Paul Rassinier naque il 18 marzo 1906 a Bermond, presso Montbéliard.
Suo padre, militante socialista al tempo in cui queste parole conservavano ancora
un senso, fu mobilitato durante la guerra 1914-18. Le sue attività pacifiste
e internazionaliste gli valsero cinque anni di prigione.
Nella famiglia Rassinier la rivoluzione russa e quella tedesca furono salutate
con speranza.
Nel '22, a sedici anni, Rassinier, influenzato da Victor Serge, aderisce al
Partito comunista; molto presto si schiera all'opposizione; poi, nel '32, viene
escluso. Con alcuni militanti operai egli dà vita, allora, alla “Fédération
Communiste Indépendante de l'Est” e pubblica «Le Travailleur
de Belfort». Prende parte a diversi tentativi di unificazione del movimento
rivoluzionario, sia sul piano sindacale con Alfred Rosmer e Pierre Monatte («La
Révolution prolétarienne»), sia su quello politico con Boris
Souvarine (i “Cercles Communistes Démocratiques”).
Constatando il disastro del movimento operaio, e dinnanzi alla pratica impossibilità
di ricostruire un'organizzazione rivoluzionaria indipendente che sia qualcosa
di diverso da una setta, preferisce, dopo il 6 febbraio del '34, difendere le
sue idee all'interno del partito socialista (S.F.I.O.). Segretario della federazione
di Belfort, appartiene alla tendenza di Marceau Pivert, poi a quella di Paul
Faure, e si sforza di diffondere in Franca Contea le posizioni pacifiste di
Louis Lecoin. «Monachista», sospettato di pacifismo nel '39, è
strappato da Paul Faure alla repressione di Daladier.
Invasa la Francia dai tedeschi, la stessa lotta continua. Rassinier sarà,
dunque, un resistente della prima ora. Cofondatore del movimento “Libération-Nord”,
organizza la produzione su vasta scala di documenti falsi e fonda il giornale
clandestino «La Quatrième République» al quale la
gollista Radio Londra fece eco.
Arrestato dalla Gestapo nell'ottobre dei '43, è torturato per undici
giorni (mani schiacciate, mascella fratturata, un rene a pezzi). Sua moglie
e suo figlio di due anni saranno anch'essi arrestati e resteranno in carcere
per due mesi.
E’ deportato a Buchenwald, poi a Dora (diciannove mesi); invalido nella
misura del 95 per 100 (misura accresciuta del 10 per 100 in sede di revisione)
a seguito delle sofferenze subite come deportato, sopravvive solo grazie ad
una disciplina draconiana e alle cure prodigategli dai familiari.
Riprende il suo posto alla testa della federazione S.F.I.O. di Belfort e non
esita a dichiarare di non avere mai incontrato nella Resistenza la maggior parte
degli uomini che ora parlano in suo nome.
Eletto deputato socialista alla seconda Costituente, è battuto il 10
novembre del '46 perché il partito comunista gli ha sbarrato la strada
convogliando i propri voti sul candidato radicale.
Si ritira, allora, progressivamente dalla vita politica ‘attiva’
e si dedica alle sue ricerche storiche e teoriche.
A seguito della pubblicazione del “Mensonge d'Ulysse” viene scatenata
contro di lui una campagna nazionale. Nel '52 lo si espelle dalla S.F.I.O. e
nello stesso anno, per intervento di Guy Mollet e di Daniel Mayer, è
respinta una richiesta di riammissione sostenuta da Pivert e da undici federazioni.
Delusissimo, si avvicina alle correnti anarchiche e non conformiste e conserverà
l'amicizia e la stima tenace di uomini come Marceau Pivert, Lecoin, Louis Louvet,
Rosmer, André Prudhommeaux, eccetera, e anche di alcuni militanti socialisti
e del “Syndicat National des Instituteurs”, specie in Franca Contea.
Intrattiene altresì relazioni di lavoro, e anche amichevoli, con alcuni
storici e alcuni onest'uomini di estrema destra, o reputati di estrema destra,
il che gli viene violentemente rinfacciato: come se la frequentazione di certi
uomini che passano per essere di sinistra fosse meno infamante.
Morì il 18 luglio del '67, persuaso che la sua opera avrebbe fatto la
sua strada e che l'umanità avrebbe finito col produrre una generazione
capace di comprenderla.
Era insignito della medaglia d'argento della Riconoscenza Francese e della Rosetta
della Resistenza, decorazioni che non portava mai.
Ha scritto: “Passage de la Ligne”*, 1948, e “Le Mensonge d'Ulysse”*,
1950 (raggruppati sotto questo secondo titolo a partire dal '55); “Le
Discours de la dernière chance”, 1953; “Le Parlement aux
mains des banques”, 1955; “Candasse ou le huitième péché
capital”, 1955; “Ulysse trahi par les siens”*, 1961; “L'Equivoque
révolutionnaire”, 1962; “Le Véritable Procès
Eichmann ou Les Vainqueurs incorrigibles”*, 1962; una serie di articoli
in occasione dei processo contro i guardiani di Auschwitz*, in «Rivarol»,
1963-64 (firmati con il “nom de plume” di Jean-Pierre Berinont);
“Le Drame des Juifs européens”*, 1964; “L'Opération
«Vicaire». Le rôle de Pie Douze devant l'histoire”*,
1965; “Les Responsables de la Seconde Guerre mondiale”*, 1967 (contrassegnati
con asterisco i lavori di carattere revisionistico).
Della sua esperienza nel movimento comunista antistaliniano Rassinier ha tracciato
un bilancio in un articolo che, apparso ne «La Révolution prolétarienne»
nel '36, è stato ristampato nelle «Annales d'Histoire révisionniste»,
n. 4, primavera 1988. - Le vicende che portarono alla sua espulsione dalla S.F.I.O.
sono documentate in un nutrito dossier che l'associazione “Les Amis de
P. R.”, valendosi anche delle carte dell'archivio personale di lui, mise
insieme ad uso dei delegati al congresso 1983 di quel partito; scopo dichiarato,
la riabilitazione postuma del nostro autore, ma l'obiettivo vero era quello
di smuovere le acque a proposito dei revisionismo in un momento in cui una sentenza
di tribunale (Corte d'Appello di Parigi, 26 aprile 1983), pur condannando Robert
Faurisson, che aveva ripreso e sviluppato i temi di Rassinier, riconosceva che
nessuno poteva accusarlo di falso quando affermava di aver studiato a fondo
la questione delle camere a gas: il che era un ammettere la serietà delle
sue ricerche. Questo dossier, intitolato “Le Retour de Rassinier”,
contiene anche la riproduzione di lettere di Maurice Dommanget, Marceau Pivert,
Jean Paulhan, Raymond Asso, Céline, eccetera.