Ammazzare il tempo
di John Zerzan
La dimensione del tempo
ultimamente sta ricevendo grande attenzione a
giudicare dal numero di film incentrati su questo tema, come Ritorno al
futuro, Terminator, Peggy Sue si è sposata ecc. A Brief History
of Time di Stephen HawkIngs (1989) è stato un best-seller ed
è diventato, cosa ancora più sorprendente, un popolare
film. Notevole, oltre al diversi libri sul tempo, è il numero
ancora più alto di quelli che in realtà non ne parlano,
ma che comunque comprendono questa parola nei loro titoli, come The
Color of Time: Claude Monet di Virginia Spate (1992). Tali riferimenti
riguardano, seppure indirettamente, l'improvvisa, angosciante
consapevolezza del tempo, lo spaventoso senso di essere legati ad esso.
Il tempo è sempre in maggior misura una manifestazione chiave
dell'insoddisfazione e dell'umiliazione che caratterizzano l'esistenza
moderna: illumina l'intero panorama deformato e lo farà in modo
sempre più pesante finché questo panorama e tutte le
forze che lo modellano non cambieranno al punto da divenire
irriconoscibili. Questo contributo all'argomento ha poco a che fare con
il fascino esercitato dal tempo su produttori cinematografici e
televisivi, o con l'attuale interesse accademico per le concezioni
geologiche del tempo, la storia della tecnologia degli orologi e la
sociologia del tempo, o con osservazioni personali e consigli su come
utilizzarlo. Né gli aspetti né gli eccessi del tempo
meritano tanta attenzione quanto la sua logica e il suo significato
intrinseco. Perché nonostante la natura inquietante del tempo
sia diventata. secondo John Michon (1988) "quasi un'ossessione
intellettuale", la società è palesemente incapace di
gestirlo. Il tempo ci presenta un enigma filosofico, un mistero
psicologico e un rompicapo per la logica. Non sorprende che,
considerando l'enorme reificazione che esso comporta, siano stati
espressi dubbi sulla sua stessa esistenza fin da quando
l'umanità iniziò a distinguere il "tempo" dai cambiamenti
visibili e tangibili nel mondo. Come disse Michael Ende (1984):
"C'è nel mondo un grande, seppure ordinario, segreto. Tutti ne
siamo a conoscenza, ognuno ne è consapevole, ma pochissimi se ne
interessano. La maggior parte di noi semplicemente lo accetta e non ci
pensa mai. Questo segreto è il tempo". Cos'è esattamente
il "tempo"? Spengler dichiarò che a nessuno dovrebbe essere
consentito chiederlo. Il fisico Richard Feynman (1988) rispose, "Non
chiedetemelo nemmeno. È semplicemente troppo difficile
pensarci". Tanto in modo empirico che teorico, i laboratori non sono in
grado di rivelare lo scorrere del tempo poiché non esiste
strumento in grado di registrare il suo passaggio. Ma perché
abbiamo una forte sensazione che il tempo scorra, ineluttabilmente ed
in una precisa direzione, se in realtà ciò non accade?
Perché questa "illusione" ha un tale potere su di noi? A questo
punto possiamo chiederci perché l'alienazione ha un tale potere
su di noi. Il passaggio del tempo è intimamente familiare, il
concetto di tempo è ironicamente elusivo, perché dovrebbe
sembrare strano in un mondo che sopravvive grazie alla mistificazione
delle sue categorie più basilari? Ci siamo conformati alla
legittimità del tempo così che ora sembra un fatto
naturale, un potere che ha pieno diritto di esistere. Lo sviluppo del
senso del tempo - l'adeguamento al tempo - è un processo di
assuefazione ad un mondo sempre più reificato. È una
dimensione costruita, l'aspetto più elementare della cultura. La
natura inesorabile del tempo fornisce il modello basilare di
dominazione. Più ci inoltriamo nel tempo, peggio diventa.
Popoliamo un'era di disintegrazione dell'esperienza, secondo Adorno. La
pressione esercitata dal tempo - e dalla sua progenitrice essenziale,
la divisione del lavoro - frammenta e disperde tutto.
Uniformità, uguaglianza, separazione sono sottoprodotti
dell'inesorabile forza del tempo. Il significato e la bellezza
intrinseci di quel frammento di mondo che non-è-ancora-cultura
si muovono stabilmente verso l'annientamento sotto un unico orologio
che comprende tutte le culture. L'affermazione di Paul Rfcoeur (1985)
"noi non siamo In grado di produrre un concetto di tempo che sia
contemporaneamente cosmologico, biologico, storico e Individuale" non
riesce a rilevare la misura in cui queste definizioni convergono. In
merito a questa "simulazione" che rafforza e accompagna tutte le forme
di prigionia, si espresse molto bene Bernard Aaronson (1972) "il mondo
è pieno di propaganda che presume la sua esistenza". La poetessa
Denise Levertov (1974) scrisse: "Qualsiasi cognizione consiste nella
cognizione del tempo", mostrando perfettamente quanto sia profonda la
nostra alienazione nel tempo. Siamo stati sottomessi al suo impero,
mentre tempo e alienazione continuano ad approfondire la loro
intrusione, il loro avvilimento della vita quotidiana. David Carr
(1988) chiese: "questo significa che la `lotta per l'esistenza consiste
nello sconfiggere il tempo?". È possibile che sia esattamente
questo l'ultimo nemico da combattere. Per affrontare questo
onnipresente, seppure fantomatico avversario, è in un certo
senso più facile dire ciò che il tempo non è. Non
è sinonimo, per ragioni piuttosto ovvie, di cambiamento. Neppure
è sequenza o ordine di successione. Il cane di Pavlov, per
esempio, deve avere imparato che il suono del campanello era seguito
dal cibo, diversamente come avrebbe potuto essere condizionato a
produrre saliva a quel suono? Ma i cani non sono coscienti del tempo,
quindi non si può dire che prima e dopo costituiscano il tempo.
In qualche modo analoghi sono i tentativi, peraltro inadeguati, di
giustificare il nostro inesorabile senso del tempo. Il neurologo Gooddy
(1988), più o meno sulla linea di Kant, lo ritrae come una delle
nostre "ipotesi subcoscienti sul mondo". Alcuni lo hanno descritto, in
modo altrettanto poco utile, come un prodotto dell'immaginazione ed il
filosofo J.J.C. Smart (1980) lo ha definito una sensazione "derivante
dalla confusione metafisica". Mc Taggart (1908), EH. Bradley (1930), E.
Dummett (1978) sono alcuni dei pensatori del ventesimo secolo che si
sono pronunciati contro l'esistenza del tempo a causa delle sue
caratteristiche logiche contraddittorie. Ma sembra abbastanza palese
che la presenza del tempo abbia cause ben più profonde della
mera confusione mentale.
"Le giornate del bambino sfuggono al tempo degli adulti, sono del tempo
gonfiato dalla soggettività, dalla passione, dal sogno abitato
di reale. Fuori, gli educatori vigilano, attendono orologio alla mano,
che il bambino entri nella danza delle ore. Essi HANNO il tempo. E il
bambino sente dapprima come un'intrusione estranea l'impostazione da
parte degli adulti del tempo loro proprio; poi finisce per soccombervi,
acconsente ad invecchiare. Ignorando tutto dei metodi di
condizionamento, si lascia prendere in trappola, come un giovane
animale. Quando, detentore delle armi della critica, vorrà
puntarle contro il tempo, gli anni l'avranno trascinato lontano dal
bersaglio. Porterà l'infanzia nel cuore come una ferita sempre
aperta."
Non esiste nulla che sia anche lontanamente simile al tempo. È
tanto innaturale e tuttavia tanto universale quanto l'alienazione.
Chacalos (1988) fece notare che presente è una nozione
sconvolgente e intrattabile quanto lo è il tempo stesso.
Cos'è il presente? Sappiamo che è sempre ora; si è
confinati ad esso in un senso importante e non si può esperire
alcuna altra "frazione" di tempo. Parliamo sicuri di altre frazioni di
tempo che chiamiamo "passato" e "futuro", ma mentre le cose che
esistono altrove nello spazio continuano ad esistere, le cose che non
esistono ora, come osservò Sklar (1992), in realtà non
esistono affatto. Il tempo necessariamente scorre; senza il suo
passaggio non ci sarebbe il senso del tempo. Qualsiasi cosa scorra,
però, scorre rispetto al tempo. Il tempo pertanto scorre
rispetto a sé stesso, che non ha alcun significato perché
nulla può scorrere rispetto a sé stesso. Non è
disponibile alcun termine per fornire una spiegazione astratta del
tempo eccetto termini in cui il tempo sia già presupposto.
È necessario mettere in dubbio tutto quanto è scontato.
La metafisica con le restrizioni che la divisione del lavoro ha imposto
fin dal suo inizio è troppo limitata per un tale compito. Cosa
provoca lo scorrere del tempo, cosa lo fa muovere verso il
futuro? Qualunque cosa sia, deve trattarsi di qualcosa oltre il
nostro tempo, più profondo e più potente, deve dipendere,
come sostenne Conly (1975) "da forze elementari continuamente attive".
William Spanos (1987) fece notare che alcune parole latine usate per
cultura non solo significano anche agricoltura o addomesticamento, ma
sono traduzioni di termini greci riferiti all'immagine spaziale del
tempo. Fondamentalmente "catturiamo il tempo", per usare il lessico di
Alfred Korzybski (1948); la specie, grazie a questa caratteristica,
crea una classe simbolica di vita, un mondo artificiale. La cattura del
tempo si rivela come un "enorme aumento del controllo sulla natura". Il
tempo diventa reale perché ha delle conseguenze, e questo
effetto non è mai stato così angosciosamente manifesto.
Si dice che nel suo profilo più scarno la vita sia un viaggio
attraverso il tempo; che sia un viaggio attraverso l'alienazione
è uno dei più pubblici dei segreti. "Lora non batte per
l'uomo felice", recita un proverbio tedesco. Lo scorrere del tempo, una
volta insignificante, è ora il battito inevitabile, limitante e
coercitivo che rispecchia l'autorità cieca. Guyau (1890)
affermò che lo scorrere del tempo costituisce "la distinzione
fra ciò che si desidera e ciò che si ha" e pertanto "il
principio del rimpianto". Carpe diem, consiglia la massima, ma la
civiltà ci obbliga sempre ad ipotecare il presente per il
futuro. Il tempo tende ad essere sempre più regolare e
universale. In base ad esso il mondo tecnologico del capitale registra
i suoi progressi e non potrebbe esistere in sua assenza. Secondo
Bertrand Russel (1929) "Limportanza del tempo [si trova] più in
relazione al nostri desideri che in relazione alla verità". II
desiderio è palpabile quanto lo è diventato il tempo
stesso e la sua negazione non può essere misurata in modo
più preciso che mediante il vasto costrutto che chiamiamo tempo.
Il tempo, al pari della tecnologia, non è mai neutrale; come
giustamente valutò Castoriadis (1991) è "sempre dotato di
significato". Tutte le considerazioni sulla tecnologia espresse da
opinionisti come Ellul si applicano infatti anche al tempo e in maniera
ancora più profonda. Entrambi i presupposti si propagano, sono
onnipresenti, basilari e in generale dati per scontati quanto la stessa
alienazione. Il tempo, al pari della tecnologia, non è solo un
fattore determinante, ma anche l'elemento dissimulatore in cui si
sviluppa la società divisa. Esso richiede che i suoi soggetti
siano scrupolosi, "realistici", seri e soprattutto dediti al lavoro.
È autonomo nel suo aspetto generale, come la tecnologia va
avanti in perpetuo per moto proprio. Come la divisione del lavoro, che
sta a monte e mette in moto tempo e tecnologia, questo dopo tutto
è un fenomeno appreso a livello sociale. Gli esseri umani e il
resto del mondo sono sincronizzati al tempo e alla sua incarnazione
tecnica, piuttosto che il contrario. L'aspetto sostanziale di questa
dimensione - come dell'alienazione di per sé - è la
sensazione di essere uno spettatore indifeso. Ogni ribelle quindi
insorge anche contro il tempo e la sua inesorabilità. La
liberazione deve comportare, in un senso estremamente fondamentale, la
liberazione dal tempo.
Il tempo e il mondo simbolico
Secondo Epicuro "il tempo è l'accidente degli accidenti".
Ad un più attento esame però la sua genesi appare meno
misteriosa. È venuto in mente a molti, infatti, che nozioni
quali "passato", "presente" e "futuro" siano più linguistiche
che reali o fisiche. Il teorico neofreudiano Lacan, per esempio,
riteneva che l'esperienza del tempo fosse essenzialmente un effetto del
linguaggio. Una persona priva di linguaggio probabilmente non
avrebbe alcun senso dello scorrere del tempo. R.A. Wilson (1980)
avvicinandosi al nocciolo della questione suggerì che il
linguaggio fosse stato introdotto dall'esigenza di esprimere il mondo
simbolico. Gosseth (1972) sostenne che il sistema dei tempi
grammaticali delle lingue indoeuropee si sviluppò parallelamente
alla consapevolezza di un tempo universale o astratto. Secondo Derrida
(1982) il tempo e il linguaggio sono contigui: "essere in uno equivale
ad essere nell'altro". Il tempo è un costrutto simbolico che ha
l'immediata precedenza, relativamente parlando, su tutti gli altri e
che ha bisogno del linguaggio per la sua realizzazione. "Lo spazio
puntuale della vita quotidiana carpisce una particella di tempo
esterno, grazie al quale si crea un piccolo spazio-tempo, unitario:
è lo spazio-tempo dei momenti, della creatività, del
piacere, dell'orgasmo. Il luogo in cui avviene tale alchimia è
infinitesimale, ma l'intensità vissuta è tale da
esercitare sulla maggior parte degli individui un fascino senza pari.
Visto con gli occhi del piacere, osservato dall'esterno, il momento
appassionato non è che un punto derisorio, un istante drenato
dal futuro al passato. Del presente come presenza soggettiva immediata,
la linea del tempo oggettivo non sa niente e non vuole sapere niente. E
a sua volta, la vita soggettiva racchiusa nello spazio di un punto - la
gioia, il piacere, le fantasticherie - vorrebbe non saper nulla dello
stillicidio, del tempo lineare, del tempo delle cose. Al contrario,
essa desidera imparare tutto sul proprio presente, poiché dopo
tutto essa non è che un presente". Paul Valéry (1960) si
riferì alla caduta della specie nel tempo come ad un segnale di
alienazione dalla natura e scrisse: "attraverso un certo tipo di abuso
l'uomo crea il tempo". Si dice spesso che nell'epoca senza tempo
antecedente la caduta, che costituisce la stragrande maggioranza della
nostra esistenza in qualità di esseri umani, la vita avesse un
ritmo ma non una progressione. Era lo stato in cui l'anima poteva
"raccogliersi nell'insieme del suo essere", nelle parole di Rousseau,
in assenza di limitazioni temporali e "in cui il tempo non significava
nulla per l'anima". Le attività, solitamente di natura
ricreativa, costituivano i punti di riferimento prima della comparsa
del tempo e della civilizzazione, la natura forniva i segnali necessari
indipendentemente dal "tempo". L'umanità deve essere stata
consapevole di avere ricordi e progetti molto tempo prima che venisse
fatta una distinzione esplicita fra passato, presente e futuro (Fraser,
1988). Inoltre, come valutò il linguista Whorf (1956), "le
comunità preletterarie (primitive) lontane dall'essere
subrazionali, possono mostrare il funzionamento della mente umana ad un
livello di razionalità più alto e più complesso
che non fra gli uomini civilizzati". La chiave di accesso al mondo
simbolico è il tempo; esso sta addirittura alle origini
dell'attività simbolica umana. Il tempo provoca così la
prima alienazione, la via che allontana dalla ricchezza e
dall'integrità originarie. Charles Simic (1971) riferisce che
"con la comparsa del linguaggio si passa dalla simultaneità
dell'esperienza alla concezione del tempo lineare". Ricercatori come
Zohar (1982) ritengono che le facoltà telepatiche e precognitive
siano state relegate alla vita simbolica nell'interesse
dell'evoluzione. Se questo può sembrare inverosimile, il sobrio
positivista Freud (1932) vedeva la telepatia come il probabile "mezzo
arcaico originario che consente agli individui di comprendersi fra
loro". Se la percezione e l'appercezione del tempo riguardano la vera
essenza della vita culturale (Gurevitch, 1976), la comparsa del senso
del tempo e la cultura concomitante rappresentano un impoverimento se
non addirittura una deformazione. Le conseguenze di questa intrusione
del tempo, attraverso il linguaggio, indicano che quest'ultimo non
è più innocente, neutrale o autentico del primo. Come
disse Kant, il tempo non solo è imprescindibile da tutte le
nostre rappresentazioni, ma proprio per questo è anche
essenziale per il nostro adattamento ad un mondo simbolico
qualitativamente ridotto. La nostra esperienza in questo mondo è
sottoposta a pressioni che ci spingono prepotentemente ad essere una
rappresentazione, ad essere quasi inconsciamente degradati in simboli e
misure. Secondo il mistico tedesco Meister Eckhart "Il tempo è
ciò che trattiene la luce dal raggiungerci". La consapevolezza
del tempo ci dà la facoltà di affrontare il nostro
ambiente a livello simbolico; il tempo non esiste al di fuori di questa
estraniazione. Mediante una progressiva simbolizzazione il tempo viene
naturalizzato, dato per scontato e quindi eliminato dalla sfera della
produzione culturale con-scia. Per dirlo In altre parole "I1 tempo
diventa umano nella misura in cui nella narrazione diventa reale"
(Ricoeur, 1984). L'apporto simbolico a questo processo costituisce un
soffocamento costante del desiderio istintivo e da questa repressione
emerge il senso del dispiegarsi del tempo. I:immediatezza viene
abbandonata e sostituita dalle mediazioni che rendono possibile la
storia - prima fra tutte, il linguaggio. Si comincia a guardare oltre
banalità come "il tempo è una qualità
incomprensibile del mondo dato (Sebba, 1991). I numeri, l'arte, la
religione fanno la loro apparizione in questo "dato" mondo, fenomeni
incorporei di vita reificata. Gurevitch (1964) suppone che la comparsa
di questi riti portò a sua volta alla "produzione di nuovi
contenuti simbolici, incoraggiando così il balzo in avanti del
tempo". I simboli, incluso il tempo naturalmente, hanno ora vite
indipendenti in questa progressione interattiva globale. The Reality of
Time and tbc Eadstence ofGod di David Braine (1988) è
esemplificativo: in esso si sostiene che è esattamente la
realtà del tempo a dimostrare l'esistenza di Dio: la logica
perfetta della civiltà. Il rito non è altro che un
tentativo di tornare attraverso il simbolismo allo stato senza tempo.
Esso tuttavia è un atto di astrazione da tale stato, un passo
falso che se ne allontana ulteriormente. L'atemporalità dei
numeri è parte di questo percorso e contribuisce ampiamente
all'elaborazione di una concezione fissa del tempo. La valutazione di
Blumenberg (1983) sembra infatti sostanzialmente corretta: "i1 tempo
non viene misurato come un qualcosa che sia sempre esistito, ma viene
invece prodotto per la prima volta dalla misurazione". Per esprimere il
tempo dobbiamo in qualche modo quantificarlo, i numeri sono quindi
essenziali. Anche dove il tempo ha già fatto la sua comparsa,
un'esistenza sociale gradatamente più divisa si avvia verso la
sua progressiva reificazione solo per mezzo dei numeri. Il senso dello
scorrere del tempo non è comune fra i popoli tribali, per
esempio, che non lo segnano con calendari e orologi. Tempo: uno dei
significati originari della parola in greco antico è divisione.
I numeri, applicati al tempo, rendono la divisione o la separazione
molto più efficace. I non civilizzati spesso considerano
"nefasto" contare le creature viventi e generalmente oppongono
resistenza all'adozione di questa pratica (vedi Dobrizhoffer, 1822).
L'intuizione dell'uso dei numeri fu tutt'altro che spontanea e
inevitabile; "già nelle prime civiltà", riferisce
Schimmel (1992), "si ha la sensazione che i numeri siano una
realtà circondata da qualcosa di simile a un campo magnetico".
Non sorprende che fra le culture antiche che possedevano un senso del
tempo molto forte - Egizi, Babilonesi, Maya - si vedano i numeri
associati a figure e divinità rituali; invero, Maya e Babilonesi
avevano entrambi divinità numeriche (Barrow, 1992). Molto
più tardi l'orologio, con il suo quadrante di numeri,
incoraggiò la società ad astrarre e quantificare
ulteriormente l'esperienza del tempo. Ogni lettura dell'orologio
costituisce una misurazione che unisce l'osservatore dell'orologio al
"flusso del tempo". E noi superficialmente ci illudiamo di sapere
cos'è il tempo perché sappiamo che ora è. Se
eliminassimo gli orologi, ci ricorda Shallis (1982), sparirebbe anche
il tempo oggettivo. Sostanzialmente, se eliminassimo la
specializzazione e la tecnologia sparirebbe anche l'alienazione. La
matematizzazione della natura costituì la base per la nascita
del razionalismo e della scienza moderna in Occidente e fu determinata
dall'esigenza di disporre di numeri e misure da applicare al tempo al
servizio del capitalismo mercantile. La continuità dei numeri e
del tempo come luogo geometrico fu fondamentale per la Rivoluzione
Scientifica, che proiettò il principio di Galileo in base al
quale occorre misurare tutto ciò che è misurabile e
rendere misurabile ciò che non lo è. Un tempo
matematicamente divisibile è necessario per la conquista della
natura e persino per i rudimenti della tecnologia moderna.
"La volontà di vivere reagisce sempre unitariamente. La maggio
parte degli individui si dedicano ad un vero détournement del
tempo a favore dello spazio vissuto. Se i loro sforzi per rinforzare
l'intensità del vissuto, per accrescere lo spazio tempo
dell'intensità non si perdessero nella confusione e noi si
frammentassero nell'isolamento, chi sa se il tempo oggettivo, il tempo
della morte, non si spezzerebbe? Il momento rivoluzionario non è
forse un'eterna giovinezza?"
Da questo punto in poi, il tempo simbolico basato sui numeri è
diventato straordinariamente reale, una costruzione astratta "estranea
e persino contraria ad ogni esperienza interiore ed esteriore
dell'essere umano" (Syzamosi, 1986). Sottoposti a questa pressione,
denaro e linguaggio, merce e informazione sono diventati sempre
più indistinguibili e la divisione del lavoro sempre più
estrema. La trasformazione in simbolo significa esprimere la coscienza
del tempo poiché il simbolo incarna la struttura del tempo
(Darby, 1982). Ancora più chiara è la formulazione di
Meerloo: "Comprendere un simbolo e la sua evoluzione significa
racchiudere in un guscio la storia umana". Il contrasto è dato
dalla vita dei non civilizzati vissuta in un ampio presente che non
può essere ridotto al singolo momento del presente matematico.
Mentre il continuo cede ora il passo ad un crescente affidarsi a
sistemi di simboli significativi (linguaggio, numeri, arte, rituali,
miti) rimossi dal momento presente, inizia a svilupparsi l'ulteriore
astrazione, la storia. Il tempo storico non è più
intrinseco alla realtà o meno imposto ad essa di quanto non lo
fossero le forme di tempo precedenti. In un contesto che diventa
gradatamente più sintetico, vengono conferiti nuovi significati
all'osservazione astronomica. Se una volta veniva perseguita per il
solo interesse nei suoi confronti, fornisce ora un mezzo per
pianificare riti e coordinare le attività di una società
complessa. Grazie alle stelle esistono l'anno e le sue frazioni quali
strumenti dell'autorità organizzata (Leach, 1954). La creazione
di un calendario è basilare per la formazione di una
civiltà. Il calendario fu il primo manufatto simbolico che
regolò il comportamento sociale in base allo scorrere del tempo.
Ne risulta non tanto il controllo sul tempo ma il suo opposto:
l'imprigionamento, da parte del tempo, in un mondo di reale
alienazione. Si può ricordare che la parola da noi usata deriva
dal latino calendae, il primo giorno del mese, giorno in cui venivano
saldati i debiti.
Tempo per pregare, tempo per lavorare
Lo stoico Crisippo diceva che "il tempo non è mai
interamente presente" mentre il concetto di tempo veniva ulteriormente
ampliato dal dogma giudaico-cristiano che prevedeva un percorso lineare
e irreversibile fra creazione e salvezza. Questa visione essenzialmente
storica del tempo è il vero nucleo della cristianità;
tutte le nozioni fondamentali sul tempo misurabile a senso unico si
possono trovare negli scritti di Sant'Agostino (V secolo). Con la
diffusione della nuova religione si rese necessaria a livello pratico
una rigida regolazione del tempo per mantenere la disciplina della vita
monastica. Le campane che invitavano i monaci a pregare otto volte al
giorno erano udite ben oltre le mura del convento e quindi una misura
della regolazione del tempo veniva imposta alla società nel suo
insieme. Secondo Marc Bloch (1940), durante l'epoca feudale la
popolazione continuò a mostrare "una grande indifferenza al
tempo", ma non è un caso che i primi orologi pubblici furono
quelli che adornavano le cattedrali occidentali. A questo proposito si
può osservare che il richiamo a ore precise di preghiera divenne
la principale esternazione del credo islamico medievale.
"Il progetto di arricchimento dello spazio-tempo vissuto passa per
l'analisi di ciò che lo impoverisce. Il tempo lineare non ha
presa sugli uomini se non nella misura in cui vieta loro di trasformare
il mondo, nella misura in cui li costringe dunque ad adattarsi. Per il
Potere, il nemico numero UNO è la creatività individuale
che si irradia liberamente"
L'invenzione dell'orologio meccanico fu una delle svolte più
importanti nella storia della scienza e della tecnologia, in
realtà di tutta l'arte e la cultura umana (Synge, 1959). Il
miglioramento della precisione offrì alle autorità
maggiori opportunità di oppressione. Uno dei primi appassionati
di elaborati orologi meccanici fu per esempio il Duca Gian Galeazzo
Visconti, descritto nel 1381 come "un posato ma astuto governante con
un grande amore per l'ordine e la precisione" (Fraser, 1988). Come
scrisse Weizenbaum (1976), l'orologio iniziò a creare
"letteralmente una nuova realtà ... che fu e rimane una versione
impoverita di quella vecchia". Fu introdotto un cambiamento
qualitativo. Anche quando non avveniva nulla, il tempo non smetteva di
scorrere. Gli eventi, da quest'era in poi, vennero inseriti in questo
involucro mobile. omogeneo, misurato oggettivamente, e questa
progressione unilineare stimolò movimenti di resistenza. I
più estremi furono i movimenti chiliastici e millenaristici che
comparvero in diverse zone dell'Europa dal XIV al XVII secolo. In
generale, assunsero la forma di rivolte contadine che miravano a
ricreare lo stato egualitario originario della natura e si opponevano
esplicitamente al tempo storico. Queste esplosioni utopiche furono
soffocate, ma residui delle precedenti concezioni del tempo
persistettero come strato "inferiore" di coscienza popolare in molte
zone. Durante il Rinascimento, il dominio del tempo raggiunse un nuovo
livello, poiché ora gli orologi pubblici suonavano tutte le
ventiquattro ore del giorno ed erano dotati di nuovi bracci per
indicare il passaggio dei secondi. Una forte sensazione della presenza
divoratrice del tempo costituì l'enorme scoperta dell'epoca e
nulla offre una migliore rappresentazione grafica della figura di Padre
Tempo. L'arte rinascimentale fuse il dio greco Crono con il dio romano
Saturno per formare la familiare e truce divinità che
rappresenta il potere del tempo, armata di una falce fatale, simbolo
della sua associazione con l'agricoltura/addomesticamento. La Danza
della Morte ed altre rappresentazioni medievali memento mori
precedettero Padre Tempo, ma il soggetto è ora il tempo
piuttosto che la morte. II XVII secolo fu il primo in cui la gente
pensò di vivere in un determinato secolo. Era ora necessario
assumere la propria posizione all'interno del tempo. The Masculine
BIrth of 7Yme (1603) e A Discourse Concernine a NewPlanet(1605) di
Rrancis Bacon abbracciarono la dimensione dell'approfondimento e
rivelarono come un elevato senso del tempo potesse servire il nuovo
spirito scientifico. "Scegliere il tempo significa risparmiare tempo",
scrisse, e "La verità è figlia del tempo". Seguì
Cartesio, che introdusse il concetto di tempo infinito. Fu uno dei
primi sostenitori dell'idea moderna di progresso, strettamente
collegata a quella di tempo lineare illimitato, idea che veniva
caratteristicamente espressa nel suo famoso invito a diventare
"possessori e dominatori della natura". L'universo meccanicistico di
Newton fu il coronamento della Rivoluzione Scientifica nel XVII secolo;
esso era radicato nella concezione di un "tempo assoluto, vero e
matematico che, di per sé e per sua natura, scorre uniformemente
senza relazione ad alcunché di eterno". Il tempo è ora il
grande dominatore che non risponde a nessuno, non viene influenzato da
nulla, è completamente indipendente dall'ambiente: modello di
autorità incontestabile e perfetto garante di alienazione
Immutabile. Nonostante l'evoluzione della scienza, la fisica classica
newtoniana rimane infatti la concezione del tempo predominante. La
comparsa del tempo astratto indipendente trova il suo parallelo
nell'emergere di una classe lavoratrice crescente, formalmente libera
ma costretta a vendere la sua forza-lavoro come un bene astratto sul
mercato. Benché già assoggettata al potere disciplinare
del tempo, prima dell'arrivo del sistema delle fabbriche questa
forza-lavoro era l'opposto del tempo sovrano: libera e indipendente
solo di nome. Secondo Foucault (1973) l'occidente da questo momento in
poi diventò una "società carceraria". Forse più
pertinente è il proverbio balcanico "Un orologio è una
gabbia". Nel 1749 Rousseau gettò l'orologio, un rifiuto
simbolico della scienza moderna e della civiltà. Più
rappresentativo dello spirito dominante dell'epoca fu tuttavia il
regalo di cinquantuno orologi a Maria Antonietta per il suo
fidanzamento. La gente osserva sempre più spesso l'orologio e
questo diviene presto uno dei primi beni di consumo durevoli dell'era
industriale. William Blake e Goethe attaccarono entrambi Newton,
simbolo del nuovo tempo e della nuova scienza, per il suo separare la
vita dal sensuale e ridurre il naturale al misurabile. L’ideologo del
capitalismo Adam Smith d'altro canto ricalcò e ampliò le
teorie di Newton sollecitando una maggiore razionalizzazione e
l'ottimizzazione dei processi routinari. Smith come Newton
lavorò sotto l'incantesimo di un tempo sempre più potente
e inesorabile per promuovere una maggiore divisione del lavoro quale
progresso oggettivo ed assoluto. I Puritani avevano proclamato la
perdita di tempo il primo e in linea di principio il più mortale
dei peccati (Weber, 1921); questo divenne, circa un secolo dopo, "Il
tempo è denaro" di Benjamin Franklin. Il sistema delle fabbriche
venne avviato dai produttori di orologi e l'orologio fu il simbolo e la
fonte dell'ordine, della disciplina e della repressione necessari per
creare un proletariato industriale. Il grandioso sistema di Hegel agli
inizi del XIX secolo annunciò la "spinta nel tempo" e
cioè lo stimolo della Storia e definì il tempo nostro
"destino e necessità". Postone (1993) fece notare che il
"progresso" del tempo astratto è strettamente legato al
"progresso" del capitalismo come stile di vita. Le onde
dell'industrialismo annegarono la resistenza dei luddisti; valutando
questo periodo in generale Lyotard (1988) affermò: "la malattia
del tempo è ora incurabile". Una società classista sempre
più complessa richiede una serie ancora più ampia di
segnali del tempo. Come fecero notare Thompson (1967) e Hohn (1984) le
lotte contro il tempo lasciarono il posto agli scontri sul tempo; la
resistenza ad essere sottomessi al tempo e alle sue esigenze
intrinseche fu in generale sconfitta e sostituita dalle controversie
sulla giusta determinazione degli orari o della durata della giornata
lavorativa (In un discorso alla Prima Internazionale [28 luglio 1868)
Karl Marx sostenne fra l'altro che l'età di nove anni fosse
quella a cui si dovrebbe iniziare a lavorare). L'orologio scese dalla
cattedrale al tribunale e al palazzo di giustizia, vicino alla banca e
alla stazione ferroviaria e infine al polso e nella tasca di ogni
cittadino perbene. Il tempo doveva diventare più "democratico"
per riuscire realmente a colonizzare la soggettività. Come
Adorno e altri avevano intuito, la sottomissione della natura esterna
ha successo solo in rapporto alla conquista della natura interna. Per
dirlo in altre parole, lo scatenamento delle forze della produzione
dipendeva dalla vittoria del tempo nella sua lunga guerra contro una
coscienza più libera. L'industrialismo portò con
sé una più completa mercificazione del tempo, il tempo in
una forma predatoria finora mai vista. Fu questo che Giddens (1981)
vide come "la chiave alle trasformazioni più profonde della vita
sociale quotidiana provocate dalla comparsa del capitalismo".
"Il tempo è una forma di percezione dello spirito, non
evidentemente un'invenzione dell'uomo ma un rapporto dialettico con la
realtà esterna, e di conseguenza una relazione subordinata
all'alienazione e alla lotta degli uomini in e contro questa
alienazione. Assolutamente sottomesso all'adattamento, l'animale non
possiede la conoscenza del tempo. L'uomo, invece, rifiuta l'adattamento
e pretende di trasformare il mondo. Ogni volta che incorre in un
fallimento nella sua volontà di demiurgo, conosce l'angoscia di
adattarsi, l'angoscia di sentirsi alla passività dell'animale.
La coscienza dell'adattamento necessario è la coscienza del
tempo che passa. Per questo il tempo è legato all'angoscia
umana. E più la necessità di adattarsi alle circostanze
prevale sul desiderio e la possibilità di cambiare, più
la coscienza del tempo prende l'uomo alla gola. Il male di sopravvivere
è forse qualcosa di diverso dalla coscienza acuta del
trascorrere nel tempo e nello spazio dell'altro, della coscienza
dell'alienazione? Rifiutare la coscienza dell'invecchiamento e le
condizioni oggettive dell'invecchiamento della conoscenza implica una
più grande esigenza di voler fare la storia, con una maggior
conseguenza e secondo i desideri della soggettività di tutti."
"Il tempo vola" dice il detto, in un mondo che dipende sempre
più dal tempo e in cui il tempo è sempre più
unificato. Un unico gigantesco orologio sovrasta il mondo e lo domina,
pervade tutto: nel suo tribunale non esiste appello. L'unificazione del
tempo a livello mondiale segna una vittoria per l'efficiente macchina
sociale, un universalismo che elimina l'individualità con la
stessa determinazione con cui i computer portano all'omogeneizzazione
del pensiero. A parte tali voli teorici, vi sono comunque numerose
prove e testimonianze in merito al ruolo centrale del tempo nella
società. In "Time - The Next Source of Competitive Advantage"
(Harvard Business Review, luglio-agosto 1988), George Stark Jr. lo
considera un elemento di cardinale importanza per l'affermazione del
capitale. "Come arma strategica, il tempo equivale a denaro,
produttività, qualità, persino innovazione". La gestione
del tempo sicuramente non è confinata alle imprese; lo studio di
Levine del 1985 sugli orologi accessibili al pubblico in sei paesi
dimostrò che la loro precisione forniva una misura esatta del
livello di industrializzazione della vita nazionale. Nel suo contributo
all'Harvard Business Review di gennaio-febbraio 1993, "Time-and-Motion
Regained", Paul Adler difende apertamente la standardizzazione e
l'inquadramento del lavoro neo-tayloristi: dietro la tanto
pubblicizzata "democrazia sul posto di lavoro" in alcune fabbriche non
vi è altro che "la disciplina tempo-e-moto e le strutture
burocratiche formali essenziali per l'efficienza e la qualità
nelle operazioni routinarfe".
La psicologia del tempo
Passando a ciò che viene comunemente chiamato psicologia,
ci troviamo nuovamente di fronte ad una delle domande fondamentali:
esiste davvero un fenomeno del tempo indipendente da qualsiasi
individuo o il tempo consiste esclusivamente nella percezione che si ha
di esso? Husserl per esempio non fu in grado di rivelare perché
nel mondo moderno la consapevolezza sembri inevitabilmente fondarsi sul
tempo. Sappiamo che le esperienze, come gli eventi di qualsiasi altro
tipo, non sono di per sé né presenti, né passate,
né future. Sotto il profilo sociologico l'interesse nei
confronti del tempo rimase scarso fino agli anni '70, mentre nella
letteratura psicologica il numero di studi sul tempo cominciò ad
aumentare rapidamente fin dal 1930 (Lauer, 1988). Il tempo è
forse la cosa più difficile da definire "psicologicamente".
Cos'è il tempo? Cos'è l'esperienza del tempo?
Cos'è l'alienazione? Cos'è l'esperienza dell'alienazione?
Se quest'ultima non fosse così trascurata, la sua
interdipendenza con Il tempo diventerebbe palese. Davies (1977)
definì il passaggio del tempo come "un fenomeno psicologico di
origine misteriosa" e concluse (1983) che "il segreto della mente
sarà risolto solo quando comprenderemo il segreto del tempo".
Poiché separano artificialmente l'individuo dalla
società, è inevitabile che psicologi e psicoanalisti come
Eissler (1955), Loewald (1962), Namnum (1972) e Morris (1983) siano
incorsi in "enormi difficoltà" nello studiare il tempo! Se non
altro, si è giunti ad alcune intuizioni parziali. Hartcollis
(1983) per esempio osservò che il tempo non è solo
un'astrazione ma anche una sensazione, mentre Korzybski (1948) aveva
già superato questo assunto osservando che "il "tempo" è
una sensazione prodotta dalle condizioni del mondo...". Arlow (1986)
riteneva che la nostra esperienza del tempo prendesse origine da
esigenze emotive insoddisfatte e che tutti nella vita "aspettiamo
Godot". Analogamente, Reichenbach (1956) definì le filosofie
antitempo, come la religione, "testimonianze di insoddisfazione
emotiva". In termini freudiani, Bergler e Roheim (1946) interpretarono
il passaggio del tempo come la rappresentazione dei periodi di
separazione generatisi nella prima infanzia. "Il calendario è
una materializzazione estrema dell'ansia della separazione". Se
informate ad un interesse critico al contesto sociale e storico, le
implicazioni poste da questi punti scarsamente approfonditi potrebbero
essere oggetto di importanti riflessioni, ma confinate alla psicologia
rimangono limitate e persino fuorvianti. Nel mondo dell'alienazione
nessun adulto può concepire o instaurare la libertà dal
tempo di cui gode abitualmente il bambino (e di cui dovrà essere
privato). L'apprendimento del concetto di tempo, fondamentale
nell'educazione, è di vitale importanza per la società.
Come spiega Eraser in modo molto persuasivo, questo apprendimento
"assomiglia in forma quasi paradigmatica ad un processo di
civilizzazione". Una paziente di Joost Meerlo (1966) "affermò in
tono sarcastico: "Il tempo è civiltà", con cui intendeva
dire che l'organizzazione e la puntualità erano le potenti armi
usate dagli adulti per imporre ai giovani la sottomissione e
l'obbedienza". Gli studi di Piaget (1946,1952) non sono stati in grado
di rivelare un senso innato del tempo, al contrario il concetto
astratto di "tempo" è particolarmente difficile per i bambini.
Non è una nozione che si acquisisce automaticamente; non esiste
un orientamento spontaneo nei confronti del tempo (Hermelin e O'Connor,
1971; Voyat, 1977). I termini "tempo" e "ordinato" (in inglese "time" e
"tidy", NAT) sono etimologicamente collegati e la nostra idea
newtoniana di tempo rappresenta un ordine perfetto e universale. Il
carico complessivo di questa pressione sempre più incalzante
è dimostrato dal numero crescente di pazienti che presentano
sintomi di ansia dovuta al tempo (Lawson, 1990). Dooley (1941)
riferì di aver "osservato che le persone con un carattere
ossessivo, a prescindere dal loro tipo di nevrosi, sono quelle che
fanno un uso più ampio del senso del tempo...". In Anality and
7Yrne (1969) Pettit sostenne in maniera convincente lo stretto
collegamento fra l'ansia e il tempo, mentre Meerloo (1966), citando il
carattere di Mussolini e Eichmann ed i risultati da loro conseguiti,
riscontrò "un chiaro collegamento fra la natura costrittiva del
tempo e l'aggressione fascista". Capek (1961) chiamò il tempo
"una colossale e cronica allucinazione della mente umana"; vi sono
davvero poche esperienze che si possano definire senza tempo.
L'orgasmo, 1'LSD, "la vita che scorre davanti agli occhi" in un momento
di estremo pericolo ... queste sono alcune delle rare, evanescenti
situazioni sufficientemente intense da eludere l'insistenza del tempo.
Marcuse scrisse (1955) che l'atemporalità è il modello
ideale del piacere. Lo scorrere del tempo d'altra parte ci incoraggia a
dimenticare ciò che è stato e ciò che potrà
essere. È il nemico dell'eros ed Il profondo alleato dell'ordine
e della repressione. In effetti Freud stabilì (1920) che i
processi mentali dell'inconscio trascendono il tempo: "...il tempo non
li cambia in alcun modo e l'idea del tempo non può essere
applicata ad essi". Pertanto il desiderio è già estraneo
al tempo. Come disse Irreud nel 1932: "Non vi è niente nell'Es
che corrisponda alla nozione di tempo; non vi è riconoscimento
dello scorrere del tempo". Maria Bonaparte (1939) sostenne che il tempo
diventa sempre più elastico e obbediente al principio del
piacere nella misura in cui allentiamo i limiti del controllo totale
sull'ego. I sogni sono una forma di pensiero fra i popoli non
civilizzati (Kracke, 1987); in passato questa facoltà deve
essere stata molto più accessibile anche a noi. I Surrealisti
ritenevano che avremmo potuto comprendere la realtà in modo
molto più completo se fossimo stati in grado di collegarla alle
nostre esperienze subconscie e istintive; Breton (1924) per esempio
proclamò l'obiettivo radicale di fondere sogno e realtà
conscia. Quando sogniamo, il senso del tempo di fatto non esiste ed
è sostituito da una sensazione di presente. Non stupisce che i
sogni, ignorando le regole del tempo, attraggano l'attenzione di coloro
che ricercano indizi liberatori e che l'inconscio, con le sue "tempeste
di impulsi" (Stern, 1977), spaventi chi fa affidamento sulla nevrosi
che chiamiamo civiltà. Norman O. Brown (1959) interpretò
il senso del tempo o la storia in funzione della repressione e
considerò che l'abolizione della repressione ci avrebbe
riscattati dal tempo. Analogamente, Coleridge (1801) riconobbe
nell'uomo dell'"industria metodica" l'origine ed il creatore del tempo.
Nella sua Critique ofCynical Reason (1987), Peter Sloterdijk richiese
il "riconoscimento radicale dell'Essenza riserve", uri autoaffermazione
narcisistica che ride In faccia alla tetra società. Naturalmente
il narcisismo è sempre stato tacciato di viziosità,
"l'eresia dell'amor proprio". In realtà ciò significava
che era riservato alle classi dominanti, mentre tutti gli altri
(lavoratori, donne, schiavi) dovevano far pratica di sottomissione e
autoannullamento (Fine, 1986).1 sintomi del narcisismo sono sensazioni
di vuoto, irrealtà, alienazione, la vita come nient'altro che
una successione di momenti, accompagnata dal desiderio di una forte
autonomia e autostima (Alford, 1988; Grunberger, 1979). Poiché
questi "sintomi" e desideri sono alquanto appropriati, non sorprende
che il narcisismo possa essere visto come una potenziale forza
emancipatrice (Zweig, 1980). Il suo bisogno di soddisfazione totale
coincide ovviamente con un individualismo sovversivo. Il narcisista
"odia il tempo, nega il tempo" (lettera all'autore, Alford 1933) e
questo come sempre provoca una dura reazione da parte dei difensori del
tempo e dell'autorità. Per esempio lo psichiatra E. Mark Stern
(1977): "Poiché il tempo inizia al di là del proprio
controllo, ci si deve conformare alle sue richieste... Il coraggio
è l'antitesi del narcisismo". Questa condizione, che certamente
può avere aspetti negativi, contiene il germe di un principio di
realtà differente, che mira al nontempo della perfezione in cui
l'essere e il divenire costituiscono un unico elemento e che comporta
implicitamente un arresto del tempo.
Il tempo nella scienza
Non sono uno scienziato, ma so che tutte le cose iniziano e
finiscono nell'eternità. L'uomo che cadde sulla terra, Walter
Tevis
La scienza, per quanto ci riguarda, non fa commenti sul tempo e
sull'estraniazione in modo altrettanto diretto di quanto non faccia per
esempio la psicologia. Ma la scienza può essere riconcepita per
far luce sull'argomento in questione, grazie ai numerosi parallelismi
fra la teoria scientifica e le questioni umane.
"Non c'è bisogno che il presente che possa essere totale. Un
punto di incredibile densità. Bisogna imparare a rallentare il
tempo, a vivere la passione permanente dell'esperienza immediata."
"Il tempo", stabilì N.A. Kozyrev (1971), "è il più
importante e il più misterioso fenomeno della Natura. La sua
nozione si trova oltre i confini dell'immaginazione". Alcuni scienziati
(per es. Dingle, 1966) hanno infatti osservato che "tutti i veri
problemi associati alla nozione di tempo sono indipendenti dalla
fisica". La scienza, e la fisica in particolare, potrebbero davvero non
avere l'ultima parola, tuttavia costituiscono un'altra fonte di
osservazioni, seppure alienata e generalmente indiretta. Il "tempo
fisico" equivale al tempo di cui siamo consapevoli? In caso contrario,
in che cosa differisce? Nella fisica, il tempo sembra costituire una
dimensione di base indefinita, un elemento tanto scontato quanto lo
è al di fuori del regno scientifico. Questo ci ricorda che come
per qualsiasi altro tipo di pensiero le idee scientifiche sono prive di
significato se si isolano dal loro contesto culturale. Esse sono
sintomi e simboli degli stili di vita che danno loro origine. Secondo
Nietzsche, tutti i testi scritti sono intrinsecamente metaforici, anche
se la scienza viene raramente vista in questa luce. La scienza si
è sviluppata tracciando una separazione sempre più netta
fra il mondo interno e quello esterno, fra il sogno e la
"realtà". Questo è stato reso possibile dalla
matematizzazione della natura, che in gran parte ha significato che lo
scienziato procede secondo un metodo che lo priva del contesto
più ampio, incluse le origini ed il significato dei suoi
progetti. Ciò nonostante, come dichiarò H.P Robinson
(1964), "le cosmologie che l'umanità ha elaborato in periodi e
luoghi diversi inevitabilmente riflettono l'ambiente fisico e
intellettuale, compresi soprattutto gli interessi e la cultura di ogni
società". Come fece notare PC. Davies (1981),1 tempo soggettivo
"possiede qualità innegabili che sono assenti nel mondo
"esterno" ma che sono fondamentali per la nostra concezione della
realtà" - principalmente lo "scorrere" del tempo. Il nostro
senso di separazione dal mondo è dovuto in gran parte a questa
discordanza. Esistiamo nel tempo (e nell'alienazione), ma il tempo non
si trova nel mondo fisico. La variabile tempo, sebbene utile per la
scienza, è un costrutto teorico. "Le leggi della scienza",
spiegò Stephen Hawking (1988), "non fanno una distinzione fra
passato e futuro". Einstein andò oltre questo principio circa
trent'anni prima; in una delle sue ultime lettere, scrisse: "La gente
come noi, che crede nella fisica, sa che la distinzione fra passato,
presente e futuro è solo uri ostinata e persistente illusione".
Ma per quanto riguarda il tempo la scienza prende parte alla
società in altri modi, e ad un livello molto profondo.
Più "razionale" diventa, più vengono eliminate le
variazioni del tempo. Per esempio la fisica teorica geometrizza il
tempo concependolo come una linea retta; la scienza non rimane quindi
estranea alla storia culturale del tempo. La fisica non prevede l'idea
di un istante presente di tempo che passa (Park, 1972). Inoltre, come
osservò Hawking, le leggi fondamentali sono completamente
reversibili se applicate alla "freccia del tempo" e oltre a ciò,
secondo Watanabe (1953) "i fenomeni irreversibili sembrano frutto della
peculiarità della nostra conoscenza umana". Ancora una volta
l'esperienza umana svolge un ruolo decisivo, persino in questo ambiente
estremamente "obiettivo". Zee (1992) si espresse in questi termini:
"Nella fisica il tempo è un concetto di cui non possiamo parlare
senza chiamare in causa in qualche misura la coscienza". Persino su
temi apparentemente semplici si riscontrano ambiguità per quanto
concerne il tempo. Per esempio, mentre la complessità della
specie più complessa può aumentare non tutte le specie
divengono più complesse, da cui J.M. Smith (1972) deduce che
è "difficile stabilire se l'evoluzione nel suo insieme abbia una
direzione". In termini cosmici, si sostiene che la "freccia del tempo"
sia indicata automaticamente dal fatto che le galassie si allontanano
l'una dall'altra. Ma sembra essere unanimemente riconosciuto che per
quanto riguarda le basi della fisica il "flusso" del tempo sia
irrilevante e privo di significato; le leggi fisiche fondamentali sono
completamente neutrali rispetto alla direzione del tempo (Mehlberg
1961,197 1, Landsberg 1982, Squires 1986, Watanabe 1953,1956, Swinburne
1986, Morris 1984, Mallove 1987, D'Espagnant 1989 ecc. ). La fisica
moderna fornisce persino contesti in cui il tempo cessa di esistere e
viceversa inizia ad esistere. Perché il nostro mondo è
asimmetrico rispetto al tempo? Perché non può andare
indietro così come va avanti? Si tratta di un paradosso in
quanto le dinamiche molecolari individuali sono tutte reversibili. Il
punto principale, su cui tornerò più avanti, è che
la freccia del tempo si manifesta man mano che aumenta il grado di
complessità in formidabile parallelismo con il mondo sociale. Il
flusso del tempo si manifesta nel contesto di passato e futuro che a
loro volta dipendono da un riferimento noto come il momento presente.
Einstein con la sua teoria della relatività ha dimostrato che
non esiste un presente universale: non possiamo dire che è ora
in tutto l'universo. Non esiste alcun intervallo fisso che sia
indipendente dal sistema a cui fa riferimento, proprio come
l'alienazione dipende dal suo contesto. Il tempo viene così
spogliato dell'autonomia e dell'obiettività di cui godeva
nell'epoca newtoniana. Nelle rivelazioni di Einstein assume un
carattere decisamente più individuale rispetto al sovrano
assoluto e universale che fu. Il tempo è relativo, dipende da
condizioni specifiche e varia a seconda di fattori quali la
velocità e la gravità. Ma se il tempo è diventato
più "decentralizzato" è anche vero che ha colonizzato la
soggettività come mai era riuscito a fare prima. Poiché
il tempo e l'alienazione sono ormai la regola in tutto il mondo, sapere
che essi dipendono da svariate circostanze non è una gran
consolazione. Il sollievo è dato dall'agire alla luce di questa
comprensione; è 1'invarianza dell'alienazione a far sì
che il modello newtoniano dello scorrere indipendente del tempo ci
domini, anche se la teoria della relatività da lungo tempo ne ha
sradicato le basi teoriche.
"Nello spazio della creazione, il tempo si dilata.
Nell'inautenticità lo spazio si accelera. A colui che
possiederà la poetica del presente capiterà l'avventura
del piccolo cinese innamorato della Regina dei Mari. Egli partì
alla sua ricerca sul fondo degli oceani. Quando ritornò sulla
terra, un uomo vecchissimo che tagliava delle rose gli disse:
<<Mio nonno mi ha parlato di un fanciullo scomparso in mare, che
portava precisamente il vostro nome>>.
La meccanica quantistica, che si occupa delle particelle più
piccole dell'universo, è nota come la teoria fondamentale della
materia. Il nucleo della teoria dei quanti segue gli altri principi
fisici fondamentali, come la relatività, nel non fare
distinzioni sulla direzione del tempo (Coveny e Highfield, 1990). Un
presupposto di base è l'indeterminismo in cui il movimento delle
particelle a questo livello è una questione di
probabilità. Insieme ad elementi come i positroni, che possono
essere considerati come elettroni che si muovono all'indietro nel
tempo, ed i tachioni, particelle più veloci della luce che
generano effetti e contesti che invertono l'ordine temporale (Gribbin,
1979; Lindley 1993), la meccanica quantistica ha sollevato questioni
fondamentali sul tempo e la causalità. Nel micromondo
quantistico, si è riscontrato che relazioni comuni acausali
trascendono il tempo e mettono in discussione l'idea stessa di ordinare
gli eventi nel tempo. Possono esistere "collegamenti e correlazioni fra
eventi molto distanti in assenza di qualsiasi forza
osegtlaleintermedio" che si verificano istantaneamente (Zohar, 1982;
Aspect, 1982). II celebre fisico americano John Wheeler ha richiamato
l'attenzione (1977,1980,1986) su fenomeni in cui l'azione intrapresa
adesso influenza il corso di eventi che sono già accaduti.
Gleick (1992) riassunse così la situazione: "Con la sparizione
della simultaneità, la sequenzialità crollava, la
causalità era sotto pressione e gli scienziati in generale si
sentivano liberi di considerare possibilità temporali che
sarebbero sembrate inverosimili alla generazione precedente". Nella
teoria dei quanti è stato fatto almeno un tentativo di eliminare
completamente la nozione di tempo (J.G. Taylor, 1972); D. Park, per
esempio, disse: "Preferisco la rappresentazione atemporale a quella
temporale". La sconcertante situazione della scienza trova
corrispondenza nella radicalità del mondo sociale.
L'alienazione, come il tempo, produce anomalie e pressioni sempre
maggiori: le questioni più importanti alla fine emergono quasi
necessariamente in entrambi i casi.
"Si tratta sempre di risolvere le contraddizioni del presente, di non
fermarsi a metà strada, di non lasciarsi distrarre, di andare
verso il superamento. Opera collettiva, opera di passione, opera di
gioco (l'eternità è il mondo del gioco dice Boheme). Per
quanto povero possa essere, il presente contiene sempre la vera
ricchezza, quella della costruzione possibile."
Nel V secolo Sant'Agostino protestava perché non comprendeva in
cosa realmente consistesse la misurazione del tempo. Einstein,
ammettendo l'inadeguatezza del suo commento, spesso definiva il tempo
come "ciò che viene misurato dall'orologio". Da parte sua, la
teoria quantistica postula l'inseparabilità dello strumento di
misura da ciò che viene misurato. Mediante un processo che
neanche i fisici sostengono di comprendere pienamente, l'atto di
osservazione o misurazione non solo rivela la condizione di una
particella, ma di fatto la determina (Pagels, 1983). Questo ha indotto
Wheeler (1984) a chiedersi, "TLtto - compreso il tempo - viene creato
dal nulla mediante atti di partecipazione dell'osservatore?". Ancora
uno straordinario parallelismo perché l'alienazione, a tutti i
livelli e fin dalla sua origine, richiede esattamente la stessa
partecipazione per la sua determinazione. La freccia del tempo - il
tempo irrevocabile, a senso unico - è il mostro che ha
dimostrato di essere più terrificante di qualsiasi proiettile
fisico. Il tempo senza direzione non è affatto tempo e Cambel
(1993) identifica le proprietà direzionali del tempo come "una
caratteristica basilare dei sistemi complessi". Schlegel (1961)
concluse che il comportamento reversibile nel tempo delle particelle
atomiche è "generalmente commutato nel comportamento di un
sistema che è irreversibile". Se non è radicato nel
micromondo, da dove arriva il tempo? Da dove arriva il nostro mondo
vincolato al tempo? Qui si delinea un'analogia provocatoria. Il mondo
su piccola scala descritto dalla fisica, con la sua misteriosa
trasformazione nel macromondo dei sistemi complessi, è analogo
al mondo sociale "primitivo" che con la divisione del lavoro si
è trasformato nella società complessa, divisa in classi
con il suo "progresso" apparentemente irreversibile. Un principio
generalmente adottato nella fisica teorica prevede che la freccia del
tempo dipenda dalla seconda legge della termodinamica (per es.
Reichenbach, 1956) in base alla quale tutti i sistemi tendono verso un
sempre maggiore disordine o entropia. Il passato è quindi
più ordinato del futuro. Alcuni promotori della seconda legge
(per es. Bolzmann, 1866) hanno trovato nell'incremento entropico il
vero significato della distinzione fra passato e futuro. Questo
principio generale di irreversibilità venne sviluppato nei
decenni centrali del XIX secolo, a partire da Carnot nel 1824, quando
lo stesso capitalismo industriale raggiunse il suo punto di evidente
irreversibilità. In questo secolo, se l'evoluzione è
stata l'interpretazione ottimistica del tempo irreversibile, la seconda
legge della termodinamica è stata invece quella pessimistica.
Nei suoi termini originali paragonava un universo ad un'enorme macchina
termica in fase di esaurimento il cui funzionamento è sempre
più soggetto all'inefficienza e al disordine. Ma come fece
notare Toda (1978), la natura non è una macchina, non si
può dire che abbia un funzionamento o che si interessi
all'ordine" o al "disordine". È difficile non cogliere l'aspetto
culturale di questa teoria e precisamente la paura del futuro del
capitale. Centocinquanta anni dopo, i fisici teorici si sono resi conto
che la seconda legge e la sua presunta spiegazione della freccia del
tempo non può essere considerata un problema risolto
(Néeman, 1982). Molti sostenitori del tempo reversibile in
natura considerano la seconda legge troppo superficiale, una legge
secondaria e non primaria (per es. Haken, 1988; Penrose, 1989). Altri
(per es. Sklar, 1985) ritengono che il concetto stesso di entropia sia
mal definito e problematico e in quanto all'accusa di
superficialità, si sostiene che i fenomeni descritti dalla
seconda legge possano essere attribuiti a particolari condizioni
iniziali ma non rappresentino la validità di un principio
generale (Davies, 1981; Barrow, 1991). Inoltre, non tutte le coppie di
eventi caratterizzate da una relazione "posteriore" fra l'uno e l'altro
presentano una differenza entropica. La scienza della
complessità (che ha un campo di applicazione più ampio
rispetto alla teoria del caos) ha scoperto che non tutti i sistemi
tendono al disordine (Lewin, 1992), tesi contraria alla seconda legge.
Inoltre, i sistemi isolati a cui non sono consentiti scambi con
l'ambiente esterno mostrano la tendenza irreversibile della seconda
legge, ma persino l'universo potrebbe non essere un tale sistema
chiuso. Sklar (1974) osserva che attualmente non è noto se
l'entropia totale dell'universo sia in aumento, in diminuzione o in
condizioni stazionarie. Malgrado tali apologie e obiezioni, si sta
sviluppando un movimento per una "fisica irreversibile" basata sulla
seconda legge, con implicazioni piuttosto interessanti. Il premio Nobel
del 1977 Ilya Prigogine sembra essere il più instancabile
difensore pubblico dell'idea che vi sia un tempo unidirezionale innato
a tutti i livelli dell'esistenza. Mentre i principi fondamentali di
tutte le più importanti teorie scientifiche sono neutri nei
confronti del tempo, Prigogine dà al tempo un'importanza
prioritaria nell'universo. Secondo la sua opinione, nonché
quella di chi ha lo stesso orientamento mentale,
l'irreversibilità costituisce un assioma primario. Nella scienza
presumibilmente non di parte, la questione del tempo è diventata
chiaramente oggetto di discussioni politiche. Prigogine (1985) in un
simposio sponsorizzato dalla Honda per promuovere progetti come
l'intelligenza artificiale sostenne: "Questioni come l'origine della
vita, le origini dell'universo o le origini della materia non possono
più essere discusse senza far ricorso
all'irreversibilità". Non è un caso che Alvin Toffier,
che non è uno scienziato ma il principale sostenitore americano
di un mondo ad alta tecnologia, si sia prodigato in un'appassionata
promozione di uno dei testi basilari della campagna pro-tempo, Order
outofchaosdi Prigoggrne e Stenger (1984). Il discepolo di Prigogine
Ervin Laszlo, in un invito a legittimare e ampliare il dogma del tempo
universalmente irreversibile, si chiede se le leggi della natura
possano essere applicate al mondo umano. In effetti risponde subito
alla sua domanda retorica (1985): "La generale irreversibilità
delle innovazioni tecnologiche domina l'indeterminatezza dei singoli
punti di diramazione e trascina il processo della storia nella
direzione che si può osservare nell'evoluzione dalle
tribù primitive agli stati moderni tecno-industriali". Che
"scienza"1 È difficile migliorare questa trasposizione delle
"leggi di natura" al mondo sociale con una descrizione del tempo, della
divisione del lavoro e della mega-macchina che annienta l'autonomia o
la "reversibilità" delle decisioni umane. Leggett (1987)
espresse il concetto perfettamente: "Sembra così che la freccia
del tempo che si manifesta nell'ambito apparentemente impersonale della
termodinamica, sia intimamente collegata a ciò che noi In
qualità di agenti umani possiamo o non possiamo fare".
Ciò che Prigogine e altri promettono al sistema dominante
è la liberazione dal "caos" mediante l'applicazione del modello
del tempo irreversibile. II capitale ha sempre regnato nella paura
dell'entropia o del disordine. La resistenza, in particolare la
resistenza al lavoro, è la vera entropia che il tempo, la storia
ed il progresso cercano costantemente di eliminare. Prigogine e Stenger
(1984) scrissero: "L’irreversibilità o è vera a tutti i
livelli o a nessuno". Tutto o niente, sempre la posta finale del gioco.
Fin da quando la civilizzazione ha soggiogato l'umanità abbiamo
dovuto vivere con la malinconica idea che le nostre più alte
aspirazioni sono forse impossibili in un mondo In cui il tempo è
in costante ascesa. Più si rimandano e allontanano i piaceri e
la tolleranza - e questa è l'essenza della civiltà -
più diventa concreta la dimensione del tempo. La nostalgia per
il passato, il fascino esercitato dall'idea di viaggiare nel tempo e
l'appassionata ricerca di una maggiore longevità sono alcuni dei
sintomi della malattia del tempo per cui non sembra esistere alcuna
cura. Come intuì Merleau-Ponty (1945) "ciò che non
trascorre nel tempo è l'intervallo di tempo". Oltre alla diffusa
antipatia generale si possono comunque segnalare alcuni esempi recenti
di opposizione. La Society for the Retardation of Time, fondata nel
1990, conta alcune centinaia di membri in quattro paesi europei. Meno
stravaganti di quanto possa sembrare, i suoi membri si impegnano ad
invertire l'accelerazione contemporanea del tempo nella vita quotidiana
per poter vivere un'esistenza più felice. Negative Theolog of
Túne di Michael Theunissen uscito nel 1991 mirava esplicitamente
a ciò che l'autore considera il nemico ultimo degli esseri
umani. Quest'opera ha generato un dibattito molto acceso nei circoli
filosofici (Penta, 1993) a causa della sua rivendicazione di una
riconsiderazione negativa del tempo. "Il tempo è l'unico
movimento adatto a se stesso in tutte le sue parti", scrisse
Merleau-Ponty (1962). Qui vediamo la pienezza dell'alienazione nel
mondo diviso del capitale. Pensiamo al tempo piuttosto che alle sue
parti ed esso ci rivela quindi la sua totalità. La crisi del
tempo è la crisi della totalità. Il suo trionfo,
apparentemente ben riconosciuto, in realtà non è mai
stato completo finché chiunque ha potuto mettere in discussione
i presupposti fondamentali della sua esistenza. Sul lago Silviplana
Nietzsche trovò l'ispirazione per Così parlò
Zarathustra. "Seimila piedi al di sopra di uomini e tempo..." scrisse
nel suo diario. Ma non si può trascendere il tempo per mezzo di
un superbo disprezzo dell'umanità, perché sconfiggere
l'alienazione che esso genera non può essere un progetto
solitario. In questo senso preferisco la formulazione di Rexroth
(1968): "l'unico Assoluto è la Comunità dell'Amore con
cui il Tempo finisce". Possiamo mettere fine al tempo? Il suo movimento
può essere visto come il campione e la misura di un'esistenza
sociale che è diventata sempre più vuota e tecnicizzata.
Avverso a tutto ciò che è spontaneo e immediato, il tempo
rivela sempre più chiaramente il suo legame con l'alienazione.
L'intento del nostro progetto di rinnovamento deve contemplare l'intera
portata di questa dominazione collettiva. La vita divisa sarà
sostituita dalla possibilità di vivere completamente e
pienamente - in assenza di tempo - solo se eliminiamo le cause primarie
di tale divisione.