Sezione H.3 – Quali sono i miti del socialismo di
Stato?
Se proviamo a chiedere cosa significa per molta gente socialismo, avremo esempi come l’ex URSS, Cina, Cuba e molte altre dittature di partito autoritarie, centralizzate e oppressive. Questi regimi hanno in comune due cose. Primo, l’asserzione che sono marxisti o socialisti. Secondo, che sono riusciti ad alienare milioni di operai e operaie dall’idea di socialismo. Infatti, i difensori del capitalismo devono semplicemente descrivere questi “paradisi socialisti” per allontanare le persone dal concetto di socialismo. Inoltre, i regimi stalinisti (e i vari loro difensori e anche “avversari”, come i trotskysti, che li difendevano come “stati operai degenerati”) lasciarono il facile compito alla borghesia di mettere a tacere le richieste e le lotte di classe operaia come tentativi di instaurare simili dittature di partito.
L’associazione dei concetti di “socialismo” e “comunismo” a queste dittature ha spesso scoraggiato gli anarchici dal chiamarsi con questi nomi, nel caso le nostre idee vengano associate con loro. Come arguì Errico Malatesta nel 1924:
“Prevedo la possibilità che gli anarchici
comunisti abbandonino gradualmente il termine ‘comunista’: sta crescendo in
ambivalenza e sta perdendo reputazione come risultato del despotismo
‘comunista’ russo. Se il termine fosse infine abbandonato sarebbe una
ripetizione di quello che successe con la parola ‘socialista’. Noi che,
almeno in Italia, eravamo i primi campioni del socialismo e che affermiamo
ancora di essere i veri socialisti nel senso lato e umano della parola, finimmo
per abbandonare il termine per evitare la confusione con le tante e varie
deviazioni borghesi di socialismo. Quindi anche noi dovremmo abbandonare il
termine ‘comunista’ per paura che il nostro ideale di libera solidarietà
internazionale sia confuso con l’avaro despotismo che da qualche tempo trionfa
in Russia e che un partito, ispirato dall’esempio russo, cerca di imporre a
tutto il mondo.” [The
Anarchist Revolution, p. 20]
Questo in larga scala
accadde, gli anarchici si chiamarono semplicemente tali, senza aggettivi, per
evitare confusioni. Questo tristemente risultò in due problemi. Anzitutto,
diede ai marxisti maggiore possibilità di dipingere l’anarchismo come teoria
opposta solamente allo Stato e non anche a capitalismo, gerarchia e
disuguaglianza (come affermiamo nella sezione H.2.4, gli anarchici sono contro
lo Stato in quanto è un aspetto della società classista). Inoltre, diede modo
agli estremisti di destra di appropriarsi dei nomi “libertario”
e “anarchica” per descrivere la loro
visione di capitalismo estremo perchè “anarchismo”,
come loro dicono, era semplicemente “antigoverno”
(vedi sezione F per
capire perché l’ “anarco”capitalismo non è anarchico). Per respingere
queste distorsioni delle idee anarchiche, molti anarchici recentemente si sono
riappropriati delle parole “socialisti”
e “comunisti”, anche se sempre in
combinazione con le parole “anarchico”
e “libertario”.
Questo significa che gli anarchici e altri socialisti libertari hanno un grande compito in mano – riconquistare la promessa del socialismo dalle distorsioni inflitte dai suoi due nemici (stalinisti e capitalisti) e dai suoi autoproclamati difensori (Social Democrazia e varie branche come i bolscevichi e progenie come i trotskysti). Un aspetto chiave di questo processo è la critica di sia della pratica che dell’ideologia del marxismo e delle sue varie branche. Solo facendo questo gli anarchici possono dimostrare, per citare Rocker, che “Il socialismo sarà libero, o non sarà affatto socialismo.” [Anarcho-Syndicalism, p. 20]
Una tale critica genera il problema di quale forma di “marxismo” discutere. C’è una gamma estremamente vasta di punti di vista e gruppi marxisti. Infatti, i diversi gruppi passano molto del loro tempo a indicare perché tutti gli altri non sono “veri” marxisti (o marxisti-leninisti, o trotskysti, eccetera) e sono solo “sette” senza teoria e idee marxiste “reali”. Questa “diversità” è, ovviamente, un problema (e in qualche modo ironico, dato che alcuni marxisti insultano gli anarchici dicendo che ci sono più forme di anarchismo che anarchici!). Allo stesso modo, molti marxisti vanno al di là del negare gruppi specifici. Alcuni rifiutano totalmente altre parti del loro movimento come non marxisti (per esempio, certi marxisti rifiutano il leninismo perché non ha niente, o poco a che fare con quella che loro considerano la “vera” tradizione marxista e così via). Questo significa che discutere il marxismo può essere difficile perché i marxisti possono affermare che la nostra FAQ non copre gli argomenti di questa o quella setta di pensatori, gruppi o tendenza marxisti.
Con questo in testa, questa sezione della FAQ si concentrerà sui lavori di Marx ed Engels (e il movimento che loro generarono, come la Social Democrazia) cosi` come la tradizione bolscevica cominciata con Lenin e continuata da Trotsky. Queste sono le idee principali (e le autorità riconosciute) di molti marxisti e quindi altre derivazioni possono essere ignorate (come maoismo, castrismo, eccetera). Si noti che anche questo aggruppamento produrrà dissenso perché certi marxisti negano il bolscevismo come tradizione marxista. Questa prospettiva potrebbe essere vista come la tradizione “impossibilista” del marxismo (per esempio il Partito Socialista della Gran Bretagna e partiti simili) come nella tradizione di “council communism” (cioè lavori di marxisti come Anton Pannekoek e Paul Mattick). Gli argomenti sulle loro posizioni sono forti e vale la pena leggerli (infatti, ogni analisi obiettiva del marxismo e del leninismo non può non trovare grosse differenze tra i due pensieri). Comunque, la grande maggioranza dei marxisti sono anche leninisti, dobbiamo riflettere questo nella nostra FAQ (e, in generale, facciamo ciò riferendoci alla “maggioranza dei marxisti” contro la piccola minoranza di marxisti libertari).
Un altro problema entra in gioco quando consideriamo la differenza non solo tra tendenze marxiste, ma anche tra una specifica tendenza prima e dopo che i suoi rappresentanti presero il potere. Per esempio, “ci sono… molte differenti frange di leninismo… c’è il Lenin del 1917, il Lenin delle ‘Tesi di Aprile’ e di Stato e Rivoluzione. Quello è un Lenin. Poi c’è il Lenin che prese potere e agì in modi irriconoscibili…in confronto a, per esempio, le dottrine di ‘Stato e rivoluzione.’ …questo non è difficile da spiegare. C’è una grande differenza tra le dottrine libertarie di una persona che tenta di associarsi a un movimento di masse popolari per conquistare potere e il potere autoritario di qualcuno che ha preso potere e sta tentando di consolidarlo…e questo è vero anche con Marx. Ci sono varie dottrine di Marx a confronto.” [Noam Chomsky, Language and Politics, p. 177]
Quindi questa sezione della nostra FAQ tenterà di trarre conclusioni dalle contraddizioni interne al marxismo e indicare quali aspetti della dottrina favoriroro lo sviluppo del “secondo” Lenin. I semi con cui l’autoritarismo crebbe dopo l’ottobre del 1917 sono sempre esistiti. Gli anarchici sono d’accordo con Noam Chomsky quando diceva di considerare “caratteristico e sfortunato il fatto che la lezione che si può trarre da Marx e da Lenin nel più tardo periodo fu la lezione autoritaria. Cioè, è il potere autoritario del partito di avanguardia e la distruzione di tutti i forum popolari negli interessi delle masse. E’ quello il Lenin che divenne conosciuto alle generazioni successive. Ancora, non molto sorprendentemente, perché è questo il concetto di leninismo, in pratica.” [Ibid.]
Ironicamente, dati i commenti di Marx sull’argomento, un ostacolo chiave per una tale valutazione è l’intera idea e storia del marxismo stesso. Mentre, come nota Murray Bookchin, “alla fine”, Marx tentò (in qualche maniera) “di creare un movimento che guardasse al futuro più che al passato,” i suoi seguaci non fecero ciò. “Ancora una volta,” afferma Bookchin, “il morto cammina tra noi – ironicamente, col nome di Marx, l’uomo che tentò di seppellire il morto del diciannovesimo secolo. Quindi la rivoluzione dei nostri giorni non può fare altro che parodiare, in risposta, la rivoluzione d’ottobre del 1918 e la guerra civile del 1918-1920 … la completa, completamente schierata rivoluzione dei nostri tempi … segue le rivoluzioni parziali, incomplete, unilaterali del passato, che meramente cambiarono la forma della ‘questione sociale’, mettendo un altro sistema di dominazione e gerarchia al posto di quello vecchio.” [Post-Scarcity Anarchism, p. 174 e p. 175] Nelle parole di Marx, la “tradizione di tutte le morte generazioni pesa come un incubo nel cervello del vivo.” Il lavoro stesso di Marx, e il movimento che ispirò, adesso si aggiungono a questo peso morto. Per assicurarsi, come disse Marx, che la rivoluzione sociale si ispiri alla rivoluzione del futuro più che al passato, il marxismo stesso dev’essere trasceso.
Il che implica ovviamente rivalutare sia la teoria che la pratica del marxismo. Per gli anarchici, sembra strano che per un lavoro che i suoi seguaci giudicano rivoluzionario e liberatore, i suoi risultati siano stati così cattivi. Se il marxismo è così tanto democratico e rivoluzionario, allora perché così poche persone che lo hanno letto hanno tratto tali conclusioni? Come ha potuto tramutarsi così facilmente nello stalinismo? Perché ci sono così pochi marxisti libertari, se fu Lenin (o la socialdemocrazia) che che “male interpretò” Marx ed Engels? Quindi quando i marxisti affermano che il problema è l’interpretazione del messaggio e non il messaggio in sé, gli anarchici rispondono che che la ragione per cui queste numerose e false (per quello che si asserisce) interpretazioni, esistono suggerisce che ci sono nel marxismo in quanto tale, piuttosto che nelle letture di cui è stato oggetto, delle limitazioni. Quando qualcosa fallisce ripetutamente(e produce tali terribili risultati), ci dev’essere un fondamentale errore da qualche parte.
Quindi Cornelius Castoriadis:
“Infatti, Marx fu il primo
a sottolineare che l’importanza di una teoria non può essere afferrata
indipendentemente dalle pratiche storiche e sociali che ispira e inizia, a cui dà
origine, in cui prolunga sè stessa e dalla sottostima delle quali una data
pratica cerca di giustificare sè stessa.
“Chi, oggi, oserebbe proclamare che l’unico significato della cristianità per la storia può essere trovata leggendo le versioni inalterate dei Vangeli o che la pratica storica delle varie chiese in un periodo di tempo di circa 2000 anni non può insegnarci niente di fondamentale sul significato di questo movimento religioso? Una ‘fedeltà a Marx’ che vedesse il destino storico del marxismo come qualcosa di insignificante sarebbe allo stesso modo sarebbe ridicolo. Come i cristiani hanno trasceso dalle rivelazioni dei Vangeli un briciolo di verità intemporale, nessuna teoria potrebbe avere tali qualità agli occhi di un marxista. Cercare di scoprire il significato del marxismo solamente in ciò che scrisse Marx (calando un silenzio su cosa la dottrina è diventata in pratica) è finzione – in flagrante contraddizione con le idee centrali di tali dottrina – che la storia vera non conta e che la verità di una teoria sia sempre ed esclusivamente da trovare ‘a fondo’. Alla fine termina col rimpiazzare la rivoluzione con la rivelazione e la comprensione degli eventi dai testi.” ["The Fate of Marxism," pp. 75-84 The Anarchist Papers , Dimitrios Roussopoulos (ed.), p. 77]
Questo non significa tralasciare i lavori di Marx ed Engels. Significa rifiutare una volta per tutte che due persone, scrivendo in un periodo di decenni più di un secolo fa abbiano tutte le risposte. Perché dovrebbe essere ovvio! Alla fine, gli anarchici e le anarchiche pensano che si dovrebbe costruire dal passato, non tentare di spremergli dentro gli avvenimenti correnti. Dovremmo sedere sulle spalle dei giganti, non ai loro piedi.
Questa sezione della nostra FAQ cercherà di spiegare le varie leggende correlate al marxismo e fornire una critica anarchica del marxismo e dei vari movimenti generati da esso. Ovviamente, la più grande leggenda del marxismo è quello che Alexander Berkman chiamò “Il mito bolscevico,” cioè l’idea che la rivoluzione russa fu un successo. Comunque, dato che discutiamo di questa rivoluzione nella sezione H.4 non faremo ciò qui a parte quando ci porta la prova empirica per la nostra critica. La nostra discussione qui si concentrerà per la maggior parte sulla teoria marxista, mostrandone le sue inadeguatezze, i suoi problemi, dove si è appropriata delle idee anarchiche e le differenze tra marxismo e anarchismo. Questo è un grande compito e questa sezione della FAQ non è che un piccolo contributo a ciò.
Come già notato in precendenza, ci sono tante correnti di pensiero marxista, alcune delle quali sono di natura libertaria (cioè vicine all’anarchismo). Quindi, sarebbe semplicistico dire che l’anarchismo è “antimarxista” e di solito facciamo differenze tra l’elemento libertario (in minoranza) e il classico autoritarismo della maggior parte del marxismo (cioè socialdemocrazia e le varie forme di leninismo). Senza dubbio, Marx contribuì immensamente all’arricchimento delle idee e delle analisi socialiste (come notò anche Bakunin). La sua influenza, è da aspettarselo, fu sia positiva che negativa. Per questa ragione dev’essere letto e discusso criticamente. Come per i pensatori anarchici, dobbiamo prendere cosa è utile e rigettare il resto. Ma non dimentichiamoci che gli anarchici sono tali proprio perché pensiamo che i pensatori anarchici siano stati più nel giusto che nello sbagliato e rifiutiamo l’idea di rifare le nostre politiche al nome di un pensatore morto da tempo.
Sezione
H.3.1 – Gli anarchici e i marxisti vogliono la stessa cosa?
Il più grande e vasto mito del marxismo è l’idea che anarchici e marxisti vogliono la stessa cosa. Infatti, si potrebbe dire che furono le critiche anarchiche del marxismo che spinse questi ultimi a sottolineare l’analogia con gli obbiettivi a lungo termine. “Le nostre polemiche contro di loro [i marxisti],” affermò Bakunin, “hanno costretto loro a riconoscere che la libertà, o l’anarchia – cioè la libera e spontanea organizzazione dei lavoratori dal basso verso l’alto – è l’ultimo obbiettivo dello sviluppo sociale.” Lui poi continuò che i mezzi usati per arrivare a questo, apparentemente simile, obbiettivamente erano differenti. I marxisti, asserisce, “dicono che un despotismo statale, una dittatura, è un passaggio necessario transizionale per raggiungere la totale liberazione delle persone: l’anarchia, o la libertà, è l’obbiettivo, e lo Stato, la dittatura, è il mezzo… Noi rispondiamo che nessuna dittatura potrà avere altro obbiettivo che perpetuare sé stessa, e che può generare e nutrire solo schiavitù nelle persone che la perpetuano. La libertà può essere creata solo dalla libertà, da un’insurrezione di tutte le persone e dell’organizzazione volontaria dei lavoratori dal basso verso l’alto.” [Stato e Anarchia, p.179]
Di conseguenza, è di norma preso per certo che gli obbiettivi di sia anarchici e marxisti sono gli stessi, e che siamo in disaccordo solo con i mezzi. Comunque, dentro questo accordo generale sugli obbiettivi finali (una società senza classi e senza Stato), i dettagli di una tale società sono in qualche modo diversi. Questo, forse, è da aspettarsi data la differenza di mezzi. Come risulta ovvio dall’intervento di Bakunin, gli anarchici sottolineano l’unità tra mezzi e fini, e che i mezzi usati condizionano gli scopi raggiunti. La coerenza fra mezzi e scopi è ben espressa dall’osservazione di Martin Buber che “non ci si può aspettare nella natura delle cose che da un piccolo albero trasformato in un bastone spuntino le foglie.” [Paths in Utopia, p. 127] Riassumendo, non ci possiamo aspettare di raggiungere la nostra destinazione se prendiamo la via che va in una direzione opposta. Quindi, l’accordo sugli scopi può non essere così vicino come si usa pensare.
Quindi quando si afferma che gli anarchici e i socialisti di Stato vogliono la stessa cosa, bisogna tenere presente tre cose. Anzitutto, ci sono differenze chiave sulla questione delle tattche correnti. Secondo, c’è la questione dei fini immediati della rivoluzione. Terzo, ci sono gli obbiettivi a lungo termine di una tale rivoluzione. Questi tre aspetti formano una coerenza, dato che un punto segue l’altro logicamente. Come mostreremo, le visioni anarchiche e marxiste di ogni aspetto sono distintamente differenti, quindi concluderemo che gli obbiettivi a breve, medio e lungo termine di ogni teoria sono, di fatto, diversi. Discuteremo di ogni aspetto a turno.
Per prima cosa, esaminiamo la questione della natura del movimento rivoluzionario. Qui anarchici e molti marxisti hanno idee distintamente opposte. I primi vogliono che sia l’organizzazione rivoluzionaria (una federazione anarchica) e il più grande movimento operaio dovrebbero essere organizzati in linea con la visione della società che ci ispira. Questo significa che dovrebbe essere una federazione di gruppi autogestiti basati sulla partecipazione diretta dei suoi membri nel processo del fare le decisioni. Il potere, di conseguenza, è decentralizzato e non c’è differenza fra chi decide e chi esegue tali decisioni. Rifiutiamo l’idea di altre persone che agiscono per il nostro conto o per quello del popolo e quindi incoraggiamo l’uso dell’azione diretta e della solidarietà, basata sull’autoorganizzazione, l’autogestione e l’autonomia della classe operaia. Quindi, gli anarchici e le anarchiche applicano le loro idee nella lotta contro il sistema attuale, affermando che cosa è “efficiente” da una posizione gerarchica o di classe è profondamente inefficiente da una prospettiva rivoluzionaria.
I marxisti non sono d’accordo. La grande maggioranza di loro sono anche leninisti. Propongono la formazione di partiti “vanguardia” basati sui principi del “centralismo democratico” completato con una guida istituzionata. Dicono che come ci organizziamo è indipendente dal tipo di società a cui miriamo e che il partito dovrebbe mirare a diventare la leadership riconosciuta della classe operaia. Ogni cosa che fanno è subordinata a questo fine, il che implica che ogni lotta non è fine a sé stessa ma è vista come mezzo per guadagnare supporto e reclute per il partito finchè raccoglie così tanto consenso da prendere il potere. Dato che questo è un aspetto chiave di conflitto tra anarchici e leninisti, lo discutiamo in dettaglio nella sezione H.8 e nelle sue relative sezioni e quindi qui non ci ripeteremo.
Ovviamente, non si può dire che anarchici/anarchiche e marxisti/marxiste vogliano la stessa cosa nel breve termine. Mentre noi siamo per un movimento rivoluzionario basato su principi libertari (cioè rivoluzionari), i leninisti sono per un partito basato sui principi distintamente borghesi di centralizzazione, delegazione di potere e rappresentazione anzichè democrazia diretta. Entrambi, ovviamente, asseriscono che solo il loro sistema di organizzazione è effettivo ed efficiente (vedi sezione H.8 sul perché gli anarchici affermano che il modello leninista non è efficace da una prospettiva rivoluzionaria). La prospettiva anarchica è di vedere l’organizzazione rivoluzionaria come farte della classe operaia, incoraggiando e aiutando coloro in lotta a chiarirsi le idee che assumono dalle loro esperienze e il suo ruolo di dare una guida più che un corredo di capi da essere seguiti (per approfondimenti, vedi sezione J.3.6). La prospettiva leninista è di vedere il partito rivoluzionario come la guida della classe operaia, introducendo coscienza socialista in una classe che non può generarne da sola (vedi sezione H.8.1).
Data la preferenza leninista per la centralizzazione e la guida da organizzazione gerarchica, non darà nessuna sorpresa che le loro idee sulla società post rivoluzionaria sono distintamente diverse da quelle anarchiche. Mentre c’è una tendenza da parte dei leninisti di negare che gli anarchici hanno un’idea chiara di cosa sarà immediatamente creato da una rivoluzione (vedi sezione H.1.4), noi abbiamo idee concrete su che tipo di società che una rivoluziona creerà immediatamente. Questa visione è in quasi tutti gli aspetti molto diversa da quella proposta da maggior parte dei marxisti.
Anzitutto, c’è la questione dello Stato. Gli anarchici, non sorprendendo, vogliono distruggerlo. Semplicemente, mentre anarchici vogliono una società senza classi e senza Stato e propongono mezzi appropriati a questi scopi, molti marxisti dicono che per raggiungere una società senza Stato e senza classi abbiamo bisogno di nuovi Stati “dei lavoratori”, uno Stato, inoltre, nel quale il loro partito sarà al potere. Trotsky, nel 1906, scrive chiaramente che “ogni partito politico degno di questo nome mira a prendere il potere governativo e quindi mettere lo Stato al servizio della classe della quale rappresenta gli interessi.” [quotato da Israel Getzler, "Marxist Revolutionaries and the Dilemma of Power", pp. 88-112, Revolution and Politics in Russia, Alexander and Janet Rabinowitch and Ladis K.D. Kristof (eds,), p. 105] Questo è in linea con i commenti di Marx del 1852 che “il Suffragio Universale è l’equivalente del potere politico della classe operaia in Inghilterra, dove il proletariato forma la larga maggioranza della popolazione…Il risultato inevitabile, qui, è la supremazia politica della classe operaia.” [Collected Works, vol. 11, pp. 335-6] In altre parole, “potere politico” significa semplicemente l’abilità di nominare un governo. Quindi Engels:
“In ogni lotta di classe contro classe, la mira per cui si lotta è il potere politico; la classe dominante difende la sua supremazia politica, cioè la sua tranquilla maggioranza nella Legislatura; la classe inferiore si batte per prima una parte, poi tutto quel potere, per diventare capace di cambiare le leggi esistenti in conformità con i loro interessi e requisiti. Quindi la classe operaia in Gran Bretagna per anni si battè ardentemente e anche violentemente per il People’s Charter [che chiese un suffragio universale ed elezioni generali annuali], che era lì per dare quel potere politico.” [Collected Works, vol. 24, p. 386]
Mentre i marxisti amano dipingere questo nuovo governo come
“dittatura del proletariato”, gli anarchici affermano che, di fatto,
sarà una dittatura s u l proletariato. Questo è perché se la classe
dominante è la classe operaia (come dicono i marxisti) allora, dicono
gli anarchici, come potranno delegare il loro potere a un governo e rimanere
tale? O la classe operaia dirige direttamente i suoi affari (e quindi la società)
o lo fa il governo. Discutiamo di questo nella sezione H.3.7, ogni Stato è
semplicemente governo di pochi e quindi incompatibile col socialismo. L’ovvia
implicazione di questo è che il marxismo vuole il potere del partito, non la
diretta gestione della società da parte della classe operaia (come argomentiamo
nella sezione H.3.8, la tradizione leninista è estremamente chiara su questo
argomento).
Poi c’è la questione del costruire il socialismo. Ancora
una volta, c’è una chiara differenza fra anarchismo e marxismo. Gli anarchici
e le anarchiche hanno sempre affermato che la base del socialismo è
l’organizzazione della classe operaia, creata in lotta contro il capitalismo e
lo Stato (vedi sezione H.1.4 per dettagli). Questo metodo si applica anche alla
struttura sociale ed economica della società postrivoluzionaria. Per molte
forme del marxismo, è stata dominante un’immagine del tutto differente. Come
discutiamo nella sezione H.3.10, i marxisti raggiunsero una simile visione della
struttura politica del socialismo solo nel 1917 quando lenin approvò i soviets
come parte del suo “stato dei lavoratori”. Comunque, come proviamo nella
sezione H.3.11, lui fece ciò solo per scopi strumentiali, cioè come mezzo per
assicurare il potere bolscevico. Se i soviet si scontravano col partito, era
quest’ultimo ad avere la preferenza. Non sorprendentemente, la linea
principale dei bolscevichi si mosse da “Potere ai Soviet” a “dittatura
del partito” molto velocemente. Quindi, al contrario dell’anarchismo,
tante forme di marxismo mirano al potere del partito, a un governo
“rivoluzionario” sopra gli organi autogestiti della classe operaia.
Inoltre ci sono anche chiare differenze economiche. Gli
anarchici hanno sempre affermato che i lavoratori “dovrebbero essere i veri
dirigenti delle industrie.” [Peter Kropotkin, Fields, Factories and
Workshops Tomorrow, p. 157] Per fare ciò, abbiamo indicato molte
organizzazioni nel tempo, come comitati di fabbrica e unioni operaie come “il
mezzo con cui le forme di socialismo potrebbero trovare…realizzazione.”
Quindi sarebbero “non solo uno strumento per il miglioramento delle
condizioni operaie, ma furono anche capaci di diventare organizzazioni che
potrebbero… prendere in mano il controllo della produzione.” [Kropotkin,
The Conquest of Bread, pp. 22-3]
Come si può vedere in dettaglio nella sezione H.3.12
Lenin, al contrario, ha visto il socialismo costruito sulle basi strutturali e
tecniche (e anche quelle manageriali) del capitalismo. Più che vedere il
socialismo costruito attorno a nuove organizzazioni operaie, Lenin lo vide
costruito sulla base di sviluppo di organizzazioni capitaliste. “La strada
leninista verso il socialismo,” nota un esperto in Lenin, “andò per
il terreno del capitalismo di monopolio. Non abolirebbe, secondo Lenin, né la
sua avanzata base strutturale tecnologica né i suoi mezzi istituzionalizzati
per distribuire le risorse o strutturare l’industria… La struttura
del capitalismo avanzato può, per farla breve, essere utilizzata per la
realizzazione di specifici scopi socialisti. Infatti, dovranno diventare i
principali (e quasi esclusivi) strumenti di trasformazione socialista.”
[Neil Harding, Leninism, p.145] Come spiegò Lenin, il socialismo “non
è niente ma il prossimo passo dal monopolio di Stato capitalista. In altre
parole, il Socialismo non è niente tranne monopolio di Stato capitalista fatto
per beneficiare tutte le persone; da sé cessa di essere un monopolio
capitalista.” [The Threatening Catastrophe and how to avoid it, p.
37]
Il ruolo dei lavoratori in questa visione è praticamente
immutato. Più che volere, come gli anarchici, autogestione della produzione da
parte dei lavoratori nel 1917, Lenin chiese un “universale, globale
controllo dei lavoratori sui capitalisti.” [Will the Bolsheviks
Maintain Power, p. 52] Una volta che i bolscevichi presero il potere, gli
organi dei lavoratori (i comitati industriali) furono integrati in un sistema di
controllo statale, perdendo qualunque valore che avevano a un punto di
produzione. Lenin poi modificò questa visione avendo "one-man
management" sui lavoratori (vedi sezione H.3.14). In altre parole, una
forma di capitalismo di Stato nel quale i lavoratori potevano ancora
essere schiavi salariati sotto i capi nominati dallo Stato. Non
soprendentemente, il “controllo” che i lavoratori esercitarono sui
loro capi (cioè quelli con vero potere nella produzione) dimostrò di
essere elusivo come era nello Stato. In questo, Lenin senza dubbio seguì la
guida del Manifesto Comunista che sottolineava padronanza da parte dello
Stato dei mezzi di produzione senza una parola dell’autogestione dei
lavoratori sulla produzione. Come argomentiamo nella sezione H.3.13, il
“socialismo” di Stato non può che non essere “capitalismo di Stato”
nella sua stessa natura.
Neanche a dirlo, finchè si parla di mezzi, pochi anarchici
e sindacalisti sono paficisti convinti. Come disse Emile Pouget, “la storia
ci insegna che i privilegiati non hanno mai ceduto i loro privilegi senza essere
obbligati a farlo e obbligati dalle loro vittime ribelli. Non è che la
borghesia è dotata di una grazia eccezionale e abdicherà volontariamente.”
Questo voleva dire che “ricorrere alla forza… sarà necessario.” [The
Party Of Labour] Questo non vuol dire che i libertari glorificano la
violenza o asseriscono che tutte le forme di violenza sono necessarie (anzi!),
significa semplicemente che per autodifendersi da avversari violenti,
sfortunatamente, la violenza è a volte necessaria.
Anche il modo in cui una rivoluzione anarchica si
difenderebbe mostra una differenza chiave tra anarchismo e marxismo. Come
discutiamo nella sezione H.2.1, gli anarchici sono sempre stati dell’opinione
che una rivoluzione dovrebbe difendersi (tralasciando commenti marxisti).
Sarebbe organizzato in uno stile federale e dal basso, proprio come la struttura
di una società libera. Sarebbe basata su militanti volontari di classe operaia.
Come scrisse Bakunin, “gli abitanti del paese, come i lavoratori
industriali urbani, dovrebbero unirsi federando battaglioni, distretto per
distretto, assicurando in questo modo difesa contro nemici interni ed
esterni.” [Bakunin on Anarchism, p. 190] Questo modello di
autodifesa operaia fu applicato con successo in sia la rivoluzione spagnola che
un quella ucraina (rispettivamente dal CNT-FAI e dai Makhnovisti). In netto
contrasto, il metodo bolscevico di difesa di una rivoluzione si basa sulla
verticale, gerarchica e centralizzata “Red Army” (vedi sezione H.4 per
dettagli). Come mostrò l’esempio dei Makhnovisti(vedi sezione H.6), la “Red
Army” non fu l’unico modo di difendere la Rivoluzione Russa, ma fu l’unico
modo con cui i bolscevichi potessero difendere il potere.
Quindi mentre gli anarchici hanno sempre affermato che il
socialismo dev’essere basatto sull’autogestione della produzione e della
società da parte della classe operaia, la tradizione leninista non supportò
questa visione(anche se si è appropriata di questa immagine per guadagnare
supporto popolare). Chiaramente, in termini di postrivoluzione, gli anarchici e
i leninisti non desiderano la stessa cosa. I primi vogliono una società libera
organizzata e condotta dal basso verso l’alto dalla classe operaia basata
sull’autogestione produttiva dei lavoratori mentre l’ultima desidera potere
del partito in una nuova struttura sociale che dovrebbe dirigere un’economia
capitalista statale.
Infine, c’è la questione degli obbiettivi a lungo
termine. Anche in questa visione di una società senza Stato né classi c’è
molto in comune tra il comunismo anarchico e il comunismo marxista, oltre alla
simile terminologia usata per descriverlo. Questo è evidenziato delle
differenze terminologiche usate da entrambe le teorie. Marx ed Engels indicarono
negli anni 1840 l’obbiettivo (a lungo termine) di “un’associazione,
nella quale il libero sviluppo di ognuno[a] è la condizione di libero sviluppo
per tutti [e tutte]” che rimpiazza “la vecchia società borghese, con
le sue classi e conflitti classisti,” nel Manifesto Comunista.
Prima di questa “vasta associazione dell’intera nazione” sarebbe
stata possibile, il proletariato sarebbe “riconosciuto… alla posizione di
classe dominante” e “tutto il capitale” sarebbe “centralizzato…
nelle mani dello Stato, cioè del proletariato in forma di classe dominante.” Dato
che le classi economiche non sarebbero più esistite, “il potere pubblico
perderebbe il suo carattere politico” perché il potere politico “è
meramente il potere organizzato di una classe che opprime l’altra.” [Manifesto
of the Communist Party, p. 53]
Fu questo, il mezzo verso una fine, che fu al centro di
tanto dibattito (per dettagli vedi sezione H.1.1). Comunque, non può essere
assunto che i fini desiderati dai marxisti e dagli anarchici sono identici.
L’argomento che il “potere politico” potrebbe smettere di essere “politico”
(cioè uno Stato) è una tautologia, e una particolarmente non convincente.
Dopo tutto, se il “potere politico” è definito come strumento di
dominio classista segue automaticamente che una società senza classi avrebbe un
“potere pubblico” non politico e quindi senza uno Stato! Questo non
implica che un “potere pubblico” non esisterebbe più come struttura
in una (o, più correttamente, su una) società, implica solamente che il suo
ruolo non sarebbe più “politico” (cioè uno strumento di dominio
classista). Dato che, secondo il Manifesto, lo Stato centralizzerebbe i mezzi di
produzione, di credito e di trasporto e organizzarli “secondo un piano
comune” usando “eserciti industriali, specialmente per
l’agricoltura” questo suggerirebbe che la struttura statale rimarrebbe
anche dopo che i suoi aspetti “politici” siano, usando il termine di
Engels, “scompariti” [Marx and Engels, Op. Cit., pp. 52-3]
Da questa prospettiva, la differenza tra comunismo
anarchico e comunismo marxista è chiara. “Mentre entrambi”, nota
John Clark, “prevedono lo scomparire dello Stato, il raggiungimento della
gestione sociale dell’economia, la fine del dominio di classe e il
raggiungimento dell’uguaglianza umana, per menzionare un po’ di obbiettivi
comuni, rimangono sempre differenze significative nei fini. Il pensiero marxista
ha sviluppato una visione che mira ad un’alto grado di sviluppo tecnologico
con un corrispondente grado di centralizzazione delle istituzioni sociali che
continueranno anche dopo la rivoluzione sociale… La visione anarchica vede la
scala umana come essenziale, sia nelle tecniche usate per la produzione, che per
le istituzioni che si erigono dai nuovi modi di associazione… Inoltre,
l’ideale anarchico ha un forte elemento edonistico che ha visto il socialismo
tedesco come asettico e puritano.” [The Anarchist Moment, p. 68]
Inoltre, non è probabile che un sistema così
centralizzato potrebbe diventare veramente senza classi né Stato. Come disse
Bakunin, nello stato marxista “non ci sarà classe privilegiata. Ognuno sarà
uguale, non solo dal punto di vista giuridico ed economico ma anche da quello
economico. Quella è la promessa…quindi non ci saranno più classi, ma un
governo, e, si noti, un governo estremamente complicato che, non contento di
governare e amministrare le masse politicamente…le amministrerà anche
economicamente, appropriandosi dei mezzi di produzione e distribuendo in maniera
equa ricchezza, agricoltura, lo stabilimento e lo sviluppo di fabbriche,
l’organizzazione e controllo di scambio, e infine l’iniezione di capitale
nella produzione da parte di un singolo banchiere, lo Stato.” Un
tale sistema sarebbe, in fatti, “il regno della mente scientifica,
il più aristocratico, despotico, arrogante e contemposo di tutti i regimi” basati
su “una nuova gerarchia di vero o falso apprendimento, e il mondo sarebbe
diviso in una minoranza dominante e basata scientificamente e una vasta,
ignorante minorità.” [Michael Bakunin: Selected Writings, p. 266]
Anche le parole di George Barrett sembrano appropriate:
“I socialisti moderni…hanno lavorato duramente per
la centralizzazione, e completa e perfetta organizzazione e controllo da quelli
in autorità sopra le persone. L’anarchico, al contrario, crede
nell’abolizione di quel potere centrale, e aspetta la società libera di
crescere dal basso, cominciando con quelle organizzazioni e liberi accordi tra
le genti stesse. E’ difficile sapere come, facendo un potere centrale
controllare tutto, possiamo fare un passo avanti verso l’abolizione di quel
potere.” [Objections to Anarchism]
Come nota Brain
Morris, “le paure di Bakunin che sotto il tipo di socialismo di Marx i
lavoratori potrebbero continuare a lavorare sotto un sistema di produzione
regimentato, meccanizzato, gerarchizzato, senza controllo diretto sul loro
lavoro, è stata più che confermata dalle realtà del sistema bolscevico.
Quindi, la critica di Bakunin al marxismo ha preso una rilevanza sempre maggiore
nell’era del capitalismo statale burocratico.” [Bakunin: The
Philosophy of Freedom, p. 132]
Quindi, gli anarchici non sono convinti che un sistema
altamente centralizzato (come lo Stato) che diriga la vita economica della
società possa essere parte di una società veramente senza classi. Mentre le
classi economiche definite in termini di proprietà potranno non esistere, le
classi sociali (definite in termini di potere e ricchezza) continueranno
semplicemente perché lo Stato è designato a creare e proteggere il dominio di
pochi (vedi sezione H.3.7). Come mostrarono i bolscevichi e la Russia
stalinista, nazionalizzare i mezzi di produzione non mette un fine alla società
classista. Come affermò Malatesta:
“Quando F.
Engels, forse per rispondere alle critiche anarchiche, disse che una volta che
le classi spariscono lo Stato in sé non ha raison d’etre e si
trasforma da un governo di uomini in un’amministrazione di cose, stava
meramente giocando con le parole. Chiunque ha potere sulle cose ha potere sugli
uomini [e donne]; chi governa la produzione governa anche i produttori; chi
determina il consumo è padrone del consumatore.
“Questo è
l’argomento; o le cose sono amministrate sulle basi del libero accordo delle
parti interessate, e questa è anarchia; o sono amministrate secondo le leggi
fatte da amministratori e questo è il governo, è lo Stato, e inevitabilmente
diventa tirannico.
“Non è una
questione di buone intenzioni o la buona volontà di questo o quell’uomo, ma
l’inevitabilità della situazione, e delle tendenze che l’uomo generalmente
sviluppa in date circostanze.” [Life and Ideas, p. 145]
La
visione anarchica di una società futra, quindi, non combacia perfettamente con
quella comunista di Stato, come l’ultima ci vorrebbe far credere. La
differenza tra i due è l’autorità, che non può non essere che la più
grande differenza possibile. L’economia anarchica e le teorie organizzative
sono costruite attorno un principio antiautoritario e questo è insito in sia i
nostri mezzi sia i nostri fini. Per gli anarchici e le anarchiche, la visione
leninista del socialismo non è attraente. Lenin sottolineò continuamente che
il suo concetto di socialismo e “capitalismo
di Stato”
erano fondalmente identici. Anche in Stato e Rivoluzione, indubbiamente
il suo lavoro più libertario, scopriamo
questa particolare non visionaria e non sorprendente visione di
“socialismo”:
“Tutti i
cittadini sono trasformati in impiegati salariati dallo Stato…Tutti i
cittadini diventano lavoratori e dipendenti di un singolo ‘sindacato’
nazional Statale…la società in sé sarà diventata un singolo ufficio e una
singola fabbrica con uguaglianza di lavoro e uguaglianza di paga.”
[Essential Works of Lenin, p. 348]
Dal quale, gli
anarchici indicano Engels e i suoi commenti del carattere tirannico e
autoritario della fabbrica moderna (come discutiamo nella sezione H.1.12).
Engels, non dimentichiamo, ha affermato contro gli anarchici che l’industria
in larga scala (o, infatti, ogni forma di organizzazione) significò che la
“autorità” era richiesta (organizzazione significava che “la
volontà di un singolo individuo sarà sempre subordinata, il che vuol dire che
le questioni sono risolte in un modo autoritario.”) Lui (come il
proprietario di fabbrica che era) disse che le fabbriche dovevano avere scritto "Lasciate
ogni autonomia, voi che entrate” scritto sopra le loro porte. Questa
obbedienza, arguì Engels, era necessaria anche nel socialismo, perché
applicare le “forze della natura” significava “un vero
despotismo indipendente da tutte le organizzazioni sociali.” Questo
significava che “voler abolire l’autorità nell’industria di larga
scala è volere abolire l’industria in sé.” [Marx-Engels Reader,
p. 731] Chiaramente, l’idea di Lenin di trasformare il mondo in grandi
fabbriche prende un’estremamente paurosa natura data la bella visione di
Engels della mancanza di libertà nell’industria.
Per queste ragioni gli anarchici semplicemente rifiutano
l’analisi marxista semplicistica dell’inuguaglianza ricercata solo nelle
classi economiche. Una tale analisi, come provano i commenti di Lenin e di
Engels, dimostrano che la disuguaglianza sociale può entrare nella porta del
retro di una cosìddetta società senza classi né Stato. Quindi Bookchin:
“Fondamentale per il socialismo antiautoritario –
specificatamente, per il comunismo anarchico – è la nozione che la gerarchia
e la dominazione non possono essere sottomessi da dominio di classe e
sfruttamento economico; invece, che sono fondamentali per capire il progetto
rivoluzionario moderno. Prima che l’’uomo’ cominciò a sfruttare
l’’uomo’, egli cominciò a dominare la donna…Il potere dell’umano
sull’umano è proprio la fondazione delle classi e dei modi moderni di
oppressione sociale. …Questo è chiaro: non insisterà che una società
senza classi, liberata dallo sfruttamento materiale, sarà necessariamente una
società liberata. Non c’è niente che il futuro sociale da suggerire che la
burocrazia è incompatibile con una società senza classi, la dominazione della
donna, del giovane, di gruppi etnici o anche di strato professionale.”
[Toward an Ecological Society, pp. 208-9]
Alla fine, gli
anarchici riconoscono che “c’è un regno di dominazione che è più vasto
di quello dello sfruttamento materiale. La tragedia del movimento socialista è
che, piantato nel passato, usa i metodi di dominazione per tentare di
‘liberarci’ dallo sfruttamento materiale.” Non c’è bisogno di dire
che questo è destinato al fallimento. Il socialismo “ci porterà solamente
in un mondo che tentiamo di sconfiggere. Una società non gerarchica,
autogestita e libera dalla dominazione in tutte le sue forme è nell’agenda
oggi, non un sistema gerarchico avvolto in una bandiera rossa.” [Murray
Bookchin, Op. Cit., p. 272 and pp. 273-4]
Riassumendo, non si può dire che gli anarchici e molti
marxisti vogliono la stessa cosa. Mentre loro usano gli stessi termini, questi a
volte nascondono concetti radicalmente differenti. Ad esempio, solo perché gli
anarchici e i classici marxisti parlano di “rivoluzione sociale”, “socialismo”,
“potere ai soviet” e così via, non significa che si intendono le
stesse cose. Per esempio, la frase “potere ai soviet” per gli
anarchici significa esattamente quello (cioè che la rivoluzione dev’essere
gestita direttamente da organi operai). I leninisti vogliono dire “potere a
un governo centrale eletto da un congresso nazionale sovietico.” La cosa
è analoga con simili frasi (che dimostra l’importanza di guardare ai dettagli
di ogni teoria politica e la sua storia).
Abbiamo mostrato che questa discussione sui fini da
raggiungere è importante tanto quanto la discussione sui mezzi relativi. Come
indicò una volta Kropotkin, quelli che non badano all’importanza di discutere
“l’ordine delle cose che…dovrebbe emergere dalla rivoluzione
avvenente” e al posto si concentrano su “cose pratiche” sono
meno che onesti perché “invece di far luce su queste teorie, le propagano,
e tutto quello che conoscono è un’estensione logica delle loro idee. Alla
fine le parole ‘Non discutiamo su cose teoriche’ vogliono in realtà dire:
‘Non discutere la nostra teoria, ma aiutaci a metterla in pratica.’” [Words
of a Rebel, p. 200]
Ecco perché
bisogna valutare criticamente sia i fini che i mezzi. Questo mostra la debolezza
della solita asserzione che gli anarchici e la sinistra in genere hanno una
visione comune e quindi dovremmo lavorare insieme per ottenere obbiettivi
comuni. Chi sa cosa accade dopo? Come si può vedere qui, non è proprio il caso
di collaborare. Molti aspetti dell’anarchismo e del marxismo sono opposti e
non possono essere considerati simili (per esempio cosa un leninista considera
come socialismo è totalmente differente dall’idea anarchica di socialismo).
Se si considera “socialismo” come uno “stato dei lavoratori”
presidiato da un governo “rivoluzionario”, allora come può essere
riconciliato con la visione anarchica di una federazione di comuni autogestite e
associazioni dei lavoratori? Come la rivoluzione russa dimostra, solamente da
parte delle forze armate di un governo “rivoluzionario” a distruggere
la visione anarchica.
L’unica cosa
veramente in comune che noi abbiamo con questi gruppi è una mutua opposizione
al capitalismo esistente. Ma avere un comune nemico non aiuta a fare amici.
Quindi gli anarchici, mentre vogliono lavorare mutuamente contro certe lotte,
sono molto a conoscenza che ci sono differenze sostanziali in sia i mezzi che i
fini. Le lezioni di rivoluzione del ventesimo secolo è che una volta al potere,
i leninisti reprimeranno gli anarchici, i loro attuali alleati contro il sistema
capitalista. Questo non succede per sbaglio, ma scaturisce dalle differenze in
visione tra i due movimenti, sia in termini di mezzi che di obbiettivi da
raggiungere.