F.2 Che cosa intendono gli
"anarco"capitalisti per 'libertà'?
Per gli “anarco”capitalisti, il concetto di libertà è limitato all’idea di “libertà da”. Per loro, libertà significa semplicemente libertà dall’”iniziazione di forza”, o “non aggressione contro qualunque persona o proprietà”. [Murray Rothbard, For a New Liberty, p. 23] Nella loro ideologia manca il concetto che la vera libertà debba unire sia libertà “di” che libertà “da”, poichè è il contesto sociale della cosiddetta libertà che difendono.
Prima di iniziare, è utile citare Alan Haworth quando nota che “infatti, è sorprendente quanta poca considerazione riceva dagli scrittori libertari il concetto di libertà. Ancora una volta Anarchy, State, and Utopia è un caso esemplare. La parola ‘freedom’ non compare nemmeno nell’indice. La parola ‘liberty’ compare, ma solo per riferirsi al lettore nel brano 'Wilt Chamberlain'. È più che sorprendente in un lavoro che si suppone ‘libertario’. È veramente eccezionale”. [Anti-Libertarianism, p. 95]
È questo il caso e il perchè può essere compreso da come gli “anarco”capitalisti definiscono la libertà.
In una società libertaria di destra o “anarco”capitalista, la libertà è considerata un prodotto della proprietà. Come dice Murray Rothbard, “il libertario definisce il concetto di ‘freedom’ o ‘liberty’. . . [come una] condizione in cui i diritti posseduti da una persona sul proprio corpo e sulla propria legittima proprietà materiale non sono invasi, non sono aggrediti. . . Libertà e illimitati diritti di proprietà vanno di pari passo”. [Op. Cit., p.41]
Tale definizione ha comunque qualche problema. In tale società, uno non può (legittimamente) fare nulla con/su la proprietà di un altro se il proprietario lo proibisce. Questo significa che l’unica libertà individuale garantita è determinata dalla quantità di proprietà che si possiede. Conseguenza di ciò è che chi è senza proprietà non ha affatto garanzia di libertà (eccetto naturalmente la libertà di non essere ucciso o altrimenti danneggiato da deliberate azioni altrui). In altre parole, secondo la definizione dei libertari di destra, una distribuzione di proprietà è una distribuzione di libertà. Le/gli anarchic* trovano strano che un’ideologia che sostenga di essere impegnata nel promuovere la libertà comporti la conclusione che certe persone dovrebbero essere più libere di altre. Comunque, questa è l’implicazione logica della loro visione e fa nascere un serio dubbio riguardo a se gli “anarco”capitalisti siano davvero interessati al concetto di libertà.
Considerando la definizione di “libertà” di Rothbard citata prima, si può vedere che davvero la libertà non è più considerata come concetto indipendente, fondamentale. Invece, libertà è la derivazione di qualcosa di più fondamentale, cioè dei “legittimi diritti” di un individuo, che sono identificati come diritti di proprietà. In altre parole, poichè in generale gli “anarco”capitalisti e i libertari di destra considerano il diritto di proprietà come “assoluto”, libertà e proprietà diventano un’unica stessa stessa cosa. Questo suggerisce un nome alternativo per il Libertario di destra, cioè “Propertarian”. E, inutile a dirsi, non accettando la visione dei libertari di destra riguardo cosa costituisca “legittimi” “diritti”, la loro pretesa di essere difensori della libertà risulta debole.
Un’altra implicazione importante di questo concetto “libertà come proprietà” è che produce un concetto di libertà stranamente alienato. La libertà, come notato prima, non è più considerata un concetto assoluto, ma una derivazione della proprietà – il che ha come conseguenza importante il fatto che sia possibile “vendere” la propria libertà ed essere ancora considerato dall’ideologia libero. Questo concetto di libertà (cioè “libertà come proprietà”) è detto solitamente “autopossesso”. Ma, dicendo un’ovvietà, io non “possiedo” me stesso, come se fossi un oggetto in qualche modo separabile dalla mia soggettività, io sono me stesso. Il concetto di autopossesso è comunque comodo per giustificare varie forme di dominio e oppressione: essendo d’accordo (di solito sotto la spinta delle circostanze, dobbiamo notare) a certi contratti, un individuo può “vendere” (o affittare) sè stesso o altri (per esempio, quando gli operai vendono la loro forza lavoro ai capitalisti nel “libero mercato”). In effetti, l’autopossesso diventa il mezzo per giustificare il fatto di trattare la gente come oggetti – ironicamente, in verità, il concetto era stato creato per fermarlo! Come nota L. Susan Brown, “nel momento in cui un individuo ‘vende’ forza lavoro a un altro, lui/lei perde autodeterminazione e anzi è trattato come uno strumento senza soggettività per il soddisfacimento della volontà di un altro” [The Politics of Individualism, p. 4]
Dato che i lavoratori sono pagati per ubbidire, bisognerà preoccuparsi di capire su quale pianeta stia Murray Rothbard quando sostiene che “il servizio lavorativo [di una persona] è alienabile, ma la sua volontà no” e che [sic!] “non è possibile alienare la sua volontà, più in particolare il proprio controllo sulla sua propria mente e corpo” [The Ethics of Liberty, p. 40, p. 135] Egli mette in contrasto proprietà privata e autopossesso sostenendo che “tutta la proprietà fisica posseduta da un una persona è alienabile. . . Io posso dar via o vendere a un’altra persona le mie scarpe, la mia casa, la mia macchina, il mio denaro, ecc. Ma ci sono certe cose vitali che, come fatto naturale e per la natura dell’uomo, sono inalienabili. . . [la sua] volontà e [il suo] controllo sulla sua propria persona sono inalienabili” [Op. Cit., pp. 134-5]
Ma i “servizi lavorativi” sono diversi dai beni privati che Rothbard elenca come essere inalienabili. Come sostenuto in sezione B.1 (“Perchè gli anarchici sono contro le autorità e le gerarchie?”) i “servizi lavorativi” e la “volontà” di una persona non possono essere divisi: se vendi i tuoi servizi lavorativi, devi dare il controllo del tuo corpo e della tua mente ad un’altra persona! Se una lavoratrice non ubbidisce ai comandi del suo datore di lavoro, viene licenziata. Il fatto che Rothbard lo neghi indica una totale mancanza di buon senso. Forse Rothbard sosterrà che poichè la lavoratrice può dimettersi in qualunque momento lei non alienerà la sua volontà (questo sembra essere il suo caso contro i contratti schiavisti - vedi sezione F.2.6). Ma questo ignora il fatto che tra la firma e la rottura del contratto e durante le ore di lavoro (e forse al di fuori delle ore di lavoro, se il capo ha ordinato l’esame tossicologico o se licenzierà i lavoratori che assistono a riunioni anarchiche o sindacali o quelli che hanno una sessualità “innaturale” ecc.) il lavoratore aliena la sua volontà e il suo corpo. Con le parole di Rudolf Rocker, “sotto le realtà della forma economica capitalista. . . non ci può essere discussione riguardo il ‘diritto su una propria persona’, perchè questo finisce quando uno, se non vuole soffrire la fame, è costretto a sottostare alla dettatura economica di un altro”. [Anarcho-Syndicalism, p. 17]
Ironicamente,
i diritti di proprietà (che sono detti venire da un autopossesso individuale di
sè stessi), sotto il capitalismo, diventano i mezzi tramite i quali è negato
l’autopossesso dei non proprietari. Il diritto fondamentale (autopossesso)
viene negato dal diritto derivato (possesso di cose). Sotto il capitalismo, la
mancanza di proprietà può essere oppressiva come la mancanza di diritti legali
a causa delle relazioni di dominio e soggezione creati da questa situazione.
Quindi l’argomentazione di Rothbard (oltre ad essere contradditoria) manca il punto (e la realtà del capitalismo). Sì, se definiamo il termine libertà come “assenza di coercizione” allora l’idea che il lavoro salariato non restringa la libertà è inevitabile, ma tale definizione è inutile. E questo perchè nasconde la struttura del potere e le relazioni di dominio e subordinazione. Come sostiene Carole Pateman, “il contratto in cui il lavoratore, secondo quanto si asserisce, vende la sua forza lavoro è un contratto in cui, poichè egli non può essere separato dalle proprie capacità, vende l’autorità sull’uso del suo corpo e di sè stesso. . . Vendere l’autorità sull’uso di qualcuno per un determinato periodo. . . è essere un lavoratore non libero”. [The Sexual Contract, p. 151]
In altre parole, i contratti sulla proprietà delle persone creano inevitabilmente subordinazione. L’ ”anarco”capitalismo non definisce ciò come fonte di non libertà, ma tale concetto ancora esiste ed ha il maggior impatto sulla libertà della gente. Quindi “libertà” è meglio descritta come “autogoverno” o “autogestione”: essere in grado di governare le proprie azioni (se soli) o partecipare alla determinazione di aderire all’attività (se parte di un gruppo). Libertà, per dirlo in un altro modo, non è un concetto legale astratto, ma la concreta e vitale possibilità per ogni essere umano di poter sviluppare pienamente tutti i propri poteri, capacità, e talenti che la natura gli ha donato. Un aspetto chiave di ciò è governare le proprie azioni quando dentro associazioni (autogestione). Se si guarda alla libertà in questo modo, si vede che la coercizione viene condannata e anche la gerarchia (e così il capitalismo perchè la gente, durante le ore di lavoro, non è libera di fare i propri piani e avere il proprio parere su quanto li influenzi. Loro sono ricevitori di ordini, non individui liberi).
Siccome gli/le anarchic* hanno riconosciuto la natura autoritaria delle aziende capitaliste, si sono opposti al lavoro salariato e ai diritti di proprietà capitalisti così come allo Stato. Hanno desiderato rimpiazzare le istituzioni strutturate mediante la subordinazione, con istituzioni costituite da libere relazioni (basate, in altre parole, sull’autogestione) in tutte le aree della vita, incluse le organizzazioni economiche. Qui l’argomentazione di Proudhon secondo il quale “le associazioni dei lavoratori. . . sono piene di speranza sia per la protesta contro il sistema salariato, che per l’affermazione della reciprocità” e che la loro importanza sta “nel loro rifiuto verso la regola dei capitalisti, dei prestatori di denaro e dei governi” [The General Idea of the Revolution, pp. 98-99]
A differenza delle/gli anarchic*, la descrizione “anarco”capitalista di libertà permette di affittare a un altro la libertà di un individuo mantenendo il fatto che quell’individuo sia ancora libero. Può sembrare strano che un’ideologia che proclama il suo appoggio verso la libertà non trovi nulla di sbagliato nell’alienazione e nella negazione della libertà ma, in verità, questo non è sorprendente. Dopo tutto, la teoria del contratto è una “strategia teorica che giustifica la soggezione presentandola come libertà” e niente di più. Poca sorpresa, allora, riguardo al fatto che il contratto “crea una relazione di subordinazione” e non di libertà. [Carole Pateman, Op. Cit., p. 39, p. 59]
Qualunque tentativo di costruire una struttura etica partendo dall’individuo astratto (come fa Rothbard con il suo metodo dei “legittimi diritti”) risulterà in dominio e oppressione tra persone, non in libertà. Infatti, Rothbard fornisce un esempio della pericolosità della filosofia idealista a proposito della quale Bakunin avvertiva sostenendo che mentre “il materialismo nega la libera volontà e termina lo stabilire della libertà; l’idealismo, nel nome della dignità umana, proclama la libera volontà e sulle rovine di ogni libertà fonda l’autorità”. [God and the State, p. 48] Nell’”anarco”capitalismo questo caso può essere visto con l’appoggio sincero di Rothbard verso il lavoro salariato e verso le regole imposte dai proprietari su coloro che usano, ma non possiedono, la loro proprietà. Rothbard, basandosi sull’individualismo astratto, non può fare altro che giustificare l’autorità al di sopra della libertà.
Soprattutto, possiamo vedere che la logica della definizione libertaria di destra di “libertà” finisce col negare sè stessa, perchè risulta nella creazione e nell’incoraggiamento dell’autorità, che è un contrario di libertà. Per esempio, come indica Ayn Rand, “l’uomo deve sostenere la propria vita con i suoi sforzi, l’uomo che non ha diritto sul prodotto dei suoi sforzi non ha mezzi per sostenere la propria vita. L’uomo che produce mentre altri dispongono del suo prodotto è uno schiavo”. [The Ayn Rand Lexicon: Objectivism from A to Z, pp. 388-9] Ma, come mostrato nella sezione C e come sostiene Proudhon, il capitalismo è basato su lavoratori che lavorano “per un imprenditore che li paga e trattiene i loro prodotti”, e questo è una forma di furto. Quindi, dalla logica propria del capitalismo “libertario”, si vede che il capitalismo non è basato sulla libertà, ma sulla schiavitù (salariata) dal momento che interesse, profitto e affitto sono derivati dal lavoro non pagato di un lavoratore, ovvero “altri dispongono del suo prodotto”.
E se una società è basata sul salario e sul sistema di profitto suggerito dagli “anarco”capitalisti e dai capitalisti “libertari”, la libertà diventa un prodotto. Più soldi si hanno, più libertà si possiede. Quindi, poichè il denaro è disponibile solo a coloro che lo guadagnano, il Libertarismo è basato sul classico detto “il lavoro rende liberi!” (Arbeit macht frei!) che i nazisti piazzavano sui cancelli dei loro campi di concentramento. Naturalmente, essendo capitalismo, questo motto è diverso da quello suddetto. In questo caso è “il lavoro della gente rende uno libero!”: e in una società basata sulla proprietà privata e sull’autorità che da essa deriva, questo è ovvio.
Quindi, il fatto che una società capitalista libertaria o “anarco”capitalista abbia più libertà o meno coercizione del “capitalismo realmente esistente”, risulta discutibile. Al contrario dell’anarchismo, l’”anarco”capitalismo, con le sue definizioni limitate, restringe la libertà solo a pochi aspetti della vita sociale e ignora il dominio e l’autorità tranne per quegli aspetti. Come indica Peter Marshall, “la definizione [dei libertari di destra] è completamente negativa. Richiede assenza di coercizione ma non può garantire la libertà certa di indipendenza ed autonomia individuali” [Demanding the Impossible, p. 564] Poichè restringe la libertà a tale ambito ristretto della vita umana, l’”anarco”capitalismo chiaramente non è una forma di anarchismo. I/le ver* anarchic* sostengono la libertà in ogni aspetto della vita di un individuo.
Il passare dalla difesa della libertà alla difesa dei diritti (di proprietà) ha implicazioni importanti. Per prima cosa, permette ai libertari di destra di insinuare che la proprietà privata è simile a un “fatto naturale” e quindi di concludere che le restrizioni da essa prodotte sulla libertà possono essere ignorate. Questo può essere visto nell’argomentazione di Robert Nozick secondo il quale le decisioni sono volontarie se le limitazioni sulle azioni di un individuo non sono causate dall’azione umana che infrange i diritti degli altri. Quindi, in una società capitalista “pura” le restrizioni sulla libertà causate dalla schiavitù salariata non sono vere restrizioni perchè il lavoratore acconsente volontariamente al contratto. Le circostanze che portano un lavoratore ad accettare il contratto sono irrilevanti perchè sono create da persone che esercitano i loro diritti e che non violano quelli di altre persone (vedi la sezione sullo “Scambio Volontario” in Anarchy, State, and Utopia, pp. 262-265).
Questo significa che in una società “il fatto che le azioni di una persona siano volontarie dipende da cosa limita le sue alternative. Se i fatti naturali agiscono così, le azioni sono volontarie. (Io posso volontariamente camminare da qualche parte anche se preferirei volare senza aiuto)” [Anarchy, State, and Utopia, p. 262] Analogamente, i risultati delle azioni individuali e del trasferimento di proprietà possono essere considerati alla stessa stregua dei “fatti naturali” (che sono, dopo tutto, Ie risultanti dei “diritti naturali”). Questo significa che le circostanze create dall’esistenza e dall’uso della proprietà, possono essere considerate essenzialmente come un fatto “naturale” e quindi le azioni che intraprendiamo in risposta a tali circostanze sono pertanto “volontarie” e noi siamo “liberi” (Nozick presenta l’esempio [p. 263] di qualcuno che sposa l’unica persona disponibile – tutte le persone più attraenti hanno già scelto altri – come il caso di un’azione che è volontaria nonostante la rimozione, da parte delle azioni legittime altrui, di tutte le alternative tranne di quella meno attraente. Neanche a dirlo, l’esempio può essere – ed è – esteso ai lavoratori sul mercato del lavoro, sebbene naturalmente, non si muore di fame se si decide di non sposarsi).
Tale argomentazione comunque, non considera che la proprietà è una cosa diversa dalla gravità o dalla biologia. Naturalmente, il fatto di non essere in grado di volare non restringe la libertà. E nemmeno il non sapere saltare in aria 30 metri. Ma a differenza della gravità (ad esempio), la proprietà privata deve essere protetta dalle leggi e dalla polizia. Nessuno ci impedisce di volare, ma per assicurare che la proprietà capitalista (e l’autorità del proprietario su di essa) sia rispettata devono esistere le leggi e le forze di polizia. Pertanto la pretesa che la proprietà privata in generale e il capitalismo in particolare, possano essere considerati come “fatti naturali” come la gravità, ignora un fattore importante: cioè che le persone coinvolte in un’economia devono accettare le regole della sua azione; regole che, ad esempio, permettono l’applicazione dei contratti, vietano l’uso della proprietà di un altro senza che se ne abbia il consenso (“furto”, abusivismo, infrazione di copyright, etc.), proibiscono la “cospirazione”, le assemblee illegali, i disordini, ecc, e creano monopolii attraverso regolamenti, licenze, noleggi, brevetti, ecc. Questo significa che il capitalismo deve includere il meccanismo per impedire i crimini contro la proprietà così come un meccanismo per compensare e punire nel caso in cui tali crimini siano commessi. In altre parole, il capitalismo è nei fatti molto più del “volontario scambio bilaterale” in quanto deve includere i meccanismi di polizia, arbitrio e legislazione necessari per assicurare la sua operazione. Quindi il mercato capitalista è un’istituzione sociale, come lo Stato, e le distribuzioni di beni che risultano dalla sua azione sono pertanto sanzionate da una società capitalista. Come fa notare Benjamin Franklin, “La proprietà privata. . . è una Creatura della Società ed è soggetta alle Domande di tale Società”.
Quindi, sostenere con Sir Isaiah Berlin (la maggiore fonte, moderna, dei concetti di libertà “negativa” e “positiva”, sebbene bisogna aggiungere che Berlin non era un libertario di destra) che “se la mia povertà fosse un tipo di malattia che mi impedisse di comprare il pane. . . come l’essere zoppo che mi impedisse di correre, questa inabilità non sarebbe descritta naturalmente come assenza di libertà” manca il punto ["Two Concepts of Liberty", in Four Essays on Liberty, p. 123]. Se sei zoppo, gli agenti di polizia non arrivano per fermare la tua corsa. Non devono farlo. Però a loro è richiesto di proteggere la proprietà contro coloro che ne sono privi e coloro che rifiutano i diritti di proprietà capitalisti.
Ciò
significa che usando tali concetti come libertà “negativa” e ignorando la
natura sociale della proprietà privata, i libertari di destra stanno cercando
di spostare la discussione dalla libertà verso la “biologia” e altri fatti di
natura. E convenientemente, ponendo i diritti di proprietà accanto alla gravità
e ad altre leggi naturali, riescono anche a ridurre il dibattito perfino sui
diritti.
Naturalmente, a differenza delle “forze naturali” come la gravità, è possibile resistere alla coercizione e alla restrizione della libertà. Così, se, come sostiene Berlin, libertà “negativa” significa che “c’è mancanza di libertà politica solo se esseri umani ti impediscono di raggiungere un obiettivo”, allora il capitalismo è basato davvero su tale mancanza, essendo che i diritti di proprietà devono essere fatti osservare da esseri umani (“gli altri mi impediscono di fare quello che altrimenti farei”). Dopo tutto, come notava in passato Proudhon, il mercato è fatto dall’uomo, perciò ogni vincolo da esso imposto è coercizione dell’uomo sull’uomo pertento le leggi economiche non sono così inevitabili come quelle naturali [si veda The Political Thought of Pierre-Joseph Proudhon di Alan Ritter, p. 122]. Oppure, mettendola in una forma leggermente diversa, il capitalismo per funzionare richiede coercizione e quindi, nonostante le pretese di Nozick (i diritti di proprietà devono essere sia definiti che fatti osservare da essere umani, sebbene la natura del mercato del lavoro risultante dalle definizioni di proprietà capitalista sia tale che di solito non è necessaria la coercizione diretta), non è analogo a un “fatto naturale”. I libertari di destra riconoscono davvero questa implicazione, perchè sostengono che la struttura dei diritti della società dovrebbe essere costituita in un modo piuttosto che in un altro. In altri termini, riconoscono che la società non è indipendente dall’interazione umana e quindi può essere modificata.
Forse, come sembra il caso, l’”anarco”capitalista o libertario di destra sosterrà che soltanto le azioni che violano i tuoi diritti (secondo la definizione libertaria) deliberate da altri esseri umani sono causa di non libertà (“definiamo libertà. . . come l’assenza di invasione sulla persona di un uomo o sulla sua proprietà da parte di un altro uomo” [Rothbard, The Ethics of Liberty, p. 41]) e quindi se nessuno deliberatamente ti coercizza allora sei libero. In questo modo i funzionamenti del mercato capitalista possono essere messi accanto ai “fatti naturali” e non considerati come fonte di non libertà. Comunque, se ci si sofferma a pensare un attimo si capisce che non è questo il caso. Sia le azioni deliberate che quelle non deliberate possono causare agli individui mancanza di libertà.
Supponiamo (in un esempio parafrasato dall’eccellente libro di Alan Haworth, Anti-Libertarianism, p. 49) che qualcuno rapisca una persona e la metta in una buca (naturale) profonda, a chilometri da qualunque parte e che sia impossibile uscirne. Supponiamo anche che un’altra persona cammini lì vicino e accidentalmente cada nella buca dove è questa prima persona.
In accordo al Libertarismo di destra, mentre la prima persona non è libera (perchè soggetta a coercizione deliberata) il/la suo/a compagno/a di buca per loro è perfettamente libero in quanto soggetto a “fatti naturali” e non ad azioni umane (deliberate o altro). O forse loro “scelgono volontariamente” di stare nella buca, dopotutto è “solo” un “fatto naturale” che limita le loro azioni. Ma ovviamente, entrambe le persone sono esattamente nella stessa condizione, hanno esattamente le stesse scelte e quindi sono non libere nella stessa maniera. Quindi una definizione di “libertà”che asserisce che solo le azioni delibrate degli altri – ad esempio la coercizione – riducono la libertà, non arriva al punto.
Perchè
è importante questo esempio? Si considerino le analisi di Murray Rothbard
riguardo la situazione dopo l’abolizione del feudalesimo in Russia e della
schiavitù in America. Egli scrive:
“I corpi degli oppressi furono liberati, ma la proprietà cui lavoravano e che eminentemente meritavano di possedere, rimase nella mani dei loro vecchi oppressori. Col potere economico rimasto così nelle loro mani, i vecchi signori presto si ritrovarono ancora più padroni, virtuali, di coloro che ora erano inquilini o agricoltori liberi. I contadini feudali e gli schiavi hanno assaggiato la libertà ma sono stati crudelmente derivati dai suoi frutti”. [The Ethics of Liberty, p. 74]
Questo comunque contrasta la pretesa di Rothbard secondo la quale, se le forze del mercato (“scambi volontari”) hanno come risultato la creazione di inquilini o lavoratori liberi allora questi lavoratori e inquilini sono liberi (si veda ad esempio The Ethics of Liberty, pp. 221-2 sul perchè il “potere economico” nel capitalismo non esiste). Ma i lavoratori che sono privati delle forze del mercato sono esattamente nella stessa situazione dei vecchi contadini feudali e degli schiavi. Rothbard vede l’ovvio “potere economico” nel secondo caso ma lo nega nel primo. Ma le condizioni delle persone in questione sono identiche e sono queste condizioni a scandalizzarci. È solo questa sua ideologia che trattiene Rothbard dal dedurre l’ovvia conclusione: condizioni identiche producono identiche relazioni sociali e quindi se gli ex contadini feudali formalmente “liberi” sono soggetti al “potere economico” e ai “padroni”, lo sono anche i lavoratori formalmente “liberi” nel capitalismo! Entrambi i gruppi di lavoratori possono essere formalmente liberi, ma le loro circostanze sono tali che siano “liberi” di “acconsentire” a vendere la loro libertà agli altri (cioè il potere economico produce relazioni di dominio e non libertà tra individui formalmente liberi).
Così la definizione di Rothbard di libertà in termini di diritti non fornisce una comprensione del concetto di libertà realistica e attuabile. Qualcuno può essere uno schiavo virtuale mantenendo ancora non violati i propri diritti (al contrario, qualcuno può avere i propri diritti di proprietà violati ed essere ancora libero; ad esempio, la bambina che entra nel retro di casa tua senza il tuo permesso per prendere la sua palla, vìola appena la tua libertà – infatti, non saprai mai che lei è entrata nella tua proprietà a meno che tu non la veda farlo). Quindi l’idea che “libertà” significhi “non aggressione contro la persona e la sua legittima proprietà materiale”, giustifica l’ampia non libertà per la classe dei lavoratori. Il non violare i diritti di proprietà non implica libertà, come mostra la discussione di Rothbard sui vecchi schiavi. Chiunque, accanto a Rothbard, definisca la libertà “come l’assenza di invasione sulla persona di un uomo o sulla sua proprietà da parte di un altro uomo” in una società profondamente non equalitaria sta appoggiando e giustificando la dominazione capitalista e padronale. Come le/gli anarchic* si sono resi conto da tanto, un punto iniziale contraddittorio implica una conclusione assolutista.
Perchè questo? Semplicemente perchè la libertà è un risultato dell’interazione sociale e non il prodotto di qualche individuo astratto e isolato (Rothbard usa il modello di Robinson Crusoe per costruire la sua ideologia). Ma come sosteneva Bakunin, “la libertà dell’individuo è una funzione degli uomini nella società, una conseguenza necessaria dello sviluppo collettivo del genere umano”. Egli arriva a sostenere che “l’uomo in condizioni di isolamento può non avere consapevolezza della sua libertà. . . La libertà è dunque una caratteristica non dell’isolamento ma dell’interazione, non dell’esclusione ma piuttosto della connessione” [Selected Writings, p. 146, p. 147]. I libertari di destra, costruendo la loro definizione di libertà a partire dalla persona isolata, finiscono con l’appoggiare le restrizioni della libertà causate dal trascurare l’adeguato riconoscimento dell’attuale interdipendenza degli esseri umani, del fatto che ogni persona sia influenzata dagli altri ed influenza gli altri. Le persone si accorgono della loro umanità (libertà) all’interno società e non al di fuori di essa. Sono le relazioni sociali che consideriamo per determinare quanto siamo liberi e ogni definizione di libertà costruita su un individuo senza legami sociali è destinata a creare relazioni di dominio e non libertà tra individui, come la teoria di Rothbard (per metterla in un altro modo, l’associazione volontaria è una condizione necessaria ma non sufficiente per la libertà. Ecco perchè gli/le anarchic* hanno sempre insistito sull’importanza dell’uguaglianza; si veda la sezione F.3 per dettagli).
Quindi
mentre i fatti naturali possono restringere le tue opinioni e la tua libertà,
sono le circostanze entro cui agiscono e le scelte che limitano ad essere
importanti (una persona intrappolata in una buca non è libera perchè le scelte
disponibili sono così poche; lo zoppo è libero perchè le sue scelte disponibili
sono ampie). Allo stesso modo, i fatti della società posso restringere e
restringono la tua libertà perchè sono il prodotto dell’azione umana e sono
definiti e protetti dalle istituzioni umane, sono le circostanze entro cui gli
individui prendono le loro decisioni e le relazioni sociali che tali decisioni
producono, ad essere importanti (il lavoratore portato dalla povertà ad
accettare un contratto schiavista per lavorare in condizioni disagevoli per una
misera paga in uno “sweat shop” non è libero perchè le circostanze che ha di
fronte hanno limitato le sue scelte e le relazioni che accetta sono basate
sulla gerarchia; la persona che decide di aderire ad una comune anarchica è
libera perchè la comune non è gerarchica e ha la scelta di aderire ad un’altra
comune, di lavorare da sola e così via).
Tutto sommato, il concetto di libertà dei libertari di destra manca. Dal momento che una ideologia che ha “Libertarismo” per nome sembra felice di ignorare la vera libertà e si concentra invece su una forma astratta di libertà che ignora così tante fonti di non libertà da restringere talmente il concetto finchè diventa più piccolo di una giustificazione dell’autoritarismo. Ciò può essere visto dagli atteggiamenti dei libertari di destra nei confronti della proprietà privata e dei suoi effetti sulla libertà (come discusso nella prossima sezione).
Il libertario di destra non affronta o addirittura non riconosce il fatto che il diritto (assoluto) di proprietà privata possa portare a un considerevole controllo da parte del proprietario su coloro che usano ma non possiedono la proprietà (come i lavoratori e gli inquilini). Quindi un sistema capitalista di libero mercato porta a una protezione dei “diritti” e della “libertà” parecchio selettiva e classista. Ad esempio, sotto il capitalismo, la “libertà” dei datori di lavoro è inevitabilmente in conflitto con la “libertà” degli impiegati. Quando i possessori delle risorse o i loro manager esercitano la propria “libertà d’impresa” per decidere come opererà la loro compagnia, violano il diritto dei propri impiegati di decidere come saranno utilizzate le loro capacità lavorative. In altri termini, sotto il capitalismo i “diritti di proprietà” dei datori di lavoro entreranno in conflitto con e restringeranno il “diritto umano” degli impegati di gestire sè stessi. Il capitalismo consente solo a pochi il diritto dell’autogestione, non a tutti. O, alternativamente, a differenza dell’anarchismo, il capitalismo non riconosce certi diritti umani come universali.
Questo può essere visto dalla difesa del lavoro salariato da parte dell’economista austriaco Duncan Reekie. Riferendosi ai “mercati del lavoro intra-aziendale” come “organizzazioni gerarchiche”, Reekie (nel suo miglior tono ex cathedra) dichiara che “non c’è niente di autoritario, dittatoriale o di sfruttamento nella relazione. Gli impiegati ordinano ai datori di lavoro di pagare loro gli importi specificati nel contratto d’assunzione così come i datori di lavoro ordinano agli impiegati di conformarsi ai termini del contratto” [Markets, Entrepreneurs and Liberty, p. 136, p. 137]. Dato che “i termini del contratto” richiedono il consenso del lavoratore ad obbedire agli ordini dei datori di lavoro e che se non lo faranno saranno licenziati, è evidente che il meccanismo di ordini coinvolto nel “mercato del lavoro intra-aziendale” è decisamente a senso unico. I capi hanno il potere, i lavoratori sono pagati per obbedire. E questo fa nascere la domanda: se il contratto d’impiego crea un libero lavoratore, perchè egli deve abbandonare la sua libertà durante le ore di lavoro?
Reekie riconosce questa mancanza di libertà come un circolo vizioso quando nota che “gli impiegati di un’azienda a qualunque livello della gerarchia possono esercitare un ruolo imprenditoriale. L’area entro cui tale ruolo può essere esercitato aumenta con quanta più autorità l’impiegato possiede.” [Op. Cit., p. 142] Questo implica che i lavoratori sono soggetti a controlli dall’alto che restringono le attività che gli è permesso fare e quindi, nelle ore di lavoro, non sono liberi di agire, prendere decisioni, partecipare ai piani dell’organizzazione, creare il futuro e così via. Ed è strano che mentre riconosce l’azienda come un’organizzazione gerarchica, Reekie cerca di negare che sia autoritaria o dittatoriale, come se fosse possibile avere un’organizzazione gerarchica senza strutture autoritarie o una persona che abbia autorità, non eletta, che non sia un dittatore. La sua confusione è condivisa dal guru austriaco Ludwig von Mises, il quale sostiene che “l’imprenditore e il capitalista non sono autocrati irresponsabili” perchè sono “soggetti incondizionatamente alla sovranità del consumatore” mentre, nella pagina successiva, riconosce che c’è una “gerarchia manageriale” che contiene “l’impiegato subordinato medio.” [Human Action, p. 809 and p. 810] Non gli passa per la testa che il capitalista può essere soggetto a qualche controllo del consumatore e nel frattempo essere un autocrate verso i suoi impiegati subordinati. Ancora, i “libertari” di destra riconoscono che la struttura manageriale capitalista è gerarchica e che i lavoratori sono subordinati mentre negano che sia autocratica nei confronti dei lavoratori! Quindi si hanno lavoratori “liberi” dentro una relazione in cui è evidente che manca la libertà (nel senso di autogoverno): uno strano paradosso. Infatti, se la propria vita privata fosse così strettamente monitorata e regolata come la vita lavorativa di milioni di persone nel mondo, si parlerebbe giustamente di oppressione.
Forse Reekie (come molti libertari di destra) sosterrà che i lavoratori volontariamente sono d’accordo (“acconsentono”) a essere soggetti alla dittatura dei capi (egli scrive che “chiunque solo partecipasse all’accordo contrattuale noto come azienda, se ci credesse sarebbe in una posizione finanziaria migliore. L’azienda è semplicemente un altro esempio di scambio mutuamente benefico.” [Op. Cit., p. 137]). Questo comunque non impedisce alla relazione di essere autoritaria o dittatoriale (e quindi di sfruttamento essendo assolutamente poco plausibile che chi sia al vertice non abusi del proprio potere). E come si sostiene in seguito nella prossima sezione (e si vedano anche le sezioni B.4, F.3.1 ed F.10.2), in una società capitalista i lavoratori hanno la scelta di trovare un lavoro o affrontare l’abietta povertà e/o la fame.
Poca meraviglia quindi che le persone vendano “volontariamente” il proprio lavoro e “acconsentano” alle strutture autoritarie! Hanno poca scelta di fare altrimenti. Quindi, nel mercato del lavoro, i lavoratori possono cercare e lo fanno le condizioni di lavoro migliori possibili, ma questo non significa che il contratto finale accordato sia “liberamente” accettato e non dovuto alla forza delle circostanze, che entrambe le parti hanno uguale potere contrattuale quando si traccia il contratto o che viene assicurata la libertà di entrambe le parti. Il che significa che sostenere (come fanno molti libertari di destra) che la libertà non può essere ristretta dal lavoro salariato perchè le persone partecipano nelle relazioni che considerano li porteranno a migliorare la loro situazione iniziale, manca completamente il punto. Siccome la situazione iniziale non è considerata rilevante, le loro argomentazioni falliscono. Dopotutto, acconsentire a lavorare per 14 ore al giorno in uno “sweat shop” è un miglioramento rispetto al morire di fame, ma non significa che coloro che acconsentono a questo sono liberi quando lavorano lì o che davvero vorrebbero essere lì. Non lo sono e sono le circostanze, create e imposte dalla legge, che hanno fatto sì che essi “acconsentano” a tale regime (avendo scelta, desidererebbero cambiare quel regime ma non possono perchè violerebbero i diritti di proprietà dei loro capi e sarebbero repressi per averci provato).
Quindi il diritto dei “libertari” di destra è interessato solo a un concetto ristretto di libertà (piuttosto che alla libertà come tale). Questo può essere visto nell’argomentazione di Ayn Rand (una ideologa alla testa del capitalismo “libertario”) secondo la quale “Libertà, in un contesto politico, significa libertà dalla coercizione del governo. Non significa libertà dal padrone o libertà dal datore di lavoro o libertà dalle leggi naturali che non forniscono all’uomo una prosperità automatica. Significa libertà dal potere coercitivo dello Stato e nient’altro!” [Capitalism: The Unknown Ideal, p. 192] Sostenendo così, i libertari di destra ignorano l’elevato numero di relazioni sociali autoritarie che esistono nella società capitalista e, come fa qui Rand, suggeriscono che queste relazioni sociali sono come “le leggi naturali”. Comunque, guardando al mondo senza pregiudizi ma con un occhio alla massimizzazione della libertà, si vede che l’istituzione maggiormente coercitiva non è lo Stato ma le relazioni sociali capitaliste (come indicato nella sezione B.4).
Il “libertario” di destra, quindi, lungi dall’essere un difensore della libertà, è nei fatti un difensore ferrato di certe forme di autorità e dominio. Come nota Peter Kropotkin, l’”individualismo moderno iniziato da Herbert Spencer è, come la teoria critica di Proudhon, un’accusa potente contro i pericoli e i torti del governo, ma la sua soluzione pratica del problema sociale è misera, così misera come lasciarci chiedere se la discussione ‘Niente forza’ sia solamente una scusa per supportare il dominio del padrone e del capitalista.” [Act For Yourselves, p. 98]
Difendere
la “libertà” dei proprietari è difendere l’autorità e il privilegio: in altri termini,
lo statismo. Quindi, considerando il concetto di libertà come “libertà da” è
chiaro che difendendo la proprietà privata (come opposto al possesso)
l’”anarco”capitalista difende il potere e l’autorità dei proprietari di
governare coloro che usano la “loro” proprietà. E anche, va notato, difendendo
tutte le tirannie meschine che rendono frustranti, stressanti e non
gratificanti le vite lavorative di così tanta gente
Comunque,
per definizione l’anarchismo è a favore delle organizzazione e delle relazioni
sociali che sono non gerarchiche e non autoritarie. Altrimenti, alcune persone
sarebbero più libere di altre. Non attaccare l’organizzazione gerarchica porta
alla massima contraddizione. Ad esempio, poichè la British Army
un’organizzazione volontaria, allora è un’organizzazione “anarchica”! (si veda
la prossima sezione per una discussione sul perchè il concetto
“anarco”capitalista di libertà permette anche allo Stato di apparire “libertario”).
In altre parole, i “pieni diritti
di proprietà capitalisti” non proteggono la libertà, infatti la negano
attivamente. Ma questa mancanza di libertà è completamente inevitabile se si
attaccano i diritti di proprietà capitalisti. Se si rifiutano, è possibile
provare a creare un mondo basato sulla libertà in tutti gli aspetti della vita,
piuttosto che solo in pochi.