I gironi dell'Inferno.
Il 30 giugno 1937 Buchenwald era soltanto ciò che il suo nome designa,
una foresta di faggi, una località posta su di una collina dei contrafforti
dello Harz, a nove chilometri da Weimar. Vi si accedeva mediante un sentiero
impervio e tortuoso. Un giorno, degli uomini vennero in auto fino alla base
della collina. Raggiunsero la vetta a piedi, come in escursione. Ispezionarono
il luogo attentamente. Uno di essi indicò il folto di un giovane bosco,
poi se ne tornarono via dopo aver fatto una buona colazione, ripassando da Weimar.
- “Unser Führer wird zufrieden werden!” (38), dichiararono.
Qualche tempo dopo ne vennero altri. Erano incatenati per cinque gli uni agli
altri e costituivano un distaccamento di cento unità, inquadrati da una
ventina di S.S. con le armi in pugno: non c'era più posto nelle prigioni
tedesche. Salirono il sentiero, come poterono, sotto le percosse e le ingiurie.
Raggiunta la vetta, estenuati, furono immediatamente messi al lavoro, senza
sosta alcuna. Un gruppo di cinquanta si mise subito a montare delle tende per
le S.S. mentre l'altro circondava di filo spinato, di altezza tripla, uno spazio
circolare avente un raggio di circa cento metri. Il primo giorno non poterono
fare altro. Si consumò alla svelta, e quasi senza smettere di lavorare,
un magro spuntino, e la sera, molto tardi, ci si addormentò per terra,
avvolti in una leggera coperta. L'indomani il primo gruppo di cinquanta scaricò
per tutto il giorno dei materiali da costruzione, degli elementi per baracche
di legno, che pesanti trattori riuscivano a trasportare fino a metà della
salita, su per la collina, e che poi essi portarono sulla schiena fino in cima,
all'interno dei fili spinati. Il secondo gruppo abbatté degli alberi
per fare uno spiazzo. Quel giorno non si mangiò perché si era
partiti con i viveri per un giorno solo, però la notte si dormì
meglio, al riparo dei rami e nelle anfrattuosità dei mucchi di tavole.
Il terzo giorno gli elementi delle baracche cominciarono ad arrivare con ritmo
accelerato, accumulandosi a metà della salita. Vi si aggiunsero una batteria
da cucina, abiti rigati in buon numero, attrezzi e un po' di viveri. Le S.S.
nel loro rapporto quotidiano fecero notare che con soli cento uomini non riuscivano
a scaricare il materiale man mano che arrivava: ne furono mandati altri. I viveri
divennero insufficienti. Alla fine della settimana una cinquantina di S.S. si
dibatteva con un migliaio abbondante di detenuti senza sapere dove farli dormire
la notte, potendo appena nutrirli e in mezzo ai quali era nell'incapacità
di organizzare il lavoro. E’ vero che avevano formato dei gruppi o Kommando
assegnati ognuno ad un compito particolare: prima la cucina delle S.S. e la
manutenzione del loro campo; poi la cucina dei detenuti, il montaggio delle
baracche, il trasporto dei materiali, l'organizzazione interna, la contabilità.
Tutto ciò si chiamava “S.S. Küche, Häftingsküche,
Barakenkommando, Bauleitung, Arbeitsstatistik”, eccetera, e sulla carta,
nei rapporti, pareva un'organizzazione chiara e metodica. In realtà,
però, era una grande confusione, un orribile brulichio di uomini che
mangiavano per modo di dire, lavoravano fino allo sfinimento, dormivano coperti
appena, frammezzo ad una farragine di tavole di legno e di rami. Poiché
era più facile sorvegliarli quando lavoravano che quando dormivano, le
giornate erano di dodici, quattordici, sedici ore. I guardiaciurme, che erano
in numero insufficiente, erano stati costretti a scegliere sul posto, nella
massa dei detenuti, dei coadiutori complementari; e, siccome non si sentivano
la coscienza a posto, facevano regnare il terrore a mo' di scusa e di giustificazione.
Piovevano non solo le ingiurie e le minacce, ma anche le percosse.
Il cattivo trattamento, il cibo pessimo e insufficiente, il lavoro sovrumano,
l'assenza di medicinali, la polmonite, fecero sì che questa mandria si
mettesse a morire ad un ritmo spaventoso e pericoloso per la salute di chi sopravviveva.
Si dovette pensare a far sparire i cadaveri in altro modo che con l'inumazione,
che richiedeva troppo tempo e che si sarebbe dovuta ripetere troppo spesso:
così si ricorse alla cremazione, più rapida e più conforme
alle tradizioni germaniche. A sua volta, divenne indispensabile un nuovo Kommando,
il “Totenkommando” e la costruzione di un forno crematorio fu inserita
nell'elenco dei lavori da fare con l'urgenza imposta dalle circostanze: così
avvenne che il posto dove questi uomini dovevano morire lo si costruì
prima di quello dove ci si proponeva di permettere loro di vivere. Tutto è
concatenato, il male chiama il male, e quando si è presi nell’ingranaggio
delle forze malvage...
Oltretutto, il campo era concepito, nelle intenzioni dello stato maggiore nazional
socialista, per essere non soltanto un campo, ma anche una collettività
che doveva lavorare, sotto sorveglianza, all'edificazione del Terzo Reich, allo
stesso modo degli altri detenuti della comunità tedesca che erano rimasti
nella libertà relativa che sappiamo: dopo il crematorio, l'officina,
la Guzlow (40). Dal che si vede che l'ordine d'urgenza di tutti gli allestimenti
era determinato prima di tutto dalla preoccupazione di tenere sotto buona guardia,
poi da quella dell'igiene, in terzo luogo dalle necessità del lavoro
produttivo. Infine, e in ultimo luogo, dai diritti “prescrittibili”
della persona umana: il guardiaciurma, il crematorio, l'officina, la cucina...
Tutto è subordinato all'interesse collettivo, che calpesta l'uomo e lo
schiaccia.
Buchenwald fu dunque, per il periodo dei primi allestimenti, uno “Straflager”
(41) dove venivano mandati soltanto i prigionieri considerati incorreggibili,
poi, a partire dal momento in cui l'officina, la Guzlow, fu in grado di funzionare,
un “Arbeitslager” (42) avente degli “Strafkommando”
(43), infine divenne “Konzentrationslager” (44). E tale era quando
lo conoscemmo noi, un campo organizzato con tutti i suoi servizi funzionanti,
dove erano mandati indistintamente tutti. Da quel momento in poi vi furono dei
sottocampi o Kommando esterni che dipendevano da esso e che esso riforniva di
materiale umano o di materiale “tout court”. Tutti i campi sono
passati per queste tre tappe successive. Purtroppo è accaduto che, essendo
sopravvenuta la guerra, i detenuti di tutte le origini e di tutte le condizioni,
colpevoli di qualsivoglia infrazione e sottoposti ad una qualsiasi punizione
disciplinare, furono in balia del caso, secondo l'umore dei capi o il disordine
delle circostanze, indifferentemente avviati allo Straflager, all'Arbeitslager
o al Konzentrationslager. Ne risultò uno spaventoso miscuglio di umanità
diverse che costituì, all'insegna del frustino di gomma, un gigantesco
paniere di granchi sul quale il nazionalsocialismo, così sicuro di sé,
così metodico nelle sue manifestazioni, ma soverchiato da tutte le parti
dagli avvenimenti che cominciavano a dominarlo, gettò un non meno immenso
e gigantesco manto di Noè.
Dora nacque come filiazione di Buchenwald e nelle stesse condizioni. Crebbe
e prosperò seguendo lo stesso itinerario.
Nel 1903 degli ingegneri e dei chimici tedeschi si erano accorti che in quel
luogo la pietra dello Harz era ricca di ammoniaca. Poiché nessuna impresa
privata aveva voluto rischiare capitali per estrarla, se ne incaricò
lo Stato. Lo Stato tedesco non possedeva, come i suoi vicini, delle colonie
tali da mettere a sua disposizione delle Caienne o delle Numea (45): i suoi
galeotti, era costretto a tenerli all'interno e li collocava in dati luoghi
in cui li impiegava in lavori ingrati. Fu in queste circostanze che una galera
simile a tutte le galere del mondo, con alcune sfumature in meglio o in peggio,
nacque a Dora. Nel 1910, non si sa bene perché, ma probabilmente perché
il rendimento in ammoniaca era assai inferiore al previsto, l'estrazione della
pietra cessò. Fu ripresa durante la guerra 1914-18 sotto forma di campo
di punizione per prigionieri di guerra, in un periodo in cui la Germania pensava
già a sotterrarsi per limitare i danni dei bombardamenti. La cosa fu
interrotta dall'armistizio. Nel periodo fra le due guerre Dora fu completamente
dimenticata: una vegetazione incolta celò l'ingresso di questo inizio
di sotterraneo e, intorno, spuntarono campi immensi di barbabietole per alimentare
lo zuccherificio di Nordhausen, a sei chilometri di distanza.
Fu in questi campi di barbabietole che il lo settembre 1943 Buchenwald rovesciò
sotto buona scorta un primo Kommando di duecento uomini: la Germania, sentendo
di nuovo il bisogno di cercar rifugio sotto terra, di mettere al sicuro le sue
industrie di guerra, aveva ripreso il progetto del 1915. Costruzione del campo
S.S., del crematorio, sistemazione del sotterraneo come officina, cucine, docce,
Arbeitsstatistik (46) e, in ultimo, il “Revier” o l'infermeria.
Dato che c'era questo sotterraneo, vi si continuò il più a lungo
possibile a dormire, rimandando sempre a più avanti il lavoro improduttivo
di costruzione dei Block per detenuti e dando la preferenza al traforo, sempre
progrediente, della galleria, onde poter mettere al riparo le officine che in
sempre maggior numero erano minacciate all'aperto.
Quando arrivammo a Dora il campo era ancora allo stadio di Straflager: noi ne
facemmo un Arbeitslager. Quando lo lasciammo, con i suoi 170 Block, la sua infermeria,
il suo teatro, il suo bordello, i suoi servizi tutti a posto, il suo “Tunnel”
terminato, era sul punto di diventare un Konzentrationslager. Già all'estremità
del doppio Tunnel era nato, come sua filiazione, un altro campo, Ellrich, e
questo a sua volta era allo stadio di Straflager. Perché non poteva esservi
soluzione di continuità nella scala discendente della miseria umana.
Ma gli angloamericani e i russi avevano deciso diversamente e l'11 aprile 1945
vennero a liberarci.
Da allora il sistema penitenziario della Germania dell'Est è in mano
ai russi che non vi hanno cambiato una virgola. Domani, sarà in mano
a...
Perché bisogna che non vi sia soluzione di continuità nemmeno
nella storia.
***
Un campo di concentramento, quando è giunto a compimento, è una
vera e propria città, isolata dal mondo esterno che l'ha concepita da
un recinto di filo di ferro spinato ed elettrificato in cinque file sovrapposte,
e lungo a questo recinto, ogni cinquanta metri circa, una torretta accoglie
una guardia speciale armata fino ai denti. Perché lo schermo fra il campo
e il mondo esterno sia ancora più impenetrabile, vi è interposto
anche un campo di S.S. e sentinelle invisibili sono piazzate all'intorno nella
periferia del campo fino a cinque o sei chilometri; colui che tentasse di evadere
si troverebbe così a dover sormontare un certo numero di ostacoli successivi
e tanto vale dire che ogni tentativo è materialmente destinato a sicuro
fallimento. Questa città ha le sue proprie leggi, i suoi fenomeni sociali
particolari. Le idee che vi nascono, isolatamente o in correnti, vengono a morire
contro il filo spinato e il resto del mondo nemmeno le sospetta. Così
pure, tutto ciò che avviene all'esterno è ignoto all'interno,
ogni interpenetrazione è resa impossibile dallo schermo nel quale non
vi è una sola falla (47). Arrivano dei giornali: sono scelti accuratamente
e dicono soltanto delle verità stampate appositamente per i campi di
concentramento. E’ accaduto che in tempo di guerra le verità per
concentrazionari fossero quelle stesse di cui i tedeschi dovevano fare il loro
Vangelo, e per questa ragione i giornali furono i medesimi per gli uni e per
gli altri, ma è un puro caso. L'ascolto della radio è punito.
Ne consegue che la vita del campo, imperniata su altri principi morali e sociologici,
prende un orientamento del tutto diverso rispetto alla vita normale e le sue
manifestazioni rivestono aspetti tali che essa non può venir giudicata
con le unità di misura comuni all'insieme degli uomini. Ma è una
città, una città umana.
All'interno - o all'esterno -, ma in prossimità, un'officina costituisce
la ragione di vivere del campo e il suo mezzo di esistenza: a Buchenwald la
Guzlow, a Dora il Tunnel. Questa officina è la chiave di volta di tutto
l'edificio e le sue necessità, cui si deve provvedere, costituiscono
la sua legge bronzea. Il campo è fatto per l'officina, non l'officina
per tenere occupato il campo.
Il primo servizio del campo è l'Arbeitsstatistik, che tiene una contabilità
rigorosa di tutta la popolazione, seguendola nel suo lavoro unità per
unità, giorno per giorno; all'Arbeitsstatistik si è in grado di
dire in qualsiasi momento del giorno a cosa lavora ciascun detenuto e il punto
preciso in cui si trova. Questo servizio, come d'altronde tutti gli altri, è
espletato dagli stessi detenuti e occupa un personale numeroso e relativamente
privilegiato.
Poi viene il “Politische Abteilung”, il quale tiene la contabilità
politica del campo ed è in grado di fornire qualunque informazione sulla
vita passata di qualsiasi detenuto, sulla sua moralità, sui motivi del
suo arresto, eccetera. E’ l'antropometria del campo, il suo “Sicherheitsdienst”,
e occupa soltanto un personale che gode la fiducia delle S.S.: altri privilegiati.
Poi, la “Verwaltung”, o amministrazione generale, che tiene la contabilità
di tutto ciò che entra nel campo: cibo, materiale, vestiario, eccetera.
E’ l'intendenza del campo, il sergente maggiore della compagnia. Il personale
addetto a un lavoro di ufficio è anch'esso privilegiato.
Questi tre grandi servizi dominano il campo. Hanno alla loro testa un Kapo che
ne assicura il funzionamento sotto la sorveglianza di un ufficiale S.S. o “Rapportführer.
C'è un Rapportführer in tutti i servizi chiave e ognuno di essi,
ogni sera, fa il suo rapporto al Rapportführer generale del campo, che
è un ufficiale, generalmente un “Oberleutnan”t. Questo Rapportführer
generale comunica con il campo dei detenuti tramite i suoi subordinati e il
“Lagerältester”, o decano dei detenuti, che ha la responsabilità
generale del campo e che risponde del suo buon funzionamento anche con la sua
stessa vita.
Parallelamente, i servizi di seconda zona: il “Sanitätdienst”,
o servizio di sanità, che comprende i medici, gli infermieri, il servizio
di disinfezione, quello dell'infermeria e quello del crematorio; la “Lagerschutzpo1izei”,
o polizia del campo; la “Feuerwerk”, o protezione contro gli incendi;
il “Bunker”, o prigione per detenuti sorpresi in flagrante delitto
di infrazione ai regolamenti del campo; il “Kino-Theater”, o cinema
teatro, e il bordello, o “Pouf”. Vi sono ancora la Küche, o
cucina, l'Effektenkammer, o magazzino di vestiario, che è collegata alla
Verwaltung; la “Häftlingskantine”, o spaccio, che fornisce
ai detenuti cibi e bevande supplementari dietro contanti, e la “Bank”,
istituto di emissione della moneta speciale che ha corso soltanto all'interno
del campo.
E, ora, la massa dei lavoratori...
E distribuita nei Block costruiti sullo stesso modello del Buchenwald 48, però
in legno, e consistenti soltanto in un piano terreno. Essa ci vive soltanto
di notte. Vi arriva la sera, dopo l'appello, verso le 21, e li lascia tutte
le mattine prima dell'alba, alle quattro e mezza. E’ inquadrata dai capi
Block circondati dai loro Schreiber, “Friseur”, Stubendienst, che
sono dei veri satrapi. Il capo-Block controlla la vita del Block sotto la sorveglianza
di un soldato S.S., o “Blockführer”, che risponde al Rapportführer
generale. I Blockführer non si fanno vedere se non assai di rado: in genere
si limitano a fare una visita amichevole al capo del Block nel corso della giornata,
vale a dire in assenza dei detenuti, cosicché, tutto sommato, costui
finisce per essere il solo giudice e tutte le sue soperchierie sono praticamente
senza appello.
Durante la giornata, cioè al lavoro, i detenuti sono presi nelle maglie
di un altro inquadramento. Tutte le mattine quelli che lavorano soltanto il
giorno sono suddivisi in Kommando ciascuno dei quali ha alla sua testa un Kapo
assistito da uno o più capisquadra o “Vorarbeiter”. Ogni
giorno, dalle quattro e trenta in poi, i Kapo e i Vorarbeiter si trovano sul
piazzale dell'appello, in un dato punto, sempre lo stesso, e sono loro a costituire
i rispettivi Kommando che conducono a passo cadenzato sul luogo del lavoro;
qui il “Meister”, o capomastro civile, fa loro conoscere il compito
che debbono far svolgere ai loro uomini nella giornata. I Kommando impiegati
dall'officina fanno due turni di dodici ore invece di tre di otto ore. Sono
suddivisi in due squadre o “Schicht”: c'è la “Tagschicht”
(squadra di giorno), che si presenta ai suoi Kapo e Vorarbeiter alle 9 di mattina,
e la “Nachtschicht” (squadra di notte), alle 9 di sera. Le due squadre
fanno, a turno, una settimana di giorno e una settimana di notte.
Tale era il Buchenwald che abbiamo conosciuto. La vita vi era sopportabile per
i detenuti definitivamente assegnati al campo, un po' più dura per quelli
di passaggio, destinati a soggiornarvi soltanto per il periodo di quarantena.
In tutti i campi sarebbe potuto essere così. Disgrazia volle che al momento
delle deportazioni massicce degli stranieri in Germania vi fossero pochi campi
funzionanti, a parte Buchenwald, Dachau e Auschwitz, e così la quasi
totalità dei deportati conobbe soltanto dei campi in via di costruzione,
degli Straftlager e degli Arbeitslager, e non dei Konzentrationslager.
Disgrazia volle pure che, anche nei campi che erano a posto, tutte le responsabilità
fossero affidate prima ai tedeschi, per la facilità dei rapporti fra
la “gens” degli “Häftling” e quella della “Führung”,
e poi a degli scampati agli Strafflager e agli Arbeitslager, che non concepivano
il “Konzett”, come essi dicevano (48), senza gli orrori che loro
stessi vi avevano sofferti, e costoro, molto più delle S.S., costituivano
ostacoli alla sua umanizzazione. Il «non fate agli altri quello che non
vorreste fosse fatto a voi» è concetto di un altro mondo e non
ha corso in questo. «Fate agli altri quello che è stato fatto a
voi» è il motto di tutti questi Kapo che hanno passato anni ed
anni da Straftlager in Arbeitslager e agli occhi dei quali gli orrori che loro
hanno vissuto hanno creato una tradizione che essi, per una deformazione assai
comprensibile, credono di avere la missione di perpetuare.
E se per caso le S.S. dimenticano di maltrattare, questi detenuti si incaricano
loro di porre rimedio alla dimenticanza.
***
La popolazione del campo, la sua condizione sociale e la sua origine sono altrettanti
elementi che si oppongono anch'essi alla sua umanizzazione. Ho già notato
come il nazionalsocialismo non facesse alcuna differenza fra reato politico
e reato comune e che, di conseguenza, come in Germania non esistessero né
diritto né regime differenziati. Come nella maggioranza delle nazioni
civili, perciò, nei campi vi è di tutto: di tutto e, in più,
altro ancora. Tutti i detenuti, a qualsiasi categoria appartengano, vivono insieme
e sono sottoposti allo stesso regime. Per distinguerli uno dall'altro vi è
soltanto il triangolo colorato, che è l'insegna del loro reato.
I politici portano il triangolo rosso. I prigionieri di diritto comune, il triangolo
verde: semplice, per i “Verbrecher” o criminali semplici, con l'aggiunta
di una “S” per gli “Schwereverbrecher”, o grandi criminali,
e di una “K” per i “Kriegsverbrecher”, criminali di
guerra. Così sono graduati i delinquenti comuni dal semplice ladro all’assassino,
al truffatore di amministrazione o di magazzino di armamenti.
Fra i due, tutta una serie di delitti intermedi: il triangolo nero (sabotatori,
oziosi di professione); il triangolo rosa (omosessuali); il triangolo giallo
fissato a rovescio sul rosso, in modo da formare una stella (ebrei); il triangolo
lilla (obiettori di coscienza).
Coloro che, avendo finito un periodo determinato di prigione, debbono poi scontare
quello che noi chiameremmo il raddoppio, o la relegazione a tempo o a vita,
portano, invece, in luogo e al posto del triangolo, un cerchio nero su fondo
bianco con una grande Z al centro: i liberati della “Zuchthaus”,
o casa di pena. Altri, infine, portano il triangolo rosso a punta in su: i responsabili
di reati lievi commessi sotto le armi e per i quali una condanna è stata
emessa da un consiglio di guerra.
Vi sarebbe da aggiungere ancora qualche particolarità nelle insegne dei
detenuti: il triangolo rosso sormontato da una sbarra trasversale di quelli
che sono mandati al Konzett per la seconda o la terza volta; i tre puntini neri
su fondo giallo e bianco portati a bracciale per i ciechi, eccetera; infine,
quelli che un tempo venivano chiamati “Wifo”: lo stesso cerchio
degli Zuchthaus, ma all’interno del quale la “Z” era sostituita
da una “W”. Questi ultimi, all'origine, erano dei lavoratori volontari.
Erano stati impiegati dalla ditta Wifo che fu la prima a cimentarsi nella realizzazione
delle “Verge1ungsfeuer”, le famose V. 1, V. 2, eccetera. Un bel
giorno, senza apparente motivo, ricevettero degli abiti a righe e furono messi
in campo di concentramento. Il segreto delle V. 1 e V. 2 usciva dalla fase di
prova per imboccare la via della produzione intensiva e occorreva che non circolasse
liberamente, nemmeno in mezzo alla popolazione tedesca: gli internati per ragion
di Stato. I Wifo costituivano la popolazione più miserabile del campo:
continuavano a ricevere il salario, del quale veniva loro data la metà
al campo stesso, mentre il resto era inviato alle loro famiglie. Avevano il
diritto di tenere i capelli lunghi e di scrivere quando volevano, purché
non rivelassero nulla della sorte che era toccata loro; e, dato che erano i
più fortunati, introdussero il mercato nero nei campi e fecero alzare
i prezzi.
Quanto alla popolazione, i campi di concentramento sono dunque vere e proprie
torri di Babele nelle quali le individualità si urtano per le loro differenze
di nazionalità, di origine, di condanna e di condizioni sociali precedenti.
I comuni odiano i politici senza capirli e questi a loro volta li ripagano dello
stesso odio. Gli intellettuali guardano dall'alto in basso gli operai e questi
si rallegrano di vedere che quelli «finalmente lavorano». I russi
avviluppano nello stesso ferreo disprezzo tutto l'Occidente. I polacchi e i
cechi non possono vedere i francesi per via di Monaco, eccetera. Sul piano delle
nazionalità, vi sono affinità fra slavi e tedeschi, fra tedeschi
e italiani, fra olandesi e belgi, o fra olandesi e tedeschi. I francesi, arrivati
per ultimi e che ricevevano meravigliosi pacchi di vettovaglie, sono disprezzati
da tutti tranne che dai belgi, che sono dolci, franchi e buoni. La Francia viene
considerata come un paese di Cuccagna e i suoi abitanti come sibariti degenerati,
incapaci di lavorare, che mangiano bene e si occupano unicamente di far l'amore.
A questi rimproveri, gli spagnoli aggiungono i campi di concentramento di Daladier.
Mi ricordo di esser stato accolto al Block 24 a Dora con un vigoroso:
- Ah! Francesi, ora sapete che cosa è il Lager. Benissimo, così
imparerete.
Erano tre spagnoli (ve ne erano in tutto 26 a Dora) che erano stati internati
a Gurs nel 1938, inquadrati nelle compagnie di lavoro nel 1939, e mandati a
Buchenwald all'indomani di Rethel (49). Essi sostenevano che fra i campi francesi
e quelli tedeschi non c'era di differente che il lavoro e che gli altri trattamenti
e il cibo erano suppergiù simili in tutto. Aggiungevano perfino che i
campi francesi erano più sporchi.
O Jircszah!
***
Le S.S. vivono in un campo parallelo. In genere sono una compagnia. Al principio,
questa compagnia era una compagnia di istruzione per giovani reclute e soltanto
i tedeschi ne facevano parte. In seguito, vi fu di tutto nella S.S.: italiani,
polacchi, cechi, bulgari, rumeni, greci, eccetera. Poiché le necessità
belliche finirono per imporre l'invio al fronte delle giovani reclute, con un'istruzione
militare sommaria o anche senza nessuna preparazione speciale, i giovani furono
sostituiti dagli anziani, gente che aveva già fatto la guerra '14-18
e sulla quale il nazionalsocialismo aveva lasciato appena un'impronta. Questi
erano più dolci. Negli ultimi due anni della guerra la S.S. divenne insufficiente
e gli scarti della Wermacht e della Luftwaffe, che non potevano essere utilizzati
per altro, furono assegnati alla guardia dei campi.
Tutti i servizi del campo hanno il loro prolungamento nel campo S.S., dove tutto
è centralizzato e da dove partono direttamente per Berlino, all'indirizzo
dei servizi di Himmler, i rapporti quotidiani o settimanali. Il campo S.S. è
dunque, di fatto, l'amministratore dell'altro. All'inizio dei campi, durante
il periodo di gestazione, esso amministrava direttamente; in seguito, appena
lo poté, amministrò soltanto per l'interposta persona dei detenuti
stessi. Si sarebbe potuto credere che ciò fosse fatto per sadismo, e
dopo non si è mancato di dirlo: in realtà, era per economia di
personale, ed è così in tutte le prigioni, in tutte le galere
di tutte le nazioni, e per la medesima ragione. Le S.S. amministrarono e fecero
regnare l'ordine interno direttamente soltanto fino a che fu per loro impossibile
fare diversamente. Quanto a noi, abbiamo conosciuto soltanto il “Selfgovernment”
dei campi. Tutti i vecchi detenuti che hanno subito entrambi i metodi concordano
nel riconoscere che quello antico era, in linea di principio, il migliore e
il più umano e che, se non lo fu effettivamente, fu perché le
circostanze, la necessità di far presto, il precipitare degli eventi
non lo permisero. Lo credo anch'io: è meglio aver a che fare con Dio
che con i suoi santi.
Le S.S., dunque, assicurano soltanto la guardia esterna e si può dire
che non le si veda mai all'interno del campo, dove si accontentano di passare
esigendo il saluto dei detenuti, il famoso: «”Mützen ab”»
(50). In questa guardia vengono coadiuvati da una vera compagnia di cani addestrati
a meraviglia, sempre pronti a mordere e capaci di andare a cercare anche a decine
di chilometri di distanza un detenuto evaso. Tutte le mattine i Kommando che
vanno a lavorare all'esterno, spesso a una distanza di cinque, sei chilometri,
a piedi (quando si doveva andare più lontano si utilizzava il camion
o il treno) sono accompagnati, a seconda della loro importanza, da due o quattro
S.S., con l'arma in pugno e tenendo, ognuna, al guinzaglio un cane con la museruola.
Questa guardia particolare, che completa l'inquadramento con i Kapo, si limita
a sorvegliare e non interviene nel lavoro se non nel caso in cui sia necessario
prestare man forte, raramente di propria iniziativa.
La sera, all'appello per Block, quando tutti sono lì, un fischio, e tutti
i Blockfürer si dirigono verso il Block del quale hanno la responsabilità,
contano i presenti e tornano indietro a rendere conto. Durante questa operazione,
dei sottoufficiali circolano tra i Block facendo rispettare il silenzio e l'immobilità.
I Kapo, i capi-Block e i Lagerschutz facilitano loro grandemente il compito
in questo senso. Ogni tanto una S.S. si distingue dalle altre per la sua brutalità,
ma è raro che ciò avvenga e, comunque, non si mostra mai più
inumana dei sunnominati.
***
Il problema della “Häftlingsführung” (51) domina la vita
dei campi di concentramento e la soluzione che gli viene data condiziona la
loro evoluzione, nel senso del peggio o in quello dell'umanizzazione.
All'inizio di ogni campo, non c'è Häftligsführung: c'è
il primo convoglio che arriva sul posto inquadrato dalle sue S.S., le quali
assumono esse stesse tutte le responsabilità, direttamente e in ogni
dettaglio. Così avviene fino al secondo, al terzo o al quarto. Può
andare avanti così per sei settimane, sei mesi, un anno. Ma, appena il
campo ha raggiunto una certa estensione, dato che il numero delle S.S. destinatevi
non è estensibile all'infinito, queste sono costrette a prendere fra
i detenuti il personale complementare necessario alla sorveglianza e all'organizzazione.
Bisogna avere vissuto la vita dei campi e avere assimilato la loro storia per
capire bene questo fenomeno e l'aspetto che esso ha assunto con l'uso.
Nel momento in cui nascono i campi, nel 1933, lo stato d'animo in Germania è
tale che gli avversari del nazionalsocialismo sono considerati come i peggiori
banditi. Di qui la facilità con la quale i nuovi padroni sono riusciti
a far ammettere che non vi erano dei reati comuni e dei reati politici, ma solo
e soltanto dei reati e basta. Erano così simili gli uni agli altri, e
anche, in certi casi, c'era così poco da fare per rendere i secondi apparentemente
più odiosi dei primi agli occhi di una gioventù fanatizzata, arruolata
nelle S.S. e alla quale era stata affidata la realizzazione del progetto! Provate,
adesso, a mettervi al posto delle cinquanta S.S. di Buchenwald il giorno in
cui, soverchiate del lavoro procurato loro da un migliaio di detenuti e dalla
massa enorme del materiale da smaltire, hanno dovuto formare il primo inquadramento
delle loro vittime e designare il primo Lagerältester. Fra un Thälmann
o un Breitscheid segnalati in modo particolare alla loro attenzione e il primo
criminale che poteva capitare, che aveva assassinato la suocera o violentato
la propria sorella, ma che era remissivo e docile come si desiderava che fosse,
non hanno esitato, hanno scelto il secondo. Questi, a sua volta, ha designato
i Kapo e i Blockältester e, per forza di cose, li ha presi nel proprio
mondo, cioè fra i delinquenti comuni.
E’ soltanto quando i campi hanno preso un certo sviluppo, che sono diventati
veri centri etnografici e industriali e si sono resi veramente necessari uomini
di una certa qualità morale e intellettuale per recare alla “S.S.-Führung”
un aiuto efficace. Quest'ultima si è accorta che i delinquenti comuni
erano la feccia della popolazione, al campo come altrove, e che erano molto
al di sotto dello sforzo che si chiedeva loro. Allora le S.S. fecero ricorso
ai politici. Un giorno, fu necessario rimpiazzare un Lagerältester verde
con uno rosso, e questi immediatamente cominciò a liquidare, in tutti
i posti, i verdi a favore dei rossi. Così nacque la lotta, che assunse
rapidamente un carattere permanente, tra i verdi e i rossi. Così si spiega
anche perché i vecchi campi, Buchenwald, Dachau, erano in mano ai politici
quando noi li abbiamo conosciuti, mentre quelli recenti, ancora nella fase dello
Straftlager o dell'Arbeitslager, salvo casi miracolosi erano sempre in mano
ai comuni.
Si è tentato di dire che questa lotta fra i verdi e i rossi, che peraltro
dilagò soltanto molto tardi nel contingente tedesco della popolazione
dei campi, risultava da un coordinamento degli sforzi dei secondi contro i primi:
ciò è inesatto. I politici, diffidenti gli uni verso gli altri,
psicologicamente impreparati, avevano tra loro soltanto legami di solidarietà
molto vaghi e molto tenui. Ma dalla parte dei verdi, invece, le cose stavano
del tutto diversamente: essi formavano un blocco compatto potentemente cementato
dalla fiducia istintiva che esiste sempre tra gente di quell'ambiente, pilastri
di prigioni o pendagli da forca. Il trionfo dei rossi fu dovuto soltanto al
caso, all'incapacità dei verdi e alla sagacia delle S.S.
Si è anche detto che i politici - e specialmente quelli tedeschi - avevano
costituito dei comitati rivoluzionari, che tenevano delle assemblee nei campi,
che vi facevano provvista di armi e che, perfino, corrispondevano clandestinamente
con l'esterno o da un campo o dall'altro: è una leggenda. Può
darsi che una volta un insieme di fortunate circostanze abbia, per caso, permesso
ad un individuo di corrispondere con l'esterno, o con un compagno di sventura
di un altro campo, in barba alla SS-Führung: un detenuto messo in libertà
che con molte precauzioni va a portare notizie di un altro detenuto alla famiglia
o ad un amico politico di questi, un nuovo arrivato che fa l'operazione inversa,
un trasporto che reca le notizie da un campo all'altro. Ma era estremamente
raro, almeno durante la guerra, che un detenuto fosse liberato, e, in quanto
ai trasporti, nessuno nel campo, nemmeno la S.S. semplice, conosceva la loro
destinazione prima che l'avessero raggiunta. In genere si veniva a sapere che
un trasporto effettuato qualche settimana o qualche mese prima era andato a
Dora o a Ellrich: lo si veniva a sapere da ammalati che, caso eccezionale, tornavano
di là, più spesso dai morti che venivano riportati al campo per
esservi cremati e sul petto dei quali si potevano leggere il numero e la provenienza.
Dire che questi legami fossero premeditati, organizzati, frequenti, è
pura fantasia. E lasciamo perdere le provviste di armi: negli ultimi giorni
di Buchenwald, grazie alla confusione del momento, dei detenuti hanno potuto
stornare dalla fabbricazione corrente delle componenti separate di armi e perfino
delle armi intere, ma da qui a sostenere che si trattasse di una pratica sistematica
c'è lo spazio che separa il buon senso dal ridicolo. Lasciamo perdere
anche i comitati rivoluzionari e le assemblee che essi tenevano; ho riso di
gusto quando, alla liberazione, ho sentito parlare del comitato degli interessi
francesi del campo di Buchenwald. Tre o quattro schiamazzatori comunisti: Marcel
Paul (52) e il famoso colonnello Manhès in testa, che erano riusciti
a sfuggire alle evacuazioni, fecero sorgere dal nulla questo comitato nell'intervallo
occorso tra la partenza delle S.S. e l'arrivo degli americani. Sono riusciti
a far credere agli altri che si trattava di un comitato creato da lunga data
(53), ma è una fandonia pura e semplice e gli americani non l'hanno mai
presa sul serio. Il loro primo lavoro, entrando nel campo, è stato quello
di pregare i facinorosi di starsene tranquilli, la folla che si accingeva a
prestare ascolto ai facinorosi, di rientrare docilmente nei Block, e tutti quanti,
di piegarsi in anticipo ad una disciplina della quale essi intendevano restare
i soli padroni. Dopo di che si sono occupati degli ammalati, del vettovagliamento
e dell'organizzazione dei rimpatri, senza neppure voler prendere conoscenza
dei pareri e dei suggerimenti che alcuni divenuti importanti all'ultim'ora invano
tentarono di far giungere a loro. Peraltro, questo fu un bene: servì
a dare una lezione di umiltà a Marcel Paul e un certo numero di vite
hanno potuto essere salvate.
Infine, è stato detto che i politici, quando avevano il controllo della
“H-Führung”, erano più umani degli altri. A prova di
ciò si cita Buchenwald: è esatto (54), Buchenwald era, al nostro
arrivo, un campo sopportabilissimo per gli indigeni dei luogo, definitivamente
sottratti alla minaccia di un trasferimento. Ma lo doveva più al fatto
di essere giunto al termine della sua evoluzione che non a quello di avere una
H-Führung politica. Negli altri campi, in ritardo rispetto a esso, la differenza
fra i rossi e i verdi non era sensibile. Sarebbe potuto succedere che il contatto
con i politici moralizzasse i comuni: avvenne il contrario, furono i comuni
a guastare i politici.