Sfregio americano, paga l’Italia
Il risarcimento di 5 mila euro sarà versato dal nostro ministero della Difesa
(d. n.) Se a causare il danno è un militare americano, a pagare è lo stato italiano. Lo dicono le clausole dei trattati internazionali della Nato che risalgono agli anni Cinquanta e la circostanza è emersa ieri nel processo a carico di un ex parà della Ederle, ritenuto colpevole di aver sfregiato con un pugno una vicentina. I 5.200 euro che il collegio presieduto da Giuseppe Perillo (giudici Giovanni Biondo e Stefano Furlani) ha accordato come risarcimento danni a favore di Marilisa Molini, 34 anni, artigiana di Vicenza, il suo legale, l’avv. Antonio Ferretto, dovrà chiederli al ministero della Difesa.
La vicenda giudiziaria che si è conclusa ieri in aula si riferiva ad un episodio avvenuto l’8 luglio di quattro anno fa alla discoteca “Nordest” di Caldogno. Gessica Glorioso fu assalita da una americana e l’amica Marilisa intervenne per dividerle. A sua volta la seconda fu aggredita da un’altra ragazza e cadde in pista. Quando si rialzò fu colpita in maniera violenta e improvvisa da Geoffrey Morehead, 27 anni, all’epoca parà in servizio alla Ederle (nella foto) e da tempo congedato e tornato negli Usa. In seguito al pugno in fronte la donna subì un taglio suturato con 5 punti perché il militare indossava un anello piatto, il cui spigolo provocò uno sfregio permanente di 3 centimetri sopra il naso. «Non si tratta di un segno deturpante - ha riferito l’avvocato di parte civile - perché la mia assistita è una donna di bella presenza, ma certo lei ne avrebbe fatto volentieri a meno, anche se non si tratta di una ferita che le ha creato problemi in ambito lavorativo».
Morehead, assistito d’ufficio dall’avv. Katia Doppieri, è stato condannato a sei mesi di reclusione. La pena è stata sospesa ma comunque l’americano è da tempo lontano dall’Italia.
Prima di arrivare alla sentenza di primo grado Molini ha dovuto penare non poco. Perché, come avviene di frequente nei casi in cui sono coinvolti militari americani - basti pensare al Cermis - il dipartimento di giustizia degli Usa aveva avanzato una richiesta di declinatoria di giurisdizione, una sorta di ricusazione dei giudici italiani, chiedendo che Morehead comparisse davanti ad un tribunale a stelle e strisce. Il ministero della Difesa aveva chiesto un parere alla procura di Vicenza, ma il pm Paolo Pecori, sentita la corte d’Appello, si era opposto e per questo il parà è stato giudicato in contrà S. Corona. In aula era presente il pm Angela Barbaglio.
«Gli accordi prevedono che l’indennizzo del danno venga versato dal ministero italiano - ha riferito Ferretto - che ha creato un fondo apposito, che ogni anno viene alimentato». Oltre al risarcimento, lo stato dovrà rifondere anche le spese legali sostenute dall’artigiana, che finora non aveva visto un quattrino perché il ministero aveva subordinato il pagamento al fatto che venisse accertata la responsabilità del militare statunitense. Ora Molini dovrà aspettare che la sentenza venga depositata (il collegio lo farà in 45 giorni). Se tutto andrà per il meglio, quanto le spetta le arriverà fra la primavera e l’estate prossima.
Trincea anti-nomadi, ancora discussioni
Intanto in città girano le stesse carovane
(e. m.) Il solco sta lì, a ricordare a chi mai l’avesse scordato la linea dura intrapresa dall’amministrazione scledense contro le carovane nomadi. Sta lì, 200 metri di lunghezza e 60 centimetri di profondità, ma non scoraggia i destinatari del provvedimento che ha diviso il Paese. Il fossato ha precluso l’accesso in un’area presa di mira da tempo, ma le famiglie nomadi si sono limitate a spostarsi di poche centinaia di metri. Un paio di chilometri al massimo e la questione si dibatte anche in seno ai circoli culturali.
Zona industriale, area piscine, lungo argine della Roggia maestra: la polizia locale monitora costantemente gli spostamenti ma nulla è realmente cambiato. Nel territorio scledense girano le medesime carovane di un mese fa e i cittadini non smettono di far arrivare proteste di vario genere alle forze dell’ordine. Dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che il problema è complesso e sfaccettato e non si ferma là dove le ruspe hanno lasciato un segno profondo.
Ultimi in ordine di tempo a prendere posizione sul tormentone-nomadi i soci del Circolo culturale “Rilanciamo Schio”, che, in occasione dell’ultima riunione hanno invitato Marco Tolettini, presidente dell’Ater vicentina e coordinatore cittadino di Forza Italia. Dal dibattito, a tratti serrato, sono emerse le reali difficoltà di trovare adeguate soluzioni al problema di integrazione perché, in virtù delle loro tradizioni, i nomadi non riuscirebbero ad accettare le regole del paese che li ospita.
Ha detto Tolettini che «la cultura vicentina è ossequiosa delle regole etiche, morali, igieniche e consapevole dell’importanza dell’istruzione nella nostra società sempre più in trasformazione, mentre gli usi e costumi dei nomadi sembrano disconoscere queste regole fondamentali».
Dal punto di osservazione dell’Ater, Tolettini ha rilevato inoltre come «i tentativi di assegnazione di case popolari fatti finora a livello regionale sono sostanzialmente falliti, perché l’inserimento di questi nuclei familiari negli edifici ha creato problemi di convivenza insopportabili. Il residente di origine nomade, di fatto, diviene fonte di attrazione di altre carovane del clan, trasformando gli spazi circostanti in una sorta di campo nomadi».
Il presidente del circolo, Vittorgiulio Jorizzo ha quindi ricevuto mandato dai soci di inviare al sindaco una lettera per illustrare la posizione dell’associazione culturale, «auspicando - sottolinea Jorizzo - che non siano prese iniziative rivolte alla costruzione di campi nomadi, anche se fatti passare diplomaticamente sotto forma di piazzole di sosta temporanea».