Per il detenuto non c'è nulla di immateriale nel suo soffrire in carcere: cattiva alimentazione, pessima igiene, forzata promiscuità, contagi letali, violenze fisiche eccetera.
Il carcere è anche e ancora una pena corporale.
Dire che il carcere è il luogo o lo strumento per patire il dolore della sola perdita della libertà è mentire o prestare fede alle bugie dei giuristi. Eppure, per un istante, conviene fingere, immaginare che effettivamente sia possibile rendere immateriale, pura, la violenza della pena legale. E se mai così potesse essere, scopriremmo allora una dimensione ancora più disumana di questo modo di soffrire, come se la crudeltà della pena stesse alla sua metafisica. E allora, in favore del carcere non c'è difesa possibile, neppure la più radicale delle riforme impossibili.
A chi sdegnato allontana lo sguardo dal supplizio, non resta che agire per abolire quel supplizio.
MASSIMO PAVARINI.
Università di Bologna.