NON INTRODUZIONE
Se l'introduzione costituisce un atto di tirannia con cui l'autore detta i modi di interpretazione della sua opera questa non è un'introduzione.
Non è un'opera. E' un lavoro collettivo di taglia e incolla. Di ritagli di giornali, citazioni di libri, tutte cose già dette, insomma. Nulla di nuovo. Un j'accuse collettivo. Un domandarsi camminando, un tentativo di farsi le giuste domande. Di iniziare a formulare delle possibili risposte.
Non c'è un autore. È un lavoro collettivo, tante mani, tante idee. Internet, libri, giornali, riviste, foto, dialoghi, contraddittori, liti, consenso. Trovare il consenso non è facile, anche se si è pochi. E poi ricopia, riscrivi, ripeti. Dove è la fonte? Chi l'aveva detto? Per ogni affermazione un riferimento, una verifica. Un lavoro che potrebbero e dovrebbero fare molte persone che lavorano nei gruppi che oggi vogliono costruire un'alternativa al neoliberismo. Questi gruppi riproducono invece spesso quella separazione tra pratica e teoria che vorremmo abolire. Alle volte all'interno del gruppo stesso, altre volte si formano gruppi delegati alla funzione di intellettuali o esperti della comunicazione. Ci muoviamo ancora schizofrenicamente tra pragmatismo e idealismo. In internet ci sarebbe molto ma troppa gente non lo usa, non socializza le conoscenze, se la prende con la televisione, quasi che la televisione possa mai dire qualcosa di vero, oppure nascono i mediattivisti.
Allora tutto quello che sai è falso? No, semplicemente la verità è inflazionata. Teorizzare che sull'11 settembre non ci sarà mai una verità è ciò che non vogliamo fare. La verità esiste perché alcuni fatti sono successi: a Carlo Giuliani o si è sparato intenzionalmente oppure no. Prima dell'11 settembre l'amministrazione Bush sapeva e non ha agito (o ha facilitato) oppure no. Non si potrà scoprire tutta la verità ma nemmeno mettere fin dall'inizio ogni verità sullo stesso piano. O peggio rimanere in un eterno gioco di verità. È in questo conflitto di interpretazioni che dobbiamo agire, non creare novelle di fantascienza o di fantapolitica. Affiancare tante verità è ciò che già fa questa nostra società dello spettacolo, dove ogni cosa può essere vera purché rimanga nel grande show o talkshow, nella chiacchiera insomma. Dai fatti alle spiegazioni, con metodo induttivo, siamo arrivati ai perché di troppe domande ancora senza risposte. Mettere in luce le contraddizioni delle bugie è compito essenziale per chiarire la verità. L'oscuramento di Indymedia dimostra che chi lo fa davvero rischia.
Non c'è una interpretazione. Vogliamo fare un esercizio collettivo di memoria perché anche la stampa alternativa e le discussioni politiche di sinistra rincorrono i fatti e, così facendo, dimenticano: il passato prossimo diventa passato remoto. Memoria non cronaca quindi. Un quadro in cui si abbozzano domande, percorsi aperti, non schemi per chiudere. Non sintesi. Il fatto è confuso con l'interpretazione dalla società dello spettacolo che non si chiede mai perché: ogni fatto è puro intrattenimento destinato a scomparire nel giro di pochi giorni. Compito dei mass-media è produrre uno stato di torpore delle coscienze, un vero e proprio annullamento progressivo, un senso di frustrazione, una distruzione della memoria, un nichilismo e una astensione dalla vita attiva, un azzeramento della capacità critica insita nel "perché" di ogni bambina. L'alternativa non è la Tv alternativa ma la ripresa della ricerca attiva e collettiva in prima persona, azione politica prima di qualunque teoria, diffusione dal basso, chiacchierata, dialogo, parola, discorso.
Siamo partiti dalle nostre paure e dai nostri sogni. Genova non ha finito di spaventarci e già c'era l'11 settembre. Non dimentichiamoci questo. Ci siamo chiesti se ciò che ci spaventava e svegliava nel sonno non avesse qualche ragione comune. Se questi due avvenimenti avessero in comune solo il fatto di spaventare i nostri sonni. Abbiamo interrogato i sogni belli e brutti, perché il sonno della ragione genera mostri, ma i sogni belli generano utopie e le utopie guidano l'essere umano verso la giustizia. Da svegli è meglio esercitare il pensiero affinché non ci tolgano la parola. Così siamo partiti da noi.
Abbiamo solo tradotto. Tradotto saggi, linguaggi, lingue, concetti, fraintendimenti. Nulla di originale, se non il fatto di tradurre, contaminare saperi. Perché oggi tradurre è l'attività fondamentale per creare rete, e la rete è lo strumento per erodere le sedie del potere, per fare cascare il potere. Abbiamo indicato i link, le fonti, i richiami, affinché ciascuna possa tradurre come meglio crede. Ci siamo autoprodotti affinché quest'opera di traduzione possa servire ad altre traduzioni. Sperando che passi di bocca in bocca, di mano in mano, senza distributori commerciali. Il lavoro di traduzione è come quello del ragno. Nell'attesa tessiamo, qualcuno prima o poi ci cadrà.
Vediamo zone rosse ovunque. Siamo paranoici? Oppure oggi il neoliberismo si sta imponendo al mondo? Lo stato di eccezione è la nuova norma? La guerra è la pace. Le zone rosse di Genova e dell'11 settembre valgono non solo perché ci hanno colpito direttamente, ma anche perché paradigmatiche. Pensiamo che sia dalla spiegazione di qualcosa che ci ha colpito che si debba elaborare collettivamente interpretazioni delle altre zone rosse e di quello che ci sta succedendo. C'è qualcosa che spiega le analogie tra Genova e New York? Forse il fatto che le catene legittime di comando siano saltate non ci indica qualcosa? Forse le azioni nell'ombra di polizie imperiali non sono simili nelle sempre più numerose zone rosse del pianeta?
Zone rosse. Chiusura del tribunale a Genova. Assenza di tribunale a Guantanamo. Generali sudamericani che rivendicano di aver anticipato le tecniche per combattere il terrorismo. Ricordate la tecnica della desaparicion. Irak 2004. Dubbio e memoria: il terrorismo non era di stato? Qual è il terrorismo nell'epoca della globalizzazione?
Zona rossa, un nome dato da loro. Parla la nostra controparte: chi nella Cia nega che Bin Laden sia responsabile dell'11 settembre. Parlano le voci non troppo ascoltate di chi conduce le contro-inchieste a Genova e dice che chi sparò e uccise era un soldato della polizia dell'impero, uno di quei corpi di peacekeeping. Parlano le verità nascoste o lasciate in silenzio, parlano da sole moltissimo le bugie ufficiali, che, come la saggezza popolare insegna, hanno sempre le gambe corte.
Zone rosse, confusione. "Amalgama tra civile e militare nel campo del controllo e repressione dei nuovi nemici globali". È la polizia globale. Tanta confusione, tanti nemici globali, tanta paura. E sempre più confusione tra civile e militare, polizia ed esercito. Eravamo a Genova e questa confusione la rivediamo ben peggiore oggi in Irak. Quanti carabinieri che erano a Genova, sono oggi a Nassiriya? E quanti erano in Somalia? Chi sono i tour operator?
Zona rossa, realtà globale. Realtà culturale perché è militare la cultura della sicurezza che oggi prevale in occidente e sul pianeta, quella polizia teorizzata già agli albori dello stato moderno. L'11 settembre ha conferito dignità strategica a questa cultura sicuritarista, cultura che si è affermata da almeno un decennio, quando iniziò la quarta guerra mondiale, quella del neoliberismo all'umanità. Perché il neoliberismo è essenzialmente guerra di tutti contro tutte, tentativo di distruzione dell'umanità.
Zone rosse, offuscamento. Immagini che nascondono. Bin Laden che occulta le menti. A Genova spaventati. Il terrorismo viene inventato. Diventa alibi. La Reuter fa girare l'immagine zoomata di Carlo Giuliano che attacca gli indifesi poliziotti. L'immagine nasconde l'omicidio di Carlo, le altre immagini vengono fatte sparire dai carabinieri. La Reuter però non vuole utilizzare il termine terrorismo. Per fortuna c'è sempre un filo di luce, una contraddizione che lascia spazio. Per fortuna soprattutto ci sono anche altre foto e una versione diversa dell'omicidio di Carlo Giuliani.
Zona rossa contro il terrorismo. A Mumbai non si parla di terrorismo. Qualcuno negli Usa inizia a dire che il terrorismo è stato esportato. Il terrorismo come Bin Laden in realtà non esiste. O meglio il terrorismo islamico è sempre servito e ancora serve agli interessi statunitensi in Asia. Non si tratta di opporsi alla guerra (statunitense) e al terrorismo (islamico) perché sono la stessa cosa, un fronte legale-illegale, ma sempre criminale. Non solo la stessa logica ma anche talvolta le stesse linee di comando, le stesse persone. Così come culturalmente il fondamentalismo cristiano, sionista e musulmano si alimentano a vicenda in una perniciosa spirale. Sono loro che vogliono farci credere di essere nemici, che esista uno scontro di civiltà. In realtà le guerre sono sempre più dall'alto verso il basso.
Zona rossa messa a fuoco. Tra mirini e obiettivi. Perché la cultura di polizia e il bisogno di sicurezza si produce con l'opinione pubblica che altro non è che l'effetto della messa a fuoco televisiva. La paura genera tiranni, la tirannia si nutre di paura, il neoliberismo si regge sulla paura.
Zona rossa. Un ex capo della Cia diventa presidente. Un ex capo del Kgb diventa presidente. Uno specialista della controinsurrezione è ambasciatore in Irak. Ma non era finita la guerra fredda? Un manipolo di criminali di guerra giunge al potere e istituisce tribunali speciali per rinchiudere i "combattenti illegali". I combattenti legali sopravvissuti li trovate nei parchi natura li: vengono chiamati nativi. Altri recinti, altre zone rosse. O nelle carceri: latini, neri. Carceri, internamenti di eretici e lebbrosi, manicomi. Zone rosse, la storia dell'Occidente è però anche storia di resistenza della dignità e della memoria.
Stupido che vedi la paglia nell'occhio altrui e non la trave che hai nel tuo occhio. Il fondamentalismo cristiano detta i ritmi della politica statunitense, quello sionista lo sterminio dei palestinesi. Eppure l'islamofobia regna sovrana in occidente, ogni musulmano sarebbe fondamentalista, ogni fondamentalista terrorista. Già nel XVIII secolo era chiaro il valore supremo della religione per la polizia: "perché se la religione viene osservata tutte le altre parti della polizia saranno compiute". Bush consacrò la guerra duratura "contro il terrorismo" in una cattedrale.
Zona rossa: recinzione della parola. Lo stesso ex vicepresidente della Banca Mondiale Stiglitz ammette che questo modello economico produce violenza e sembra ridire "no justice, no peace", senza giustizia sociale non c'è pace. È per la convergenza del movimento pacifista sulle critiche del movimento di Seattle che questi appunti sono stati scritti. Per contribuire ad aprire un dialogo: dal basso, tra la gente. Togliere dei recinti a luoghi comuni. Il no alla guerra è un no al neoliberismo. Il no al neoliberismo è un no alla guerra. Le alternative devono crescere insieme.
Zone rosse, storie di silenzi, omissis, bugie e omicidi di stato. Da Portella della Ginestra a Genova passando per Piazza Fontana. Le bugie e i nascondimenti mostrano che qualcosa da nascondere esiste, perché la verità può essere inflazionata dai media, ma esiste, esiste anche se in qualche porto sepolta. Tocca a noi portarla alla luce affinché la dignità che ha lottato non sia oggi morta invano. Nessun pensiero, nessuna teoria ci può aiutare a erodere il pensiero unico. È invece la contaminazione di più pensieri e di più margini. Di frammenti mossi da amore, tenera passione per la giustizia tra gli esseri umani. Pluralità, diversità, contaminazioni. Eppure per noi la scrittura collettiva ci ha riportato al dover trovare il minimo comune denominatore, a tessere. È in questo stretto necessario che passa la lotta per costruire un'alternativa.
Per i nostri figli e non per i nostri nipoti. Opporsi alla pedagogia della guerra significa riscrivere gli ambiti della nostra esperienza di vita sotto il segno di una "pedagogia della pace e della ribellione". Un profondo sforzo collettivo di decolonizzazione dell'immaginario perché i bambini e le bambine hanno diritto a divertirsi stando l'una con l'altro, a vivere a partire dai loro desideri. Gli adulti e le adulte hanno il diritto di dormire le loro notti e non di soffrire insonnie paure ed angosce, quando non fame sete e freddo. Non dobbiamo accumulare per i nostri nipoti. Le alternative sorgono da ogni ambito dell'esperienza quotidiana.