Questo libro non tratterà degli abusi, delle illegalità e violenze che quotidianamente si compiono entro le mura carcerarie. Né elencherà gli arbitrii e le torture del carcere «sporco», che denunce e riforme istituzionali, da sempre, hanno apparentemente preso di mira. I materiali che presentiamo riguardano la pena "ordinaria", che è di per sé "straordinaria", perché infligge patimenti e mutilazioni. Si tratta del carcere infinitamente riformato in quanto irriformabile, che produce spersonalizzazione, infantilizzazione, espropriazione del tempo e della comunicatività.
Il carcere è da sempre luogo di contagio, di diffusione del morbo che, nelle diverse contingenze storiche, aggredisce i più indifesi: polmonite e scorbuto nelle prime galere, infezioni di ogni tipo, follia nella promiscuità del grande internamento, droga e A.I.D.S. nel carcere contemporaneo.
Ci siamo posti da un punto di vista strutturale e, dunque, ci siamo chiesti se al di là delle malattie sociali, di volta in volta più allarmanti, la detenzione in sé non produca dei suoi specifici handicap, in quanto "detenzione" e non in quanto luogo che l'arbitrio e la brutalità delle condizioni rendono più vulnerabile e «immunodeficiente». Inoltre ci interessava soprattutto cogliere come la «detenzione» segna le "esistenze" delle persone e non solo il loro corpo.
Amleto, nei momenti più tenebrosi, afferma che «il mondo è un vasto carcere in cui sono molte celle stanze e segrete». Noi ci limitiamo a pensare che il carcere sia un mondo in sé, descrivibile in ogni sua piega attraverso il dialogo con chi lo abita.
Abbiamo contratto più di un debito di riconoscenza nei confronti di chi ha reso possibile questo lavoro. All'editore siamo grati per averci "convinto" a redigere un testo non accademico ma raccontato, non rivolto agli esperti ma a tutti; gli siamo grati, insomma, per averci «imposto» uno stile che alla fine è sembrato anche a noi il più adatto. I nostri ringraziamenti vanno in eguale misura ai protagonisti di queste pagine, interlocutori anonimi, spesso adombrati dietro nomi fittizi, che ci hanno fornito materiali e testimonianze per sostanziare le nostre ipotesi di lavoro.
Ricordiamo, nello specifico, per quanto riguarda la Francia, l'appoggio incondizionato fornito alla nostra ricerca da organismi quali: A.R.A.P.E.J. di Parigi (associazione di comunità alloggio) e la disponibilità degli operatori di S.R.A.I.O.S.P., primo istituto francese (e forse europeo) di assistenza polifunzionale agli ex-detenuti. Altri ringraziamenti vanno a "Medicins du monde", gruppo di intervento sociale nel campo della medicina. Per l'Italia ci preme ricordare la collaborazione di operatori ed esperti, nonché di detenuti ed ex-detenuti, alcuni dei quali riuniti in cooperative di lavoro e in coraggiose associazioni. Diversi amici ci hanno aiutato a Londra, segnalandoci ricerche già compiute o ancora in corso. In particolare, Dan ci ha orientato nel labirinto delle corti di Highbury, dove abbiamo assistito al commercio avvilente delle pene pecuniarie tra giudici e difensori azzimati e imputati straccioni.
Una nota finale di lettura può aiutare chi si accinge a sfogliare queste pagine. Il primo capitolo consiste di nostre riflessioni generali mirate a definire la forma-carcere contemporanea. Nel secondo capitolo le riflessioni si avvalgono, in qualità di sostegno, delle testimonianze dei protagonisti diretti: detenuti ed ex-detenuti. Il terzo raccoglie opinioni e analisi espresse da esperti ed operatori. Il capitolo finale è dedicato al tema dell'"abolizionismo", ai concetti che lo sottendono, le esperienze che lo connotano e le ispirazioni che, anche nel nostro paese, se ne possono trarre in termini di prassi.
A lavoro ultimato, e nonostante le lacune a posteriori che sempre si riscontrano, la nostra speranza è che si tragga da queste pagine qualche spunto e qualche riflessione avvertita, per il superamento radicale della prigione, per l'abolizione concreta delle sofferenze legali che si continuano ad infliggere.
E. G. e V. R.