Quando nel 1964 a Francoforte ebbe inizio il grande processo di Auschwitz, scrissi, dopo vent'anni di silenzio, il primo articolo sulle mie esperienze nel Terzo Reich. Non pensai dapprima a un seguito; intendevo solo cercare di chiarirmi un problema specifico: quello della situazione dell'intellettuale in campo di concentramento. Una volta concluso questo lavoro avvertii tuttavia che non potevo contentarmi. Auschwitz, certo. Ma io come ci ero arrivato? Cosa era accaduto prima, cosa era avvenuto dopo, dove mi colloco oggi?
Non posso dire che nella stagione del silenzio io avessi dimenticato o «rimosso» i dodici anni di destino della Germania e mio personale. Per due decenni ero stato alla ricerca del tempo incancellabile; tuttavia mi era stato difficile parlarne. Quando però, grazie alla stesura del saggio su Auschwitz sembrò essersi infranta una confusa proibizione, sentii improvvisamente l'esigenza di dire tutto: così è nato questo libro. Nell'affrontarlo scoprii che se avevo considerato molti aspetti, non li avevo tuttavia articolati con sufficiente chiarezza. Solo nel corso della stesura si evidenziò quanto in precedenza avevo indistintamente intravisto, in un vagare con la mente semiconsapevole e incerto, sull'opportunità di varcare la soglia dell'espressione verbale.
Ben presto s'impose anche il metodo. Se alle prime righe del saggio su Auschwitz avevo ancora ritenuto di poter assumere un atteggiamento prudente e distaccato, e affrontare il lettore con signorile oggettività, adesso dovevo rendermi conto che ciò era semplicemente impossibile. Laddove l'«Io» avrebbe senz'altro dovuto essere evitato, si è invece proposto come unico punto di partenza utile. Era stata mia intenzione proporre un lavoro impostato come un ripensamento e un saggio al tempo stesso. Ne è nata una confessione personale, interrotta da meditazioni. Ben presto mi resi conto che sarebbe stato insensato aggiungere un altro lavoro documentario alle opere numerose e in parte eccellenti già dedicate all'argomento. Attraverso la confessione e la meditazione sono pervenuto a un'analisi o, se si preferisce, a una descrizione di quale sia l'esistenza della vittima.
E' stato un procedere lento e faticoso in una materia che conoscevo sino alla nausea, e che purtuttavia mi era rimasta estranea. Ecco perché in questo libro i saggi non sono ordinati secondo la cronologia degli eventi, ma seguono l'ordine in cui sono stati scritti. Il lettore che abbia scelto di accompagnarmi dovrà adeguarsi al mio ritmo, anche in quell'oscurità che ho rischiarato passo dopo passo. Si imbatterà in quelle stesse contraddizioni nelle quali anch'io sono rimasto impigliato. Nel saggio sulla tortura ad esempio non mi ero reso conto sino in fondo di quale significato si dovesse attribuire al concetto di dignità, e quindi l'accantonai in fretta, mentre successivamente, nel capitolo sul mio essere ebreo, credetti di comprendere che la dignità è il diritto alla vita concesso dalla società. Parimenti, scrivendo su Auschwitz e la tortura, non avevo compreso ancora con sufficiente chiarezza come la mia condizione non fosse totalmente racchiusa nel concetto di «vittima del nazismo»: solo verso la fine, riflettendo sull'obbligo e l'impossibilità di essere ebreo, mi ritrovai nell'immagine di vittima "ebraica".
Molto spesso in queste pagine, che potranno apparire inadeguate, ma delle quali posso garantire la sincerità, si fa cenno alla colpa e all'espiazione, poiché non ho potuto avere riguardi né per le sensibilità degli altri, né per la mia. Tuttavia ritengo che quest'opera in quanto diagnosi si collochi al di là della colpa e dell'espiazione. Vi è descritta la condizione del sopraffatto, nulla più.
Con questo libro non mi rivolgo ai miei compagni di sventura. Loro già sanno. Ciascuno di loro deve sopportare a proprio modo il peso di questa esperienza. Ai tedeschi invece, che nella loro schiacciante maggioranza non si sentono, o non si sentono più, responsabili degli atti al contempo più oscuri e più caratterizzanti nel Terzo Reich, spiegherei volentieri alcune circostanze che forse non sono state loro ancora rivelate. Talvolta oso infine sperare che quest'opera raggiunga uno scopo positivo: allora potrebbe riguardare tutti coloro che intendono porsi come prossimo.
Bruxelles, 1966
J. A.