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AL DI LA' DEL BISOGNO: LA SOCIETA' E' SERVITA
di Malcolm Bush, Tom Dewar, Kathy Fagan, Linda Gelberd, Andrew Gordon, Alicia McCareins, John McKnight (1).


In molti negozi di giocattoli si può trovare una macchinetta insolita e istruttiva. Si tratta di una scatola di circa quindici centimetri di lato che funziona a batteria; la scatola ha un coperchio e un interruttore visibile. Per il resto è disadorna. Se si fa scattare l'interruttore per mettere in funzione la macchinetta, ne esce una mano grottesca, che ha una sola funzione: rimettere l'interruttore nella posizione «spento», affinché la macchinetta possa riposare tranquilla fino a quando qualcuno non la rimetterà in funzione.
In un certo senso, questa è la macchina perfetta. La mano fa il suo dovere con efficienza - impedisce cioè ogni interferenza esterna con ciò che succede all'interno della scatola.
Immaginate una burocrazia altrettanto perfetta, che operi soltanto nei modi che le garantiscono un funzionamento liscio, e che non tolleri interferenze dal mondo esterno. Immaginate inoltre che questa macchinetta sia una burocrazia di servizi, un'organizzazione, la cui pubblica funzione consiste nel servire le persone che hanno bisogno di aiuto. Il servizio che fornisce può richiedere o meno l'istituzionalizzazione. La burocrazia può essere pubblica o privata. Come si organizzerebbe questa burocrazia se il suo unico scopo fosse quello di assicurare il proprio funzionamento indisturbato, senza interferenze o complicazioni?
Questa operazione si può suddividere in quattro aree principali: 1) la creazione del bisogno; 2) i rapporti con la clientela; 3) il controllo delle informazioni e previsioni sui non clienti; 4) lo sviluppo della percezione del bisogno da parte del pubblico.

1. La creazione del bisogno.

E' necessario che la scatola venga considerata come un servizio reso alla società, servizio che solleva il pubblico da un onere notevole. Pertanto, bisogna definire una classe come avente bisogno di quel servizio. La definizione deve essere sufficientemente ampia da consentire il formarsi di una clientela più vasta di quella che la scatola è in grado di servire. La scatola potrà così riservarsi il diritto di fare una selezione finale all'interno della classe bisognosa, facendo attenzione a selezionare quegli elementi che meno probabilmente provocheranno spaccature nel sistema.
I clienti ideali sarebbero quelli che hanno meno bisogno del servizio che si vuole prestare. Un'apparenza di sforzo, un po' di rumore di carte spostate, e questi clienti sembrerebbero ben serviti.
I clienti ideali dovrebbero anche essere privi di potere personale e di legami con interessi esterni assertivi, per ridurre al minimo l'interferenza esterna. Particolarmente adatti appaiono gli anziani, i poveri, i bambini dei poveri. Dal momento che queste categorie sono anche quelle il cui bisogno di cure benevole è più evidente, sono doppiamente ideali.
Per stabilire delle relazioni pubbliche efficaci, è necessario accettare anche alcuni clienti che abbiano chiaramente e realmente bisogno di questi servizi. Tuttavia, nel caso che il sistema lasciasse penetrare anche clienti che porterebbero lo scompiglio nell'organizzazione, e ciò a causa di pressioni da parte del pubblico o di qualche falla nel sistema di selezione, è sempre possibile stabilire collegamenti con agenzie meno esposte e legittimamente coercitive per assicurare la stabilità.

2. I rapporti con la clientela.

Nella scatola perfettamente amministrata, i bisogni dei clienti possono talvolta impedire l'erogazione del servizio. Pertanto, gli amministratori della scatola decidono prima di tutto quali sono i servizi che possono essere erogati senza troppo disturbo, e poi prendono i provvedimenti atti a convincere i clienti che sono proprio quelli i servizi di cui hanno bisogno.
Nonostante ciò, alcuni clienti criticheranno la qualità dei servizi ricevuti, o si dichiareranno «serviti» e in grado di badare a se stessi. E' necessario convincere i clienti che la percezione dei propri bisogni è fallibile, che non hanno la preparazione o l'abilità per giudicare i servizi che ricevono, e che non devono mai fidarsi della propria opinione riguardo alla sufficienza o meno dei servizi stessi. Anche etimologicamente è così: la radice latina della parola «cliente» significa ascoltare, obbedire. Bisogna far loro capire che sono troppo giovani, troppo ammalati, troppo nevrotici o troppo ignoranti per potersi fidare del proprio giudizio. Una volta che i clienti sono stati convinti di quelle che sono le loro corrette necessità, la scatola si incarica di assicurare che essi non possano vedere alcuna alternativa al servizio che essa stessa fornisce.
Le etichette usate per definire i clienti devono mettere in primo piano le loro debolezze, ignorando le loro forze. Incoraggiando la comune opinione che i clienti si somigliano soltanto in quanto sono tutti in qualche modo deficienti, si impedisce loro di riconoscere e di sfruttare le loro forze individuali e collettive.
Non si deve permettere ai clienti né di collaborare alla compilazione dei registri nei quali si descrive l'evoluzione della loro situazione, né di accedere agli stessi. Tutto il loro comportamento deve essere sospetto, e costituire materiale adatto alla manipolazione.
Alcuni clienti potrebbero tuttavia comportarsi in modo tale da dissestare la routine quotidiana della scatola. E' possibile scoraggiare questo tipo di comportamento, dichiarando desiderabile quello che favorisce la gestione indisturbata del meccanismo che fornisce il servizio, e definendo invece come devianti gli atti che interferiscono con la stessa. Infatti, il comportamento improprio si può considerare come un sintomo del bisogno del cliente di essere servito dalla scatola in modo più intensivo. Per assicurarsi l'acquiescenza al tipo desiderato di comportamento, la scatola può ricorrere a un sistema di ricompense, punizioni, persuasioni, e pressioni di gruppo. Se questo sottile sistema di controllo non funziona, può usare forme di contenzione fisica (incarcerazione), di controllo fisiologico (tranquillanti) o di manipolazione psicologica (terapia), che spogliano ulteriormente i clienti di ogni potere.

3. Il controllo dell'informazione e previsioni sui non clienti.

Dato che la scatola distribuisce bontà, saranno pochi a mettere in discussione la sua attività. Nella sua forma migliore, la scatola appare benevola al pubblico, ai clienti, e ai collaboratori. Tuttavia, dovrà render conto al pubblico delle spese fatte, dei servizi acquistati, e dei servizi elargiti. Occasionalmente, il pubblico chiederà di essere informato del suo funzionamento interno, e vorrà esaminare i resoconti di gestione. La soluzione sta nel convincere il pubblico che le uniche persone in possesso della competenza necessaria per esaminare l'operato della scatola sono quelle che hanno ricevuto un addestramento e un'abilitazione in quel campo specifico di attività. Nessun altro ha la capacità necessaria per apprezzarne i metodi o per valutarne i risultati. Un'ulteriore precauzione consiste nel suggerire a coloro che non capiscono il suo linguaggio specializzato, che la colpa è tutta loro. La scatola non dovrebbe fornire ulteriori informazioni a chi cerca di andare più a fondo, tentando nel contempo di sminuirne la credibilità, deridendone l'esperienza, la preparazione e la competenza.
In alcuni casi, può essere necessario rassicurare il pubblico per mezzo di una revisione apparentemente indipendente, sull'effettivo funzionamento dei servizi della scatola. Creare questa facciata è possibile se si intesse un ordito di interessi interdipendenti, che incorpori istituti per l'addestramento, associazioni professionali, enti che conferiscono abilitazioni, periti stipendiati e collezionisti professionalizzati di perizie. Questi interessi simbiotici, che hanno le proprie radici in uno stesso sistema di valori, manterranno l'illusione di una responsabilità indipendente.
Anche i collaboratori di professione di queste organizzazioni possono creare associazioni che, se apparentemente regolano la condotta professionale, in realtà esercitano forti pressioni sui colleghi che vorrebbero contestare procedure consacrate dal tempo. Il raggio di intervento di queste associazioni professionali garantisce loro la possibilità di avere una certa influenza a tutti i livelli del governo, assicurandosi così il massimo di investimenti pubblici con il minimo di responsabilità.
Se comunque si richiedesse alla scatola di sottoporsi ad una ispezione esterna, anche questa richiesta potrebbe essere rivolta a proprio vantaggio. Si permette la valutazione dei metodi e dei sistemi, ma mai dei risultati. La scatola risponde a delle domande che sono coerenti con l'obiettivo che le è proprio, e cioè un funzionamento liscio. Ostacola e aggira le domande che riguardano la possibilità alternativa di massimizzare il benessere dei clienti.
Può accadere che, dall'esterno, qualcuno insista per avere prove del successo del servizio. Alcuni esempi di trattamenti apparentemente riusciti sono la ripresa di un cliente che si raggiunge assecondando in tutto i suoi desideri, remissione spontanea, e clienti sani che non sono stati danneggiati. Le probabilità di una valutazione accettabile aumentano dato che la scatola si riserva il monopolio dell'abilità di diagnosticare sia lo stato di bisogno che i risultati positivi.
Nel caso di fallimenti che non è possibile nascondere - casi di clienti i cui problemi non sono stati risolti, ma esacerbati o addirittura creati dalla scatola - la strategia migliore è ancora quella di far tornare a proprio favore quella che potrebbe essere una difficoltà. La scatola può affermare che il problema è causato dalla mancanza di fondi, citando come esempi il rapporto numerico tra clienti e collaboratori, i salari bassi, l'arretratezza della tecnologia o l'insufficienza delle ricerche. I presupposti operativi della scatola non vanno mai messi in discussione. Piuttosto, bisogna che il pubblico capisca che ciò che occorre è una maggiore quantità delle stesse cose.
La scatola può anche convincere il pubblico che quelli che sembrano fallimenti sono in realtà successi. Qualsiasi problema il cliente «fallito» abbia ora, non è niente in confronto a quelli che aveva prima, o che avrebbe avuto se la scatola non fosse intervenuta.
Un altro modo di trattare i casi di fallimento evidente è darne la colpa al cliente. La scatola può spiegare che lo stato del cliente era già in uno stadio troppo avanzato all'inizio del trattamento. La genetica, l'ambiente, la costellazione familiare, già allora facevano di questo caso un sicuro fallimento. Di solito, se i clienti sono poveri, membri di una minoranza o sprovveduti, il pubblico sarà pronto ad accettare queste spiegazioni.
Se tutto il resto non funziona, la scatola può sempre dire che non le è stato concesso un potere di controllo sufficiente per poter aiutare il cliente.

4. Sviluppo.

Se in questo sistema permane comunque un certo disordine, ciò è dovuto alla costante necessità di reagire ai gruppi di non clienti. Non si può affrontare questo problema mettendosi sulla difensiva. Piuttosto, la burocrazia dei servizi dovrebbe tentare di trattare questa irritante rimanenza, facendo uno sforzo concordato per espandere la propria egemonia. Se aumenta il numero dei clienti, diminuiscono i non clienti, che sono un elemento potenziale di disturbo. La scatola deve allargare la massa dei clienti potenziali, e chiedere maggiori risorse, per essere in grado di affrontare le sue accresciute responsabilità.
Per raggiungere questo scopo, la prima cosa da fare è aumentare il controllo sui clienti attuali, e per farlo bisogna insistere perché il trattamento sia iniziato in uno stadio non ancora avanzato del problema, e richiedere che sia prolungata la durata della cura. Si può anche estendere cura e attenzione ad altri settori della vita del cliente, promuovendo una maggior presa di coscienza della natura sistemica del problema.
Anche le politiche dei riformatori che criticano le forme accettate di servizi, possono servire per allargare la rete. I critici dicono che se si aiuta un singolo individuo al di fuori dal suo contesto familiare si è sconfitti in partenza. Pertanto si invita la famiglia al completo a partecipare al le sedute terapeutiche, coinvolgendo tutti nel problema. Alcuni criticano anche la pratica di ricoverare le persone in un'istituzione, e insistono perché vengano trattate nelle loro case. La scatola dovrebbe accettare questa critica, in modo che genitori, fratelli e sorelle diventino clienti pure loro.
Al di là dei parenti più stretti, altri, che non sono evidentemente malati, sono però soggetti alle «crisi» dell'infanzia, dell'adolescenza, della mezza età e della vecchiaia. Alle sette età dell'uomo si sostituiscono le sette crisi dell'uomo. Il significato della vita viene descritto come una serie di crisi, ognuna delle quali attrae un particolare gruppo di assistenti ed istituzioni.
A questo punto, il concetto del bisogno è stato esteso fino al suo limite estremo, ma ci sono ancora persone fuori della scatola. Gli assistenti devono allora convincere queste persone che, a meno che non siano aiutate anche loro, non riusciranno a rimanere in quella invidiabile posizione molto a lungo. E così, la scatola comincia a fornire servizi anche ai «pre-bisognosi».
La logica del ragionamento è tanto semplice da essere disarmante. Se uno non è ammalato, è un pre-malato, e pertanto ha bisogno di essere seguito e controllato. Se uno è sano di mente, è un pre-malato mentale, e dovrebbe chiedere aiuto. Se è osservante della legge, è un pre-criminale, e dovrebbe sottoporsi a terapia per evitare di diventare un delinquente.
Rimane un ultimo passo da fare. I concetti amorfi come quello di «realizzazione» trascendono i requisiti del bisogno e addirittura del pre-bisogno. Descrivono uno stato che non può mai essere pienamente raggiunto. La scatola può confutare tutte le prove che dimostrano che una persona si sta realizzando senza un intervento di natura professionale: nessuno è reale se non riceve continuamente dei servizi. Nessun comportamento umano deve considerarsi autentico se non ha il marchio dell'approvazione degli esperti, che del resto non viene data mai.
E' stato così raggiunto lo stato d'equilibrio di una burocrazia dei servizi. Non c'è nessuno che giri l'interruttore, perché non c'è nessuno che si trovi al di fuori della scatola. Ognuno percepisce il proprio significato in termini di appartenenza alla clientela. La gente si avvicina fiduciosa alla scatola chiedendo di essere ammessa per poter diventare completa.
La burocrazia dei servizi non ha più bisogno di giustificare la propria esistenza per sopravvivere ed espandersi. A questo punto il cliente si sarà «dimenticato» che dovrebbe esserci una relazione tra bisogno e servizio. Userà la scatola perché è là. Si sentirà incompleto, irrealizzato, mancante di qualcosa non perché ha un bisogno, ma perché non riesce a entrare nella scatola.
Di conseguenza, il problema dell'equità è definito in termini di "diritto" a entrare nella scatola. E finalmente questa legge verrà invertita, e l'equità sarà definita come il diritto della "scatola" a contenere tutti.

[Traduzione di Giovanna Weber Sommermann].


NOTE.


CRIMINI DI PACE
di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro.

(1). A. GRAMSCI, "Quaderni del carcere: Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura", Einaudi, Torino 1955.
(2). Confronta F. e F. BASAGLIA, prefazione a MAXWELL JONES, "Ideologia e pratica della Psichiatria Sociale", Etas Kompass, Milano.
(3). Confronta MARIE LANGER e ARMANDO BAULEO, "Algo Mas sovre tortura", in «Questionamos», 2, Granica editor, Collecioni Izqerta Freudiana, Buenos Aires.
(4). Confronta F. e F. BASAGLIA, "La maggioranza deviante", Einaudi, Torino 1971.
(5). Ovviamente, il discorso vale per ogni altra istituzione del nostro sistema sociale.
(6). Nell'ospedale psichiatrico di Gorizia è stata attuata un'opera di trasformazione della logica manicomiale, da cui ha preso l'avvio il movimento anti-istituzionale che ha spostato la problematica psichiatrica dal campo puramente tecnico a quello socio-politico.
L'esperienza è stata pubblicizzata nei volumi "Che cos'è la psichiatria?" e "L'istituzione negata", nel tentativo di portare la problematica psichiatrica e assistenziale alla conoscenza del pubblico, come tema di lotta di cui tutti i cittadini devono appropriarsi.
(7). La dichiarazione è stata rilasciata il 20 ottobre '72 da Domenico Casagrande, allora direttore incaricato dell'ospedale psichiatrico di Gorizia.
(8). La lettera è stata inviata il 23 ottobre 1972 da Franco Basaglia al presidente dell'Amministrazione provinciale di Gorizia, in risposta a una dichiarazione da questi rilasciata al quotidiano locale.
(9). La lettera è stata inviata il 20 novembre 1972 ai degenti dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, da parte del gruppo dei medici dimissionari e dell'équipe curante che aveva contribuito, negli anni precedenti, alla trasformazione dell'ospedale.
(10). La lettera è stata inviata il 20 novembre 1972 al presidente dell'Amministrazione provinciale di Gorizia, da Franco Basaglia, allora membro della commissione di concorso per la nomina del nuovo direttore dell'ospedale psichiatrico.
(11). Soluzione che è stata rifiutata dal gruppo curante di Gorizia.
(12). Ci si riferisce, in particolare, alla costituzione del Gruppo di psichiatria democratica (1974).
(13). GRAMSCI, "Quaderni del carcere": "Gli intellettuali" cit.

APPUNTI SULLA STORIOGRAFIA
COME STRUMENTO D'IDENTIFICAZIONE CON L'AGGRESSORE
di Vladimir Dedijer.

(1). Questi appunti esprimono lo stato d'ansia, sia personale che generale, in cui sto vivendo, mi scuso quindi con il lettore per questo testo selvaggio. Esso è tuttavia !'espressione reale dello stato attuale della mia mente e delle mie emozioni.
(2). V. DEDIJER, "The Battle Stalin Lost", Viking, New York 1971.
(3). Il termine «suiviste» è usato da Dedijer per significare il comportamento opposto al paternalismo; la parola deriva dal verbo «suivre».

LA CASA DELLA FOLLIA
di Michel Foucault.

(1). Confronta, a questo proposito, ROBERT CASTEL, "Le psychanalysme", Maspéro, Paris 1973, p.p. 150-53.

LA CONTRADDIZIONE PSICHIATRICA
di Robert Castel.

(1). Qui mi rifaccio, sia cronologicamente che logicamente, alla prima psichiatria, quella che metteva in primo piano le «cause morali» (cioè gli avvenimenti personali e sociopolitici esterni) ed il «trattamento morale» (cioè soprattutto la riorganizzazione dell'ambiente in cui vive il malato). Il più tardo organicismo e la concezione di una neuro-psichiatria come mera specializzazione medica, tendenze ancora largamente rappresentate oggi negli ambienti della psichiatria universitaria, contrassegnano una riduzione più spinta della problematica psichiatrica ad un problema tecnico-scientifico e sono quindi più mistificanti della psichiatria basilare. Mistificazione che non è tuttavia maggiore della pretesa di avere grazie alla psicanalisi o a qualche altra invenzione "up to date", superato tale problema.
(2). ESQUIROL, "Mémoire sur l'isolement des aliénés" (1832), in "Des maladies mentales", Paris 1838.
(3). "Législation relative aux aliénés et aux enfants assistés", tomi secondo e terzo, Berger-Levraut, Paris 1881 e 1883. La legge del 1838 è il grande monumento legislativo che in Francia ha dato un completo «status» medico, sociale e giuridico al malato mentale. Essa impone la realizzazione di un dispositivo istituzionale (un asilo per dipartimento), prevede le fonti di finanziamento dell'assistenza psichiatrica agli indigenti, definisce le modalità di ricovero (ricovero «d'ufficio» e ricovero cosiddetto «volontario») e comporta disposizioni complesse riguardanti la personalità civile degli internati e la gestione dei loro beni. Nonostante gli innumerevoli progetti di riforma e di soppressione succedutisi da un secolo a questa parte, nella sua essenza resta sempre in vigore e continua a sanzionare giuridicamente l'atteggiamento nei confronti dei malati mentali. Soltanto il loro «status» civile è stato sostanzialmente modificato dalla legge del gennaio 1968 sui maggiori incapaci. Ma il ricovero «d'ufficio» ed il ricovero detto «volontario» rimangono le modalità ufficiali di accesso negli ospedali psichiatrici. Oggi vi si aggiunge soltanto una terza procedura più elastica, il ricovero «libero», il quale d'altronde non ha uno «status» giuridico.
(4). ESQUIROL, "Mémoire" cit.
(5) ESQUIROL, "Des établissements consacrés aux aliénés en France et des moyens de les améliorer", in "Des maladies mentales" cit., tomo 2.
(6). Citato nel "Rapporto generale al sig. Ministro degli Interni sul servizio degli alienati nel 1874", Imprimerie nationale, Paris 1874.
(7). Se facessi un discorso storico, potrei dimostrare che durante il primo terzo del secolo diciannovesimo i «medici speciali» intervengono sempre più spesso in una breccia che si apre anzitutto nella problematica "del potere". Tappe principali: il rapporto del 1818 di Esquirol già citato e indirizzato al ministero degli interni, l'inchiesta del 1834 di Ferrus presso alcuni istituti per alienati in Francia e Inghilterra e la creazione per lui dell'ufficio di ispettore del servizio per gli alienati. Nei dibattiti al Parlamento gli psichiatri moltiplicano i loro interventi (J. P. FABRET, "Osservazioni sul progetto di legge riguardante gli alienati", 1837; ESQUIROL, "Esame del progetto di legge sugli alienati", 1838). Queste pressioni spiegano il fatto che la legge votata abbia un carattere «medico» molto più accentuato che non il primo progetto presentato dal ministro degli interni. Ma si deve fare questa importantissima osservazione: il ministro accetta tutte le modifiche successive suggerite dai medici e si congratula con loro (fa soltanto, come ogni ministro che si rispetti, qualche riserva sul costo finanziario). Alla fine, tutti sono contenti: la legge ha un carattere «medico» ed «umano», e salvaguarda le esigenze del mantenimento dell'ordine, integralmente.
(8). "Législation relative aux aliénés" cit., tomo 2, p. 316.
(9). Confronta J. HOCHMANN, "Pour une psychiatrie communautaire", Editions du Seuil, Paris 1970.
(10). Tendenza che si sforza di interpretare il funzionamento istituzionale stesso partendo da certi concetti psicanalitici (ad esempio transfert e contro-transfert istituzionale) e di instaurare una dinamica istituzionale che liberi ad un tempo la dinamica inconscia (creazione di «luoghi di discorso», ruolo di cui vengono investiti diversi elementi dell'istituzione come supporti di immagini eccetera).
(11). CASTEL, "Le psychanalysme" cit., in particolare i capp. 7: "Lo psicanalista, il suo pazzo e la psichiatria", e 8: "La grande liberazione".
(12). Confronta il numero speciale di «Esprit» dell'aprile-maggio 1972, "Pourquoi le travail social?".

LAVORATORI DEL NEGATIVO, UNITEVI!
di René Lourau.

(1). Confronta G. A. GILLI, "La negazione sociologica", in BASAGLIA, "L'istituzione negata" cit., e, sempre di GILLI, "Come si fa ricerca", Mondadori, Milano 1971.

IL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO FRA REPRESSIONE E MISTIFICAZIONE
di Vincenzo Accattatis.

(1). All'internato G. L. è accaduto ad esempio - come rilevo dalla ordinanza, di cui in seguito parlerò ancora, con la quale ho sollevato il problema di costituzionalità della misura di sicurezza della casa di lavoro o colonia agricola - una vicenda di questo genere: «L'esecuzione della misura di sicurezza ha inizio il giorno 8/8/1963 ma il 29/12/1963 la misura ricomincia a decorrere da capo, in applicazione dell'art. 214 c.p., e così il 17/2/1967, il 7/2/1968, il 28/12/1968, il 18/10/1970 ed il 18/9/1971; in conclusione, la misura di sicurezza detentiva è ricominciata a decorrere "ex novo" per ben 7 volte. Ciò ha impedito al giudice di sorveglianza di riesaminare la pericolosità sociale dell'internato dal 1963 a tutt'oggi». L'ordinanza è del 24 gennaio 1972. E' stata pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 97 del 1972.
(2). La sentenza della corte di cassazione è del 29 ottobre 1954 (confronta «La Giustizia Penale» del 1956, parte seconda, colonna 586).
(3). Si chiama processo di sicurezza il processo con il quale il giudice di sorveglianza applica, modifica o revoca le misure di sicurezza.

(4). La licenza cosiddetta di esperimento può essere concessa, ai sensi dell'art. 278 del regolamento penitenziario, sei mesi prima della scadenza del periodo minimo. Essa si risolve, in pratica, in una «messa in prova».
(5). Riporto integralmente la lettera ministeriale sia per fornire al lettore un elemento di riscontro oggettivo, sia perché essa offre «la più ampia» motivazione che sia stata fornita sul punto in questione. Come meglio si vedrà in seguito la corte di appello di Firenze ha infatti adottato lo stesso punto di vista del ministero, senza però offrire ulteriori argomenti giuridici. Il ministero ha indirizzato la sua lettera al presidente della corte di appello che, per via gerarchica, l'ha trasmessa a me.
«Con provvedimento in data 17/5/1971- dice il ministero - il Giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Pisa ha concesso al nominato in oggetto, sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro per anni 2 una 'licenza di esperimento per lavoro' a decorrere dal 18/5/1971 fino ai 23/12/1972, per un periodo cioè pari ad anni 1, mesi 7 e giorni 5.
Il vigente regolamento degli Istituti di prevenzione e pena, agli artt. 278 n. 2 e 283 prevede che il Giudice di sorveglianza può concedere agli internati soltanto una licenza finale di esperimento negli ultimi sei mesi precedenti la scadenza del periodo minimo e la licenza per gravi esigenze personali o familiari per un periodo non superiore a quindici giorni.
Non è prevista quindi la possibilità di concedere da parte del Giudice di sorveglianza altre e diverse licenze, come quella di cui al provvedimento in esame, tanto più che con detto provvedimento si è venuta sostanzialmente ad operare una commutazione della misura di sicurezza detentiva in quella della libertà vigilata, commutazione che, come la revoca, può essere operata, a norma del combinato disposto degli artt. 76 c.p. e 207 c.p., dal Ministro di Grazia e Giustizia.
Si prega pertanto la S. V. di invitare il Giudice di sorveglianza ad esaminare l'opportunità di revocare il provvedimento in esame».
(6). Artt. 585 ultimo comma c.p.p. e 264 del regolamento penitenziario.
(7). Rinvio chi volesse conoscere nella sua interezza il decreto della corte di appello, al «Foro italiano», gennaio 1973, parte seconda, colonna 11.
(8). Solo dopo i rilievi comunicatimi dal ministero ho curato di render chiare e manifeste, negli ordini di servizio, le ragioni della mia decisione.
(9). L'ordinanza con la quale ho sollevato il conflitto si può leggere in «Foro italiano», gennaio 1973, parte seconda, colonna 11.
(10). Votanti 110 magistrati: favorevoli 105, contrari 4, astenuti 1.
(11). Se, poco prima, riferendomi ai criteri in esso enunciati, ho ritenuto di parlare di «requisiti minimi perché si possa dire che in Italia i principi di indipendenza della magistratura e di inamovibilità del giudice sono una cosa seria», l'ho fatto pensando alla tesi più rigorosamente costituzionale che è quella espressa da Giovanni Conso su «La Stampa» del 16 dicembre 1972. Richiamandosi all'art. 107 della Costituzione, Conso ha infatti affermato che, a suo avviso, «il problema va affrontato in modo ben più radicale, negando al presidente della corte di appello ed allo stesso consiglio superiore della magistratura il potere di operare, per mere ragioni organizzative, spostamenti di magistrati all'interno di uno stesso ufficio, senza il loro consenso».
Che questa sia la tesi più correttamente costituzionale è dimostrato anche dalla vicenda che mi riguarda. Se si consente infatti al consiglio di operare mutamenti per ragioni organizzative, sono sempre possibili pericolosi sconfinamenti nel settore giurisdizionale.
(12). «Politica del Diritto», 1973, n. 3, p. 312.
(13). «Qualegiustizia», 1973, n. 20, p. 235.
(14). «Qualegiustizia», 1973, n. 20, p. 235.
(15). Per avere un'idea di quali (limitati) poteri godano i giudici nella istituzione penitenziaria, basti dire che ad un giudice di sorveglianza - precisamente al dottor Paolo Funaiolo del tribunale di Pisa - è stato rimproverato come mancanza il fatto di aver disposto che un detenuto - che lamentava di essere stato picchiato dai secondini - venisse trasferito dal penitenziario di Volterra, dove si trovava, in quello di Pisa per accertamenti.
(16). E qui si pone tutta la problematica marxiana della accumulazione originaria, dell'esercito industriale di riserva, eccetera.
(17). Richieste dei detenuti del carcere maschile di Rebibbia nel corso delle proteste del 21 maggio 1972.
(18). Che segue questa dinamica fondamentale: appropriazione privata dei mezzi sociali di produzione, quindi sfruttamento e divisione in classi, quindi lotta per l'emancipazione delle classi sfruttate, quindi carcere, eccetera.
(19). Si può affermare la stessa cosa dicendo che nella società capitalistica le pubbliche istituzioni sono costrette a reggersi sul «rispetto» invece che sul consenso. Dietro il volto neutro del «rispetto» (che, nella sua forma oggettivata, prende il nome di «prestigio» delle pubbliche istituzioni) ci può essere sia il consenso spontaneo (in minima parte, come si è visto) sia il consenso coatto e manipolato. Quando una forma di manipolazione non basta più, se ne inventano altre, quando un certo grado di repressione non basta più, si accresce la repressione. E' in questa logica che sono state proposte misure come il fermo di polizia, eccetera.
In pratica, quando i conservatori parlano di «crisi della autorità» non intendono parlare di «crisi del consenso» ma di crisi dello stesso autoritarismo e cioè di crisi delle tradizionali forme di coazione e di manipolazione. Che questa sia la verità è dimostrato proprio dal fatto che il rimedio alla crisi dell'autorità essi lo vedono in un incremento delle tradizionali forme di coazione-manipolazione che certamente non accresce l'autorità delle pubbliche istituzioni - se è vero che l'autorità deriva dal consenso ma la fa diminuire.
(20). Naturalmente, non intendo qui approfondire la fenomenologia del delitto in tutta la sua complessità e varietà. Nella società capitalistica, il delitto è evidentemente effetto delle dinamiche della società capitalistica. La matrice sociale fondamentale è l'esclusione (disoccupazione, sottoccupazine, eccetera), ma la società capitalistica presenta anche altre dinamiche criminogene (tensioni di vario genere, frustrazioni, nevrosi, eccetera).
(21). Ecco, per esempio, cosa ho scritto nell'ordinanza, già citata, con la quale ho sollevato il problema della incostituzionalità della misura di sicurezza della casa di lavoro o colonia agricola:
«La misura di sicurezza dovrebbe, in definitiva, significare questo: lo Stato, la 'comunità organizzata' si difende dalla 'persona' ritenuta socialmente pericolosa. Per salvaguardarsi, lo Stato - almeno così si dice - è costretto ad affliggere la persona... ma non vorrebbe affliggerla, per averla già afflitta prima, quando le ha fatto scontare la pena (pur se la pena 'in teoria' non sarebbe finalizzata alla afflizione). La motivazione, e cioè il titolo costituzionale in base al quale lo Stato può continuare a restringere la libertà personale, è quindi questa: il non poterne fare assolutamente a meno per la sicurezza collettiva. Ma ciò comporta allora - prima di tutto - che lo Stato mantenga i suoi impegni verso la 'persona" giacché, in caso contrario, la 'persona' ha il diritto di insorgere con tutto il vigore conferitole dagli artt. 2 e 3 della Costituzione. Ha il diritto di insorgere per contestare allo Stato il diritto di reprimere ancora. Uno Stato che non mantenga i suoi impegni verso la persona, che non appresti adeguati stabilimenti per la casa di lavoro o per la colonia agricola affinché questi istituti divengano effettivamente luoghi di lavoro e di reinserimento sociale invece che luoghi di umana degradazione, che non si preoccupi della specializzazione del personale; che non garantisca adeguate forme di vita comunitaria; che trascuri elementari bisogni umani come l'esigenza di normali relazioni sessuali; finisce col pesare sulla persona e sulla libertà con l'inerzia della sua potenza, degradando così il diritto a pura forza coattiva».
(22). Ecco una nuova forma di «manipolazione» della pubblica opinione: il terrorismo politico che impaurisce il ceto medio e sposta a destra l'asse politico.

IL TECNICO E LE ISTITUZIONI PSICHIATRICHE
NELLA GERMANIA FEDERALE
di Erick Wulff.

(1). [Partito comunista di Germania ("Kommunistische Partei Deutschland", in sigla K.P.D.) era la denominazione del vecchio partito comunista tedesco: la legge del 1956 metteva al bando il K.P.D. ed è a tutt'oggi in vigore. Quando nel 1968 i comunisti ottennero dal governo il permesso di ricostituirsi in partito, assunsero la dicitura "Deutscbe Kommunistische Partei" (Partito comunista tedesco - sigla D.K.P.) per differenziarsi dal vecchio partito e poter così esistere legalmente].

PSICOLOGIA E IDEOLOGIA
di Noam Chomsky.

(1). Il presente capitolo costituisce l'ampliamento di un saggio pubblicato in «Cognition», v. 1, n. 1, 1972. Alcuni brani sono apparsi, con qualche variante formale, come recensione al libro "Oltre la libertà e la dignità" di B. F. SKINNER, sulla «New York Review of Books» del 30 dicembre 1971. La discussione del lavoro di Herrnstein è apparsa parzialmente su «Social Policy», v. 3, n. 1, 1972 e su «Ramparts», luglio 1972. Per la replica di Herrnstein, seguita da altre mie critiche, in parte riprese in questo saggio, confronta «Cognition», v. 1, n.n. 2-3 e 4, 1972.
(2). «Economist», 31 ottobre 1862. Citato da F. F. Clairmonte nella sua recensione a "The Race War" ["La guerra razziale"] di R. Segal, in «Journal of Modern African Studies» (di prossima pubblicazione).
(3). M. HARRIS, "The Rise of Anthropological Theory" ["La nascita della teoria antropologica"], p.p. 100-1. Verso il decennio 1960-70, egli scrive, «antropologia e determinismo razziale erano divenuti quasi sinonimi».
(4). B. F. Skinner: Docente di psicologia all'Università di Harvard, è il leader della corrente più ortodossa della scuola behaviorista americana. Tra le sue opere principali, ricordiamo: "The behavior of organisms", New York 1938; "Science and human behavior", New York 1953.
(5). B. F. SKINNER, "Beyond Freedom and Dignity", p. 82 [trad. it. "Oltre la libertà e la dignità", Milano 1973, p. 100]. D'ora in avanti si farà riferimento al solo numero di pagina [accanto, il corrispondente della traduzione italiana].
(6). W. V. O. QUINE, "Linguistics and Philosophy", in "Language and Philosophy", a cura di S. Hook, p. 97.
(7). Si possono naturalmente predisporre circostanze in cui il comportamento può essere previsto con discreta certezza, come ben sa qualsiasi militare addetto agli interrogatori sul campo. E si può banalizzare la questione considerando i desideri, gli scopi, le intenzioni, eccetera, di una persona come parte integrante delle circostanze che determinano il comportamento. Se veramente ci si vuole ingannare da sé, si potrà arrivare a «tradurre» desideri, scopi, intenzioni nella terminologia della teoria del condizionamento operante, nel modo che esamineremo tra breve.
(8). L. BREGER e J. L. MCGAUGH, "Critique and Reformulation ot «Learning Theory». Approaches to Psychoterapy and Neurosis", in «Psychological Bulletin», maggio 1965.
(9). AUBREY J. YATES, "Behavior Terapy" ["Terapia del comportamento"], p. 396. Skinner rileva inoltre, in barba ad ogni considerazione razionale, che «chi parla non sente le "regole grammaticali" che si dice egli applichi costruendo le frasi, e gli uomini si sono espressi in modo grammaticalmente corretto per migliaia di anni prima che qualcuno si rendesse conto dell'esistenza di regole» (p. 16; trad. it. p. 28).
(10). JAQUES MONOD, "Il caso e la necessità", Mondadori, Milano 1971.
(11). Confronta ad esempio K. MACCORQUODALE, "On Chomsky's Review of Skinner's «Verbal Behavior»" ["Sulla recensione di Chomsky al «Comportamento verbale» di Skinner"], in «Journal of the Experimental Analysis of Behavior, v. 13, n. 1, 1970.
(12). Come rileva Koestler nelle osservazioni citate da Skinner, l'approccio di questi costituisce «un'invenzione di problemi inesistenti su scala eroica» (p. 165; trad. it. p. 193). Né serve rispondere, come fa Skinner, dicendo che si tratta di «ingiurie» o di indizi di instabilità emotiva. Bisognerebbe piuttosto dimostrare che non si tratta, come invece appunto si tratta, della pura e semplice verità.
(13). Confronta il suo "Verbal Behavior", che raccoglie e sviluppa queste lezioni.
(14). Nel recensire "Verbal Behavior" di Skinner («Language», v. 35, n. 1, 1959, p.p. 26-28), affermavo che un risultato in effetti sembrava essere, e precisamente per quanto riguarda la modificazione di certi aspetti del comportamento del soggetto parlante (ad esempio la produzione di nomi al plurale) mediante il «rinforzo» di espressioni quali «giusto» e «bene» senza che il parlante ne sia consapevole. Il risultato ha nella migliore delle ipotesi un interesse marginale, poiché evidentemente il comportamento di chi parla potrebbe essere modificato assai più «efficacemente», sotto tale profilo, con delle semplici istruzioni, fatto questo che non trova cittadinanza nel sistema skinneriano, ove lo si interpreti con un certo rigore. Naturalmente, se il soggetto è cosciente di quanto sta facendo lo sperimentatore, il risultato non riveste più il minimo interesse. E salta fuori che le cose potrebbero anche stare così. Confronta D. DULANY, "Awareness, Rules and Propositional Control: a Confrontation with S-R Behavior Theory", in "Verbal Bebavior and General Behavior Theory", a cura di Th. R. Dixon e D. Horton. Sembra dunque che applicando il modello del condizionamento operante allo studio del normale linguaggio umano non si sia raggiunto nessun effettivo risultato men che banale.
Una lettura interessante, a questo riguardo, è il già citato articolo di MACCORQUODALE, "On Chomsky's Review". Non mi posso qui dilungare a correggerne i molti errori (quali ad esempio il suo fraintendimento del concetto di "funzione", che ingenera grande confusione). Il principale elemento di confusione nell'articolo è il seguente: MacCorquodale pensa che io mirassi a confutare le tesi di Skinner, e rileva come io non proponga alcun elemento di confutazione. Ma io intendevo invece dimostrare che le affermazioni di Skinner, se prese alla lettera, si rivelano o intrinsecamente false (MacCorquodale non discute attentamente nessuno degli esempi forniti), o completamente vacue (come quando diciamo che la risposta «Mozart» è sotto controllo di uno stimolo sottile), e che molte delle sue affermazioni false si possono convertire in verità prive d'interesse impiegando termini come «rinforzo» con la sovrana imprecisione di «piacere», «volere», «godere» e così via (e con una parallela perdita di rigore, ovviamente, poiché ad una terminologia ricca e particolareggiata si sostituiscono pochi termini completamente avulsi dal contesto in cui hanno una certa precisione). Incapace di comprendere tutto ciò, MacCorquodale «difende» Skinner mostrando come assai spesso sia possibile dare una interpretazione generica alle sue enunciazioni, che è proprio quanto dicevo io. L'articolo una volta espunti gli errori, è utile in quanto rivela la bancarotta del metodo del condizionamento operante nello studio del comportamento verbale.
(15). Confronta MACCORQUODALE, "On Chomsky's Review" cit., per un illuminante esempio di incapacità di comprendere questo aspetto del problema.
(16). Si noti il passaggio, nella spiegazione di Skinner dall'analisi delle cose che hanno un buon sapore ai giudizi sulle cose che diciamo buone (p.p. 103-5; trad. it. p.p. 123-25).
(17). Una soluzione consisterebbe nel negare che questi siano fatti. E' l'approccio adottato da Patrick Suppes in alcune osservazioni citate da MacCorquodale. Suppes accenna a diversi libri che contengono una serie di fatti del genere, ed affronta il problema di come renderne conto mediante una teoria esplicativa, per asserire semplicemente che i libri in questione non contengono dati di sorta. Evidentemente, Suppes vorrebbe farci credere che questi fatti diventino «dati» solo nel momento in cui qualcuno esegue un esperimento onde «provare» che i fatti sono quali noi li conosciamo, così di primo acchito. Sarebbe ovviamente abbastanza semplice ideare esperimenti del genere (ritoccandoli, secondo il tipico modo di procedere di tale lavoro sperimentale, fino a che non diano i risultati che noi già sappiamo in anticipo essere quelli corretti), purché ci sia qualcuno disposto a perdere il suo tempo in questo modo. Allora i libri conterrebbero dei «dati», nel senso di Suppes.
(18). I pensatori libertari sono spesso stati «ambientalisti radicali», e a torto, a mio avviso, per delle ragioni che ho esposto altrove (confronta il mio "Problems of Knowledge and Freedom" [trad. it. "Conoscenza e libertà", Einaudi, Torino 1973]).
(19). R. HERRNSTEIN, "I. Q.", in «Atlantic Monthly», settembre 1971.
(20). Egli non menziona specificamente questo assunto, ma esso è indispensabile per la validità dell'argomentazione. Non esaminerò qui due questioni fattuali decisive per l'argomentazione di Herrnstein: l'ereditarietà del Q.I. e la sua importanza in quanto fattore determinante della ricompensa economica. In merito alla prima questione, confronta CH. JENCKS e altri, "Inequality", appendice A; quest'ampia analisi induce a ritenere che Herrnstein faccia propria una stima del tasso di ereditarietà di gran lunga troppo elevata. Sul Q.I. in quanto fattore determinante della «ricompensa sociale», Herrnstein non fornisce alcun serio elemento a riprova della sua tesi che si tratti di uno dei fattori più importanti, ma la questione è stata attentamente studiata da altri (confronta JENCKS e altri, "Inequality", e S. BOWLES e H. GINTIS, "I. Q. in the U. S. Class Structure", ciclostilato Harvard University, luglio 1972). Bowles e Gintis giungono alla conclusione che Q.I., classe sociale e istruzione «contribuiscono ciascuno indipendentemente dagli altri al successo economico», ma che «il Q.I. è di gran lunga il fattore meno importante»; «un perfetto livellamento del Q.I. delle classi sociali ridurrebbe la trasmissione intergenerazionale dello status economico in misura trascurabile». Jencks e altri affermano che, come «stima più ottimistica», «tra sottogruppi di popolazione geneticamente omogenei c'è una diseguaglianza di redditi inferiore di un 3 per cento circa a quella relativa alla popolazione americana presa nel suo insieme» (p. 221). In breve, le indagini empiriche indicano che il Q.I. è un fattore secondario nella determinazione del reddito, e la componente genetica un fattore trascurabile del Q.I. Niente perciò conforta l'opinione di Herrnstein secondo cui in una società come la nostra la componente genetica del Q.I. darebbe luogo ad una stabile «meritocrazia» ereditaria. Bastano queste osservazioni a liquidare l'analisi alquanto grossolana di Herrnstein. Ma quel che qui mi interessava non erano tanto le sue lacune sul piano empirico, quanto piuttosto i suoi assunti ideologici, e soprattutto le ragioni per cui si è levato tanto interesse ed entusiasmo per un lavoro così povero di sostanza.
(21). Si noti di nuovo come Herrnstein sia incapace di distinguere la retribuzione dall'approvazione sociale, nonostante l'argomentazione non stia più in piedi se la sola ricompensa è l'approvazione.
(22). «Atlantic Monthly», novembre 1971. Confronta p. 110, primo paragrafo per la sua replica.
(23). Confronta, ad esempio, H. W. BLAIR, "The Green Revolution and «Economic Man». Some Lessons for Community Development in South Asia" ["La rivoluzione verde: alcune lezioni per lo sviluppo di comunità nell'Asia meridionale"], in «Pacific Affairs», v. 44, n. 3, 1971.
(24). Assumere che la società tenda a ricompensare coloro che svolgono un servizio sociale significa cadere sostanzialmente nello stesso errore (tra gli altri) che infirma il ragionamento secondo cui il libero mercato porta, in linea di principio, al soddisfacimento ottimale dei bisogni - mentre in realtà, dove la ricchezza è mal distribuita, il sistema tenderà a produrre il superfluo per i pochi che possono pagare anziché il necessario per i molti che non possono farlo.
(25). Capziosamente, Herrnstein asserisce che «la società in effetti economizza le proprie risorse intellettuali tenendo gli ingegneri in maggior considerazione e pagandoli meglio». Ma se veramente vuole sostenere questo sulla base dei rapporti tra Q.I. e posizione sociale messi in luce dai suoi dati, dovrebbe parimenti concluderne che la società economizza le proprie risorse intellettuali tenendo in maggior considerazione e pagando meglio anche i commercialisti e gli esperti di pubbliche relazioni. A prescindere da tutto ciò, non è poi così ovvio come egli evidentemente crede che la società economizzi saggiamente le proprie risorse intellettuali impiegando la maggior parte dei suoi scienziati e ingegneri nel campo delle ricerche spaziali e militari.
(26). HARRIS, "The Rise of Anthropological Theory" cit., p. 106.
(27). Confronta il servizio in «Atlantic Monthly», novembre 1971.
(28). Un'inserzione sull'«Harvard Crimson» del 29 novembre 1971, firmata da numerosi docenti universitari, parla dell'«inquietante conclusione secondo la quale l''intelligenza' è in gran parte genetica, sicché nel giro di moltissimi anni la società potrebbe evolversi in classi contraddistinte da livelli di capacità nettamente differenziati». Poiché la conclusione non discende dalle premesse, come già osservato, può darsi che ciò che inquieta i firmatari sia «la conclusione che l''intelligenza' è in gran parte genetica». Perché la cosa debba apparire tanto inquietante rimane un mistero.

CONSIDERAZIONI SULLA PSICHIATRIA
di Ronald Laing.

(1). Conferenza tenuta a Londra il 10 ottobre 1972.
(2). Lettera a George e Thomas Keats, 21 dicembre 1817.
(3) C. A. MEIER, "Ancient Incubation and Modern Psychotherapy", N. W. University Press.
(4). Confronta GAY GAEN LUCE, "Body Time", Panther Books, New York 1971.

LA PAZZIA DEL «POSTO»
di Erving Goffman.

(1). Per una trattazione recente delle coalizioni familiari, vedi Haley. Nelle opere di Ronald Laing si trova una descrizione molto chiara ed espressiva della collusione all'interno della famiglia.
(2). Esiste una distinzione simile nel campo dello spionaggio, tra operazioni clandestine e segrete. Le prime richiedono l'occultamento totale, le seconde soltanto quello dei metodi e delle intenzioni.
(3). Quando una persona comincia a sospettare l'esistenza di una complicità e identifica le persone che vi partecipano, è già troppo tardi per tagliare alla radice i suoi rapporti con loro. Lemert mi ha suggerito la possibilità che si verifichi allora un processo di segno opposto nel quale l'escluso dalla complicità tenterà di provare pubblicamente l'esistenza di una cospirazione ai suoi danni, e i cospiratori tenteranno invece di negare l'evidenza. Naturalmente, può succedere che una persona si convinca (giustamente o meno) che i suoi sospetti erano infondati, e pertanto rivaluti i rapporti.
(4). La distinzione tra definizione «data» e definizione «agita» di un individuo ricalca la distinzione che Kai Erikson fa tra la convalidazione del ruolo e l'impegno del ruolo: «Ai fini di questo articolo, sarà utile considerare che l'acquisizione del ruolo da parte di una persona implica due processi fondamentali: la convalidazione del ruolo e l'impegno del ruolo. La convalidazione del ruolo avviene quando la comunità 'dà' a una persona un obiettivo da realizzare, fornendole idee ben determinate riguardo al comportamento che considera appropriato o valido per la persona stessa nella posizione che essa occupa. L'impegno nel ruolo è il processo complementare per cui una persona adotta certi modi di comportarsi facendoli propri, impegnandosi a mantenere il tipo di ruolo che meglio rappresenta il tipo di persona che presume di essere e che meglio riflette la posizione sociale che presume di occupare».
(5). Non credo che esistano versioni adeguate di queste complicazioni. Molto limitato è stato anche l'apporto degli studiosi del sé «a tavolino», che cominciano dalla descrizione verbale che il soggetto dà di se stesso (spesso selezionando i termini da una lista che gli viene presentata) invece di iniziare dal lavoro etnografico più serio, che consiste nel mettere insieme i diversi modi in cui l'individuo è trattato e tratta gli altri, e dedurre le informazioni sull'individuo implicite in questi modi di trattare. Il risultato è stato una banalizzazione di Cooley, Mead e la psicologia sociale. Il sé acquista uno status disperatamente mobile: in una frase, lo studioso parla della codificazione tacita del comportamento dell'individuo, di ciò che, in effetti, l'individuo presume di essere, in quella seguente, parla di un elemento mentalistico puramente soggettivo, che ha di per sé un punto di riferimento incostante. Non si capisce che il termine «concezione» può mutare completamente di significato, e che la concezione mentale che un individuo ha di se stesso altro non è se non la sua visione soggettiva e parziale della concezione che egli ha di sé.
(6). Naturalmente, alcune condizioni personali, come la perdita della memoria, o un'intensa sensazione d'ansia, o un grave senso di persecuzione si trasformano rapidamente da trasgressione in sintomi, ma anche in questo caso succede spesso che le prime ad essere disturbate siano le regole sociali che governano il modo in cui una persona può orientare se stessa correttamente o percepire la propria situazione.
(7). Quando gli agenti di controllo assumono lo stesso atteggiamento vantaggioso per se stessi, possiamo parlare di «direzione» sociale piuttosto che di controllo sociale. E' così, ad esempio, che una politica di sussidi ne «dirige» la distribuzione non tenendo conto del fattore della sensibilità morale.
(8). Questa è una controversia funzionalista. Vedi, per esempio, Nadel.
(9). Per una discussione delle spiegazioni, vedi Scott e Lyman.
(10). Vedi l'utile lavoro di Aubert e Messinger.
(11). Non prenderò in esame i popolaristi che hanno tentato di stabilire la psicogenesi di tutto ciò che li interessa, dalla delinquenza alla slealtà politica.
(12). Anche se molti dei sintomi delle malattie mentali condividono queste caratteristiche offensive - permettendoci così di rispondere all'argomentazione che i sintomi mentali non sono semplicemente qualsiasi tipo di deviazione sociale -, succede che molte deviazioni sociali del tipo situazionale non possano essere comprese nella categoria dei segni di malattia mentale. Ci abbiamo messo del tempo a rendercene conto, forse perché i reparti psichiatrici una volta ci fornivano la fonte più accessibile di improprietà situazionali flagranti, e in un simile contesto era facile vedere il comportamento come un'aberrazione immotivata, generata individualmente, invece di vederlo come una forma di contestazione sociale della vita del reparto - contestazione che doveva utilizzare i limitati mezzi espressivi che aveva a portata di mano. Negli ultimi anni, il carattere non-psichiatrico di una notevole gamma di comportamenti apparentemente sintomatici è diventato più facilmente identificabile, poiché le improprietà situazionali più flagranti sono state adottate come tattica dagli hippies, dalla Nuova Sinistra, dai militanti neri; e anche se queste persone sono state accusate di essere immature, sembrano troppo numerose, troppo capaci di mantenere un rapporto collettivo, e hanno troppa facilità di passare rapidamente al comportamento convenzionale perché si possa accusarle di insanità.
(13). A questi tentativi espressi di superare i propri limiti corrisponde una modificazione del concetto soggettivo che la persona che tenta di superarli ha di sé. Un utile contributo su questo tema è l'articolo di Josiah Royce intitolato "Some Observations on the anomalies of Self-Cosciousness", fortunatamente riproposto alla nostra attenzione da una ristampa ridotta pubblicata da Edgar Borgatta e Henry Meyer in "Sociological Theory". Da quando l'articolo di Royce fu pubblicato per la prima volta nel 1895, i progressi in questo campo sono stati molto limitati.
(14). L'ospedale psichiatrico infatti può essere funzionalmente definito come il posto in cui persone che di diritto fanno ancora parte della nostra vita quotidiana possono essere tenute alla larga e obbligate ad aspettare le nostre visite occasionali; e noi, invece di condividerne l'esistenza, possiamo razionarla. Ovviamente, anche i pazienti possono tenere alla larga i loro parenti, semplicemente rifiutandosi di incontrarli fuori dal reparto o turbandosi quando ne ricevono la visita. Tuttavia, questo rifiuto può costargli caro - ad esempio, possono perdere l'occasione di uscire dal reparto per un poco e di ottenere alcuni piccoli beni necessari. Inoltre, ciò che il paziente riesce a tenere alla larga non è la vita con i suoi cari, ma semplicemente le loro visite.
(15). Ho trattato più estesamente questi argomenti in "Behaviour in public places" e in "Interaction Ritual".
(16). Lemert studiò in profondità 31 casi che comprendevano complicazioni paranoidi: 23 nel Sud della California, 6 nel Nord della California e 2 altri casi.
(17). Le teorie di "Gemeinschaft" sostengono che le persone legate da rapporti intimi devono essere d'accordo sulle convinzioni fondamentali oppure devono interrompere il loro rapporto, e che, conseguentemente, quando un membro che non condivide queste credenze si dimostra disposto a farsi convincere, egli è motivato dal desiderio di preservare il rapporto. Ci sono, ovviamente, delle eccezioni alla regola dell'accordo. Il modello che a offre la letteratura sociologica è il signor Keech, che faceva tranquillamente i suoi affari mentre la signora Keech, a casa sua, si organizzava pubblicamente per far fronte alla fine del mondo. Vedi Festinger e altri, in particolare alle p.p. 38-39.
(18). Recentemente, un'utile descrizione delle contingenze strutturali che implica l'imposizione di una disciplina ad un membro della famiglia che non è disposto a collaborare, ci è stata fornita da Louise Wilson in "This Stranger, My Son". La Wilson descrive con dovizia di particolari ciò che un bambino, paranoide e schizofrenico secondo la diagnosi, può fare avendo a portata di mano gli oggetti di uso domestico. Un quadro esauriente viene fornito anche dal resoconto Bettelheim sulla Sonia Shankman Orthogenic School ma in questo caso, naturalmente, quel tipo di attenzione che richiede io sforzo e l'impegno costanti di tutto il personale costituisce il lavoro a tempo pieno del personale stesso.
(19). Ci sono comunque alcuni limiti dovuti al controllo sociale formale. Un tredicenne non può presentarsi a un simpatico rappresentante della Ford e contrattare l'acquisto di una nuova Thunderbird, anche se può farlo qualche anno dopo. Nello stesso modo in cui un qualsiasi adulto può presentarsi a un agente immobiliare e metterlo al lavoro, ma a un certo punto ci sarà bisogno di denaro sonante.
(20). Vedi lo studio di Roueché, "Ten Feet Tall", nel quale si descrive il comportamento sociale, con tentativo di superamento dei propri limiti, di un uomo che attraversa un breve periodo maniacale provocato dagli effetti collaterali di una cura a base di cortisone.
(21). Un paziente maniaco che diventa troppo grande per la propria casa può diventare troppo grande anche per il proprio posto di lavoro. Si comincia con un lodevole aumento dell'entusiasmo, il soggetto offre aiuto e consigli ai propri colleghi che li desiderano, poi estende il suo comportamento, fino ad arrivare a ciò che viene già considerato come un'interferenza nelle sfere degli altri, e finalmente comincia a dare direttive non autorizzate e ad agire come portavoce della propria organizzazione lavorativa quando è lontano dalla stessa. Durante questo processo di trasformazione di se stesso in un capo autodesignato, comincia ad assegnarsi sempre più attrezzature, spazio, e assistenza da parte di subordinati. E dal momento che i suoi affari privati e la sua attività conviviale si sono molto allargati e vengono male accettati a casa, egli sposta sempre di più queste attività verso il posto di lavoro, passa sempre più tempo durante e dopo il lavoro a occuparsi di loro e presto trasgredisce alla sottile e delicatissima norma che regola la penetrazione degli interessi privati nel mondo del lavoro. Promuove riunioni del personale, e provoca disturbi alle divisioni di status sociale tentando di riunire in questi incontri conviviali tutte le persone connesse al suo lavoro che sente minimamente alla propria portata dal punto di vista sociale.
(22). I conti del telefono che sono venti volte superiori alla norma avrebbero una interessante storia da raccontare. Le società dei telefoni sono tuttavia scrupolosamente distaccate riguardo a queste cose. Non è loro compito porsi delle domande, ma semplicemente incassare.
(23). Una forma di organizzazione sociale che a volte si sviluppa intorno a posizioni molto elevate; l'esempio migliore oggigiorno si ha forse nell'entourage di Hollywood.
(24). Questi stratagemmi vengono usati in modo più completo dalle persone famose, apparentemente, in parte perché sono quelle che possono fare meno affidamento sulla possibilità che i membri interessati del pubblico non riescano a procurarsi le informazioni che desiderano su di loro.
(25). Hollingshead e Redlich forniscono prove empiriche a sostegno di questo argomento.
Per un'illustrazione analitica, considerate una comparazione estrema: un ubriacone negro e una modella bionda, lui vestito di abiti ordinari, e lei nello stile dell'alta borghesia. Confrontate la loro situazione in pubblico: il passaggio di ognuno dei due di fronte, vicino o nella direzione verso altre persone sconosciute. Considerate il tipo di movimenti oculari che ognuno dei due provocherà in questi passanti.
L'ubriacone: il passante starà attento a sfiorarlo appena con lo sguardo, seppure arriverà a tanto, stando in guardia per evitare che l'ubriacone possa trovare un'angolazione dalla quale stabilire un contatto visivo reciproco e disturbare il passaggio con prolungati saluti, profusione di felicitazioni e altre molestie o minacce. Se l'ubriacone persistesse nel non stare al suo posto, potrebbe essere necessario arrivare all'aperta scortesia e voltare decisamente la faccia dall'altra parte.
La modella: un passante la fisserà apertamente per tutto il tempo in cui la incrocia, senza arrivare a dover voltarsi per continuare a guardarla. Durante tutto questo tempo è probabile che la sua fantasia sia all'erta per captare un qualsiasi segno da parte di lei che possa essere interpretato come un incoraggiamento alle sue attenzioni. Notate che questa confusa galanteria è sempre ben controllata, e non c'è pericolo che possa interferire con la libera circolazione della gente che passa, perché la modella ha imparato già da tempo quale contegno tenere in questo tipo di occasioni, che consiste nell'abbassare lo sguardo, facendo finta di non vedere, sopportando in silenzio gli sguardi altrui.
Consideriamo ora, sulla base di questa illustrazione strutturale della situazione in pubblico della bella e la bestia (che descrive anche i limiti della disattenzione civile), quali potrebbero essere, per ognuno dei due, le conseguenze di uno stimolo irriducibile ad allacciare nuovi rapporti.
L'ubriacone può dare qualche seccatura, ma non gli sarà permesso di fare molto di più. Quanto più forte scuote le sbarre della sua gabbia, tanto più svelti passeranno i visitatori dello zoo. L'organizzazione sociale è tale che se egli grida in faccia a qualcuno che non conosce, il risultato sarà solo quello di completare il processo che stabilisce che lui non esiste. Se a dimostrarsi amichevole è la modella, invece, scoprirà immediatamente che ci sono centinaia di persone disponibili, che estranei di due colori di pelle, tre sessi, e diversi gruppi di età sono disposti a interrompere il loro cammino per stabilire un contatto socievole. Non appena sorride cominciano a svilupparsi dei rapporti. Un ubriacone si lascia dietro una sottile fila di persone ancora più profondamente impegnate nei loro programmi iniziali. Una maniaca bellissima probabilmente non riuscirà ad andare tanto lontano da lasciarsi dietro qualcuno. Essa apre un mondo che poi la avvolge chiudendosi intorno a lei. Riesce a raggrumare e ad aggrovigliare intorno alla sua persona le linee d'azione degli altri. Quanto più è delicata e distinta, tanto più assomiglia a quel tipo di pericolo contro il quale i manuali dell'epoca vittoriana avrebbero messo in guardia tutta la città.
(26). I medici che trattano pazienti che hanno attivamente tentato il suicidio conoscono molto bene le potenzialità mortali degli oggetti domestici; non solo, un elenco viene fornito in alcuni resoconti di casi clinici che sono stati pubblicati. Non sembra tuttavia che tutti capiscano come le azioni di un individuo che ha "qualsiasi" tipo di disturbo mentale attivamente espresso possano mutare di significato agli occhi della sua famiglia. Quelle che in condizioni normali sarebbero considerate pacifiche azioni della normale routine familiare sono viste come un atto attraverso il quale il malato può, con o senza intenzione, danneggiare gli oggetti a portata di mano, le persone che gli sono vicine o se stesso.
(27). Se il malato è un adulto, le conseguenze sono particolarmente penose per i bambini. Per proteggere i giovani dalle richieste imperiose del malato, e per evitare il formarsi nella loro mente di un determinato concetto del malato, nel caso le sue azioni venissero prese sul serio, può essere necessario far entrare i giovani nella rete di congiura. Ciò facilita anche la complicità, riducendo il numero delle persone alle quali bisogna nasconderla. I bambini possono accettare l'invito, rifiutarlo, oppure, se sono abbastanza avveduti, dare ad ognuna delle due parti l'impressione di condividerne le idee. Indipendentemente dalla reazione dei giovani, la solidarietà tra gli adulti è comunque chiaramente intaccata e l'idealizzazione dell'adulto è resa pericolante. Ciò può portare all'insubordinazione da parte dei bambini, dal momento che gli altri adulti non possono più appoggiare le richieste del malato. Inoltre, quando la persona malata diventa un motivo di pretese ingiustificate dai bambini da parte degli adulti questi vedono scemare la loro capacità di applicare la disciplina quando ciò è necessario.
(28). Per rendersi conto di queste cose il malato non ha bisogno di essere particolarmente perspicace, anche se si sostiene che i malati di mente a volte lo siano. E' facile vedere nella nostra società che i segni furtivi con i quali si stabilisce e si mantiene un accordo cospiratorio contro qualcuno che è presente sono spesso goffi e facilmente decifrabili da parte dell'escluso. Spesso i cospiratori non sanno di essere stati scoperti, perché l'escluso vuol mantenere l'illusione apparente di non essere tanto indegno da meritare di essere trattato in questo modo. Il paradosso sta nel fatto che i cospiratori hanno bisogno precisamente di questo tipo di definizione superficiale per poter agire. Vorrei aggiungere che molto spesso i cospiratori si rifiutano di comportarsi tanto discretamente quanto potrebbero. Come in tanti altri casi di falso comportamento, nei manipolatori c'è un mezzo desiderio di far sapere alla loro vittima quello che si pensa di lui.
(29). Certamente questo sistema non è di per sé interamente riprovevole poiché la conoscenza di certi particolari potrebbe intaccare profondamente l'idea che il paziente ha di se stesso; tuttavia sembra che le diagnosi possano variare molto, a seconda della corrente moda diagnostica e dei gusti del medico.
(30). Riconosciamo che ultimamente alcuni terapisti hanno tentato di curare lo stesso tipo di malati sia dentro che fuori dall'ospedale, e in questo caso non è possibile fare i soliti allineamenti; alcuni hanno tentato la «terapia familiare», e altri ancora hanno tentato di stabilire un rapporto di accesso aperto e flessibile, nel quale era possibile fare delle sessioni sia private che con la partecipazione della famiglia con lo stesso paziente. Ma anche queste soluzioni non impediscono, a mio avviso, il problema della complicità.
(31). Una deduzione che si può fare a questo punto è che le persone che vengono sottoposte all'attenzione degli psichiatri sono un gruppo estremamente misto. Considerando le attuali procedure di ricovero, e considerando anche il numero di pazienti che i medici generici visitano nei loro ambulatori, non vedo come gli psichiatri possano sapere se dietro ai sintomi che stanno esaminando ci sia o no una malattia mentale. E non sapendo con che malattia hanno a che fare, è comprensibile che le loro cure non abbiano molto successo.
(32). Nello stesso modo, si dovrebbe capire che la depressione non è qualcosa che si possa comprendere pienamente guardando dentro al paziente. Mi sembra che le persone affette da depressione finiscano per capire consapevolmente la misura degli sforzi sociali che sono necessari nel normale tentativo di mantenere il proprio posto nelle imprese che si iniziano. Quando un individuo ha meno voglia del solito di uscire, una parte considerevole del suo universo sociale può facilmente attenuarsi, per il semplice fatto che questo universo è sorretto in parte dal suo continuo esercitare la sua parte di attore. Durante molti dei contatti quotidiani di un individuo, i suoi «altri» terranno gli occhi bene aperti per captare un segno di disaffezione e si terranno pronti in questo caso ad allontanarsi da lui per proteggere i propri sentimenti. Il più piccolo segno che faccia capire che egli è meno portato verso di loro può dar inizio a un processo nel quale saranno loro ad abbandonare lui. Si potrebbe aggiungere che anche se la nozione classica dei cicli maniaco-depressivi non viene più sostenuta dalla psichiatria - l'opinione corrente è che una delle due situazioni prevale sull'altra -, succede che molti maniaci attraversino periodi di marcata depressione quando si trovano a dover affrontare un qualsiasi momento della giornata in cui si richiede un notevole sforzo. Anche in questo caso, il fatto di lamentarsi perché sembra che qualsiasi cosa costituisca un peso troppo grosso non è attribuibile soltanto a un fattore intrapsichico, ma anche al fatto che il posto sociale è così organizzato che bisogna sempre fare un qualche sforzo per mantenerlo. Dato che gran parte della vita sociale è organizzata in termini di controllo personale e informale, ci sono determinate condizioni che possono riprodurre in ogni direzione possibile un leggero aumento o diminuzione della nostra apertura verso l'esterno. La depressione e la mania diventano allora rapidamente possibili, spesso, e non c'è da meravigliarsi, nella stessa persona.

UNO SCENARIO PER IL SISTEMA CARCERARIO FUTURO
di Stanley Cohen.

(1). JOHN CONRAD, "Crime and its Correction", Tavistock, London 1965, p. 1.
(2). "The Lifer's Life", in «Times Literary Supplement», 26 novembre 1972.
(3). Due studi fondamentali sono: DAVID ROTHMAN, "The Discovery of the Asylum: Social Order and Disorder in the New Republic", Little Brown and Co., Boston 1971, e MICHEL FOUCAULT, "Madness and Civilization", Tavistock, London 1965. Per un resoconto sul lavoro più recente di Foucault sulle istituzioni, vedi PHILIPPE NERRO, in «Le Nouvel Observsteur», 10 gennaio 1972.
(4). Vedi "Report of the Inquiry into Prison Escapes and Security" (The Mountbatten Report), H.M.S.O., 1966, Cmnd. 3175 e "The Regime for Long-Term Prisonners in Conditions of Maximum Security. Report of the Advisory Covncil on the Penal System" (The Radzinowicz Report), H.M.S.O., 1968.
(5). SHELDON MESSINGER, "Strategies of Control", non pubblicato, Centre for the Study of Law and Society, University of California, Berkeley 1969.
(6). BRIAN D. COOPER e A. J. PEARSON, "C-Wing Parkhurst: An Approach to the Management of the Long-Term and Disruptive Prisoner", in «Prison Service Journal», ottobre 1972, p.p. 3-5.
(7). EARTON L. INGRAHAM e GERALD W. SMITH, "The Use of Electronics in the Observation and Control of Human Behaviour and its possible Use in Rehabilitation and Parole", in «Issues in Criminology», vol. 7, n. 2, autunno 1972, p.p. 35-53. Un'importante critica di questo articolo - MICHAEL SHAPIRO, "The Use of Behaviour Control Techniques: A Response" - che si concentra in particolare sui problemi etici e morali, segue nella stessa rivista (p.p. 55-93).
(8). LESLIE T. WILKINS, "Crime and Criminal Justice at the Turn of the Century", in «Annals of the American Academy of Political and Social Science», vol. 108, luglio 1973, p.p. 13-20.
(9). R. K. SCHWITZGEBEL, "Development and Legal Regulation ot Coercive Behaviour Modification Techniques with Offenders", National Institute of Mental Health Monograph, Washington 1971.
(10). MARTIN B. MILLER, "The Indeterminate Sentence Paradigm: Resocialisation or Social Control?", in «Issues in Criminology», vol. 7, n. 2, autunno 1972, p.p. 101-24.
(11). ROBERT E. KELGORD e ROBERT O. NORRIS, "New Directions for Corrections", in «Federal Probation», v. 36, marzo 1972, p.p. 3-9.
(12). Per un resoconto generale dell'effetto di questi legami sulla criminologia britannica vedi STANLEY COHEN, "Criminology and the Sociology of Deviance in Britain: A Recent History and Current Report", in M. MACINTOSH e P. ROCK, "Social Control and Deviance", Tavistock, London 1974; vedi anche s. COHEN e L. TAYLOR, "Psychological Survival. The Experience of Long-Term Imprisonment", Penguin, Harmondsworth 1972 - particolarmente l'appendice - per l'illustrazione di alcuni dei problemi della ricerca in carcere.

AL DI LA' DEL BISOGNO: LA SOCIETA' E' SERVITA
di Malcolm Bush, Tom Dewar, Kathy Fagan, Linda Gelberd, Andrew Gordon, Alicia McCareins, John McKnight.

(1). Gli autori sono studenti e membri della facoltà del Center of Urban Affairs, Northwestern University.


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