Sgrenaaparte, cosa è successo adesso che più nessuno ne parla
di Bonaventura“e quindi uscimmo a riveder le schegge” [Dante]
Rieccoci dopo le luci e gli spari, dicono di voler fare di nuovo luce: vorranno ancora sparare? Ancora una volta dopo gli spari restano solo skegge, perche' dopo nemmeno una settimana la notizia Sgrena-Calipari non e' piu' attuale. Per questo Bonaventura inizia a ragionare, segnalando le skegge piu' interessanti. Chissà magari Thomas Hobbes avrebbe utilizzato un recentissimo avvenimento di cronaca nera degli USA per spiegare la natura umana e quindi quello che succede in Irak oggi? Cosa unisce lo sparo con arma da fuoco di un bambino di quattro anni a suo fratellino di due con l'agguato a Calipari e Sgrena in Irak? Separiamo chiaramente le speculazioni dai fatti finora accertati: quindi niente cellulari misteriosi, quarti uomini, auto fotografate dal lato opposto, check point improvvisati, speculazioni su ciò che è successo mettiamole ma solo dopo i fatti certi. Solo fatti accertati, a partire dalle numerose versioni che le fonti militari statunitensi si sono sentite in dovere di dare, molte e diverse versioni sempre più precise [anche perchè la prima era veramente un po' troppo lontana dal vero].
Qui quindi trovate alcuni riferimenti a notizie di questi giorni che non riguardano strettamente l'agguato preventivo, anche perche' per ora non interessa tanto capire se l'agguato sia stato premeditato, involontario, teleguidato, militare, paramilitare, governativo, separatista, etc... o fosse un destino o un incidente; alcune cose sono già fatti. Iniziamo da questi fatti:
0. Guerra totale: in Usa bambino di quattro anni spara al fratello di due; in Irak libertà totale di operazioni coperte ai servizi segreti [liberi di spararsi tra loro].
1. Le svariate versioni americane dei fatti [cosa avranno da nascondere se e' stato un incidente?].
2. Congresso mondiale contro il terrorismo: Bush non e' invitato anzi gli Usa sembrano gli accusati [non è un social forum ma il club di Madrid con rappresentanti di governo e specialisti di tutto il mondo]
3. Dopo la liberazione di Sgrena, New York Times critica le regole di ingaggio che permettono di uccidere; questo mentre Bbc racconta di un video di torture di soldati, tra le atre cose si mostrano soldati in macchina che sparano per farsi largo in un paese.
4. Agguato preventivo? qualche commento in breve.
5. Le incognite di una liberazione offre una panoramica della notizia globale: questa volta è una gioranlista non embedded la più accreditata versione dei fatti nei quotidiani di tutto il mondo. Segue la tragica lista dei giornalisti – embedded e non embedded- uccisi in Irak, una serie di incidenti senza nemmeno le scuse di circostanza che hanno accompagnato l'agguato alla Sgrena.
6. E se l'obiettivo fosse il Sismi, ecco chi e perchè lo sostiene. Ipotesi su un avvertimento e la fine di una politica mal vista sul protettorato statunitense in Irak.
7. Intanto, tra le notizie vere e false dell'arresto di Al Zarkawi, considerato dai servizi occidentali come «il luogotenente» di Al Qaeda in Iraq, la resistenza irakeno lo definisce una specie di longa manus degli americani.
8. Servi dei servi. Ricordiamo le garanzie che ricevette D'Alema dagli Usa, Berlusconi sara' piu' o meno servo di D'Alema?
9. Obiettivo Sgrena-Calipari. Alcune ipotesi, tra le numerose, da indymedia e Znet. Ipotesi sull'agguato e se non e' stato un agguato, e' anche peggio…
Le skegge che riportiamo sono estratti di articoli, tutti disponibili su internet e linkati. Bonaventura si chiede se ci sara' un'inchiesta indipendente e se verranno pagati dei giornalisti per fare una vera e propria inchiesta indipendente, dal momneto che gli statunitensi ci hanno gia' preannunciato che l'esito sara' come per Abu-Ghrabi.
0° SKEGGIA: LA GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI
A quattro anni spara al fratellino di due: la loro madre aveva, come la maggioranza dei cittadini statunitensi, una pistola in casa. Per autodifesa. I due fratelli stavano litigando quando uno dei due, il più grande, ha preso la pistola dalla borsa della madre e ha sparato. Colpendo il fratello di due anni alla tempia e ferendolo gravemente. E' accaduto a Huston, nel Texas, ieri pomeriggio. La madre rischia di essere incriminata per negligenza.
[fonte: Peacereporter, 13 marzo 2005]
Il Pentagono sta promovendo un «piano globale di controterrorismo che permette a forze delle Operazioni speciali di entrare in un paese straniero per condurvi operazioni militari senza il consenso dell'ambasciatore statunitense»: la notizia, riportata in questi giorni dal Washington Post, conferma quanto sosteneva William Arkin nell'ottobre 2002, ossia che «il Dipartimento della difesa sta costruendo un esercito segreto di élite con a disposizione risorse che comprendono l'intera gamma delle capacità necessarie a condurre operazioni coperte». Un anno dopo, nel novembre 2003, il Pentagono confermava che «una forza coperta sta dando la caccia a Saddam Hussein». Nel maggio 2004, una inchiesta di The New Yorker rivelava l'esistenza di «un programma altamente segreto del Pentagono, che autorizza in anticipo l'uccisione o la cattura e, se possibile, l'interrogatorio di obiettivi "di alto valore" nella guerra al terrorismo». Sono stati reclutati a tale scopo commandos e agenti segreti, autorizzati a operare sotto falsa identità così che non siano rintracciabili. Successivamente, nel gennaio 2005, un'inchiesta del Washington Post confermava l'esistenza di una nuova branca del Pentagono, la Strategic Support Branch, che, composta di piccole squadre, opera segretamente in Iraq, Afghanistan e altri paesi sotto il diretto controllo del segretario alla difesa. Tali rivelazioni non sono frutto di eccezionali capacità giornalistiche, ma di informazioni fatte volutamente filtrare da altri settori governativi che vengono scavalcati dalle iniziative di Rumsfeld. Il Dipartimento di stato, riporta The Washington Post, ritiene pericoloso indebolire l'autorità degli ambasciatori statunitensi, i massimi rappresentanti del presidente all'estero, in quanto operazioni segrete condotte senza il loro consenso o a loro insaputa possono «complicare lo spionaggio Usa all'estero», condotto dall'apposito servizio segreto del Dipartimento di stato. Dello stesso parere è la Cia, che teme un indebolimento del ruolo dei suoi capi missione all'estero. La Cia però non sta con le mani in mano. Essa ha ricevuto dal presidente Bush una «autorità eccezionalmente espansa» che le permette di «operare in modo indipendente». Rientra in tale quadro un «programma segreto» che le dà modo di «trasferire sospetti terroristi in altri paesi per interrogarli senza l'approvazione della Casa bianca, del Dipartimento di stato o di quello della giustizia» [The New York Times, 6 marzo].
Tutto ciò complica enormemente il quadro già complesso della «Comunità dell'intelligence» statunitense, di cui fanno parte ufficialmente 17 settori statali. Non solo il Dipartimento di stato ma anche altri dipartimenti, tra cui quelli della sicurezza della patria e dell'energia, hanno propri servizi segreti. Oltre alla Cia c'è la Dia, l'agenzia di intelligence della difesa. E, oltre alla Dia, ci sono i servizi segreti dell'esercito, della marina, dell'aeronautica e del corpo dei marines. Si aggiungono a questi due agenzie di intelligence geospaziale, che raccolgono informazioni con i satelliti-spia, e l'Agenzia della sicurezza nazionale con un organico di almeno 30mila agenti. Vi è inoltre la «supersquadra» creata dall'Fbi con il compito non solo di investigare ma di catturare ovunque nel mondo coloro che sono ritenuti terroristi, o comunque pericolosi per gli Stati uniti, e di tradurli a Guantanamo e in altri luoghi di detenzione sotto giurisdizione statunitense.
Poiché all'interno di questi servizi segreti vi sono altri settori ancora più segreti, e poiché essi sono in competizione o in lotta l'uno con l'altro, può avvenire che una determinata operazione sia effettuata a insaputa degli altri o volutamente per metterli in difficoltà. Può così avvenire che perfino un ambasciatore, il massimo rappresentante del presidente all'estero, ignori le ragioni e la dinamica di una determinata «operazione speciale» condotta in nome della «guerra globale al terrorismo».
[fonte: Manlio Dinucci, Le scatole cinesi dei servizi segreti americani, Il Manifesto, 12 marzo 2005]
Hobbes notava che “i bambini a cui non dai tutto quello che vogliono piangono e si adirano, picchiano persino i genitori” e questo costiuiva per lui una delle prove più evidenti -insieme all'istinto innato di chiudere a chiave la porta di casa- dell'ostilità e diffidenza reciproca degli esseri umani: non pensava che un fratello di quattro anni potesse sparare a suo fratellino di due. Già perchè è nel quadro di questa guerra di tutti contro tutti, di questa diffidenza all'interno delle stesse forze statunitensi e dei loro molteplici apparati di sicurezza che avviene l'agguato preventivo a Calipari e Sgrena. Un nuovo quadro che permette operazioni segrete anche all'insaputa dell'amabasciatore degli stessi Usa, un altro pezzo del colpo di stato globale iniziato dopo l'11 settembre con il Patriot Act.
1° SKEGGIA: LE TANTE VERSIONI
Le versioni rilasciate dal Pentagono ai media Usa cominciano a diventare davvero troppe. Oltre una certa misura ne va della credibilità, ma forse è una regola che laggiù non vale. A caldo, pochi minuti (almeno 30) dopo la «sparatoria», le tv americane riferivano che «nel corso della liberazione» di Giuliana c'era stato «un conflitto a fuco» nel corso del quale era morto un «agente italiano». Senza altri dettagli. Insomma, poteva pensare lo spettatore yankee, c'è stato un «blitz»è andato tutto sommato bene, però ci ha rimesso la vita un altro italiano. Dura mezz'ora. La seconda versione, «ufficiale» quanto le mostrine dei portavoce del Pentagono in onda sulla Cnn, parla di «una macchina» lanciata «a grande velocità» sulla strada dell'aeroporto. Scambiata per un'autobomba quando avrebbe iniziato il sorpasso di un blindato che andava nella stessa direzione, sarebbe stata colpita «accidentalmente» dai giovani soldatini della terza divisione.
Non dura neanche questa. Nella tarda serata ne arriva una terza, ripresa da quasi tutti i media, anche italiani. Calipari «non si sarebbe coordinato con le sentinelle americane prima di partire verso l'aeroporto». I soldati Usa avrebbero «acceso i riflettori a intermittenza, poi fatto segni con le braccia» per convincere l'autista a fermarsi e infine - solo alla fine - «sparato». Insomma: italiani incompetenti che si sono comportati come il meno brillante degli aspiranti kamikaze. Ma Calipari è il vice-direttore del Sismi, capo delle «operazioni all'estero». Difficile dipingerlo come uno sprovveduto (ci crede, domenica, solo Scalfari). E l'autista è un maggiore swi carabinieri, ex capo del Sismi a Baghdad.
Così ne arriva - lunedì - una quarta. In effetti, scrive il Washington Post citando fonti militari Usa a Baghdad, i militari al posto di blocco «sapevano che un alto funzionario diplomatico sarebbe transitato» di lì a poco e «avevano l'ordine di proteggere la vettura». Tuttavia - nonostante fossero «attesi» - non ci sarebbe stato «nessun coordinamento tra gli agenti italiani e l'unità militare Usa». Italiani incompetenti, sì, ma con qualche frettolosità di troppo.
Buona questa? Macché. Ieri ne arriva una quinta, tramite un «senior officer» in Iraq sentito dalla Cnn. «La pattuglia era in attesa del passaggio dell'ambasciatore John Negroponte», neo capo assoluto di tutte le agenzie di intelligence Usa. In fibrillazione, insomma. Restiamo in attesa della versione di domani; in fondo a Hollywood non mancano certo gli sceneggiatori.
[fonte: Fr. Pi., Le tante versioni Usa sull'«incidente», Il Manifesto, 9 marzo]
L'ambasciatore avrebbe percorso la strada per l'areoporto un ora e mezza prima dell'auto dei servizi italiani con a bordo Giuliana. Ha cambiato nuovamente versione l'ambasciatore americano John Negroponte. E sta volta, guarda un po', i pezzi sembrano combaciare tutti. Dopo giorni di indiscrezioni sul tema, ieri, il suo portavoce Bob Callahan ha spiegato che la sera in cui una pattuglia americana ha aperto il fuoco contro la vettura di Giuliana l'ambasciatore stava andando in macchina verso l'aeroporto per incontrare il generale George Casey, comandante delle forze multinazionali in Iraq, proprio in una base americana vicina all'aeroporto. Negroponte non avrebbe usato l'elicottero, come normalmente fa, perché quella sera grandinava.
Una versione dei fatti tanto perfetta quanto ritardataria - è dal 7 marzo che si parla dello spostamento dell'ambasciatore Usa su quella stessa strada. Con le parole di Callahan, infatti, si chiudono tutti e tre i «buchi» di una storia che circola da una settimana.
«Il check point mobile era stato organizzato per proteggere l'ambasciatore che doveva andare a cena dal generale Casey a Camp Victory», dice il portavoce alla Reuters e aggiunge un ultimo particolare: «L'ambasciatore ha superato il check point attorno alle 19.30 e credo che la sparatoria sia avvenuta dopo». Sulla agenzia Afp, che cita la stessa fonte gli orari cambiano leggermente. L'appuntamento con Casey sarebbe stato alle 19.30, ma visto che la grandine ha imposto di cambiare il mezzo di trasporto l'arrivo a Camp Victory sarebbe stato «alle 20 ora locale [le 18 in Italia]». Che la distanza da quando la notizia della liberazione di Giuliana diventi di dominio pubblico poco importa. L'importante è che il transito di Negroponte «prima» della sparatoria e non mezz'ora dopo - come si diceva nelle due precedenti versioni - chiuda il cerchio su un particolare importante: se l'ambasciatore fosse passato dopo la morte di Calipari avrebbe trovato la strada ingombra di soldati e probabilmente dalla stessa Toyota. Di certo, dato il convoglio che lo scortava, l'avrebbero visto in molti. Invece, dice Callahan, è passato prima. Nessuno l'ha visto, come è normale che sia per un uomo tanto potente e protetto.
Il secondo «buco» riguarda il mezzo di trasporto scelto. Sono in molti a ricordare che pochi giorni dopo il suo insediamento - avvenuto il 19 aprile scorso - l'ambasciatore aveva chiesto a tutti i diplomatici americani presenti a Baghdad di muoversi nella città solo tramite elicottero e di non fare mai la «irish road» diretta all'aeroporto, perché troppo pericolosa. «Normalmente» si sarebbe mosso in elicottero, ammette Callahan. Ma vista la grandine che in quel momento cadeva su Baghdad, avrebbe scelto l'auto.
L'ultimo dubbio rimasto è sul perché i soldati abbiano sparato alla vettura su cui viaggiava Giuliana se Negroponte era già transitato. Ma questo interrogativo è stato già colmato dalle risposte a Repubblica due giorni fa. «La vita dell'ambasciatore Negroponte vale quanto quella del Presidente» è stato spiegato ai soldati, e dunque il rischio di uccidere un civile iracheno è accettato da tutti.
Per tornare verso la zona verde - il quartiere ultraprotetto dove ha sede l'ambasciata americana - l'ambasciatore avrebbe usato l'elicottero e avrebbe avuto la notizia della morte di Calipari [avvenuta alle 21 passate, ora di Baghdad] poco dopo il rientro. Callahan non specifica, però, a che ora sia avvenuto il rientro e sembra che nessuno gliene abbia chiesto conto. La notizia del passaggio di Negroponte sulla strada per l'aeroporto era stata diffusa il 7 marzo dalla Cnn. Secondo quella versione il transito sarebbe avvenuto dopo la sparatoria. Il 10 la storia era confermata su Repubblica.
[fonte: Sara Menafra, Negroponte cambia versione: cena con Casey, Il Manifesto, 12 marzo]
Una prima e puntuale ricostruzione delle diverse fonti di agenzia sul passaggio di Negroponte e' disponibile su Indymedia:
Sul curriculum di Negroponte nell'utilizzo dei peggiori sistemi di contro-insurrezione esistono svariati articoli su internet, segnaliamo le pagine di Bonaventura su “la zona rossa irakena” per alcuni riferimenti e l'articolo di “Chi è John Negroponte, ambasciatore usa in iraq” apparso su.
2° SKEGGIA: ACCUSE ALLE POLITICHE STATUNITENSI NEI CONGRESSI ANTI-TERRORISMO
In occasione del Vertice internazionale sulla democrazia, il terrorismo e la sicurezza, in corso a Madrid fino all'11 marzo, il Segretario Generale ha precisato che il Consiglio d'Europa sta attualmente elaborando nuovi strumenti giuridici per combattere il terrorismo internazionale, quali la Convenzione contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo o la raccomandazione sulla protezione dei testimoni.
Davis ha tuttavia ribadito, "è possibile assicurare la sicurezza senza sacrificare la liberta', i diritti dell'uomo e lo Stato di diritto, valori su cui si fonda il Consiglio d'Europa". Il vertice, organizzato al Club de Madrid, riunisce circa 200 esperti internazionali, a un anno dall'attentato che e' costato la vita di 190 persone nella capitale spagnola. Il Segretario Generale incontrera' la stampa venerdi' 11 marzo, alle ore 10:30, all'Hotel Westin Palace, Plaza de las Cortes, Madrid.
[fonte: Google]
Tra loro anche 23 capi di stato. Non ci saranno invece rappresentanti dell'attuale amministrazione Usa e nemmeno José Maria Aznar, che pure della lotta al terrorismo aveva fatto la sua bandiera, anche se a modo suo. Poteva essere una passerella e invece già all'inizio non mancano le critiche a George Bush. Accende la miccia, peraltro senza mai fare nomi e cognomi, l'ex presidente del Brasile Fernando Enrique Cardoso, presidente del Club di Madrid. E non è l'unico. Anche il miliardario ungherese George Soros non lesina veleno per il presidente Usa. Fuori dalla kermesse antiterrorismo la città vive in maniera disordinata l'evento. [fonte: Il Manifesto, 9 marzo 2005]
È stato il principe Felipe a mettere in moto il vertice, ma è stato Cardoso a prendere subito dopo la parola, alzando il tono. Cardoso ha accusato gli Stati uniti di indebolire la lotta al terrorismo distruggendo le Nazioni unite. Cardoso non pronuncia nomi, ma l'allusione è chiara ed è per Bush. “¿Cómo es posible que un dirigente mundial enarbole la bandera de la libertad y de la democracia diciendo que son su principal objetivo cuando al mismo tiempo impulsa políticas que desautorizan y restan fortaleza a las Naciones Unidas, el único mecanismo que tenemos para lograr un alto nivel de gobernabilidad democrática a nivel internacional. Quisiera proponer que hablemos aquí sobre acciones e instrumentos concretos que permitan aumentar la capacidad de las instituciones internacionales y que al mismo tiempo aumente su transparencia y eficacia.” [“La democrazia - continua Cardoso - non può rinforzarsi a livello nazionale per poi essere indebolita e minata a livello internazionale. Come è possibile che un dirigente mondiale inalberi la bandiera della libertà e della democrazia dicendo che è il suo principale obiettivo e allo stesso tempo dare impulso a una politica che toglie forza all'Onu?”]. Il discorso completo in spagnolo si trova:
[fonte: http://spanish.safe-democracy.org/conferencias/plenario-inaugural.html#transcripcion]
3° SKEGGIA: SOTTO ACCUSA LA CATENA DI COMANDO
Il New York Times nell' editoriale pubblicato l'8 marzo sotto il titolo Rules of Engagement: «Forse la cosa peggiore, a proposito del ferimento della giornalista Giuliana Sgrena e l'uccisione del funzionario dell'intelligence italiana che le ha fatto da scudo, è che questo attacco non è unico», si legge. L'editoriale cita il caso avvenuto lo scorso 18 gennaio vicino a Mosul, dove una pattuglia americana ha crivellato di colpi un veicolo che non si era fermato al segnale di stop: finiti gli spari, dall'auto ormai ferma veniva il suono di pianti e singhiozzi e quando i soldati hanno aperto le portiere posteriori sei bambini, il più piccolo di otto anni, sono caduti sulla strada cosparsi di sangue. I loro genitori erano morti, sui sedili davanti, il padre con il cranio sfondato dai colpi. L'episodio è stato documentato da un fotografo, Chris Hondos, che viaggiava con la pattuglia [un fotografo «embedded»: è stato prezioso]. «Di ritorno alla base, il comandante della compagnia ha detto ai soldati che ci sarebbe stata un'inchiesta, ma che loro avevano seguito le regole d'ingaggio». Casi come questi «sono uno spaventoso promemoria dei costi umani della guerra americana all'Iraq e dell'occupazione che ne è seguita», scrive il giornale newyorkese: i civili iracheni devono continuamente «temere di essere scambiati per guerriglieri da nervosi soldati americani, a cui viene detto di sparare prima, fare domande dopo». «Ma a ogni nuovo civile che viene ucciso dal fuoco americano il costo umano sale [...] questi incidenti danneggiano ulteriormente la traballante immagine degli Stati uniti all'estero». Insomma, il punto sono le regole d'ingaggio, che permettono ai soldati di sparare ogni volta che hanno ragione di credere di essere in pericolo [ma non vengono pubblicizzate, scriveva il Nyt il giorno prima: così che i civili non sanno bene come devono comportarsi per non farsi sparare]. Il Nyt conclude tirando in causa «coloro che stanno in cima alla catena di comando - quelli che scrivono le regole d'ingaggio».
[fonte: Marina Forti, Il Manifesto 9 marzo; cf. il medesimo articolo è presentato in Italia anche da Sbancor: per leggere l'editoriale del New York Times]
4° SKEGGIA: AGGUATO PREVENTIVO, BREVE COMMENTO DAL MANIFESTO
Ma fra il crimine deliberato e l'incidente ci sono una gamma di altre possibili opzioni (compresi gli ostacoli che gli americani frappongono al riscatto degli ostaggi). Il termine «incidente» fa infatti pensare a un fortuito infortunio, una assurda casualità, un evento inaspettato e non aspettabile, un «chissà come è potuto accadere». Così non è in questo caso; e questo già lo sappiamo. Sull'auto che trasportava Giuliana e i due agenti del Sismi - già oltre i check point, ad andatura moderata, segnalata alle autorità Usa - i militari americani hanno sparato perché in Iraq sparano - per colpire chi è a bordo e non alle ruote - come facessero il tiro al piattello. Per la suprema arroganza di occupanti, per il disprezzo della vita umana che sempre accompagna le legioni imperiali. E' questo atteggiamento ad essere deliberato ed è la cifra - centinaia ma forse migliaia - di altri disgraziati sconosciuti, per lo più iracheni, che sono stati ammazzati nello stesso modo, a impedire di definire quanto è accaduto «un incidente».
[Castellina, Il manifesto, 8 marzo]
5° SKEGGIA: VERSIONI DEL PENTAGONO E DI UNA GIORNALISTA COMUNISTA A CONFRONTO NEI MEDIA DEL MONDO
7 mar 2005 - Gli articoli e i commenti della stampa di tutto il mondo dopo la liberazione di Giuliana Sgrena e la morte di Nicola Calipari. Mentre Libèration definisce "ingiustificabile" il comportamento dei soldati statunitensi, Die Welt trova incomprensibile la rabbia degli italiani.
"Le forze statunitensi sparano conto l'auto che trasporta la giornalista italiana liberata". La notizia è apparsa subito sul sito del New York Times, sull'edizione cartacea e nelle ore successive sulle prime pagine dei principali quotidiani statunitensi. Sabato il Los Angeles Times apriva con la notizia che "Giuliana Sgrena è ferita e un agente dei servizi segreti è stato ucciso a un blocco stradale", mentre il Washington Post guardava già con preoccupazione alla polemica che stava per esplodere: "Il premier italiano chiede spiegazioni agli Stati Uniti". Anche domenica il quotidiano di Washington ha dedicato l'apertura alla liberazione della giornalista italiana, spiegando che "per gli italiani la sparatoria contro l'auto che trasportava l'ex ostaggio è ingiustificata".
El País ha descritto nel dettaglio gli avvenimenti, dando grande rilievo alla notizia dell'indagine per omicidio aperta dalla procura di Roma contro i soldati statunitensi: "Il racconto della giornalista liberata si scontra con la versione degli Stati Uniti", recita uno dei titoli del quotidiano spagnolo. Da Le Monde al Wall Street Journal, dal Times al Financial Times, sono molte le cronache dei corrispondenti a Roma che hanno visto migliaia di cittadini rendere omaggio a Nicola Calipari nella camera ardente allestita al Vittoriano.
Su Libération la foto della bara di Calipari occupa la prima pagina di lunedì, mentre sabato era il volto di Giuliana Sgrena ad aprire il quotidiano. Patrick Sabatier firma un editoriale intitolato "Ingiustificabile": "Gli Stati Uniti hanno troppo mentito in passato perché oggi si possa accettare la loro versione dei fatti senza un'indagine ineternazionale. Ciò che è accaduto è tanto più grave perché è solo un esempio dei troppi atti di violenza di cui i civili iracheni sono vittime".
L'editoriale del Mundo s'intitola "Le incognite di una liberazione": "L'incidente ha fatto aumentare la sfiducia dei cittadini italiani – profondamente pacifisti e da sempre poco favorevoli all'alleanza tra Bush e Berlusconi – verso gli Stati Uniti. Se la folla che due settimane fa chiedeva la liberazione di Giuliana Sgrena ha finito col trasformarsi in una voce contro la presenza delle truppe italiane in Iraq, questo sfortunato incidente minerà ulteriormente la politica estera dell'attuale governo e la sua traballante posizione di fronte all'elettorato".
Anche la tedesca Tageszeitung vede un Berlusconi in difficoltà: "Calipari sarà anche stato vittima della follia che si vive ogni giorno in Iraq", ma lo stesso premier italiano è vittima dei colpi sparati dagli americani. "Adesso deve prendere i dovuti provvedimenti nei confronti degli Stati Uniti per evitare l'imbarazzante impressione che l'Italia non sia tanto un paese alleato quanto un subalterno". Ben diversa la lettura del conservatore Die Welt, che trova incomprensibile la rabbia degli italiani per la morte di Calipari: "La verità è probabilemente tanto semplice quanto insoppoertabile: le truppe statunitensi non erano state informate in tempo dell'arrivo della Sgrena".
[fonte: Attualità di Internazionale, Le incognite di una liberazione, http://www.internazionale.it]
9 Mar 2005 Roma,
• 9 Marzo 2005. L'attacco armato alla vettura sulla quale viaggiava Giuliana Sgrena, e che è costato la vita a Nicola Calipari, verrà con tutta probabilità archiviato come "accident". L’ennesimo assassinio fortuito, destinato a ingrossare la lista di quelli impuniti. Una lista, che solo per quanto riguarda i giornalisti fatti segno da colpi di arma da fuoco da parte delle truppe Usa in questa sporca guerra irakena, è impressionante...
[all'interno la lista degli "incidenti"]
• 22 marzo 2003. A due giorni dall’inizio della guerra un elicottero usa colpisce un’auto dell’emittente inglese ITN. L’inviato Terry Lloid, rimasto ferito, muore a bordo del bus civile che lo porta in ospedale, bombardato nuovamente dalle truppe della coalizione. Il cameraman Fred Nerac e l’interprete Hussein Osman sono tuttora introvabili. Nessuna spiegazione.
• 2 aprile 2003. Le truppe USA bombardano l’hotel Sheraton di Bassra. Nessun ferito. Gli unici ospiti erano i membri della troupe di Al Jazeera. Nessuna spiegazione.
• 6 aprile 2003. Altra bomba USA su convoglio civile. Muore l’interprete della BBC Abdurazaq Muhamed, ferito l’inviato John Simpson.
• 8 aprile 2003. Un tank americano punta il cannone e spara sull’Hotel Palestine di Bagdad che ospita 150 giornalisti. Muoiono il cameraman ucraino della Reuters Taras Potsyuk e lo spagnolo Josè Couso di Telecinco.
Contemporaneamente vengono bombardate la sede di Al Jazeera dove muore il collega Tareq Ayoub e quella di Abu Dhabi Tv (nessuna vittima).
L’esercito USA risponderà che si è trattato di un errore. L’associazione newyorkese CPJ prova invece con una propria inchiesta che i militari sapevano che quello era l’albergo dei giornalisti.
• 17 agosto 2003. Mazen Dana, uno dei più famosi cineoperatori della Reuters è ucciso da un tank americano mentre riprende alcune immagini del carcere di Abu Gharib dopo essersi presentato e aver mostrato i propri documenti. Nessuna spiegazione.
• 18 marzo 2004.Uccisi a un posto di blocco Usa a Bagdad il cameraman Ali Abdel Aziz e il reporter Ali al Khatib di Al Arabiya tv. Nessuna spiegazione.
°31 marzo 2004. Muore a Falluja il cineoperatore Burban Mohamed Mazhour che lavora per la tv americana ABC. Secondo il Washington Post è rimasto vittima di un rastrellamento USA. Nessuna spiegazione.
• 20 aprile 2004. Rimagono uccisi in circostanze mai chiarite un reporter della tv Al Iraqiya e il suo autista.
• 15 agosto 2004. Ucciso a Falluja il cameraman Hamid Abbas che lavorava per la tv tedesca ZDF a cui aveva appena annunciato di aver girato il bombardamento di una casa. • 11 settembre 2004. Ucciso da elicotteri americani il giornalista palestinese Mazen al Tomeiri, inviato della tv Al Arabiya. L’ultimo stand up con la sua morte in diretta fa il giro del mondo.
Gli elicotteri sparano sulla folla che festeggia un’azione della guerriglia che ha distrutto un blindato americano. Una vendetta contro civili che costa 15 morti e 55 feriti fra cui altri giornalisti. Nessun provvedimento.
Tutti questi “incidenti fatali” accompagnano la sepoltura ufficiale della Convenzione di Ginevra operata ufficialmente dai vertici del Pentagono nel corso della guerra in Irak . Ma sono crimini che non possono restare senza risposta.
Rilanciamo ancora una volta l’appello dell’IFJ (International Federation of Journalist ) perché la comunità internazionale intervenga a tutela della integrità fisica dei giornalisti e consideri ogni attacco nei loro confronti come un crimine di guerra. Ci uniamo anche alla recente protesta del sindacato dei giornalisti irakeni contro il varo imminente di misure restrittive della libertà di stampa da parte del governo di Bagdad.
Senza i giornalisti non si fa la democrazia e senza testimoni non si fa nemmeno la storia.
[fonte: Stefano Marcelli, "Accidents" di redazione, una breve cronologia a cura di Reporterassociati]
6° SKEGGIA: MISTERI D'ITALIA – ET OPINIONI
Questo è il risultato dell'agguato, dell'incidente, dell'errore, della fatalità, ognuno dica la sua nella vana ricerca di una verità oggettiva.La struttura Operazioni internazionali del Sismi dipendeva da Calipari e operava nel medio oriente la più complessa e difficile area di turbolenza politica e militare. In Iraq il nostro 007, senza licenza di uccidere a differenza dei suoi colleghi della Cia, agiva sfruttando le relazioni intessute durante il regime di Saddam dal Sismi in rotta di collisione con le strategie dell'amministrazione Bush e del servizio di intelligence improntata ad un netto rifiuto di trattare con la guerriglia per tentare la liberazione dei prigionieri. Pugno duro nei confronti della resistenza. Probabilmente l'intesa tra Cia e Sismi nel teatro operativo irakeno doveva rispettare la linea dura. Calipari è la variabile impazzita, per la Cia, l'uomo che preferendo trattare con la guerriglia aveva fatto saltare il patto tra gentiluomini. Troppo rumore in Italia durante e dopo la conclusione dei rapimenti contrassegnati da movimenti popolari ostili alla guerra voluta dagli USA imbarazzanti per il governo Berlusconi ritenuti eversivi per l'amministrazione Bush. La trattativa andata in porto per ottenere la consegna della giornalista, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell'indignazione degli americani, soprattutto quando quella " liberazione" seguiva di pochi giorni la clamorosa marcia dei 500 mila di Roma. Calipari sopravanzava per abilità pragmatica i suoi " colleghi" della Cia ma soprattutto il suo agire, muoversi, nel caos della guerra irakena suscitava preoccupazioni, perché misurava troppo la sua libertà d'azione sfuggendo al controllo delle forze militari di occupazione.Appare dunque verosimile la carta giocata dalla Cia di coglier al volo l'occasione per decapitare la nostra rete operativa ricorrendo allo stratagemma dell'errore, del caso normale in un paese in guerra, come si è permesso di affermare un miserabile personaggio americano di nome Edward Luttwac. Un caso anormale e non normale per disfarsi dei nostri 007 e in particolare del capo del settore. L'obiettivo è stato raggiunto. Non solo è stato eliminato Calipari, ma è stata messa fuori gioco l'intera nostra rete operativa in Iraq. Non è pensabile una ricucitura di rapporti con la Cia dopo quanto è accaduto, perché il velo di diffidenza tra i due servizi c'è e non è rimuovibile sic et simliciter.Da notare la fretta con cui il nostro esimio ministro degli esteri si è affrettato ad invitare i cittadini italiani di evitare l'Iraq, come a dire non c'è più Calipari che può salvarvi in caso di rapimento, sempre che si riesca ad evitare il fuoco "amico".
[fonte: corsera .it, Renato Corsini, Calipari. decapitata la nostra rete di intelligence in ira, 7 marzo, http://www.corsera.it]
Uccisione di Calipari: ammesso che di attacco si sia trattato, l'obiettivo non era la Sgrena Roma, 9 marzo - Una fonte araba ha ipotizzato ad Arabmonitor che se l'episodio di Baghdad, in cui ha perduto la vita Nicola Calipari, è stato un attacco premeditato, l'obiettivo non fosse tanto Giuliana Sgrena, quanto piuttosto i funzionari del Sismi per gli ottimi rapporti che avevano saputo sviluppare nel corso degli ultimi mesi con realtà arabe e servizi di intelligence dei Paesi della regione: relazioni che potrebbero non essere state gradite da alcuni ambienti statunitensi.
[fonte: Arabmonitor]
Tra gli aspetti che gli inquirenti intendono approfondire c' è anche quello delle comunicazioni partite dalle utenze cellulari di Calipari e del maggiore dei carabinieri rimasto ferito subito dopo la liberazione della Sgrena. Al momento gli inquirenti sono in possesso del telefono cellulare di Calipari e a breve dovrebbero avere anche quello del carabiniere del Sismi: il telefonino di quest'ultimo infatti è rimasto in Iraq. Ma potrebbero esserci anche altri due cellulari sui quali, per il momento, gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo.
[fonte: Corriere della Sera, 8 marzo]
Le questioni che non tornano sono molte: La Repubblica, che si e' contraddistinta per avere dato grande spazio alle elezioni democratiche in Irak, con tanto di fotomontaggi di lunghissime file di donne alle urne, adesso brilla per la ricostruzione statunitense con tanto di foto della macchina sul lato sbagliato, come e' possibile che se ne siano accorti tutti tranne loro [quelli che han fatto foto e filamti e quelli che han dato cosi' tanto risalto] che avevano sbagliato lato?
7° SKEGGIA: AL ZARKAWI LONGA MANUS DEGLI STATUNITENSI?
Oltre a negare il pagamento del riscatto (si dice otto milioni di euro versati a un emissario ad Abu Dhabi, il governo non conferma ma neppure smentisce) i sequestratori se la prendono con il governo provvisorio iracheno, con l'America e con Abu Mussab Al Zarkawi, considerato dai servizi occidentali come «il luogotenente» di Al Qaeda in Iraq e indicato da questi mujahiddin sunniti come una specie di longa manus degli americani. E sostengono anche che Giuliana avrebbe lavorato, in passato, «per i servizi del deposto regime, ma nell'ultimo periodo ha lavorato come giornalista corretta, come abbiamo appurato con le indagini, e ha realizzato servizi equi». Insomma, i rapitori danno una mano al governo italiano sul riscatto, che è il vero tema di scontro tra Roma e Washington e forse tra le cause della morte di Calipari, e intanto gettano fango da tutte le parti, con messaggi più articolati e misteriosi dei precedenti.
Le immagini sono precedute da una specie di sigla, «Resistenza islamica in Iraq». Segue una videata con un lungo comunicato in arabo letto da una voce dotta, da predicatori: «In nome di Dio clemente e misericordioso, siamo testimoni. Li temi tutti ed hanno cuori diversi, la lotta tra di loro è tremenda», dice la voce fuori campo, adattando una massima del profeta Maometto al conflitto tra Italia e Usa.
«L'America - dice ancora l'uomo con il mitra - tradisce i suoi alleati, il serpente mangia i suoi figli. L'America ha tradito la sua alleata Italia tentando di uccidere la giornalista Giuliana. La resistenza ha saputo da fonti esclusive nel cuore dell'America che la Cia voleva uccidere la giornalista Giuliana. Il signor Abbas, responsabile dell'intelligence della resistenza, ha avvertito la giornalista qualche ora prima del suo rilascio. [...] Gli americani ambiscono a infangare la reputazione della resistenza. Le forze di occupazione uccideranno uno dei massimi esponenti dello sciismo, di cui non facciamo il nome, per mezzo del vassallo Abu Mussab Al Zarkawi», nominato senza titoli di reverenza, nemmeno sceicco. «Vogliono creare una guerra di religione tra di noi. La resistenza islamica non è responsabile del sangue versato da musulmani». L'uomo in armi cita un altra massima: «Non uccidete una donna, non uccidete un anziano, non uccidete un bambino». Poi conclude: «In base agli appelli per rilasciare i giornalisti, giunti da musulmani e non, e per andare incontro al popolo italiano che manifesta, liberiamo la giornalista Giuliana e chiediamo al popolo e ai parlamentari dell'opposizione italiana di ritirare le loro truppe dall'Iraq». E ancora: «Diciamo agli ipocriti e blasfemi dell'illegittimo governo iracheno che le mani della resistenza, attraverso i soldati di Dio, possono sempre raggiungere le loro teste».
[fonte: Alessandro Mantovani, Il Manifesto, 9 marzo]
8° SKEGGIA: SERVI DEI SERVI, LE ULTIME PAROLE FAMOSE DA D'ALEMA A BERLUSCONI, IL SERVILISMO ITALIANO AGLI USA NON HA LIMITI.
Riportiamo la nota dell'editoriale di Carlo Gubitosa e Alessandro Marescotti “Giustizia per Nicola Calipari, giustizia per l'Iraq”, 6 marzo 2005.
Dopo la tragedia del Cermis del 1998, quando in val di Fiemme un aereo statunitense tranciò i cavi della funivia provocando venti morti, uno dei quattro piloti, il navigatore Chandler P. Seagraves, è stato promosso da capitano a maggiore nel 2003. Il 10 marzo 1999, dopo l'assoluzione dei militari coinvolti nella strage, Massimo d'Alema dichiarava alla Camera dei Deputati che "Ho sottolineato, nel corso del colloquio con il Presidente Clinton, l'esigenza irrinunciabile che eventuali responsabilità superiori a quelle finora indagate possano venire accertate prontamente, con il massimo di completezza. [...] L'adesione convinta del Presidente degli Stati Uniti a questa nostra richiesta significa che i nostri due governi convengono che le responsabilità della tragedia debbano essere accertate in tutta la loro interezza, senza alcuna zona d'ombra. [...] Per questo complesso di ragioni non intendo commentare nel merito il verdetto della Corte marziale statunitense che lo scorso 4 marzo ha prosciolto da ogni accusa il pilota dell'aereo". Oggi abbiamo Berlusconi nel ruolo di chi chiede di accertare le responsabilita', e domani ricoprira' volentieri anche il ruolo di chi si asterra' dal commentare eventuali sentenze assolutorie.
9° SKEGGIA: ALCUNE IPOTESI, E SE NON E' STATO UN AGGUATO, E' ANCHE PEGGIO…
Tra le numerose ipotesi ne segnaliamo alcune.
Un articolo di Jerry Fresia sulla vicenda di Giuliana Sgrena e Nicola Calipari dal titolo “Targeting Giuliana”: e' la voce di un ex agente dei servizi segreti statunitensi che spiega come non fosse possibile che gli statunitensi non sapessero. E' apparso su: Counterpunch e Zmag. E' stato tradotto in Italia su Indymedia:
Su Indymedia sono apparsi molti commenti. Segnaliamo la ricostruzione che ci sembra piu' interessante (si sconsiglia la lettura dei commenti): “Come potrebbe essere andata, III parte, qualche ulteriore e avventurosa congettura, diversa, inevitabilmente, dalle precedenti. ” Sulla base delle notizie di agenzie pervenute, l'autore Militant X azzarda ragionevoli congetture. Prende per vere dichiarazioni che evidentemente potrebbero non esserlo. Ed e' vero che nell'ipotizzare questi scenari non esclude affatto la possibilita' del "terribile errore" ma la sua ricostruzione si concentra sull'eventualita' e sugli elementi che potrebbero spingere verso la tesi dell'agguato.
“Il dibattito sul doposequestro di Giuliana Sgrena” di Red Link. Si tratta di un “Un contributo, anche in vista del prossimo 19 Marzo, sulla vicenda politica del dopo sequestro di Giuliana Sgrena”. Una posizione ferma che condanna “le regole di ingaggio” come regole naziste di represione della popolazione e evita di concentrare gli sforzi sulla dicotomia agguato o incidente. Il titolo e' eloquente: “Se non e' stato un agguato, e' anche peggio…”
Sulle accuse al fatto ritenuto normale e sui molti retroscena del se non fosse un agguato e' anche peggio, si veda anche il numero di questa settiamna di Internazionale, “Checkpoint Baghdad”: gli incidenti ai posti di blocco in Iraq sono frequenti, ma secondo i soldati americani si tratta di disgrazie inevitabili perché questa è una guerra del bene contro il male e perché non rischiano di essere puniti. Internazionale propone un’analisi di David Rieff; “Soldati sotto stress”: in guerra i militari passano giornate intere senza dormire. Per resistere ricorrono spesso a sostanze eccitanti, con molti effetti collaterali; “Fuoco amico”: gli spari degli americani hanno ucciso Nicola Calipari, ma hanno colpito anche Berlusconi.
La Cina e' vicina. la Cina si sa e' l'obiettivo della guerra infinita, medaiticamente presentata come guerra al terrorismo: forse che gli Usa hanno messo in conto di non vincerla mai. Due giorni dopo l'11 settembre la Cina entra nel Wto. Ora all'interno dei neocons iniziano le prime divisioni, sul Foreign Affairs escono articoli che optano per un pacato e morbido ritiro, mentre si aprono le divisioni tra i falchi tra realisti e non: i contenziosi vanno per l'appunto dall'Irak alla Cina. Quanto dipende ormai l'economia statunitense da quella cinese, e quanto sono in realta' competitive.
Checkpoint Baghdad non e' che un pezzo di questo enorme risiko in cui per fortuna o sfortuna le armi sono solo una delle possibili strategie di dominio.