di Erick Wulff.
Gramsci scrive che in ogni formazione storica la classe al potere produce un
tipo di intellettuale che può poi utilizzare per i propri fini. Nell'era
del feudalesimo si trattò del clero, in quella dell'assolutismo ci fu
la ghirlanda dei poeti e dei filosofi di corte, nell'epoca del capitalismo borghese
apparvero lo scrittore e lo scienziato «indipendenti». A livello
personale e individuale questi intellettuali potevano ritenersi senz'altro indipendenti
dalla classe dominante, per certi aspetti si avocavano addirittura la funzione
di eminenze critiche. In realtà erano pur sempre i «burocrati amministrativi
della sovrastruttura» (Gramsci). Nizan definì i filosofi «i
cani da guardia della borghesia». D'altra parte, nell'epoca del capitalismo
dei monopoli non vi è più coincidenza assoluta tra interessi degli
intellettuali ed interessi del capitale. Solo un ristretto numero di intellettuali
viene lautamente rimunerato; per la maggior parte si tratta invece di piccolo-medio
borghesi declassati, i cui introiti sono saltuari e per lo più scarsi,
o che si trovano addirittura in posti di lavoro non sufficientemente garantiti.
La concentrazione crescente in atto nell'industria culturale, nella stampa,
nella televisione, nel teatro, ha reso la loro situazione ancora più
precaria. Anche in campo intellettuale scientifico si sta arrivando a una frattura
sempre più accentuata tra alcune forze di punta, impegnate in un lavoro
creativo, ed una maggioranza di tecnici e ingegneri i quali, per ciò
che concerne la dipendenza salariale, lo stato occupazionale e gli introiti,
si differenziano sempre meno dagli operai specializzati. La proletarizzazione
degli intellettuali non può più, in tal modo, passare inosservata
neppure a loro stessi. Il continuo progresso della loro tendenza ad organizzarsi
sindacalmente è solo la logica conseguenza di questo sviluppo.
La situazione reale degli intellettuali nella società a capitalismo monopolistico
implica dunque che una parte di essi - specialmente quella proletarizzata -
si presenti sempre più come potenziale alleata della classe lavoratrice,
in considerazione appunto della comunanza degli interessi.
Quali sono in una tale alleanza i compiti dell'intellettuale? Cercherò
di rispondere a questa domanda da un punto di vista soggettivo, partendo dalla
mia situazione personale che è quella di un docente universitario di
psichiatria, di uno cioè che appartiene alle forze intellettuali scientifiche
della Repubblica federale tedesca, che occupa quindi un posto di lavoro non
nel campo della produzione, bensì nel settore dei servizi.
Nella Repubblica federale tedesca, come tutti sanno, l'assistenza sanitaria
nel settore psichiatrico e l'insegnamento della psichiatria si trovano in uno
stato desolante. La prevalenza spetta ai grandi ospedali-prigione con mille
e più letti, situati a grande distanza dalle concentrazioni urbane ed
industriali; assistenza preventiva e controllo dei pazienti dopo la dimissione
dall'ospedale esistono appena; le competenze per ciò che riguarda il
trattamento dei pazienti e le mansioni delle diverse istituzioni sono disperatamente
frazionate. Nella didattica domina un'ideologia ostile ai pazienti ed antiterapeutica,
la quale, nei limiti in cui ciò le riesce, continua a definire le alterazioni
psichiche come abnormità o come malattie dovute a predisposizione. I
pazienti esterni vengono rimpinzati di medicinali, quelli ricoverati sono lasciati
all'arbitrio di un personale curante che viene pagato e sollecitato dai medici
e dall'amministrazione non per accostarsi ai pazienti in modo umano e comprensivo,
ma per mantenere l'ordine e la tranquillità nel luogo di cura.
In condizioni non migliori si trova la ricerca applicata in campo psichiatrico.
Nella conoscenza di quelle condizioni sul posto di lavoro, nel luogo di abitazione,
nel modo di vita che determinano il destino patologico di un paziente e che,
con ogni probabilità, sono responsabili anche dell'insorgere di malattie
psichiche, non si va molto al di là delle supposizioni o delle osservazioni
singole. I progetti di ricerca urtano contro la resistenza attiva o passiva
delle industrie e delle autorità. Non vi è alcun dubbio che è
nell'interesse dei malati e di coloro che tali potrebbero diventare che questi
rapporti vengano modificati nel modo più rapido e radicale possibile:
ciò è soprattutto nell'interesse di coloro i quali non possono
permettersi le terapie ottimali delle case di cura private e dei sanatori, quindi
della maggioranza della popolazione a reddito fisso.
Cosa può fare a questo proposito un tecnico che opera nel
settore psichiatrico? Può cercare di enucleare le componenti che sono
alla base della situazione attuale della psichiatria: e lo può fare attraverso
un'analisi che prenda in considerazione gli sviluppi socio-economici, politici,
ideologici e tecnologici. L'interesse e le forze che rappresentano tali sviluppi
e che sono responsabili dell'insorgere e del sussistere delle presenti condizioni,
possono così essere rese manifeste, come anche le contraddizioni tra
queste forze e l'interesse. Tale dovrebbe essere il compito della psichiatria
«critica» - un compito sicuramente urgente e necessario. Chi lo
intraprendesse verrebbe accusato dai circoli scientifici dominanti di non scientificità,
verrebbe deriso come «letterato» e come «filosofo»,
oppure semplicemente ignorato. Ma né l'establishment psichiatrico né
le autorità ne trarrebbero seri motivi di preoccupazione. Il campo della
psichiatria teorico-critica non è tanto un campo di battaglia quanto
un campo aperto - se non addirittura una specie di "divertissement"
- lasciato, anche se un po' controvoglia, agli intellettuali, sia per una soddisfazione
personale sia per mettersi a posto con la coscienza. Tuttavia anche entro questi
limiti la tolleranza ufficiale lascia a desiderare in modo vistoso nel momento
in cui l'analisi si sposta su problemi di paghe, di budget, della ripartizione
dei fondi pubblici. L'ideologia della categoria dei medici ritiene che non sia
distinto e consono ad una certa posizione sociale l'occuparsi pubblicamente
di siffatti problemi.
Ancor più difficile si fa la situazione quando uno scienziato mette allo
scoperto arretratezze ed abusi presenti nel proprio ambito professionale e li
mette in discussione, anche se tutto ciò avviene nei limiti ristretti
di un pubblico di studiosi e di scienziati.
Erich Haisch, dell'ospedale di Reichenau, si tirò addosso nel 1963 un
provvedimento disciplinare quando, al ritorno da un lavoro presso l'organizzazione
mondiale della sanità, rivelò l'arretratezza della psichiatria
tedesca e propose nel proprio ospedale cambiamenti postulati già da tempo
a livello internazionale.
A Heidelberg il tentativo di introdurre nel policlinico universitario forme
terapeutiche non convenzionali portò al licenziamento del medico che
le aveva intraprese e al fallimento del tentativo di un «collettivo socialista
di pazienti».
Il professor dottor Flegel venne espulso dall'ospedale psichiatrico di Berlino-Wittenau
nel momento in cui - ancora durante il suo periodo di prova come direttore medico
- diede inizio a delle caute riforme nella gestione ospedaliera interna.
Se poi un medico di reparto, di sua iniziativa, tenta di introdurre qualche
cambiamento - per esempio anche solo quello di non portare più regolarmente
il camice bianco, a prescindere totalmente da riforme di maggior respiro - quasi
sempre perde il posto alla prima occasione favorevole che si presenta.
Riforme anche di poco conto sono attuabili solo nel caso in cui i loro promotori
si siano conquistati, in precedenza, le posizioni di potere necessarie per poterle
realizzare. Se non hanno tenuto conto di questo, anche la riforma più
modesta si trasforma in atto rivoluzionario. La differenza tra i due casi non
è determinabile secondo una diversità di contenuti, ma da un'unica
discriminante, e cioè dal fatto che le riforme vengano realizzate rispettando
i crismi della legalità o invece mettendo da parte leggi, prescrizioni,
disposizioni vigenti. Riforme illegali condotte in modo sovversivo vengono scoperte,
nella maggior parte dei casi, molto presto e finiscono con l'andare a monte.
Questo comporta un effetto deprimente per quelli che rimangono sul posto di
lavoro: li induce a ritenere che nessun cambiamento è possibile. Se viceversa,
per conquistare ai pazienti un trattamento più umano, si trasgrediscono
con voluta ostentazione le norme prescritte, per lo più non si va al
di là dei primissimi inizi.
Occasionalmente può accadere che un tale modo di agire riesca a portare
all'attenzione dell'opinione pubblica la disumanità di certi trattamenti:
tutto il nostro rispetto e talvolta anche tutta la nostra ammirazione devono
perciò andare a quei medici che in conseguenza di tale scelta operativa
vanno consapevolmente incontro ai più pesanti sacrifici personali: perdita
del posto di lavoro, messa al bando dai colleghi, diffida camerale.
Ma è necessario avere ben chiaro che questo modo di procedere è
un'arma che si spunta assai presto. Dopo che i responsabili sono stati espulsi
- fatto che può anche avere una certa efficacia per la sua risonanza
pubblica - tra quelli che nelle istituzioni sono rimasti, si diffonde la rassegnazione
- coloro che sono stati cacciati possono tutt'al più esprimere ancora
una critica teorica, ma sono tagliati fuori da ogni possibilità di azione
pratica.
Conquistarsi da sé le posizioni di potere necessarie per evitare questa
situazione critica non è facile. Alcuni tra i promotori di riforme hanno
tentato di arrivarci, cercando, con le proprie forze, di farsi strada fino a
raggiungere una posizione più indipendente e ciò per mezzo di
una carriera scientifica coronata da successi.
Anch'io mi son trovato a percorrere questa strada, che - nella strategia dell'affermazione
- è inevitabile. Ma, d'altro lato, essa da sola non è sufficiente.
A prescindere dal fatto che molti si sono persi per strada e che, dopo aver
raggiunto la loro meta - la nomina a professore o a direttore d'ospedale - hanno
perso di vista le riforme progettate, il successo individuale conduce solo a
riforme parcellizzate ed isolate. Ed anche queste si possono portare avanti
solo se ci sono comitati decisionali che le sostengono, anche indipendentemente
dalla persona di un capo.
Il compito principale degli appartenenti alle forze tecniche intellettuali deve
essere dunque anche quello di riuscire ad imporre politicamente - tramite la
creazione delle istituzioni necessarie - quei cambiamenti che sono nell'interesse
dei dipendenti a reddito fisso e che si possono raggiungere con mezzi legali.
Presupposto necessario a ciò è la «lunga marcia attraverso
le istituzioni», di cui ha parlato Rudi Dutschke già nel 1967.
Ciò significa, sotto l'aspetto pratico, sviluppare una
piattaforma per la codecisionalità, ma anche una base di massa tra i
medici, gli infermieri, il resto del personale, e anche tra la popolazione a
reddito fisso, base che eserciti una pressione per le riforme.
Se si confronta la situazione della Repubblica federale tedesca con quella esistente
in Francia o in Italia, dove nei consigli comunali o regionali ci sono maggioranze
di sinistra o comuniste e di conseguenza anche amministrazioni di sinistra o
comuniste - le quali hanno reso possibili importanti riforme soprattutto nei
settori sociali, dell'istruzione e della sanità - apparirà immediatamente
chiaro come, nella Repubblica federale tedesca, questa marcia sia appena ai
primi passi. Analizzando più da vicino questa marcia attraverso le istituzioni
si vedrà nettamente come essa proceda con un alternarsi costante tra
due modi di agire: in un primo tempo è necessario raggiungere, nel quadro
delle prescrizioni vigenti, quel maximum di cambiamenti che sono nell'interesse
dei dipendenti salariati. Subito dopo bisogna cercare, attraverso nuove maggioranze,
di far approvare prescrizioni, ordinanze ed infine disposizioni di legge più
opportune.
Presupposto per portare avanti una battaglia politica di questo tipo - l'elaborazione
della strategia e della tattica necessarie dovrebbe essere compito specifico
degli intellettuali - rimane in ogni caso quello della conquista della più
ampia codecisionalità in tutte le istituzioni. Se prima non ci si è
garantita questa premessa, la marcia attraverso le istituzioni assumerà
per forza quelle caratteristiche di migrazione sotterranea di tipo «infiltrativo»,
di conquista cospirativa di posizioni di potere, che le sono state attribuite
fin dall'inizio dalla stampa borghese, con un procedimento che mirava da un
lato a gonfiarne l'entità, dall'altro a renderla inoffensiva.
Ma se la possibilità che una tale battaglia venga portata avanti esiste
- e nella Repubblica federale tedesca ci sono pur sempre alcuni punti di partenza
- essa comporterà i seguenti momenti qualificanti che le daranno significato
e validità, anche se i traguardi saranno provvisoriamente limitati. Innanzitutto
costringerà a formare delle alleanze, a spiegare agli indecisi, a coloro
che non sono ancora convinti della necessità di una tale battaglia, come
questa necessità ci sia, e a chiarire a coloro che invece sono già
decisi, come una loro azione isolata non possa portare ad alcuna conquista.
In secondo luogo questa lotta rafforzerà la solidarietà di tutti
quelli che insieme la conducono e, se coronata da successo, infonderà
loro la fiducia in sé ed il coraggio necessari per portarla avanti. Come
terzo punto le trasformazioni raggiunte diventeranno importanti punti di riferimento:
essi costituiranno la dimostrazione palese - nella direzione in cui non sarà
stato ancora possibile metterli in atto - di quanto è fattibile e realizzabile
pur nelle condizioni presenti.
E infine come quarto punto: una siffatta battaglia per introdurre quei mutamenti
che sono necessari, razionali e nell'interesse della classe lavoratrice, farà
sì che dove la loro realizzazione si scontrerà con i limiti oltre
i quali il capitale non può più tollerare perdite dei suoi profitti
- laddove le riforme richiederebbero troppo denaro - là si renderanno
operanti le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, anche se questo
si presenta nelle sue forme più avanzate. Queste contraddizioni - che
altrimenti vengono continuamente dissimulate o analizzate unicamente in modo
astratto - diventano in questa maniera concretamente esperibili.
Il compito degli intellettuali dovrebbe dunque svolgersi su un doppio binario:
innanzitutto essi dovrebbero schierarsi dalla parte delle riforme, impegnarsi
insieme con i colleghi affinché queste vengano attuate sul posto di lavoro,
in modo che risultino evidenti, sia la loro funzione di modello-guida, sia i
limiti insiti in una generalizzazione indiscriminata; contemporaneamente spetterebbe
loro il compito di dissipare quella confusione ideologica che è di valido
aiuto agli imprenditori per far passare quelle riforme come dimostrazione della
«vitalità» e della capacità di rendimento del sistema
capitalistico.
Pratica mutativa e analisi critica delle possibilità e dei limiti che
le sono inerenti costituiscono due parti integranti di un'unità: la sola
pratica è cieca e si risolve in una affermazione della fattualità;
la sola analisi astratta è disimpegnata, cinica o dogmatica. Il compito
degli intellettuali è quello di mettere in relazione reciproca teoria
e pratica, di rischiarare teoricamente la pratica, ma anche di fornire alla
teoria un fondamento solido nella realtà e, sulla base di questo fondamento,
rendere manifeste le convergenze tra riforme tecnologiche, piattaforma teorica
e battaglia politica.
Ciò non si presenta ovunque senza rischi. Una delle peculiarità
che caratterizzano la situazione degli intellettuali nella Repubblica federale
tedesca e di cui bisogna tener conto è la gravità delle conseguenze,
nella loro esistenza scientifica e professionale, cui vanno incontro gli intellettuali
impegnati in un lavoro politico o inseriti in un'organizzazione politica. I
cosiddetti «decreti sul radicalismo» dei presidenti dei consigli
regionali fanno sì che l'accesso di appartenenti o simpatizzanti di partiti
«radicali» al servizio statale dipenda dalla personale opinione
delle autorità amministrative - specialmente della polizia politica -
in merito alla loro «fedeltà alla costituzione». Per gli
appartenenti al partito comunista tedesco, in pratica, si dà per scontato
già in partenza - fino a tanto che non si hanno prove tangibili del contrario,
cosa quasi mai concretamente realizzabile - che vi sia una insufficiente fedeltà
alla costituzione.
Recentemente anche molti imprenditori privati hanno cominciato a riferirsi a
tali decreti, almeno per quanto riguarda l'assunzione di quadri direttivi.
Per quanto tali decreti non colpiscano solo gli intellettuali, è su di
loro che le conseguenze si fanno sentire in modo particolarmente pesante. I
futuri insegnanti, i docenti universitari, ma anche una parte dei medici e degli
scienziati, trovano solo nella carriera pubblica un'esistenza professionale
corrispondente alla loro preparazione: dall'industria non vengono assunti in
nessun caso se hanno fama di elementi politicamente sospetti. In una situazione
analoga si vengono a trovare quei giornalisti che si sono resi scomodi. Non
possono sperare di trovare un lavoro stabile né presso i grandi giornali,
né presso le stazioni radiofoniche o televisive. Nel migliore dei casi
possono riuscire a sfondare come collaboratori indipendenti, non avendo però
altra scelta se non quella di essere costretti a scrivere i propri manoscritti
in modo da poterli anche vendere.
Non c'è quindi da meravigliarsi se molti simpatizzanti del socialismo
devono pensarci su molto bene prima di decidersi se possono o meno permettersi
il lusso di entrare a far parte di un partito operaio conseguente nella sua
linea e nei suoi obiettivi.
I decreti dei presidenti dei consigli regionali sull'esclusione dall'esercizio
professionale statale sono stati però escogitati in primo luogo non come
azione di epurazione bensì come azione profilattica. Essi hanno la funzione
di tener lontani gli intellettuali da un effettivo impegno politico organizzato
e all'occasione pure quella di rendere anche la saltuaria collaborazione con
gruppi di sinistra una impresa rischiosa. Ma non sempre questi provvedimenti
sono sufficienti ad ottenere lo scopo prefissato, quello cioè di creare
un «cordone sanitario» attorno ai comunisti o agli altri gruppi
di sinistra.
Nonostante i rischi sempre crescenti, gli intellettuali, soprattutto i giovani,
tendono sempre più a trarre dal loro orientamento politico le logiche
conseguenze sul piano dell'organizzazione politica. In questo contesto vanno
anche considerati problemi di ordine psicologico, come l'interrogativo sul senso
e la funzione dell'io individuale. Alcuni di loro finiscono così per
trovarsi in un vicolo cieco. Non pochi intellettuali divenuti membri del partito
comunista tedesco o della lega studentesca marxista «Spartakus»
riescono, a conclusione del loro corso di studi, a guadagnarsi il pane solo
in posti di lavoro ottenuti con la mediazione del partito o di altre organizzazioni
di sinistra. Spesso non hanno altra scelta se non quella di diventare funzionari
di quei raggruppamenti politici in cui si riconoscono.
La dipendenza molto stretta dell'esistenza economica propria e di quella della
propria famiglia dall'organizzazione politica cui si appartiene e per i cui
obiettivi si lavora, può - d'altro canto - avere talvolta dei riflessi
negativi sui rapporti col partito stesso. La paura di venir licenziati se si
è di un parere che si discosta da quello ufficiale anche solo in qualche
sfumatura non è certo un fattore che incoraggi la democrazia interna
di partito - anche se poi questa paura si rivela assolutamente infondata.
Poiché questa dipendenza si ritrova a tutti i livelli direttivi, a quello
più alto in forma forse più accentuata che non a quello più
basso - (che un segretario regionale del partito comunista tedesco, per fare
un esempio, possa diventare impiegato statale oppure occupare semplicemente
un posto di lavoro nel settore privato è cosa estremamente improbabile)
- ci può essere il pericolo che si instauri una linea direzionale più
autoritaria e burocratica, la quale circondi le discussioni interne di partito
o addirittura i confronti di opinione con un alone da psicosi, con una sorta
di tabù.
Le conseguenze or ora delineate del divieto dell'esercizio professionale al
servizio dello stato non sono estranee alla trasformazione - che va ben al di
là delle esigenze oggettive e reali - di un partito in un apparato burocratico,
dotato di una tolleranza molto ristretta nei confronti delle opinioni divergenti:
un apparato siffatto non solo rifornisce le forze borghesi di sempre nuove munizioni
anticomuniste, ma trattiene anche molti tra coloro che sono orientati verso
sinistra dal solidarizzare con i comunisti.
A ciò si aggiunge il fatto che l'isolamento sociale - cui soprattutto
i comunisti, e spesso anche le loro famiglie, sono costretti - minaccia di rendere
il partito un oggetto di identificazione sociale, per cui la critica al partito
stesso suscita timori vitali di venir espulsi nella più totale mancanza
di senso di funzione.
Anche coloro che per paura di compromettere il loro futuro si sono lasciati
spaventare dai decreti dei presidenti dei consigli regionali e hanno rinunciato
a collaborare con le organizzazioni «di estrema sinistra» o che
hanno semplicemente temuto di perdere in questo modo la loro influenza sull'opinione
pubblica o nell'ambito professionale, si trovano a loro volta a fare i conti
con dei problemi psicologici. Essi devono giustificare di fronte a se stessi
ed ai loro amici il fatto di non essersi impegnati in una organizzazione e di
essere rimasti degli intellettuali critici «indipendenti». Spesso
potranno verificarsi dei complessi di colpa nei confronti di coloro che, nonostante
i prevedibili e temibili svantaggi professionali, hanno osato il passo decisivo.
La soluzione che si offre è quella di rimuovere questi complessi di colpa
attraverso delle giustificazioni intellettualistiche. In questo stato di cose
si fa strada l'esigenza di una ideologia «a sinistra», «critica»-anticomunista:
nel periodo della guerra fredda e negli anni immediatamente seguenti, i maestri
della Scuola di Francoforte hanno adempiuto ampiamente a questo compito.
Indipendenza dai partiti politici, critica nei confronti di tutti gli schieramenti
«codificati», dal fascismo al comunismo passando anche per il capitalismo,
atteggiamento elitario che stigmatizza le parole d'ordine ed il linguaggio dei
partiti socialisti di massa come troppo banali ed indifferenziati - tutto questo
viene sublimato da tali ideologie a «caratteristiche significanti»
degli intellettuali, i quali diventano in tal modo una specie di giudici supremi
del mondo. Sono del parere che il decreto di Adenauer del 1950, la legge del
1956 che metteva al bando il partito comunista di Germania (1) ed i decreti
dei presidenti dei consigli regionali di oggi, siano da mettere senz'altro in
relazione con la diffusione che tali ideologie - ugualmente critiche sia nei
confronti del socialismo che del capitalismo trovano ancor oggi nella Repubblica
federale tedesca. In tale contesto mi sembra vada inserito anche l'ultimo "Kursbuch"
di Enzensberger sul cosiddetto «turismo rivoluzionario»: una produzione
dell'ideologia che appaga l'esigenza sempre crescente di un anticomunismo di
sinistra.
Il dilemma dunque permane: una critica al socialismo esistente, e al lavoro
di partito, quando viene portata dall'esterno rimane spesso disimpegnata, cinica,
astratta. Essa viene incontro alle esigenze ed al senso di colpa di coloro che
hanno avuto paura di prendere una precisa posizione politica. Una critica di
questo tipo è di aiuto diretto al capitalismo, perché trattiene
molti dall'impegnarsi politicamente in modo efficace.
A causa delle condizioni di semilegalità, in cui viene costretto nella
Repubblica federale tedesca il lavoro politico dei comunisti e di alcuni altri
gruppi politici, può facilmente accadere che gli intellettuali che si
uniscono in forma organizzata, vengano a trovarsi in condizioni di stretta dipendenza
psicologica ed economica da un'organizzazione di partito.
In tal modo vengono posti grossi freni ad una critica dall'interno - in ogni
caso questa spesso non viene avanzata con quell'ampiezza e con quella profondità
che sarebbero necessarie. Questa mancanza che lascia spazio solo alla critica
proveniente dall'esterno - la quale rimane così l'unica che si faccia
sentire - è un ulteriore aiuto al tentativo del capitale di diffamare
il socialismo, anzi serve a conferire a questa diffamazione una dose di realtà:
dovrà essere compito degli intellettuali meditare su come sia possibile
realizzare una via d'uscita da questa situazione critica. Solo quando ciò
sarà loro riuscito, essi potranno continuare a dedicarsi alla loro pratica
con molto più successo di prima.
[Traduzione di Silvana de Lugnani].