Cannabis e "veleni" nella pratica sessuale tantrica della Mano
Sinistra
di Michael R. Aldrich
Diamo uno sguardo alla pratica
tantrica sadhana avanzata nel modo "eroico" (vira). Le
cerimonie della mano sinistra più pericolose solitamente hanno
inizio a mezzanotte. Tuttavia, la cerimonia del Mahanirvana Tantra (che
contiene una descrizione completa del rituale di consacrazione della
Cannabis) inizia appena prima della sera. Nella seconda metà
dell'ultimo quarto della notte, il sadhaka
si sveglia, agita via la sonnolenza, si siede sul letto e si mette
immediatamente a meditare sul suo guru sul loto dai mille petali nella
sua mente. [Segue un intricatissimo insieme di procedure preparatorie,
fra cui il
lavaggio rituale del corpo, che hanno lo scopo di concentrare il
pensiero e di focalizzare le energie del sadhaka per il rito
che sta per aver luogo. Il suo prossimo passo è quello di
consacrare alla Dea il frullato di latte di cannabis, vijaya].
Il vijaya
che utilizzerà è già preparato. I testi tantrici
non offrono ricette
per questa pozione ma assumono che gli adepti sappiano come prepararla.
A volte è solamente una piccola palla verde di bhang
inumidito
nel latte o nell'acqua; più frequentemente, almeno nell'India
contemporanea, è un delizioso frullato di latte di cannabis
saporito
con mandorle, pepe, cardamomo, semi di papavero e altre spezie. Il sadhaka
prende una ciotola di vijaya
e la colloca sulle "fondamenta", cioè il triangolo equilatero
disegnato
di fronte a lui sul terreno o sul pavimento come mandala protettivo.
Per purificare la droga e consacrarla alla sua divinità
prescelta (in
questo caso Kali), egli recita il seguente mantra per la consacrazione
del vijaya: OM, HRIM, AMRITE, AMRITODBHAVE AMRITA-VARSHINI AMRITAM
AKARSHAYA-KARSHAYA: SIDDHIM DEHI: KALIKAM ME VASHAM-ANAYA: SVAHA. In
questo mantra OM è la sillaba-germinale per il chakra in cima
alla testa; HRIM è il maya-vija,
una sillaba-germinale dell'universo fenomenico illusorio, la dea e
tentatrice shakti. AMRITA è il nettare degli dei, qui con il
significato dello stesso vijaya; SIDDHI è il "potere
occulto",
significante anche il frullato di latte di Cannabis; e SVAHA è
la frase
di chiusura di questo tipo di mantra, cioè "così sia". Il
mantra
significa: "OM, HRIM, Nettare Immortale, che si erge dal nettare, che
riversa nettare, attrai nettare ancora e ancora; conferisci su di me
potere magico; porta Kali nel mio potere; così sia". Ripetendo
in silenzio il suo mantra per sette volte, il sadhaka esegue
poi i seguenti gesti specifici (mudras) sopra alla ciotola di vijaya:
il mudra della vacca, il mudra dello yoni,
il mudra della chiamata per l'invocazione e il benvenuto, il mudra
della fissazione che fissa qualcosa nel luogo, il mudra
dell'ipostatizzazione che mette la santità in una seduta, il
mudra
dell'ostruzione che respinge le forze demoniche e il mudra del
confronto che porta l'adorante e il vijaya faccia a faccia con
la divinità. Questi gesti magici portano il potere della Dea
nella Cannabis. Lo sadhaka
medita quindi sul guru nel loto dai mille petali in cima alla sua testa
con il mantra, "AING, O Signore della Beatitudine, offro questa
libagione al piedistallo del guru, obbedienza a lui". Mentre recita
mentalmente questo mantra, l'adorante solleva la ciotola di vijaya
di fronte alla testa per tre volte con un gesto specifico per offrire
nel suo cuore il bhang
a Devi; e di nuovo solleva la ciotola cantando il mantra alla dea della
parola Sarasvati: "AING, parla, parla, O orante della parola. Tu che
porti tutta la verità sotto controllo, rimani sempre sulla punta
della
mia lingua". Egli beve quindi il vijaya dalla ciotola. Con
l'ultimo mantra l'adorante trae l'energia della Kundalini, la dea
in forma di serpente avvolto nel centro più basso del corpo,
verso il
regno di Sarasvati, la punta della sua lingua, per ricevere l'offerta
di vijaya.
Bevendo il frullato di latte egli lo sacrifica alla dea e, come ha
fatto in precedenza con acqua purificatrice, versa simbolicamente
l'offerta particolare nel ricettacolo che permea cosmicamente e da cui
è venuto. Dopo aver bevuto il vijaya si inchina al guru,
ponendo i palmi piegati sopra all'orecchio sinistro; quindi a Ganesha,
ponendo i palmi piegati sull'orecchio destro; e infine all'Eterna Dea
Primeva, ponendo i palmi piegati nel mezzo della fronte, meditando nel
frattempo sulla Dea. Ciò conclude la consacrazione e l'offerta
della Cannabis alla Dea e lo sadhaka
resta occupato sistemando gli articoli convenzionali dell'adorazione
(latte, fiori, ecc.) alla sua destra e gli articoli tantrici (vino,
ecc.) alla sua sinistra e purificandoli con spruzzi di acqua e con
mantra appropriati. Egli quindi "recinta i punti cardinali" proteggendo
quest'area con
gesti e canti in modo tale che nessuna ostruzione possa introdursi.
Quindi svolge un rito chiamato Bhuta-shuddhi, la pulizia (shuddhi)
degli elementi di cui il corpo è costituito (bhuta).
Questo è una rapida salita immaginaria, mentale, della forza
della
Kundalini dentro se stesso, guidandola progressivamente in alto, verso
i centri di energia del corpo, dissolvendo gli elementi di ogni chakra
verso il successivo centro di energia superiore. Egli pensa a "un uomo
nero arrabbiato nel lato sinistro della cavità
del suo addome della dimensione del suo pollice, con barba ed occhi
rossi, portante una spada e uno scudo, con la testa tenuta in basso,
l'immagine precisa di tutti i peccati". Questa immagine di diavolo
viene bruciata via con esercizi di respirazione, inalando attraverso la
narice sinistra per 16 volte e tenendo il respiro per 64 volte. Quindi
il corpo bruciato del diavolo è purificato o "bagnato nel
nettare"
mentre l'adorante esala per 32 volte. "Avendo così bagnato
l'intero
corpo dai piedi alla testa, egli immagina che un corpo di Deva è
entrato in lui", cioè il suo corpo è stato purificato ed
egli è sulla
strada di diventare un uomo divino. Quando la Cannabis è assunta
oralmente in alte dosi, impiega circa
un'ora prima che i suoi effetti siano completamente percepiti. Ma in
questo rito mentale del Bhuta-shuddhi si presentano i primi
effetti dell'esperienza. Questo rituale certamente aiuta nella salita
degli effetti e viceversa: bere bhang facilita la meditazione.
Lo sadhaka
non ha mangiato per 24 ore prima della cerimonia, e la "immagine del
peccato" nell'addome può avere qualcosa a che vedere con i
borbottii
interni che spesso si presentano quando uno ha mangiato una grande
quantità di bhang a stomaco vuoto. Se si immagina lo sadhaka
che inizia a percepire gli effetti della Cannabis, il resto dei riti
purificatori sono più comprensibili. Questi consistono di
numerosi tipi
di Nyasa, cioè mettere le punta delle dita e il palmo
della mano destra su diverse parti del corpo per infonderle di vita
divina. La descrizione della seconda (o "superiore") parte del rito
sarà meno
dettagliata. Essa consiste della formazione del chakra o del cerchio
degli adoranti maschio e femmina, i Shiva e le Shakti, ciascuna donna
alla sinistra del suo partner maschile. Viene adorato il luogo e lo
stesso circolo, dopo di che vengono
consacrati i cinque "M", gli articoli dell'adorazione. I vassoi
contenenti ciascun elemento sono purificati e il vino, il pesce, la
carne e il cereale secco sono posti nel centro del cerchio alla portata
dei partecipanti. Anche il capo della cerimonia e la sua shakti
solitamente siedono al centro, rappresentando la coppia divina
paradigmatica nel centro del chakra superiore della testa in ogni testa
di partecipante (il guru personale di ciascun partecipante non è
in
grado di essere presente in tutte le occasioni e così i
più autorevoli sadhaka e sadhaki devono prendere
il loro posto). Gli ingredienti dell'adorazione sono meditati e
consumati uno per uno,
con il potere divino invocato in essi con cerimonie simili a quelle per
la consacrazione del bhang. Quando lo sadhaka porta il
vino alle labbra ripete il rito trascendentalizzante che abbiamo
già visto con la bevuta del vijaya: egli porta
mentalmente l'energia della Kundalini sino alla punta della lingua e
offre la libagione alla Dea in quel luogo. Nello stato di esaltazione
indotto dalla Cannabis e dai riti di
concentrazione l'"eroe" tantrico non vede se medesimo separato
dall'oggetto dell'adorazione o dalla divinità che lo media;
piuttosto,
diventa quest'ultima. In ultima analisi, lo sadhaka
è mero veicolo mediante il quale la dea nel vino, ad esempio, si
riunisce con la dea Kundalini in se medesimo. Questo è il senso
tantrico molto speciale in cui sacrificare vino, pesce, carne o cereale
alla Dea è mangiarli. Questo rituale è ripetuto per la
consumazione dei
sacramenti tantrici. Così pure con il maithuna, la
copulazione rituale. Se la donna partner è ella medesima una sadhaki,
è passata attraverso le medesime purificazioni preparatorie
svolte
dall'uomo. Altrimenti, ella deve essere preparata in modo speciale con
certe procedure: lo sadhaka le fa il bagno, scioglie e pettina
i suoi capelli, l'adorna con profumi e la fa sedere su un letto o su un
divano purificato. Egli svolge dei Nyasa sul corpo di lei,
toccandole la fronte, gli occhi, le narici, la bocca, le braccia e le
cosce, mentre pronuncia le lettere sanscrite. Se ella non ha mai
partecipato ai cinque "M", egli si ciba della noce di betel di lei,
tocca il suo pube per un istante ed emette la più intima
sillabe-germinale della Dea, AING, per un centinaio di volte. Durante
l'atto sessuale l'adorante recita questo verso: "OM, Tu Dea
risplendente per l'offerta del dharma e del non-dharma, nel fuoco del
se, usando la mente come mestolo sacrificale, lungo la via del sushumma
(il dotto centrale del corpo yogico), io che sto ingaggiando nel
bardare gli organi di senso, costantemente offro (questa oblazione)".
Meditando continuamente sull'unicità di Shiva e Shakti e
ripetendo (mentalmente) le lettere dell'alfabeto, lo sadhaka
continua. Alla fine, il maschio "abbandona il suo sperma" con il mantra
"OM, con luce ed etere come le mie due mani, io, esultante, faccio
affidamento sul mestolo, io, che prendo dharma e non-dharma come
ingredienti sacrificali, offro (questa oblazione) amorevolmente nel
fuoco, Svaha". In effetti i testi differiscono sul fatto se l'uomo
debba "abbandonare
il suo sperma". I Buddisti istruiscono l'adorante a trattenerlo, mentre
alcuni testi induisti richiedono la eiaculazione. Ciò dipende in
parte
dalla via che lo sadhaka segue e sulla sua capacità
yogica. Il punto, in entrambi i casi, è di prolungare il
rapporto il più
possibile - di qui la recitazione continua dei caratteri sanscriti -
per costruire la tremenda energia sessuale così generata sino a
che la
coppia è circondata da un'aurea dorata infuocata, un "venire"
molto
prolungato e non specificatamente genitale, un senso di unità
divina.
Sprizzano scintille per ore in questa danza cosmica, il cervello si
scioglie e viene esperienziata la liberazione, la mahanirvana.
La maggior parte dei libri sul Tantrismo sono schivi sul ruolo della
Cannabis in questa cerimonia. Solo Bharati (1970), fra dozzine di
scrittori, ha sottolineato il tempo che trascorre fra la bevuta del vijaya
nella prima metà del rito e il culmine della cerimonia nella
seconda
metà. E' di circa un'ora e mezza, "lungo a sufficienza per
ottenere
realmente un effetto ... Ciò è molto importante nella
scena indiana,
dove il postulante spirituale deve superare enormi inibizioni
culturali" (id., p. 251). Ecco dunque un aspetto dell'uso del bhang:
è un disinibitore. Ma vi sono ragioni più profonde per il
suo uso. Quando l'adorante si sente sotto l'effetto della Cannabis,
sviluppando
attentamente attraverso riti selezionati la consacrazione dei cinque
"M", il vijaya
agisce come intensificatore dei sensi, un rafforzatore euforico della
consapevolezza. In questo scopo è essenziale alla cerimonia.
L'intera
cerimonia (sakhana) può essere svolta senza la Cannabis,
naturalmente, ma in tal caso non si tratterebbe affatto di questo rito:
sarebbe qualcos'altro, forse la via della "mano destra" o via
simbolica, come svolgere una cerimonia del peyote senza il peyote.
Tratto
da Michael R. Aldrich
Tantric
Cannabis Use in India (1977) -
Journal of Psychedelic Drugs, vol. 9, pp. 227-233.
Traduzione a cura di Giorgio
Samorini.