E.1 Cosa propongono gli
eco-anarchici al posto del capitalismo?
Al posto del capitalismo gli eco-anarchici sono favorevoli
a forme di socialismo libertario ecologicamente responsabili (vedi sez. I),
per mezzo di un’economia basata sui principi di complementarietà con
la Natura; decentralizzazione delle industrie su larga scala, re-indirizzamento
delle abilità tecniche dei lavoratori e un ritorno a metodi di produzione
più artigianali; l’utilizzo di tecnologie non nocive per l’ambiente,
ricerca di altre forme di energia e prodotti; l’utilizzo di materie prime
riciclate nonché qualsiasi tipo di risorsa rinnovabile; imprese sotto
diretto controllo e gestione dei lavoratori operanti in base alle esigenze
espresse nelle assemblee delle comunità locali e dal consiglio dei
lavoratori in cui tutte le decisioni vengono prese in assoluta democrazia.
(Vedi p.e. Murray Bookchin,
Toward an Ecological Society e
Remaking
Society). Questo tipo di economia porterebbe a uno “stato di stabilità”
in quanto l’indice di esaurimento delle risorse verrebbe equiparato all’indice
di rinnovamento delle stesse non trovandosi queste soggette, quindi, a un
disastroso collasso derivante da una carenza di crescita quantitativa magari
incentivata da spese militari.
Come sottolinea Bookchin, comunque, la crisi ecologica non dipende solo
dal capitalismo quant’anche dal principio stesso di dominio (Vedi D.4) –
un principio intrinseco nel contesto di una gerarchia istituzionale e di
relazioni basate sul concetto di comando-obbedienza che pervadono la società
a ogni livello. Pertanto,
“Senza una modifica delle più profonde
relazioni all’interno della società – per inciso, quelle tra uomo
e donna, adulti e bambini, bianchi e altri gruppi etnici, eterosessuali e
omosessuali (la lista è in effetti, considerevole...) – la società
seguiterà ad essere preda del principio del dominio persino all’interno
di un modello socialista senza classi e contrario allo sfruttamento. Questo
principio verrebbe instillato dalla gerarchia anche nell’eventualità
di una consacrazione delle equivoche virtù rispondenti ai nomi di ‘democrazia
del popolo’, ‘socialismo’ e ‘pubblica proprietà’ delle ‘risorse naturali’.
E finché persisterà la gerarchia, finché il principio
del dominio seguiterà ad organizzare l’Umanità attorno a un
sistema di elites, il progetto di dominazione sulla Natura continuerà
ad esistere e inevitabilmente porterà il nostro pianeta all’estinzione
ecologica.” [
Toward an Ecological Society, p. 76].
Quindi, sebbene più in basso focalizzeremo la nostra attenzione
sugli aspetti economici della crisi ecologica e la sua soluzione, è
bene tenere a mente che una soluzione ideale dovrebbe assumere una forma
multi-dimensionale, indirizzata a tutti gli aspetti del sistema gerarchico
di totale dominazione. Ciò significa che solo l’anarchismo, attraverso
l’enfasi sull’eliminazione di una autorità coercitiva in
ogni
area della vita, va direttamente alla radice della crisi ecologica.
E.1.1 Perchè gli eco-anarchici propongono
il controllo dei lavoratori?
Gli eco-anarchici propongono il controllo diretto dei lavoratori sull’economia
proprio come componente essenziale di una economia stabile. Ciò sarebbe
possibile solo attraverso l’appropriazione a livello sociale dei reali intenti
di produzione nonché tramite l’autogestione di tutte le imprese di
produzione da parte degli stessi lavoratori come maggiormente descritto nella
sezione I.
Parecchi ecologisti, sebbene non obbligatoriamente anarchici, riconoscono
i perniciosi effetti ecologici del principio capitalista “crescita o morte”;
ma fintanto che essi non saranno anche anarchici, non sarà possibile
per loro riuscire a scovare la connessione esistente tra questo principio
e la tipica
forma gerarchica della corporazione capitalista. Di contro,
gli eco-anarchici sottolineano che il fatto di avere aziende di proprietà
diretta e autogestite dalla società, in special modo quelle in cui
il surplus viene equamente ripartito tra i membri effettivi, sarebbe molto
meno pressante nei confronti di una obbligatoria e rapida espansione come
invece accade nell’ambito della tradizionale azienda capitalista.
Il rallentamento dell’indice di crescita delle cooperative
è stato documentato in un certo numero di studi che dimostrano che
nella tradizionale azienda capitalista, la percentuale di ripartizione dei
profitti tra proprietari e forza lavoro viene grandemente incrementata dal
fatto che un maggior numero di operai vengano inseriti nel libro-paga. E
questo avviene perché la gerarchia corporativa ha il compito di facilitare
lo sfruttamento incanalando una sproporzionata ripartizione del valore del
surplus prodotto dai lavorartori a favore di coloro che invece stanno sul
gradino più alto della piramide (vedi C.2, “Da dove vengono i profitti?”).
Un tale disegno altro non fa se non incentivare una forte espansione della
proprietà e della gestione manageriale, in quanto queste ultime, mantenendo
una certa situazione di equalità in altri campi (p.e.: assenza di
recessione), verrebbero accresciute con ogni nuovo operaio assunto. Quindi,
la forma gerarchica della corporazione capitalista è una delle principali
cause di una crescita incontrollabile [vedi p.e. Henry Levin “Employment
and Productivity of Producer Co-operatives” in Robert Jackall and Henry
Levin (eds.), Worker Co-operatives in America, UC Press, 1984; cf.
David Schweickart, Against Capitalism].
Per contrasto, all’interno di una cooperativa basata
su un’equa ripartizione tra lavoratori, l’aggiunta di più membri significherebbe
semplicemente più gente per cui le porzioni di torta disponibili
verrebbero equamente ripartite – una situazione che ridurrebbe immensamente
l’incentivo all’espansione. Così, un’economia socialista e libertaria
funzionerebbe in uno stato di immutabilità (stabilità) che
non richiederebbe né espansione forzata della popolazione, né
una costante innovazione tecnologica mantenente il passo con un incremento
produttivo garantito per forza di cose. Ancora, attraverso questo tipo di
economia si verrebbe ad una svolta con uno stato di stabilità al posto
di uno stato di crescita, senza eccessivo smembramento. Per cui se il consumatore
inizierà a comprare di meno, questo andrà ad aumentare la porzione
di tempo libero tra i produttori, porzione che verrebbe ripartita da quelle
aziende coinvolte in prima istanza e quindi gradatamente, si diffonderebbe
anche in altri settori. Per queste ragioni, un socialismo libertario basato
su cooperative produttrici è essenziale per il tipo di stabilità
economica necessaria a risolvere la crisi ecologica.
E.1.2 Perchè gli eco-anarchici preferiscono l'azione
diretta?
Le argomentazioni eco-anarchiche riguardo una democrazia
diretta (partecipativa) vertono sul fatto che un’effettiva protezione dell’ecosistema
planetario richiede che il cittadino comune abbia la possibilità di
prender parte, a livello di piccole comunità rurali, alle decisioni
che possano in qualche modo influenzare l’ambiente circostante, dal momento
che essi sarebbero maggiormente interessati a favorire una stretta salvaguardia
dell’ambiente al contrario degli inquinanti interessi speciali che attualmente
dominano il sistema di governo rappresentativo. Così, una soluzione
alla crisi ecologica presuppone la necessità di una democrazia partecipativa
all’interno della sfera politica – una trasformazione che significherebbe
nient’altro che una autentica rivoluzione politica.
Pertanto, come Bakunin sottolinea, una rivoluzione politica di questo
tipo deve per forza essere preceduta da una rivoluzione socio-economica
basata sull’autogestione da parte dei lavoratori. Tutto ciò deriva
dal fatto che l’esperienza quotidiana di partecipazione diretta in ambito
decisionale, di modelli di organizzazione assolutamente non-autoritari e
relazioni personali umane all’interno di piccoli gruppi di lavoro, sarebbero
promotrici di creatività, spontaneità, responsabilità,
indipendenza e rispetto per l’individualità – qualità necessarie
per il corretto funzionamento di un sistema politico democratico diretto.
Dato l’ammontare del tempo che la maggior parte delle
persone trascorrono sul posto di lavoro, l’importanza politica di trasformare
questo lasso di tempo in campo di sperimentazioni per lo sviluppo di valori
democratici e libertari può a malapena venir considerata un’esagerazione.
Coma la storia ci ha dimostrato, le rivoluzioni politiche che non siano
state precedute da una trasformazione psicologica di massa – che significa,
da un de-condizionamento dal rapporto schiavo/padrone inculcato dall’attuale
sistema – sono sfociate solamente in una mera sostituzione da parte di nuove
elites governanti al posto di quelle passate (p.e. Lenin come nuovo “zar”
e gli apparati del Partito Comunista come nuova “aristocrazia”). Pertanto,
oltre ad avere un più lento tasso di crescita, le cooperative dei
lavoratori, grazie a una autogestione democratica, getterebbero le fondamenta
psicologiche per il modello di un sistema politico democratico diretto necessario
a proteggere la biosfera. Così, il socialismo libertario “verde” appare
come l’unica proposta sufficientemente radicale per risolere la crisi ecologica.
Per contrasto, il libero mercato capitalista (un esempio estremo di questo
punto di vista è dato dal liberismo di destra) non solo non è
in grado di risolvere la crisi ecologica ma di fatto la esacerberebbe. Senza
contare il fatto che i liberisti di destra non propongono lo smantellamento
del capitalismo, il quale è necessariamente fondato sul principio
di “crescita o morte”, e non desiderano nemmeno smantellare la struttura gerarchica
dell’azienda capitalista, la quale di gran lunga contribuisce con la sua
ingorda pressione sull’espansione, come visto prima (infatti, la letteratura
liberista di destra è piena di argomentazioni sostenenti la necessità
di aziende a struttura gerarchica per motivi legati all’”efficenza”). Ma
fino a quando non ci sarà un apparato regolatore di stato per cercare
di mitigare i negativi effetti ecologici dell’espansione capitalista, il
“mercato libero” risulterà essere sempre più minaccioso per
l’ambiente ripetto all’attuale sistema.
Nelle sezioni E.2 sino alla E.5 discuteremo e confuteremo
alcune false “soluzioni” del libero mercato capitalista alla crisi ecologica.
Nella sezione E.7 si discute sul perché del “consumismo verde”,
un’altra assunzione capitalistica di base anch’essa destinata al fallimento.