli stessi generali responsabili del Piano Condor a dichiarare senza mezzi termini di essere fieri di aver anticipato le strategie antiterrorismo ora legalizzate.[51]
Se questo è il quadro di ciò che legalmente si muove grazie alle leggi speciali globali, il quadro dei tentativi al limite della legalità, quando non completamente illegali, di ribaltare governi democratici è ancora più allarmante. Anche qui il ruolo dei media è nevralgico, al punto che la nuova strategia può essere giustamente definita come golpe mediatico. Il Ned, National Endowment for Democracy è lo strumento con cui gli Usa forniscono soldi e sostegno ai propri alleati nel mondo, facendo apertamente quel che la Cia faceva segretamente: iniziative di "politica estera" a tutto campo, dal Nicaragua alla Mongolia, dall'Albania al Portogallo. Ultima missione fallita è stata la rivolta contro Chavez in Venezuela. E' un "mondo nuovo con colpi di stato senza spie", rivelò il Washington Post nel 1991 riferendosi alla nascita di "programmi per la democrazia" statunitensi.[52]
La zona rossa afghana, ovvero i crimini di guerra della giustizia infinita
In Afghanistan, a tre anni di distanza dal suo intervento, Washington non è in grado di riportare stabilità. I signori della guerra combattono tra loro e si contendono un paese devastato da 30 anni di guerre, in cui i potenti usano il fondamentalismo come strumento di dominio politico. Un reportage di Jamite Dorian,[53] aveva già messo a nudo delle sconcertanti verità: le convenzioni di Ginevra sono state violate e sono stati compiuti massacri inauditi. Circa 5.000 prigionieri sono morti in circostanze spaventose, alcuni per asfissia, altri vittime di esecuzioni sommarie. Tutto questo (come l'esistenza di una rete di centri modello Guantanamo nel mondo e la legalizzazione della tortura) era ben noto e prima che esplodessero gli scandali sulle torture in Irak. Tutto questo era stato legittimato dai vertici militari Usa in nome della lotta al terrorismo proprio subito dopo l'11 settembre. Nel 2004, finalmente, Croce Rossa, Amnesty International e Human Rights Watch sostengono apertamente che la lotta al terrorismo condotta dagli Usa sta contribuendo a calpestare i diritti umani nel mondo.
In Afghanistan aveva raccontato il reporter: "Mentre già si stava discutendo l'accordo intervenne il segretario alla difesa americano, Donald Rumsfeld. Lo preoccupava l'idea che la fine negoziata dell'assedio potesse consentire ai combattenti stranieri di andarsene liberamente... È stata più volte citata un'altra sua frase, pronunciata poco dopo: `Mi auguro che siano uccisi o catturati. Si tratta di persone che hanno commesso azioni terrificanti' ".[54]
Il 21 novembre 2001 si arrivò a un accordo tra le varie fazioni in guerra: tutte le forze Taliban si sarebbero arrese all'Alleanza del Nord alla promessa di avere salva la vita. Circa 470 Taliban provenienti da altri paesi sarebbero stati portati a Kalai Janghi e rinchiusi nei tunnel sotterranei della fortezza. Dopo il 25 novembre 2001 scoppia una rivolta: alcuni Taliban colgono di sorpresa le guardie, si impossessano delle loro armi e aprono il fuoco, uccidendo nel giro di pochi minuti un agente della Cia e una trentina di soldati dell'Alleanza del Nord. Questi eventi di Kalai Janghi monopolizzano l'attenzione dei giornalisti occidentali, richiamati in massa dalla resa di Kunduz, di cui non si parla più. La loro fine lascerà sui militari americani un'ombra che non potrà scomparire mai più.
Il reporter ha raccolto molte testimonianze tra cui quella di Amir Jhan, che aveva preso parte ai negoziati per la resa dei Taleban: "Li avevo contati uno per uno: erano in 8.000. Ne rimanevano 3.015. Ma tra questi 3.015 c'erano anche molti pashtun locali, di Kunduz o delle città vicine, non compresi nel conto dei prigionieri che si erano consegnati. E gli altri, che fine avevano fatto?" Secondo l'autore del reportage "la risposta a questa domanda si trova, almeno in parte, in una fossa comune sotto una duna lunga cinquanta metri, nel deserto di Dasht Leili". Mancano più di 5.000 uomini: qualcuno potrebbe essere riuscito a fuggire, qualche altro potrebbe aver comprato la libertà, molti sono stati forse venduti ai servizi di sicurezza dei rispettivi paesi, per subire un destino forse peggiore della morte. Tuttavia in maggioranza quei prigionieri, secondo vari testimoni oculari sarebbero stati uccisi. Nella ricostruzione, documentata da moltissime interviste, ecco la versione: "ufficialmente si trattava di trasferire i prigionieri al carcere di Shiberghan, dove sarebbero stati detenuti in attesa di essere interrogati dagli esperti americani, che dovevano selezionare quelli da trasferire a Guantanamo. A Kalai Zeini, i prigionieri ricevono l'ordine di sedersi per terra in un vasto campo recintato. Poco dopo arriva un convoglio di camion carichi di container metallici. I prigionieri sono costretti ad avanzare in fila indiana per andare a stiparsi nei container". Secondo un ufficiale dell'Alleanza del Nord: "Noi eravamo responsabili della consegna dei prigionieri, e per il tratto da Zeini a Shiberghan abbiamo caricato 25 container. In ciascuno ne abbiamo fatti entrare circa 200". Schiacciati nei container senza aria, nel buio pesto e a una temperatura di oltre 30°, i Taliban gridavano e imploravano: le guardie hanno così sparato sulle pareti di qualche container e alcuni di loro sono morti. Quando infine furono aperti, dopo 5 giorni, di loro non rimaneva altro che un ammasso di corpi in decomposizione, urina, feci, vomito e sangue. Alcuni erano ancora vivi, feriti o svenuti. Li hanno portati nella fossa, gli hanno legato le mani e gli hanno sparato. I principali testimoni sono i camionisti che furono costretti al lavoro sporco.
Gli americani hanno dato ordine a quelli del carcere di Shiberghan di trasferire i prigionieri lontano per evitare che venissero filmati dal satellite. Secondo il reporter: "Questa accusa di coinvolgimento americano sarà cruciale per ogni inchiesta futura. Il diritto internazionale in materia - come del resto le leggi nazionali e le leggi di guerra - riposa in larga misura sull'accertamento della catena gerarchica degli ordini che hanno portato a commettere il crimine. In altri termini, si tratterà di sapere chi fosse alla testa dei responsabili di quanto è accaduto a Shiberghan".
Gli ufficiali americani presenti dovrebbero essere stati una quarantina. Degli americani (corpi scelti si ricordi, forze molto speciali), un generale dell'Alleanza del Nord, ha dichiarato: "Li ho visti con i miei occhi colpirli a pugnalate nelle gambe, tagliargli la barba e i capelli, mozzargli la lingua. A volte pareva che lo facessero solo per divertirsi. Portavano fuori un prigioniero, lo pestavano a volontà e poi lo ributtavano in cella. Ma a volte non li riportavano dentro. A volte i prigionieri scomparivano".
Tutte le persone intervistate nel film si sono dichiarate disponibili a deporre davanti a qualsiasi istanza internazionale e questo permette all'autore di concludere: "Se è vero che militari americani erano effettivamente coinvolti, o sono stati anzi all'origine della catena di comando che ha portato all'ordine di eliminare questi prigionieri, come affermano numerose testimonianze, o se hanno assistito senza intervenire all'esecuzione sommaria di centinaia di uomini, devono rispondere di crimini di guerra... Chi è innocente non dovrebbe temere che la verità venga a galla".[55]
Questi terribili crimini, benché poco conosciuti, descrivono bene come lo scandalo delle torture in Irak non sia che un pezzo di un nuovo terribile mosaico del terrore. Il problema è che le forze di occupazione statunitensi hanno fatto dell'Afghanistan un'ennesima zona rossa militare dove ogni libertà può essere sospesa dall'esercito. Una zona rossa dove non sono assicurati nemmeno alcuni diritti delle leggi marziali (finto avvocato e conoscenza dell'accusa) e dove il governo militare è diretto contro la popolazione civile.
La zona rossa del modello Guantanamo
A Guantanamo arrivano i pochi sopravvisuti dall'Afghanistan. Guantanamo fa parte di una rete segreta di centri di detenzione, che è anche una rete di tortura. Questo era noto già da tempo, almeno da quando, all'inizio del mese di marzo 2003, il governo degli Stati Uniti ha ammesso pubblicamente che due cittadini afghani prigionieri nella base di Bagram situata a 35 miglia a Nord di Kabul sono deceduti dopo essere stati tortura-
ti.[56] La situazione giuridica dei prigionieri catturati in Afghanistan dalle truppe statunitensi è stata al centro di un dibattito nato in nome della lotta al terrorismo. Secondo il governo Usa i detenuti trasferiti nella base militare di Guantanamo, sull'isola di Cuba, sono "combattenti illegali che non hanno nessun diritto nell'ambito della Convenzione di Ginevra".[57]
Eppure non ci sono dubbi sul fatto che la Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929, rivista nel 1949, relativa al trattamento a cui sono sottoposti i prigionieri di guerra, dovrebbe essere applicata ai detenuti di Guantanamo. La Convenzione - sottoscritta dagli Usa - è valida "in caso di guerra dichiarata o in qualunque conflitto armato insorto tra due o più parti contraenti, anche se lo stato di guerra non è stato riconosciuto da una di esse". La parola "guerra" è stata esplicitamente sostituita dall'espressione "conflitto armato" espressione più generale applicabile quindi all'intervento degli Usa in Afghanistan. Gli Usa hanno intrapreso un'azione armata contro l'autorità di fatto in Afghanistan, e quindi la Convenzione deve essere applicata, qualunque sia la durata del conflitto, il suo carattere più o meno sanguinoso, l'importanza delle forze sul campo e la loro posizione giuridica. La Convenzione concerne infatti "i membri delle forze armate di una parte in conflitto, come i membri delle milizie e dei corpi di volontari che facciano parte di queste forze armate" catturati da uno dei belligeranti.
Questa ampia terminologia è stata scelta per evitare le ambiguità dovute alla diversa provenienza culturale e politica dei combattenti. La definizione di "terroristi" e di "combattente illegale" sono estranee al diritto internazionale e al diritto penale nonché alla Convenzione di Ginevra. Per quest'ultima il principio è quello della presunzione che ogni individuo preso in un conflitto è prigioniero di guerra.
Secondo la Convenzione di Ginevra, "i prigionieri di guerra devono essere sempre trattati con umanità", e "devono anche essere sempre protetti, in particolare contro qualsiasi atto di violenza o di intimidazione, contro gli insulti e la curiosità pubblica" (art. 13). I trasferimenti sono sottoposti a eguali condizioni: "il trasferimento dei prigionieri di guerra si effettuerà sempre con umanità e in condizioni che non dovranno essere meno favorevoli di quelle di cui godono nei loro spostamenti le truppe della Potenza detentrice" (art. 46). I prigionieri di guerra sono soltanto tenuti a declinare il loro nome, grado e reparto militare. A Guantanamo regnano invece arbitrio e confusione, in cui è permesso alle autorità statunitensi di interrogare i prigionieri senza rispettare nessuna regola. Secondo la Convenzione di Ginevra, i prigionieri hanno diritto a un processo giusto e leale, alla difesa e alla possibilità di fare appello.[58] Lo stesso Dipartimento della Difesa ha diffuso le immagini di prigionieri incatenati e inginocchiati, la bocca e gli occhi coperti. In celle di 2.16 metri quadrati, alte 2.16, cioè assolutamente più piccole di quanto indichino le norme internazionali.
Tale palese ostentazione ci permette di parlare di modello Guantanamo come di una zona rossa tipica della globalizzazione armata. In effetti per quanto queste misure non siano entrate nella pratica la prima volta con Guantanamo, questa è la prima volta che uno Stato cerca di difendere legalmente tale modello. Un modello che segna proprio il trattamento normale e non esclusivo dei prigionieri di guerra nell'epoca della terza guerra mondiale, caratterizzata dalla normalizzazione e dall'uso massiccio delle tecniche militari tipiche della lotta alla controinsurrezione.[59]
Di questo modello, la cui eccezionalità risiede nella tentata vestizione giuridica, seppur imbarazzata e contradditoria, vogliamo esaminare alcuni tratti distintivi attraverso l'analisi di Judith Butler. Con Guantanamo si è prodotta una "riduzione di esseri umani allo stato animale, quello in cui ci si rappresenta l'animale fuori controllo, ed è necessario privarlo completamente della libertà (...) Il modo di trattare questi prigionieri è considerato un'estensione della guerra stessa, non un problema postbellico che attiene a processi e pene appropriati".[60]
La contraddizione del Dipartimento di Stato Usa risiede nel rivendicare di agire in coerenza con lo spirito della Convenzione ma di respingere l'accordo in quanto anacronistico. L'obiettivo della Convenzione "era stabilire cosa qualifica come umano il trattamento dei prigionieri di guerra. In altre parole si cercava di stabilire un significato universale dell'espressione `trattamento umano' e di accordarsi su quali dovessero essere le condizioni da soddisfare prima di affermare che veniva offerto un trattamento umano". E' quindi strumentale e aleatorio che gli Usa dichiarino di agire "compatibilmente con l'accordo", o "nello spirito dell'accordo". Gli Usa hanno firmato un trattato e dovrebbero considerarsi vincolati a esso.
Guantanamo segna un luogo di ripensamento dell'umano dove alcuni individui sono dichiarati indegni dei diritti fondamentali: "uno sforzo di mettere in piedi un sistema giudiziario secondario e una sfera di detenzione non legale, che di fatto fa della prigione stessa una sfera extra-legale mantenuta dal potere extra-giudiziario dello stato".[61]
E' il potere politico che autonomamente decide lo status di esseri non umani, con la conseguente perdita del diritto a delle garanzie minime. La decisione se qualcuno può fare a meno di un processo ed essere sottoposto alla detenzione indefinita avviene per vie extra-legali, senza la necessità di esibire prove e sulla base di riscontri che non erano mai stati ritenuti sufficienti dalle norme dello stato di diritto, quali le affermazioni non comprovate, i sentiti dire e le affermazioni estorte sotto tortura. Il modello Guantanamo è un modello praticato nella guerra contro-insurrezionale. Nella maggior parte dei casi si trattava di procedimenti clandestini ed extra legali persino in stati come il Cile di Pinochet e l'Argentina di Videla. Eppure questo modello va compreso nel quadro della moderna arte di governo dove il campo di concentramento "come puro, assoluto e insuperato spazio biopolitico apparirà come il paradigma nascosto dello spazio politico della modernità".[62] Gli storici disquisiscono se i campi di concentramento abbiano la loro origine storica nei campos de concentraciones creati dagli spagnoli a Cuba nel 1896 per reprimere l'insurrezione cubana, o nei concentration camps in cui gli inglesi ammassarono i boeri. Agamben noto invece che è comunque nel contesto delle guerre coloniali e nel contesto del diritto dello stato di eccezione che il campo di concentramento ha la sua origine. Questo carattere è ancora più evidente nei lager nazisti. Non era infatti per norme di diritto comune ma per la Schutzhaft (custodia protettiva) che si entrava nei lager. Norma che risale alla legge prussiana del 1851, estesa nel 1871 a tutta la Germania. E' sulla base di questa legge che già dopo la prima guerra mondiale furono internati migliaia di comunisti. Sempre nel 1923 fu creato un campo per i profughi ebrei orientali: Konzentrazionslager für Ausländer (campo di concetramento per stranieri).
E' quindi nel contesto socialdemocratico della Germania degli anni Venti che non solo si creano i primi lager effettivi, ma se ne codificano gli aspetti legali. L'articolo 48 della costituzione di Weimar recitava infatti: "Il presidente del Reich può, quando la sicurezza pubblica e l'ordine siano gravemente disturbati e minacciati, prendere le decisioni necessarie per il ristabilimento della sicurezza pubblica, in caso di bisogno con l'ausilio delle forze armate. A questo scopo può provvisoriamente sospendere i diritti fondamentali contenuti negli articoli, (...)".[63]
Il regime nazista teorizzò più tardi "lo stato di eccezione voluto", e qualche critico parlò ben a proposito di una sospensione durata 12 anni. E' interessante notare come la teoria dello spazio giuridico del campo sia tutta prenazista e di come si appoggiasse su categorie oggi molto in voga nel dibattito contro l'emergenza anti-terrorismo, quali "sicurezza", "libertà", "sospensione momentanea dei diritti fondamentali". Lo stato di eccezione, ovvero la sospensione dell'ordine giuridico, lungi dall'essere una misura provvisoria e straordinaria sta diventando come nei periodi di possibile guerra civile una misura normale di governo, anzi come il "paradigma di governo dominante nella politica contemporanea", di cui Agamben ricostruisce i numerosi precedenti storici sia moderni sia classici.[64]
Agamben prosegue la ricerca di Foucault sulle istituzioni totali del Novecento, riprendendo alcune analisi incompiute di Arendt sul rifugiato. Infatti "il rifugiato, che avrebbe dovuto incarnare per eccellenza l'uomo dei diritti, segna invece la crisi radicale di questo concetto".[65] La concezione dei diritti dell'uomo fu messa in crisi proprio dove si trovarono degli esseri umani che avevano perduto ogni loro qualità tranne il loro essere umani. In realtà l'ambiguità è ascritta fin dall'inizio nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. Per godere di diritti effettivi occorre essere cittadini e non semplici esseri umani. Fa notare sempre Agamben che i nazisti per poter internare nei loro campi gli ebrei fino alla fase della soluzione finale operassero il meccanismo giuridico della denazionalizzazione. Questo procedimento iniziò a diffondersi dopo la prima guerra mondiale, periodo in cui venne introdotto il passaporto. Fino all'inizio dell'Ottocento ogni stato aveva tutto l'interesse ad aumentare il numero dei suoi sudditi. La Francia nel 1915 denazionalizzò i cittadini di origine nemica. Nel 1922 il Belgio denazionalizzò chi aveva commesso atti antinazionali. I fascisti in Italia nel 1926 denazionalizzarono i cittadini "indegni della cittadinanza italiana". E' in questo processo che Agamben inserisce le leggi razziali di Norimberga che dividevano i cittadini in due fasce. Analogamente oggi la distinzione tra alien e non alien - in origine razzista e incostituzionale - proprio perché politica, è perennemente labile.
La zona rossa irakena
Un interessante articolo di Le Monde Diplomatique descrive l'Irak come l'Eldorado perduto. In effetti il paese devastato dall'occupazione statunitense appare ai feroci neoliberisti come la più ghiotta opportunità per costruire una zona di libero mercato. "Un sogno capitalistico" scriveva The Economist (25 settembre 2003). E in effetti "il sistema economico iracheno era stato trasformato: alle imposte si era fissato un tetto massimo del 15%, le tasse sulle importazioni scomparivano (sostituite solo da una maggiorazione del 5% per la ricostruzione), il sistema finanziario e monetario appariva rivoluzionato: circa 200 imprese pubbliche dovevano essere privatizzate".[66]
Gli investitori stranieri non hanno bisogno né di autorizzazioni, né di partners locali, né devono reinvestire gli utili. Le misure economiche decise dagli occupanti sono di un liberismo più sfrenato delle leggi degli Stati uniti. Contrariamente alle Convenzioni dell'Aja e di Ginevra, per le quali una potenza occupante non ha il diritto di procedere a questo tipo di riforme, le truppe statunitensi non hanno assicurato l'ordine e hanno garantito invece le modifiche degli ordinamenti economici.[67]
Concretamente le leggi del libero mercato legittimano solo il saccheggio dei più forti. Sotto le pressioni della Casa Bianca è stato infatti soppresso un emendamento che prevedeva severe sanzioni in caso di frodi nei pubblici appalti. Paul Wolfowitz ha ribadito che alcuni paesi - tra cui Francia, Germania, Russia e Canada - sarebbero stati esclusi dai principali contratti per la ricostruzione. Da qui le contrapposizioni in sede Onu e la minaccia di ricorrere al Wto. Del resto Colin Powell aveva avvertito che chi avrebbe preso posizione contro la guerra "ne avrebbe subito le conseguenze".
Uno dei fatti più sconcertanti è che in realtà il bottino è accaparrato da una manciata di imprese americane vicine all'amministrazione Bush, che negli ultimi anni hanno versato oltre 500.000 dollari in favore delle compagne elettorali di George W. Bush. Imprese che avevano già operato in Irak nonostante l'embargo.[68]
Il 22 maggio 2003 Bush ha firmato il decreto n. 13.303, che protegge tutta l'industria petrolifera da "qualsiasi sentenza, giudizio, decreto, procedura o ordinanza di confisca, trattenuta o qualsivoglia altra misura giudiziaria". Come ha constatato Tom Devine, direttore legale del Government Accountability Project, "in questo modo l'industria petrolifera è stata posta al di sopra delle leggi americane e di quelle internazionali".[69]
Un eldorado da sognare ma che nella realtà ha difficoltà a realizzarsi: insomma delle leggi di libero mercato che si tirano e aggiustano come fanno comodo a chi ha le armi.
Un unico problema: in Irak oltre il petrolio esiste il popolo irakeno, che soffre l'inflazione, il razionamento, la penuria di petrolio e soprattutto la disoccupazione, il caos, la sicurezza (quella vera). Un popolo che soffre da 14 anni una guerra-embargo.
Per applicare la libera economia ci vuole una intelligenza bellica. Inizia qui la seconda parte della vicenda, quella meno nota ancora, che ci conduce nel cuore della zona rossa.
Le biografie di due personaggi chiave danno da sole gli elementi dell'attuale piano di occupazione statunitense, un piano economico che ha bisogno di un piano anti-insurrezione.
Il primo criminale riesumato dalle truppe occupanti è primo ministro del "governo" provvisorio irakeno: "Allawi viene ricordato dai compagni d'università come un bravaccio. Dominava con arroganza i corridoi, pistola infilata nella cintura. Si dichiarava rappresentante degli studenti di medicina per incarico del partito Baath. Pochi ricordano di averlo visto dare esami anche se, misteriosamente, si laurea giovanissimo, non all'università di Baghdad: in un altro posto non bene identificato. Subito il governo lo manda a Londra con borsa di studio dell'Organizzazione mondiale della sanità. Deve specializzarsi in qualcosa, ma il vero impegno è tener d'occhio gli studenti ribelli delle grandi famiglie irachene: brontolano e tramano in Europa. Allawi li segnala. Vengono arrestati appena tornano a casa in vacanza. Vocazione precoce".[70] E oggi: "Il New York Times della scorsa settimana racconta della visita dell'Allawi nelle carceri segrete dove sono chiusi politici sospetti del partito di Saddam. Allawi si infuria quando i detenuti non gli mostrano rispetto. Due volte tira fuori la pistola, spara, uccide. Sbalordisce l'ufficiale americano che lo accompagna".[71]
Negroponte, ambasciatore statunitense nel territorio occupato ha migliorato le tattiche anti-guerriglia statunitensi sui migliori campi di battaglia. Cresce come giovane d'ambasciata nel Vietnam in guerra dove parla correntemente il vietnamita: Kissinger lo invita ai colloqui di pace a Parigi ma poi litigano perché Kissinger era troppo moderato. Bush padre, per questo, lo vuole consigliere di sicurezza assieme a Colin Powell (amico di Allawi). Il periodo d'oro inizia nel 1981 in Honduras, con l'Iran Gate. Sostiene i contras in Nicaragua e la guerra contro la resistenza salvadoregna. Il timore di Washington spiega Chomsky- "era che in Nicaragua sarebbe potuto nascere una seconda Cuba. In Honduras, l'incarico del proconsole Negroponte era di sovrintendere le basi dove un esercito di terroristi mercenari, i contras, era addestrato, armato e inviato a sconfiggere i sandinisti. Nel 1984, il Nicaragua rispose in modo corretto, come uno Stato rispettoso della legge: portò il caso contro gli Stati uniti alla Corte internazionale di giustizia, a La Haya".[72] La corte ordinò agli Stati uniti di smettere con "l'uso illegale della forza" (terrorismo internazionale) contro il Nicaragua e di pagare sostanziali risarcimenti. Amnesty lo denunciò. Il Senato lo mise sotto inchiesta. Bush lo mise al posto giusto, in Irak.
In un recente articolo Pino Cacucci, per cercare di capire cosa sia successo alle due giovani Simone rapite in Irak ci ricorda che Negroponte era specializzato nella direzione di alcuni crimini: fare uccidere dagli stessi guerriglieri i propri compagni facendoli credere spie. Ricorda l'omicidio di Dalton, il più grande poeta e scrittore salvadoregno appena entrato nella guerriglia: "Paco Taibo II ha dedicato un capitolo del suo magistrale A quattro mani alla trama che portò all'assassinio di Roque Dalton, ricostruendo il paziente lavoro portato a termine da un agente statunitense specializzato nello `Shit Department', una sezione addetta a `spargere merda'... Roque Dalton era stato ucciso perché sospettato di essere un informatore della Cia, ucciso da ottusi guerriglieri che avevano ricevuto gli indizi, senza esserne coscienti, da una sezione apposita della Cia. E così, come scrive Paco Taibo II, `la guerriglia salvadoregna si scisse e la sinistra perse il suo più lucido militante'".[73]
Da quando arriva Negroponte in Irak la guerriglia fa quello che i media hanno chiamato un "salto di qualità": spariscono reporter indipendenti, spariscono operatori di Ong indipendenti e contro l'occupazione, la popolazione civile delle aree calde non ha più né acqua, né luce, né ospedali.
Riportando alcuni articoli di media mainstream, Patrick Boylan precisa: "Molti elementi inducono a pensare, infatti, che non si tratti dei cosiddetti `fanatici islamici' bensì degli `squadroni della morte' che, secondo The Guardian (9.12.03), da mesi la Cia sta allenando in Israele. (...) Pesanti ombre si allungano sulla domanda di chi stia dietro e per conto di chi agisca il sedicente `esercito islamico', quello che ha ucciso Enzo Baldoni e che ha rapito prima i due giornalisti francesi ed ora (lo stile è identico) le due coraggiose operatrici di pace italiane".[74]
Allawi potrebbe apprestarsi a usare gli squadroni della morte per eliminare fisicamente l'opposizione in vista delle elezioni. E' meglio che non ci siano testimoni oculari del regno di terrore che sta per iniziare. "Non ci devono essere pacifisti ficcanaso, giornalisti non allineati, Ong incontrollate, gente che potrebbe scattare delle foto. Quindi occorre spaventarli, allontanarli, come ha fatto il primo Saddam e come hanno fatto i dittatori latinoamericani portati al potere dalla Cia".[75]
L'ospedale italiano di Baghdad ha ricevuto dall'ufficio di Moqtada al Sadr un invito speciale al commissario straordinario della Croce rossa italiana (Cri) per inviare aiuti nella città santa di Najaf. Dopo diverse negoziazioni, parte Enzo Baldoni con una spedizione che era autorizzata dalla Cri anche se la versione ufficiale lo ha ufficialmente negato. Lo rivela Diario pubblicando la versione segreta del capo-missione della Cri poi censurata nella versione agli atti della magistratura. Tra gli altri compiti questa delegazione avrebbe dovuto prendere una lettera in cui si chiedeva al papa di intervenire per una mediazione. Nella ricostruzione da inchiesta vecchio stile, Massimiliano Boschi, dice che in agosto persino Berlusconi vedeva di buon occhio l'iniziativa. La spedizione viene però attaccata all'andata, fermata a cento metri dalla moschea dalle truppe statunitensi e infine attaccata al ritorno dove viene rapito Baldoni, che poi sarà giustiziato. Le altre due organizzazioni che stavano aiutando la popolazione di Najaf sotto assedio riceveranno trattamenti analoghi: la Mezzaluna rossa viene attaccata e tre suoi convogli bruciati, Un ponte per..., attiva per portare acqua a Najaf, riceverà un razzo di avvertimento vicino alla sede. Poi il rapimento delle due Simone.[76]
Allawi e, dietro le quinte, Negroponte non si auguravano forse l'allontanamento dal paese di Ong e giornalisti non embedded? Se fosse vera la notizia di una lista che comprendeva le Simone rapite, questo non sarebbe che la prova di un piano manovrato direttamente dal "governo" irakeno con regia terroristica di matrice statunitense. Boylan conclude infatti: "Si comprende perché i guerriglieri iracheni indipendentisti non vogliano deporre le armi: semplicemente perché non vogliono fare la fine di Enzo Baldoni. Sanno che senza armi per difendersi saranno arrestati dalla polizia (se il governo riesce a trovare accuse) oppure, nel caso contrario, rapiti dagli squadroni della morte. Proprio come avviene non solo in America Latina ma anche, in questi ultimi anni, in Algeria e altrove".[77]
Ecco quindi l'eldorado, il sogno neoliberista altro non è che una terrificante zona rossa dove ogni diritto è sospeso. Dove squadroni della morte agiscono impunemente per eliminare la resistenza della popolazione e di chiunque voglia condurre un'opposizione politica all'occupazione o anche solo e semplicemente il rispetto dei diritti umani più elementari.
Le zone rosse di massa: il lager umanitario
L'analisi di Agamben ci ha permesso di collocare il modello di Guantanamo descritto da Butler in un contesto più ampio. Oggi sono proprio gli apolidi, gli esseri umani descritti da Arendt, che hanno perso la nazionalità, che sono costretti a migrare come rifugiati politici e che trovano rifugio spesso solo in quegli spazi internazionali sotto la protezione di organismi umanitari. Eppure in questi spazi si consuma oggi la più grande deumanizzazione. L'umanitarismo pensa di poter garantire i diritti fondamentali offrendo un pasto caldo giornaliero privo di qualsiasi richiamo culturale, deculturalizzato. I cibi distribuiti dagli organismi internazionali segnano questo degrado culturale dell'umano. Ricordiamo che cultura ha la sua origine etimologica nella coltura. Il proverbio tedesco "Der Mensch ist was er isst" (l'essere umano è ciò che mangia) indica bene il carattere ontologico fondamentale del cibo. Eppure oggi nei "campi umanitari" si consumano le maggiori catastrofi. E' quella che ormai sempre più Ong - benché ancora una minoranza - denunciano come lagerizzazione del mondo. Qui l'ideologia umanitaria "facendo astrazione (...) da tutto ciò che rende l'organismo biologico qualcosa di propriamente umano, (...) contribuisce alla riduzione dell'essere umano a nuda vita cancellando ogni forma di alterità".[78] Sotto l'Unhcr (agenzia dell'Onu che si occupa dei rifiugiati) sono in 50 milioni i rifugiati e gli sfollati ufficiali. Molti oggi vivono in questi campi di concentramento chi per pochi mesi, la maggior parte per molti anni. In alcuni campi, come nel caso dei palestinesi, siamo ormai alla terza generazione nata in un campo con la promessa di poter ritornare nella propria patria.
Discorso a parte meriterebbero poi i rifugiati ambientali, ovvero tutte quelle popolazioni, soprattutto indigene, espropriate dei loro territori o per la costruzione di dighe (si stima a almeno 60 milioni il numero di queste vittime nel mondo) o per l'estrazione di ogni tipo di risorsa: impianti di estrazione nel delta del Niger o costruzioni di oledotti in tutto il mondo. Nel Nord del mondo quando il prezzo della benzina aumenta non sappiamo che prezzo hanno pagato milioni di persone perché fosse così basso. Queste popolazioni quando non sono sterminate sul posto, vengono evacuate e sradicate: costrette ad abitare le periferie delle disastrose città del Sud del mondo, perdono le loro caratteristiche, muoiono.
Le zone rosse del controllo della migrazione
Accanto al lager umanitario, il fenomeno che oggi vede legarsi sempre più gli interessi economici e di controllo, è quello che può essere denominato come la gestione economica dell'immigrazione.
Il neoliberismo è il primo sistema economico che trova nell'abbondanza di esseri umani un limite alla propria espansione. Stime per difetto parlano di almeno 33 milioni di migranti definito clandestini nel mondo. Altre parlano di mezzo miliardo di persone in movimento. A queste persone sono legati interessi economici e geopolitici per controllarne i flussi e garantire quindi l'autosufficienza a un sistema che ha bisogno di lavoratori da sfruttare senza regole nel Nord come nel Sud. I clandestini appunto. Unione europea e Stati uniti con l'inizio della quarta guerra mondiale si rincorrono nei propositi di contenimento della migrazione detta clandestina, allocando fondi e risorse per la gestione militare delle frontiere (esercito, marina, aeronautica) e finanziando le organizzazioni transnazionali che lo gestiscono.
La più potente di tali organizzazioni - l'Oim (Organizzazione Intergovernativa per l'immigrazione) -[79] è descritta da Franck Duvell, di NoBorder Network, come un'organizzazione "...utilizzata come contro-agenzia dell'Unhcr, nata l'anno dopo. In contrasto con l'Unhcr che è basata su principi umanitari, l'Oim si basa su interessi economici. Essa è stata uno degli strumenti della dottrina Truman durante la guerra fredda, e tuttora riflette la pretesa di rappresentare contemporaneamente i governi, le economie ed i migranti con lo stesso mezzo".[80]
A tal scopo, per razionalizzare il meccanismo, l'intero globo è stato suddiviso in 19 aree geopoliticamente importanti per la migrazione, ognuna gestita da un ufficio centrale. Il meccanismo è talmente efficiente che l'Oim dichiarava "con orgoglio d'aver interferito con la vita di 11 milioni di persone dalla sua nascita" negli anni '50".[81]
L'offerta dell'Oim spazia però su più fronti. Importante è sicuramente il settore della consulenza per l'innovazione tecnologica delle frontiere. A tale scopo vengono di frequente organizzato viaggi di ufficiali di polizia - soprattutto di paesi dell'est Europa, Ucraina in testa - sulla frontiera tra Messico e Stati uniti, per "mostrare il modello di un sistema di controllo efficiente. L'Oim non solo comprende, applica e diffonde agli stati i principi della politica dell'immigrazione e le tecnologie in tutto il mondo (Capacity Building Programs), ma offre anche un approccio onnicomprensivo consistente in una combinazione di schemi di contenimento della migrazione (Seminari d'Informazione), la costruzione di posti di controllo della frontiera (come accade in Ucraina), la costruzione di campi di detenzione (per esempio Nauru)[82] , la rimozione degli immigrati indesiderati (i cosiddetti Schemi di Ritorno Volontario, in Inghilterra, Germania, Olanda e in molti altri paesi) e il reclutamento di lavoro richiesto (come dall'Ecuador alla Spagna)".[83]
Queste agenzie quindi rappresentano il lato oscuro e sporco delle politiche di migrazione globali e "riflettono anche un'idea assolutamente razzista di casa, nazionalità e appartenenza" basandosi "sull'assunto che le persone devono primariamente vivere dove hanno la loro casa, la loro gente e la loro terra".[84]
L'altra faccia (quella legale e presentabile) delle politiche di immigrazione (che in Europa si fondono con i sistemi di schedatura come il Sis - Sistema di Informazione di Schengen [85] - ormai utilizzati per tutta la popolazione, ed in primis per reprimere il dissenso) è il sempre più esplicitato legame tra status legale e lavoro: la permanenza di un migrante nella fortezza Europa è oggi determinata quasi esclusivamente dal contratto di lavoro. Le agenzie sovranazionali hanno l'esplicito compito di regolare la migrazione nel mondo, a seconda degli interessi economici da tutelare, creando in tal modo zone rosse. Le migranti viste come bestiame da spostare per creare stati etnicamente puri o per soddisfare il fabbisogno di manodopera in una data zona. Un sistema che deve essere razionale e prevedere prigioni per chi non serve in quel momento.
A tal scopo sono stati previsti lungo i confini Nord-Sud delle serie concentriche di veri e propri lager presentati in Italia come Centri di Permanenza Temporanea ai quali attingere o nei quali relegare forza lavoro.
L'esistenza di tali centri crea inoltre un deterrente per ogni migrante clandestinizzato. Tale clandestinizzazione del fenomeno migratorio relega in economie illegali la regolazione di questi flussi di persone, controllati dagli stessi poteri criminali che gestiscono il traffico di droga, prostituzione ed armi. Nasce la merce umana: il traffico di organi, schiavi e bambine deriva da questa logica.
Le zone rosse prodotte da chi gestisce più o meno legalmente le migrazioni globali, sono oggi tra quelle più efferate, dove si creano territori - i centri di detenzione - alieni a qualsiasi diritto e soggetti solo a leggi economiche e militari.
Il Nord del mondo - Stati uniti, Europa, Giappone e Australia - si presenta ai migranti come un'enorme zona rossa dove l'accesso è vietato o difficile ma al tempo stesso desiderato e scelto come possibilità di vita. Lungo i recinti di questa zona rossa sono morti di fame, sete, per annegamento o per proiettili della polizia o dell'esercito, oltre diecimila esseri umani: è il muro che partendo da Tijuana divide il Messico dagli Usa e poi l'Europa dall'Africa. A Pantelleria esiste una fossa comune per queste vittime senza nome della zona rossa.[86]
La zona rossa del lavoro: terra e schiavitù
Una delle più spaventose zone rosse della globalizzazione è quella data dalle sospensioni dei diritti umani sul luogo di lavoro e dalla sospensione dei diritti sindacali. Esistono vere e proprie zone di sviluppo speciale che coinvolgono milioni di lavoratrici. Naomi Klein le ha rese famose. Sono le zone franche, "High Export Zone" (zone ad alta esportazione), stimate dall'Organizzazione mondiale del lavoro a 850, ma molto probabilmente intorno alle 1.000. Qui sono occupate almeno 30 milioni di persone in 70 paesi, per lo più donne e bambini. Spesso con sorveglianza armata, sempre e comunque sotto il ricatto del licenziamento; è il luogo dove si ottengono salari da miseria, da preferirsi alla disoccupazione. Qui si producono la merce-logo di marca e di uso comune nella società occidentale.[87]
In realtà la questione delle zone franche ci riporta alla constatazione che oggi nessuna persona ha un lavoro garantito nel mondo a eccezione di alcuni bianchi, specialmente uomini, per lo più di civiltà cristiana. È questo il carattere razzista del dominio capitalista nel globo. La zona rossa è per lo più una questione per non bianchi. L'anello debole della precarizzazione è quel lavoro schiavile postmoderno, ben diverso da quello premoderno, in cui sono intrappolati dai 30 ai 300 milioni di esseri umani, a seconda della definizione di lavoro coatto che si adotta, e a seconda delle fonti. Nel 1997 la forza lavoro era stimata intorno ai 2.5 miliardi di persone, e quella soggetta a lavoro coatto si aggirava tra l'8% e il 14% del totale.[88] Il dato di fondo è comunque terrificante, e più che disquisire se sia libero o schiavo un bambino di 12 anni che vende la sua forza lavoro ( "si vende" o "lavora") in una fabbrica per 10 ore al giorno anziché farsi arruolare in una banda criminale, ci sembra più opportuno riflettere su quanto ancora oggi siano le condizioni di lavoro a determinare le molte forme di violenza nella vita quotidiana. Invece di denunciare lo sfruttamento minorile nel mondo - una zona rossa in cui si trovano 300 milioni di bambini - bisogna denunciare i nessi tra questa e la clandestinizzazione dei lavoratori migranti al Nord, dove il permesso di soggiorno è un'arma nelle mani del padrone. Queste violenze contro gli esseri umani, che trovano la loro ragion d'essere nell'accumulo di denaro da parte di pochi e generano la miseria e la povertà di molti, sono la causa delle molte zone rosse. Rousseau non aveva visto male quando disse: "l'uomo nasce libero, ma è ovunque in catene."
Forse infine la più grande zona rossa del pianeta rischia di essere la terra stessa.
Troppa gente la abita. Eppure benchè la densità demografica maggiore sia nei paesi ricchi, sono le popolazioni del Sud del mondo che dovrebbero abbandonare la terra. Migrare o essere soppresse, o entrambe. Samir Amin è tra i pochi studiosi a porre al centro della riflessione la questione della terra.89 Nel mondo, attualmente, più della metà della popolazione vive in campagna. Tra questi oltre 3 miliardi di contadine: una parte produce tra i 100 e i 500 quintali all'anno, un'altra buona parte circa 10 quintali. L'agricoltura capitalistica industrializzata produce tra i 10.000 e i 20.000 quintali. Lo scarto è quindi 2.000 a 1, a differenza del 1940 quando era di 5 a 1. L'agricoltura industrializzata del Nord si basa infatti su un alto capitale tecnologico, un bassissimo numero di occupati, forti esternalità ambientali negative (inquinamento di aria, acqua e terra): questo tipo di agricoltura può fare a meno del lavoro agricolo di tipo tradizionale.
Secondo Samir Amin, il capitalismo è incapace di offrire altre prospettive a questi 3 miliardi di persone che non siano le bidonvilles, la fame e la violenza. Occorre prendere le distanze dalla cinica visione, fatta propria dal marxismo fin dalla teorizzazione di Karl Kautsky, secondo cui si tratterebbe di una "distruzione costruttiva". A Porto Alegre si auspica invece un modello di sviluppo capace di integrare progressivamente mercati locali con mercati regionali.
Abbiamo visto come le nuove leggi dello stato di eccezione mettano sempre più a nudo gli aspetti disumani del neoliberismo. Emergono sempre più zone rosse: esse vanno identificate, smascherate, invase e condannate quale frutto del potere militare machista della globalizzazione .I processi economici e giuridici dispiegatisi dopo l'11 settembre hanno portato alle estreme conseguenze la logica distruttrice del neoliberismo che, nel disperato tentativo di trovare nuove fonti di accumulazione del capitale e imporsi su scala mondiale, sta conducendo una efferata lotta all'umanità. Il terrorismo è funzionale (oltre a esserne un prodotto) a questa logica economica e militare che sta uniformando, terrorizzando e sopprimendo l'umanità nelle sue molteplici espressioni. Per questo è necessario e possibile iniziare a erodere le sedie del potere.
Note:
1 George Bush, National Security Strategy of the United States, White House, marzo 1990; cit. in N. Chomsky, Egemonia americana e Stati fuori legge, Bari, 2001
2 M. Kaldor, Le nuove guerre, la violenza organizzata nell'età globale, Roma, Carrocci, 1999
3 M. Dinucci, Il potere nucleare, storia di una follia da Hiroshima al 2015, Roma, Fazi, 2003, p.112
4 Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Milano, Longanesi, 1998
5 Ibid., p.19
6 Ibid, p.40
7 Ibid., p.258
8 Ibid., p.277-281
9 Ibid., p.52
10 Neil Mackay, Bush aveva pianificato il cambio di regime in Irak prima ancora di diventare presidente, Sunday Herald, 15 settembre 2002; Miguel Martinez, USA: in un documento il progetto per sottomettere l'umanità in www.kelebekler.com/occ/pnac (dove sono disponibili molti altri articoli e il maggior archivio italiano sui neocons americani); si consulti il sito stesso: www.newamericancentury.org; in particolare la lettera a Clinton:www.newamericancentury.org/iraqclintonletter.htm .
11 M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., pp.146 sgg.
12M. Chossudovsky, Guerre e globalizzazione, cit. pp. 28 sgg; pp. 69 sgg.
13 Paul-Marie de la Gorce, La nuova dottrina militare americana, Le Monde Diplomatique, marzo 2002
14 Casa Bianca, National Security Strategy in www.whitehouse.gov/nsc/nss.pdf
15 Paul-Marie De la Gorge, La nuova dottrina, cit.; M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., pp. 185-192
16 M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., p.104
17 Ibid., pp. 106-107
18 Ibid., p.193
19 Achille Ludovisi, I nuovi complessi militari industriali nell'epoca della guerra globale permanente, dattiloscritto, 2002
20 Ibid.
21 Ibid.
22 Reuters, 1 ott. 2002; cit in Ludovisi, I nuovi complessi, cit.
23 Ignacio Ramonet, Quando la libertà di edizione è in pericolo, Le Monde Diplomatique, gennaio, 2003
24 Mary Caldor, Le nuove guerre, cit., p.31
25 Un'ampia descrizione delle influenze fondamentaliste nel mondo politico statunitense, benchè forse eccessivamente complottista è quella di Eric Jewell, La Cristianità e il Nuovo Ordine Mondiale, in www.fisicamente.net/index-371.htm ; diversi articoli sulla destra statunitense e il fondamentalismo cristiano si possono ritrovare nell'apposita sezione del sito: www.kelebekler.com
26 Marco D'Eramo, I sionisti evangelici, Il Manifesto, 10 settembre 2002
27 Stefano Chiarini, I predicatori di Bush (e Sharon) per convertire l'Iraq, Il Manifesto 3 maggio 2003
28 Ibid.
29 Benjamin R. Barber, Guerra santa contro McMondo, neoliberismo e fondamentalismo si spartiscono il pianeta , Milano, Pratiche Editrice, 1998, pp.188-200
30 M. Martinez, Armageddon: l'impero americano e l'immaginario del dominio universale in www.kelebekler.com/occ/praxis02
31 Dana Milbank, Religious Right Finds Its Center in Oval Office, Bush Emerges as Movement's Leader After Robertson Leaves Christian Coalition, Washington Post, 24 dicembre 2001
32 Alain Gresh, Islamofobia, Le Monde Diplomatique, novembre 2001
33 L. Caracciolo, L'occidente e l'identità ritrovata, La Repubblica, 13 settembre 2001, cit. in Norman Solomon, Il "terrorismo" secondo i media, Guerre&Pace, novembre 2003
34 Michael Ratner, Le libertà sacrificate sull'altare della guerra, Le Monde Diplomatique, novembre 2001 (fonti: New York Times e Washington Post)
35 Philip S. Golub, A Washington una nuova presidenza imperiale, Le Monde Diplomatique, gennaio 2002; cf. anche Dana Milbank, Religious Right Finds, cit.
36 Durante la presidenza Reagan, gli stanziamenti per la difesa sono saliti dal 23,5% al 27% del bilancio federale, tornando così ai livelli del 1975, e la Cia ha condotto le due più grandi operazioni clandestine del dopo Vietnam, in Afghanistan e in Nicaragua.
37 M. Dinucci, Il potere nucleare, cit., pp.156 sgg
38 Philip S. Golub, A Washington una nuova, cit.
39 Ibid.
40 Howard Zinn, Il nuovo maccartismo benedetto dai sondaggi, Il Manifesto, 11 settembre 2002; sulla sorveglianza totale dopo l'11 settembre si veda soprattutto: Ignacio Ramonet, Sorveglianza totale, Le Monde Diplomatique, agosto-settembre 2003; Ritt Goldstein, Usa, le sbarre dentro casa, Il Manifesto, 26 Luglio 2002; id., Bush sogna un popolo di spioni, Il Manifesto, 18 agosto 2002.
41 J. Brown, I pericolosi tentativi di definire il terrorismo, Le Monde Diplomatique, febbraio 2002; è interessante notare che il termine non è nemmeno contemplato nella Convenzione di Ginevra.
42 Tutte le citazioni sono tratte da J. Brown,, I pericolosi tentativi, cit.
43 Jean-Claude Paye, Le ipocrisie del mandato di cattura europeo, Le Monde Diplomatique, febbraio 2002
44 Per la lista e molti commenti cf N. Chomsky, 11 Settembre, le ragioni di chi?, Milano, 2001
45 N. Solomon, Il terrorismo secondo i media, Guerra & Pace, novembre 2001
46 Sydney Jones, Jacarta, torneranno al potere i carri armati?, Le Monde Diplomatique, novembre 2002
47 M. Forti, La signora di Narmada, le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 31 sgg.
48 Jean-Marc Ela, Regards africains sur la première guerre du siècle, Le Monde Diplomatique, settembre 2002
49 Pierre Abramovici, Washington ridisegna la presenza militare in Africa, Le Monde Diplomatique, luglio 2004
50 Intervista a Samir Amin, cit.
51 Il film di Rodrigo Vazquez si basa in buona parte sul parallelo tra l'11 settembre 1973 e l'11 settembre 2001, lasciando le voci agli esperti di antiterrorismo del Plan Condor: Operación Cóndor -El Eje del Mal, Cannes 2003
52 Ritt Goldstein, Nome in codice "democrazia", Il Manifesto, 7 giugno 2002
53 Jamite Dorian, autore e produttore televisivo, ha lavorato per la BBC realizzando numerosi documentari su temi quali i desaparecidos del Cile o il regime politico della Birmania; un suo cortometraggio su Stanley Kubrik è intitolato: 2001, The Making of a Myth. Attualmente ha terminato il documentario dal titolo: Massacro a Mazar.
54 Rumsfeld avrebbe anche detto: `'Sarebbe sommamente deplorevole che gli stranieri in Afganistan - quelli di al Qaeda, i ceceni e gli altri che hanno collaborato con i taliban - fossero rilasciati, con la possibilità di recarsi in un altro paese per commettere altri atti terroristici"; Jamie Doran, Gli inconfessabili massacri afghani. Le dinamiche del disordine mondiale , Le Monde Diplomatique, settembre 2002
55 Jamie Doran, Gli inconfessabili massacri, cit.
56 In Italia fondamentale l'articolo di S.Baraldini, Desaparecidos a Guantanamo, Guerre&Pace, n.98, aprile 2003 (fonti: testate statunitensi)
57 Olivier Audeoud, Senza diritti a Guantanamo, Le Monde Diplomatique, settembre 2002; la convenzione di Ginevra è
consultabile on-line: www.admin.ch/ch/i/rs/0_518_51
58 Olivier Audeoud, Senza diritti a Guantanamo, cit.
59 M. Kaldor, Le nuove guerre, cit.
60 J. Butler, Modello Guantanamo, umano nonumano, Rivista del Manifesto, n. 35, gennaio 2003, pp.56-57 61 Ibid., p.60
62 G. Agamben, Homo sacer, il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p.135
63 G. Agamben, Homo sacer, op. cit., p.187
64 G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p.11
65 G. Agamben, Homo sacer, op. cit., p.139
66 Ibrahim Warde, Irak, l'eldorado perduto, sotto scacco l'occupazione americana, Le Monde Diplomatique, maggio 2004
67 L'articolo 43 della Convenzione dell'Aja recita: "Poiché l'autorità del potere legale è passata di fatto agli occupanti, questi ultimi adotteranno tutte le misure alla loro portata per ristabilire ed assicurare, per quanto possibile e salvo il caso di impedimenti assoluti, l'ordine nella vita pubblica, nel rispetto delle leggi in vigore nel paese".
68 Fin dal 1983 la Bechtel, all'epoca molto vicina all'amministrazione Reagan, aveva ottenuto l'incarico di costruire un oleodotto in Iraq; l'accordo era stato negoziato direttamente con Saddam Hussein da Donald Rumsfeld. La Halliburton, che dal 1995 al 2000 era diretta da Richard Cheney, aveva ottenuto una deroga speciale per proseguire le sue attività in Iraq nonostante il regime di sanzioni internazionali. Lo stato insomma aiuta i neoliberisti.
69 Tutte le citazioni sono tratte da Ibrahim Warde, Irak, l'eldorado perduto, cit.
70 Maurizio Chierici, Irak, tutti gli uomini della CIA, Unità, 29 giugno 2004
71 Maurizio Chierici, Chi si rivede: le squadre della morte, Unità, 26 settembre 2004
72 Noam Chomsky, John Negroponte: dal centroamerica all'Irak, 6 agosto 2004; in http://www.zmag.org/Italy/chomsky-negroponte-americairaq.htm
73 Pino Cacucci, Il sequestro di Simona e Simona: forse la memoria aiuta più della scarna cronaca, 1 ottobre 2004; in http://www.feltrinelli.it/BlogAutore?id_autore=155756&blog_id=14; pubblicato anche su http://italy.indymedia.org/news/2004/10/641087.php
74 Patrick Boylan, Il nuovo Saddam, 8 settembre 2004, in http://www.boylan.it/
75 Ibid.
76 Massimigliano Boschi, La versione di Beppe, Diario, 7 ottobre 2004
77 Patrick Boylan, Il nuovo Saddam, cit.
78 AAVV, L'illusione umanitaria, la trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale, Bologna, EMI, 2001;< lo studio è una delle maggiori critiche al ruolo attivamente distruttivo giocato da organismi internazionali e ONG nell'usare gli aiuti d'emergenza come soluzione finale, specialmente alla luce degli ultimi conflitti: Somalia, Kuwait, ex-Jugoslavia, Kosovo.
79 Per informazioni dettagliate vedi www.iom.int, per maggiori critiche vedi www.noborder.org/IOM
80 Franck Duvell, La globalizzazione del controllo della migrazione; pubblicato in italiano su http://www.tmcrew.org/border0/dossier/oim/oim02.htm
81 Ibid.
82 In particolare sul caso dell'isola di Nauru consultare il sito http://www.nauruwire.org
83 Franck Duvell, La globalizzazione del controllo, cit.
84 Ibid.
85 Un efficace dossier sulla storia e le implicazioni del SIS, si trova sul sito del collettivo border=0 http://www.tmcrew.org/border0/dossier/sis/sis00.htm
86 In Europa la rete di 590 associazioni e ONG che dal 1993 monitora il muro è UNITED; il rapporto, a cui ha poi attinto anche Amnesty International, è scaricabile dal sito: http://www.united.non-profit.nl/pages/info24.htm
87 Naomi Klein, No-Logo, Milano, Baldini&castoldi, 2001, pp.183 sgg
88 Sono le stime di Rossana Mungiello, Lavoro coatto a fine secolo in quattro grandi aree economiche, Altreragioni, n.6, 1997,
pp.11-45; Kevin Bales, I nuovi schiavi, la merce umana nell'economia globale, Milano, Feltrinelli, 2000 ritiene che la cifra più probabile sia di 27 milioni, ma riferisce anche la cifra di 200 milioni di alcuni attivisti e ritiene che si tratti di un problema di definizione della schiavitù. Bales definisce con rigore le caratteristiche della nuova schiavitù e ne illustra la realtà in diversi paesi.
89 Samir Amin, Oltre il capitalismo senile, per un XXI secolo non americano, Milano, Puntorosso, 2003; si veda anche AAVV, Question agrarie et mondialisation, Alternatives Sud, vol. IX, 2002