La barca di Caronte.
La nostra presa in consegna da parte di Dora si è svolta nei modi propri
all'ambiente.
Discesa dai vagoni, corsa sfrenata in mezzo alla congerie dei materiali, nel
fango fino alle caviglie, sotto la neve che si squaglia, le ingiurie e le minacce
urlate, i latrati, le percosse.
Traversata dell'“S.S.-Lager”: una cinquantina di Block in ordine,
ma senza strade che conducano dall'uno all'altro - dei sentieri fangosi attraverso
i campi.
L'ingresso dell'“H-Lager”: due Block in legno (tutto è in
legno), sui due lati di un cavallo di frisia che si apre davanti a noi. Ci contano.
- “Zu fünf! Zu fünf! Mensch blöder Hund! (55)
Giù un calcio. Giù una frustata. Giù un pugno.
Al di là del cavallo di frisia, il campo. Una decina di Block, al più
una dozzina, sparsi, messi lì come per caso, senza che sia visibile un'intenzione
di coordinamento. Al passaggio possiamo leggere da lontano i numeri sui Block:
4, 35, 24, 107, 17.
- E i Block intermedi dove sono?
Una pista tempestata da una moltitudine di orme parte dall'entrata e sale su
per la collina senza che si possa dire che conduce da qualche parte: ce la fanno
seguire e arriviamo al “gemeinde Abort” (latrina pubblica); è
lì che ci mettono, in attesa di ordini. La latrina pubblica è
un Block nel quale ci sono soltanto “water closets”, orinatoi e
bacini-lavabo (56). Impossibile sedersi o distendersi, vietato uscire. Siamo
sfiniti. Siamo anche affamati. Verso le sei di sera una minestra, 300 grammi
di pane, una stecca di margarina, una fetta di salsiccia. Osserviamo che le
razioni sono più abbondanti che a Buchenwald. Un vento di ottimismo passa
su di noi.
- Lavoreremo, ma almeno mangeremo, ci si sussurra di orecchio in orecchio.
Gli uomini col bracciale appaiono alle otto: viene portato un tavolo e prende
posto uno scribacchino. Uno a uno, gli sfiliamo davanti declinando il nostro
numero di matricola, cognome, nome di battesimo, professione. Quelli col bracciale
sono cechi e polacchi internati per delitti vari: hanno la mano pesante, e per
di più appesantita dal gummi del quale fanno largo uso.
- “Hier ist Dora! Mensch! Blöder Hund! (57)
E giù, giù colpi.
A mezzanotte le operazioni sono terminate. Tutti fuori. Questa volta facciamo
la strada in senso inverso, nella notte, e sempre inquadrati da Kapo e S.S.
Ad un tratto ci troviamo di fronte ad un immenso scavo che si apre nel fianco
della collina: il Tunnel. I due enormi battenti di ferro si aprono: ecco, ci
siamo, stiamo per esser sotterrati, a nessuno viene in mente che per noi i battenti
di ferro potrebbero riaprirsi prima della Liberazione. Gli orrori che abbiamo
sentito a Buchenwald su questo «sotterraneo» ci torturano lo spirito.
Entriamo in massa. Visione dantesca. Fuori, c'era l'oscurità; dentro,
piena luce. Due binari paralleli di un metro: dunque, i treni fanno la spola
nel ventre del mostro. Un convoglio di vagoni carichi e ricoperti di teloni:
le torpedo, le famose V. 1 e V. 2, immensi proiettili più lunghi dei
vagoni che li portano. Si dice che hanno 13 metri di lunghezza e, a vederli,
sembra che il loro diametro oltrepassi l'altezza di un uomo.
- Debbono fare un bel po' di lavoro dove cadono!
Si accende una discussione sul meccanismo e il sistema di lancio delle V. 1
e V. 2, delle quali sentiamo parlare e che vediamo per la prima volta. Con mio
grande stupore mi accorgo che vi sono tra noi persone informatissime le quali
forniscono sui congegni in questione dei dettagli precisissimi con aria serissima;
in seguito, però, si riveleranno come i più fantasiosi ballisti.
Avanziamo verso l'interno. Da tutte le parti uffici, anfrattuosità sistemate
a laboratori. Raggiungiamo la parte del Tunnel ancora in gestazione: delle impalcature,
degli uomini pallidi, magri e diafani (delle ombre), che, appollaiati un po'
dappertutto, incollati alle pareti come pipistrelli, perforano la roccia. A
terra le S.S. passeggiano con le armi in pugno, i Kapo urlano a dei disgraziati
che vanno e vengono in tutte le direzioni portando sacchi o spingendo carriole
cariche di materiali di scavo. Il rumore delle macchine, dei cadaveri allineati
ai lati.
Un'anfrattuosità è sistemata a Block di abitazione: stop! All'ingresso,
due tinozze e una quindicina di cadaveri. All'interno, uomini che corrono all'impazzata,
liti individuali o collettive tra le file di cuccette a tre, quattro o cinque
piani. Fra loro, gravi e imponenti, degli Stubendienst che tentano invano di
ristabilire l'ordine. E’ lì che dovremo passare la notte. Gli Stubendienst
interrompono la loro missione poliziesca per occuparsi di noi.
- “Los! Los! Mensch! Hier ist Dora!” (58)
Entrano in giuoco i gummi, o, piuttosto, cambiano soltanto di bersaglio. Il
capo Block, un grosso tedesco, sta a guardare, con uno sguardo allo stesso tempo
divertito, canzonatorio e minaccioso. Ci rendiamo subito conto che questo Block
è abitato da russi la cui squadra di giorno è a riposo. Ci buttiamo
tutti vestiti sui pagliericci che ci vengono indicati. Finalmente! All'alba,
ci risvegliamo: tutte le nostre scarpe e ciò che ci restava dei viveri
distribuiti il giorno prima, più nulla; perfino le nostre tasche sono
completamente vuote: ammiriamo la destrezza dei russi che hanno compiuto questo
saccheggio generale senza svegliarci. Soltanto due o tre si sono fatti cogliere
in flagrante: le vittime li hanno allora condotti dal capo Block ma sono state
ricondotte al loro pagliericcio a colpi di frustìno dagli Stubendienst
complici.
- “Hier ist Dora, mein lieber!” (59)
Una cosa è certa, siamo capitati in un covo di briganti, la loro legge
è quella della giungla.
Appena svegliati, ci fanno risalire all'aperto. Si respira: allora, non siamo
ancora definitivamente sotterrati. Si trascorre la mattinata in piedi davanti
all'Arbeitsdienst, pestando nel fango e nella neve: siamo congelati, e di nuovo
abbiamo fame. Nel pomeriggio ci suddividono in Kommando: Fernand e io ci troviamo
assegnati allo “Strassenbauer 52” (60). Subito ci mettono al lavoro:
fino al momento dell'appello trasportiamo, al galoppo, degli abeti dal campo
alla stazione.
Alle diciotto, appello: durerà fino alle ventuno.
Ore ventuno: direzione, il Block 35. Stavolta abbiamo la certezza che non saremo
sotterrati nel Tunnel, ma veniamo a sapere che un discreto numero dei nostri,
essendosi per pura fantasia spacciati per operai specializzati nella speranza
di venire addetti all'officina, vi sono stati mandati e con ogni probabilità
non ne usciranno prima della liberazione.
Il capo del Block 35 è un ceco, e così pure gli Stubendienst.
Il Block stesso è ancora nudo: dormiremo ammucchiati sul piancito, senza
coperte e tutti vestiti. Come preliminare, ci viene distribuito in un incredibile
parapiglia un litro di zuppa di rape che mangiamo in piedi: quel giorno non
abbiamo mangiato altro.
Alle ventidue possiamo addormentarci con quest'altra certezza: adesso facciamo
davvero parte integrante di Dora.
- Dora!...
***
La prima giornata di lavoro...
Ore quattro e trenta: un gong risuona quattro volte in questo embrione di campo,
le luci del Block si accendono, gli Stubendienst, gummi in pugno, fanno irruzione
nello Schlafsaal.
- “Aufstehen! Aufstehen! Los waschen!” (61)
Poi, senza intervallo:
- “Los, Mensch! Los, waschen!” (62)'
I duecento uomini si alzano come fossero uno solo, attraversano in massa la
“Esszimmer” nudi fino alla cintola e arrivano nello spazio prospiciente
la porta del bagno nello stesso momento in cui vi arrivano i duecento dell'altro
Flügel. Il bagno può contenere una ventina di persone. All'ingresso,
due Stubendienst, l'idrante in mano, fanno diga a questa invasione.
- “Langsam, langsam... langsam, lumpe” (63)
E contemporaneamente l'idrante entra in azione. I disgraziati retrocedono...
ma altri due Stubendienst che hanno previsto la manovra, fanno a loro volta
diga al ripiegamento.
- “Los, los! Schnell, Mensch! Ich sage: waschen!” (64)
E i gummi si abbattono senza pietà sulle spalle nude e magre.
Tutte le mattine sarà la stessa tragicommedia. Che però non si
limita a questo. Dopo la toeletta viene la distribuzione dei viveri per la giornata:
si passa in fila indiana, tenendo in mano la contromarca rilasciataci al bagno
(non si può ricevere il cibo se non dopo aver provato che ci si è
lavati) che bisogna consegnare a uno Stubendienst. Nuovo e altrettanto inenarrabile
parapiglia. L'ora che viene accordata dal regolamento per compiere questa doppia
formalità è presto finita.
Ore cinque e trenta: i Kapo, bene imbacuccati contro il freddo, sono sul piazzale
dell'appello e vi aspettano l'arrivo della massa umana. Eccola che si precipita
verso di loro da tutti i Block, correndo nel mattino glaciale, mentre finisce
di vestirsi e di mandar giù l'ultimo boccone della magra porzione che
è stata presa nella razione quotidiana, per la prima colazione. I Kapo
procedono a riunire i Kommando e fanno l'appello dei loro uomini, i colpi e
le ingiurie piovono. Finito l'appello, i Kommando si mettono in moto in un ordine
calcolato che tiene conto della distanza dal luogo dove vanno a lavorare. Ve
ne sono che vanno a sei e a otto chilometri: partono per primi. Vengono poi
quelli che hanno una sola ora di marcia, poi quelli che ne hanno per una mezz'ora.
Il Kommando 52 è a 20 minuti: parte alle sei e quaranta. Alle sette precise
tutti sono sul posto di lavoro. I Kommando del Tunnel sono regolati da un altro
orario: sveglia alle sette del mattino per la squadra di giorno, alle sette
di sera per quella di notte, e tutti i preliminari del lavoro hanno luogo nel
Tunnel stesso.
Ore sette: ecco dunque il Kommando 25 nel suo cantiere per il trasporto del
materiale di sterro; vi è arrivato dopo aver preso parte alle operazioni
della toeletta e della distribuzione dei viveri, stando ore in piedi tremante
per il freddo, con i piedi in venti centimetri di fango, nella posizione dello
Stillgestanden per un'ora e dieci minuti, superati a passo cadenzato i due chilometri
circa che lo separano dal campo, già esausto molto prima di cominciare
il lavoro.
Il lavoro: costruire una strada che va dalla stazione al campo, valendosi del
fianco della collina. Una ellissi di strada ferrata Decauville, il cui diametro
maggiore può essere di 800 metri, è posata lì, in declivio.
Due convogli di otto vagoni a benne oscillanti, trainati da una locomotiva a
petrolio, fanno una specie di circuito perpetuo sui binari. Mentre 32 uomini
- quattro per vagone - caricano il convoglio che si trova sulla cima della collina,
32 altri scaricano quello che si trova ai suoi piedi, avendo cura di livellare
il materiale. Quando il convoglio vuoto arriva in cima, l'altro deve ripartire
pieno: così ogni venti minuti. Generalmente, la prima partenza è
assicurata nel tempo prescritto. Alla seconda, vi sono dei ritardi che provocano
i brontolii del Meister, del Kapo e dei Vorarbeiter. Alla terza, il convoglio
vuoto è già lì da cinque minuti e ne occorreranno altri
cinque prima che sia pronto per partire: il “Meister” sorride ironicamente
e alza le spalle, il Kapo urla e i Vorarbeiter si scagliano su di noi. Nessuno
sfugge alla sua bastonatura. Il ritardo si accresce del tempo che occorre a
3 uomini per bastonarne 32, e da questo momento in poi non lo si recupererà
più; e così la macchina è sregolata per il resto della
giornata.
Al quarto viaggio, nuovo ritardo, nuove bastonature. Al quinto, Kapo e Vorarbeiter
capiscono che non c'è nulla da fare e si stancano di picchiare. La sera,
invece dei trentasei viaggi previsti in ragione di tre all'ora, a fatica si
arriva sì e no a contarne quindici o venti.
Mezzogiorno: un mezzo litro di caffè caldo viene distribuito sul luogo
stesso di lavoro. Lo si beve in piedi, mangiando del pane, della margarina e
della salsiccia distribuite la mattina.
Mezzogiorno e venti: ripresa del lavoro.
Il pomeriggio, il lavoro si trascina. Gli uomini affamati e gelati hanno giusto
la forza di reggersi in piedi. Il Kapo sparisce, i Vorarbeiter si ammansiscono,
il Meister stesso ha l'aria di capire che non c'è da tirar fuori nulla
da relitti umani quali noi siamo e lascia correre. Si fa finta di lavorare:
anche questo è faticoso, bisogna fregarsi le mani, battere i piedi per
lottare contro il freddo. Ogni tanto passa una S.S. I Vorarbeiter, sul chi vive,
la vedono venire da lontano e la segnalano; quando arriva all'altezza del Kommando,
tutti si danno effettivamente da fare. Lancia una parola al Meister:
- “Wie geht’s?” (65)
Gli risponde un'alzata di spalle scoraggiata.
- “Langsam, langsam. Sehr langsam! Schauen Sie mal diese lumpen: was machen
mit? (66)
A sua volta la S.S. alza le spalle, brontola e passa oltre, oppure, a seconda
del suo umore, dà in ingiurie, distribuisce a caso qualche pugno, minaccia
con la pistola e se ne va. Quando non è più a portata di mano,
il Kommando si distende di nuovo:
- “Aufpassen! Aufpassen!” (67), dice il Meister quasi paterno.
Le sei di sera arrivano in un rilassamento generale.
- “Feierabend” (68), dice il Meister.
Il Kapo, riapparso da qualche istante, riprende in mano i suoi uomini per il
riordino degli arnesi, manda qualche urlo che sollecita i Vorarbeiter, distribuisce
qualche colpo: ritorno alla disciplina per mezzo del terrore.
Ore sei e quaranta: il Kommando, in fila per cinque, prende la direzione del
campo a passo di marcia. Alle sette, raggruppati per Block, e non per Kommando,
aspettiamo di nuovo, tremando di freddo, con i piedi nel fango, che quei signori
abbiano finito di contarci: ci vogliono due o tre ore.
Fra le otto e le nove, arriviamo al Block. Uno Stubendienst, gummi in pugno,
sta sull'ingresso: bisogna togliersi le scarpe, lavare gli “Holzschuhe”
(69), entrare tenendoli in mano e soltanto se sono stati riconosciuti ben netti.
Al passaggio nella Esszimmer bisogna depositarli bene in fila, porgere la gavetta,
nella quale un altro Stubendienst versa teoricamente un litro di minestra, mangiare
in piedi, in un parapiglia indescrivibile. Compiute queste formalità,
un terzo Stubendienst ci autorizza a raggiungere la Schlafsaal dove ci si lascia
cadere in mucchio su quel po' di paglia che vi è stata portata durante
la giornata. Sono le dieci e mezza. Siamo rimasti in piedi 17 o 18 ore, senza
la minima possibilità di sederci, siamo contratti, abbiamo fame e freddo.
Addormentandoci pensiamo che il lavoro che ci viene imposto ha ben poca parte
nella nostra stanchezza.
L'indomani si ricomincia alle quattro e mezza. Durante la notte, i russi hanno
rubato gli Holzschuhe che su ingiunzione degli Stubendienst avevamo con tanta
cura allineate nella Esszimmer: occorre, oltre alla toeletta e alla distribuzione
dei viveri, «organizzarne» un altro paio prima di buttarsi fuori
correndo, mentre ci si finisce di vestire, e mandando giù un ultimo boccone
della magra colazione, nella notte e nel freddo, per raggiungere il piazzale
dell'appello dove i Kapo aspettano.
L'indomani e tutti i giorni: alla fine della settimana siamo diventati le ombre
di noi stessi.
***
Vi sono dei Kommando peggiori del nostro: il Kommando Ellrich, il” Transport-Eins”
e tutti i Kommado di trasporto, lo Steinbruch, il Gärtnerei...
All'altra estremità del Tunnel si costruisce il campo di Ellrich. Un
Kommando molto numeroso, circa mille uomini, vi si reca tutte le mattine con
un treno di ghiaia che lascia la stazione di Dora alle quattro e trenta: ci
sono cinque chilometri da percorrere. A piedi, basterebbe partire alle cinque
e trenta per essere al lavoro alle sette, ma sarebbe troppo semplice: le S.S.
hanno deciso di mostrarsi umane e di risparmiare al Kommando la fatica della
marcia, dato che era possibile servirsi del treno. Il Kommando Ellrich viene
perciò svegliato alle tre: fa la sua toeletta, riceve le razioni e si
trova sul piazzale dell'appello alle quattro. Partenza per la stazione. Il treno,
che deve passare alle quattro e trenta, non ha mai meno di un'ora di ritardo:
attesa. Alle sei al più presto, alle sei e mezza al più tardi,
arrivo a Ellrich. Lavori di scavo tutto il giorno. Alle diciotto e trenta, fine
del lavoro. Teoricamente si dovrebbe prendere il treno di ritorno alle diciotto
e trenta ma, come quello del mattino, esso non ritarda mai meno di un'ora: altra
attesa. Verso le venti e trenta nel migliore dei casi, spesso verso le ventuno,
e anche le ventidue, rientro a Dora. Formalità d'ingresso al Block, lavaggio
delle calzature, distribuzione della zuppa. Verso le 23, la gente di Ellrich
può finalmente distendersi e dormire: cinque ore di sonno, poi nuova
sveglia, radunata, partenza, attesa. Il succedersi dei giorni è spietato,
la misura di umanizzazione che le S.S. credono o fingono di credere di aver
presa si traduce in una tortura supplementare: si è uccisi dallo spostamento
prima di esserlo dal lavoro. A ciò bisogna aggiungere che i Kapo dell'Ellrich
Kommando sono bruti tra i bruti, che i colpi piovono più fitti che da
qualsiasi altra parte, che il lavoro è estremamente e rigorosamente controllato:
è il Kommando della morte, tutte le sere riporta indietro dei cadaveri.
Al campo stesso c'è il Transport-Eins. Quelli del Transport-Eins cominciano
la giornata allo stesso modo e allo stesso tempo degli altri: scaricano i vagoni
e portano in spalla pesanti materiali dalla stazione al Tunnel o dalla stazione
al campo. Dalla mattina alla sera li si vede girare intorno come cavalli da
circo, per quattro trasportando larghi pannelli di legno, per gruppi di due
con delle traversine da ferrovia, in file di otto o dieci con delle rotaie,
in fila indiana con dei sacchi di cemento. Girano adagio adagio, piegando sotto
il peso, senza sosta: girano, girano. Il loro Kapo è un polacco col triangolo
rosso, passa dagli uni agli altri bestemmiando, minacciando e colpendo.
Il Gärtnerei o Kommando del giardino: cavalli da circo come quelli del
Transport-Eins, ma trasportano escrementi anziché materiale. Il Kapo
è un verde; stesso metodo del Transport-Eins, stessi risultati.
Lo Steinbruch, la famosa cava di tutti i campi: si estrae la pietra, la si mette
sui carri e si tirano o si spingono i carichi verso i luoghi dove viene frantumata
per servire all'inghiaiatura delle strade del campo. Quelli dello Steinbruch
hanno la sfortuna supplementare di lavorare a mezza costa nell'apertura della
cava: il minimo incidente che può procurar loro uno schiaffo li fa precipitare
di sotto, dove si ammazzano. Tutti i giorni riportano dei morti sul piazzale
dell'appello: quattro di loro portano il cadavere, ognuno tenendolo per un piede
o per un braccio. “Eins, zwei, drei, vier”, fa in testa il Kapo
che ritma la marcia del Kommando, “ploc, ploc, ploc”, fa in coda
la testa del cadavere battendo contro il suolo. Ogni tanto nel campo si sente
dire che un disgraziato dello Steinbruch, avendo ricevuto un pugno, ha perso
l'equilibrio ed è caduto nel frantoio o nell'impastatrice senza che le
macchine siano state nemmeno fermate.
Vi sono anche dei Kommando migliori, tutti quelli che formano l'amministrazione
del campo, il “Lager-Kommando”, “lo Holzhof”, la Bauleitung,
gli “Schwunk”.
All'Effektenkammer si tiene la contabilità del vestiario tolto ai detenuti
alla loro entrata nel campo e vi è mantenuto in stato di pulizia: lavoro
di tutto riposo. E’ anche lucrativo: ogni tanto si può rubare un
paio di pantaloni, un orologio, una penna stilografica, che sono una preziosa
moneta di scambio per del cibo. Alla “Wäscherei” si lava la
biancheria che teoricamente i detenuti cambiano ogni quindici giorni. Si è
al riparo, al caldo, e vi si hanno anche non poche opportunità di procurarsi
da mangiare. Alla “Schusterei” si riparano le scarpe, alla “Schneiderei”
si ripara il vestiario e la biancheria strappata, alla Küche...
Il miglior Kommando è senza alcun dubbio quello della cucina o Küche.
A coloro che ne fanno parte non si lesina il cibo e il lavoro non è pesante.
Per cominciare, hanno la razione che tutti ricevono al “Block” prima
di partire per il lavoro. Sul luogo stesso di lavoro ricevono ufficialmente
una razione supplementare. Poi, ogni volta che nel frattempo hanno fame, possono
attingere ai viveri che maneggiano, e mangiare. Infine, rubano per procurarsi
tabacco, calzini, vestiario, favori. Per soprammercato, sono esentati dall'appello.
Fanno la vita dei cuochi di caserma. Occorre una certa spinta per arrivare a
farsi adibire al Küche-Kommando: i francesi non vi hanno accesso, i posti
essendo riservati ai tedeschi, ai cechi e ai polacchi.
Nella stessa categoria ci sono l'Arbeitsstatistik e quelli dell'infermeria.
Né gli uni né gli altri fanno l'appello. Non c'è l'usanza
di picchiare. All'Arbeitsstatistik si fa un lavoro d'ufficio, si mangia a volontà
perché quelli che sono stati favoriti pagano in natura, si è vestiti
bene grazie allo stesso mezzo, si ha tabacco a volontà. Ho conosciuto
due francesi che erano riusciti ad introdursi nel l'Arbeitsstatistik, tutti
gli altri erano tedeschi, cechi e polacchi, come alla cucina.
All'infermeria ci sono i medici, i “Pfleger” e i “Kalifaktor”;
i primi fanno diagnosi, i secondi curano, gli altri assicurano la pulizia. Come
aggiunta, un mucchio di scribacchini, generalmente ex-ammalati, i quali mangiano
a volontà, lavorano poco o nulla e non vengono picchiati.
Poi viene il Lager-Kommando, o Kommando di manutenzione del campo. In via di
principio dovrebbero esservi addetti tutti coloro che sono riconosciuti cagionevoli
di salute. In realtà, però, vi sono tutti i protetti, gli efebi
dei Kapo e Lagerschutz, quelli che hanno un amico influente all'infermeria o
alla cucina, quelli che ricevono dei bei pacchi. Il Lager-Kommando assicura
tutti i servizi di raccolta della carta straccia, di scopatura, di sbucciatura
dei legumi nelle cucine delle S.S., degli “Häftling” e dei
lavoratori liberi dei dintorni, alimenta l’”Altverwertung”
o sezione di recupero della roba vecchia. All'inizio, quando il campo era ancora
piccolo e il Kommando vi era proporzionato, questo era un posto molto ricercato.
In prosieguo la situazione divenne insostenibile, salvo che per i raccomandati,
essendo il Lager-Kommando giunto al punto di comprendere centinaia e centinaia
di individui, tra i quali si attingeva per completare i Kommando in cui il materiale
umano scarseggiava.
Due altri Kommando sono pure ricercati: il “Tabakfabrik” e lo “Zuckerfabrik”.
Tutti e due vanno a lavorare a Nordhausen trasportati su camion. La sera ritornano,
quelli del primo, con le tasche piene di tabacco che scambiano con pane e zuppe;
quelli del secondo imbottiti di zucchero. In seguito un terzo Kommando fu assegnato
ai mattatoi di Nordhausen e introdusse nel campo il commercio della carne.
Avere un buono o un cattivo Kommando è una questione di fortuna che le
relazioni nell'Arbeitsstatistik propiziano potentemente: la caccia al buon Kommando
è la preoccupazione di tutti i detenuti e si svolge di continuo utilizzando
le armi e i mezzi più incompatibili con la dignità umana.
***
I Kommando del Tunnel sono considerati allo stesso tempo il migliore e il peggiore.
Sono raggruppati in un Kommando unico: “Zavatsky”, dal nome del
capo dell'impresa che ha il Tunnel in accomandita.
Hanno alla loro testa un generale - il grande Giorgio - che ha ai suoi ordini
un'intera squadra di Kapo i quali inquadrano i detenuti secondo le loro specializzazioni.
Essere assegnati a un Kommando che lavora in una delle dieci o quindici officine
al riparo nel Tunnel è la certezza di fare un lavoro leggero, di esser
protetti dal vento, dalla pioggia e dal, freddo. E questo è molto apprezzabile.
E’ anche la certezza di evitare gli appelli: non vi è appello per
quelli del Tunnel. Però vi è anche la certezza di non risalire
mai all'aperto, di respirare, nelle gallerie male o punto arieggiate, i miasmi
di ogni genere, la polvere, per mesi e mesi, e di rischiare di morire prima
della liberazione. Mentre all'aperto si lavora con qualsiasi tempo; piova, nevichi,
tiri vento, col sole a piombo come con la tempesta, il lavoro non si ferma mai.
Più ancora: gli stessi appelli non sono né soppressi, né
accorciati. In tempo piovoso ci è accaduto, per un periodo da quindici
giorni a tre settimane, di non poter asciugare gli stracci che ci servivano
di vestiario: la sera, rientrando al Block, li si metteva sotto il pagliericcio,
con la speranza che il calore del corpo arrivasse a vincere l'umidità,
e l'indomani mattina li si infilava caldi ma umidi e ci si immergeva di nuovo
nella pioggia. La polmonite semplice o doppia regnava allo stato endemico fra
quelli che lavoravano all'aperto e ne mandava molti al crematorio, ma almeno
era, appunto, all'aperto che si viveva. E, nella buona stagione... L'opinione
era divisa fra il desiderio di lavorare al Tunnel e quello di rimanere all'aperto.
- Bisognerebbe potersi infilare nel Tunnel l'inverno e risalire l'estate, mi
diceva Fernand.
Evidentemente, questo era impossibile, e io non ero neanche sicuro che sarebbe
stata una buona soluzione.
Ciò che si denominava Tunnel era un sistema di due gallerie parallele
che attraversavano la collina da una parte all'altra. Ad un'estremità
c'era Dora, all'altra il suo inferno, Ellrich. Queste due gallerie principali,
ognuna di quattro o cinque chilometri di lunghezza, erano collegate da una cinquantina
di gallerie trasversali o “halls” di 200 metri circa di lunghezza
e di 8 metri su 8 di sezione. Ogni hall ospitava un'officina. Nell'aprile 1945
il Tunnel era finito, messo a punto, e, se non fosse stato per il sabotaggio,
avrebbe potuto dare il massimo rendimento. Si calcola che in quel momento contasse
da 13 a 15 chilometri di gallerie scavate e sistemate, contro i 7 o 8 che esistevano
nell'agosto 1943, al momento della nascita di Dora: queste due cifre danno la
misura dello sforzo che fu imposto ai detenuti. Occorre inoltre tener presente
che i due campi di Dora e Ellrich riuniti non potevano mai mettere al lavoro
un personale superiore ai 15000 uomini, i quali dovevano, inoltre, montare le
baracche e produrre ognuno un dato numero di V. 1, V. 2, di motori o di telai
di aerei e di armi secondarie. Se poi, d'altro canto, si vuole assodare il prezzo
di questo lavoro, si aggiungano ai franchi o ai marchi le 20-25000 vite umane
che è costato in meno di due anni.
Tutti i giorni, dunque, e per due volte al giorno, alle sette del mattino e
alle sette di sera, i Kommando del Tunnel, che dormono nelle gallerie o nelle
porzioni di galleria sistemate a Block, vengono svegliati per metà. Dispongono
di meno acqua, perciò l'igiene è minore, le pulci e i pidocchi
abbondano.
Alle 9 del mattino e alle 9 di sera, a seconda della Schicht alla quale appartengono,
sono al lavoro.
Nel Tunnel ci sono anche dei cattivi Kommando: quelli che perforano le gallerie,
che sono addetti al trasporto del l'attrezzatura e del materiale di scavo. Quelli
sono veri forzati e muoiono come le mosche, con i polmoni avvelenati dalla polvere
di ammoniaca, vittime della tubercolosi. Ma per lo più i Kommando sono
buoni. La standardizzazione è spinta all'estremo: un Kommando passa il
suo tempo seduto davanti ai trapani a spingere uno dopo l'altro i pezzi sotto
la punta; un altro verifica i giroscopi; un terzo, dei contatti elettrici; un
quarto leviga delle lamiere; un quinto è formato da tornitori e aggiustatori.
Ve ne sono, infine, che non sono né buoni né cattivi: quelli che
montano le V. 1 e V. 2. In linea generale, il rendimento è scarso: si
impiegano dieci uomini che lavorano controvoglia dove ne basterebbero uno o
due che fossero di buona volontà. La cosa più faticosa consiste
nel far sempre finta di lavorare, nello stare in piedi tutto il tempo, nell'assumere
un'aria indaffarata e specialmente nel vivere in mezzo a quel rumore e a quei
miasmi, ricevendo dall'esterno poca aria attraverso cattive e troppo scarse
bocche di aerazione.
Verso la metà di marzo, su richiesta di Zavatsky, che voleva sopprimere
una delle cause essenziali, ai suoi occhi, del cattivo rendimento, si cominciò
a far risalire all'aperto i Kommando del Tunnel per far loro mangiare la zuppa
al campo invece di portarla loro giù. A fine aprile - principio di maggio,
la squadra operante all'aperto aveva messo in piedi suppergiù tutti i
Block previsti fino al numero 132: allora fu deciso di non far più dormire
nessuno nel Tunnel, tutti i Kommando risalirono e non scesero più se
non per lavorare, cioè per 12 ore al giorno.
Per completare il quadro occorre dire che anche dei civili sono impiegati nelle
diverse officine del Tunnel. Nell'aprile 1945 erano da 6 a 7000: dei tedeschi
che sono Meister, degli STO o dei volontari venuti da tutte le nazioni d'Europa.
Sono anch'essi raggruppati in Kommando, vivono in un campo a 2 chilometri da
Dora, fanno dieci ore al giorno, ricevono stipendi alti e un cibo poco variato,
ma sano e abbondante. Infine, sono liberi entro un raggio di 30 chilometri:
al di là di esso occorre loro un permesso speciale. Tra loro vi sono
molti francesi che si tengono a distanza da noi, nei loro occhi si legge continuamente
la paura di dovere un giorno condividere la nostra sorte.
***
31 marzo 1944. Da circa otto giorni i Kapo, i Lagerschuz e i capi Block sono
particolarmente irritati. Parecchi detenuti sono morti sotto le percosse: sono
stati trovati dei pidocchi, non soltanto nel Tunnel, ma anche nei Kommando dell'esterno,
e la S.S.-Führung ha reso la H-Führung responsabile di questo stato
di cose. Per giunta, ha fatto un tempo spaventoso durante tutta la giornata:
il freddo è più rigido del solito e una pioggia glaciale mista
a nevischio è caduta incessantemente. La sera arriviamo al piazzale dell'appello
gelati, inzuppati e affamati ad un punto indicibile: purché l'appello
non vada troppo per le lunghe! Sfortuna: alle 10 di sera siamo ancora in piedi
sotto le raffiche ad aspettare l'“Abtrete” (70) che ci libererà.
Alla fine, ci siamo, è finita, possiamo andare a mangiare in fretta la
zuppa calda e a lasciarci cadere nella paglia. Arriviamo al Block: pulitura
delle calzature, poi, facendoci a gesti segno di restar fuori, il capo Block,
in piedi nell'inquadratura della porta, ci fa un discorso. Ci annuncia che,
essendo stati trovati dei pidocchi, tutto il campo verrà disinfettato...
Si comincia questa sera: cinque Block, fra i quali il 35, sono stati designati
a passare all'“Entlaüsung” (71) questa notte. Perciò
stasera mangeremo la zuppa soltanto dopo l'operazione. Ci indica le formalità
alle quali dovremo sottometterci e passa all'esecuzione.
- “Alles da drin! (72)
Entriamo nella Esszimmer con le calzature in mano.
- “Ausziehen!” (73)
Ci spogliamo, mettiamo il nostro vestiario in un mucchio, il numero in vista.
- “Zu fünf!
Siamo terrorizzati...
- “Zu fünf!”
Eseguiamo. Gli Stubendienst, portando il nostro vestiario avvolto in coperte,
ci inquadrano e, tutti nudi, nel freddo, sotto la pioggia e la neve, prendiamo
la direzione dell'edificio dove saremo disinfettati: vi sono circa ottocento
metri da percorrere.
Arriviamo. Gli altri quattro Block, nudi come noi, stanno già accalcandosi
all'ingresso; sentiamo la morte scendere tra noi. Quanto tempo durerà
tutto ciò? Siamo lì, circa un migliaio, che ci spingiamo contro
le porte, tutti nudi, tremanti nel freddo umido della notte che ci penetra fino
nelle ossa. Possiamo passare soltanto in quaranta alla volta. Si verificano
scene atroci. Da principio si vuole entrare a forza: quelli dell'Entlaüsung
ci respingono con getti d'acqua. Allora si vuol tornare al Block per aspettarvi
il proprio turno: impossibile, i Lagerschutz, gummi in pugno, ci hanno accerchiati.
Si deve star lì, stretti tra i getti d'acqua e il gummi, annaffiati e
picchiati. Ci stringiamo gli uni agli altri. Ogni dieci minuti, quaranta sono
ammessi ad entrare, in una ressa spaventosa che è una vera e propria
lotta contro la morte. Si danno gomitate, ci si batte, i più deboli vengono
calpestati senza pietà e i loro cadaveri verranno trovati all'alba. Verso
le 2 del mattino riesco a penetrare all'interno, con Fernand che mi segue, nel
turno che mi sono conquistato: barbiere, disinfestazione, doccia. All'uscita
ci danno una camicia e delle mutande e con questi indumenti ci lanciamo nella
notte per tornare al Block. Ho l'impressione di compiere un autentico atto di
eroismo. Arriviamo al Block. Entriamo nella Esszimmer dove uno Stubendienst
ci tende il nostro vestiario tornato dalla disinfezione prima di noi. La zuppa
e poi a letto.
Alla sveglia la sinistra commedia è appena terminata. Almeno la metà
del Block è tornata appena in tempo per vestirsi, mangiare la zuppa,
prendere la razione quotidiana e balzare sul piazzale dell'appello per andare
al lavoro. E ce ne sono che mancano: quelli che sono morti durante il compimento
stesso di queste dure prove. Altri sono sopravvissuti soltanto per qualche ora
o per due o tre giorni e poi sono stati portati via dall'inevitabile congestione
polmonare conseguente: verosimilmente l'operazione ha ucciso tanti uomini quanti
erano i pidocchi.
Cos'è accaduto?
La S.S.-Führung si è limitata a decidere la disinfezione in ragione
di cinque Block al giorno e la H-Führung è stata lasciata padrona,
completamente padrona, delle modalità di esecuzione. Avrebbe potuto prendersi
il disturbo di stabilire un orario, un turno per ciascun Block: alle 11 il 35,
a mezzanotte il 24, all'una il 32, eccetera... I capi Block avrebbero potuto,
ad esempio, nel quadro di questo orario, mandarci a gruppi di cento a intervalli
di 20 minuti, e tutti vestiti, ciò che avrebbe già rappresentato
qualcosa di abbastanza pesante dopo la giornata di lavoro. Ma no: era troppo
semplice.
Invece...
Quando gli avvenimenti della notte del 31 marzo arrivano all'orecchio della
S.S.-Führung, questa fissa dall'indomani stesso un orario preciso per i
Block che ancora debbono essere disinfettati.
***
2 aprile 1944: Pasqua. La S.S.-Führung ha deciso 24 ore di riposo che
non saranno disturbate altro che da un appello generale, al quale, cioè,
gli effettivi del Tunnel parteciperanno al pari di quelli che lavorano all'aperto.
Il tempo è bellissimo: sole radioso in un cielo puro e sereno. Gioia:
gli dei sono con noi!
Sveglia alle 6 invece che alle 4,30: toeletta, distribuzione di viveri a rilento,
pausa.
Ore 9: tutti i Kommando sono sull'attenti sul piazzale. I Lagerschutz circolano
tra i gruppi, i capi Block sono al loro posto. Il Lagerältester chiacchiera
familiarmente col Rapportfürer. Tiene in mano un foglio: la situazione
dettagliata degli effettivi del campo stabilita dall'Arbeitsstatistik. Una trentina
di S.S., con l'elmetto, pistola nella fondina, sono ammassate all'ingresso del
campo: i Blockführer. Tutto sembra dovere andar liscio.
Un fischio: i Blockführer si dirigono a ventaglio, ognuno verso il Block
che ha compito di controllare. Ognuno conta e confronta il risultato con la
situazione degli effettivi del Block, che gli viene porta, dopo la conta, dal
capo Block.
- “Richtig” (74).
Uno ad uno i Blockführer vanno a rendere conto al Rapportführer che
aspetta con la matita in mano e che annota i risultati via via che gli pervengono.
Nessuna nota discordante, non durerà a lungo: le S.S. vogliono approfittare
di questa domenica, fanno alla svelta. Noi esultiamo: un giorno di riposo, niente
da fare, mangiare la nostra zuppa e starcene sdraiati al sole.
Ma, un momento... il totale ottenuto dal Rapportführer non corrisponde
alla cifra fornita dall'Arbeitsstatistik, sul piazzale dell'appello ci sono
27 uomini in meno di quelli segnati sul foglio. Problema: che è stato
di loro?
Il Kapo dell'Arbeitsstatistik è convocato d'urgenza. Viene pregato di
rifare immediatamente le sue somme. Ritorna un'ora dopo: gli risulta la stessa
cifra.
Forse, allora, si sono sbagliate le S.S.: si riconta un'altra volta e il Rapportführer
trova ancora la stessa cifra.
Si va a frugare nei Block, si va a frugare nel Tunnel: non si trova nulla.
E mezzogiorno. I circa diecimila detenuti sono sempre sul piazzale ad aspettare
che l'Arbeitsstatistik e la S.S.-Führung si trovino d'accordo. Si comincia
a trovar lungo il tempo, alcuni svengono, coloro per i quali è la volta
di morire cadono per non rialzarsi più, gli ammalati di dissenteria si
fanno addosso i loro bisogni, i Lagerschutz sentono che il cedimento è
lì lì per giungere e si mettono a picchiare. Le S.S., la cui domenica
è compromessa, sono furiose: decidono di andare a mangiare, ma, noi,
noi restiamo lì. Alle 14 ritornano.
Tutto ad un tratto, il Kapo del l'Arbeitsstatistik arriva dì corsa: ha
trovato un'altra cifra. Un mormorio di speranza sale dalla massa. Il Rapportführer
esamina il nuovo numero e si adira violentemente: mancano ancora otto uomini.
Il Kapo dell'Arbeitsstatistik riparte. Torna alle 16: adesso mancano soltanto
cinque uomini. Alle venti, ne manca solo uno e noi siamo ancora lì, pallidi,
disfatti, sfiniti da 11 ore passate in piedi e a stomaco vuoto: le S.S. decidono
di mandarci a mangiare. Partiamo: dietro di noi il Totenkommando raccoglie una
trentina di morti.
Alle 21 si ricomincia per trovare l'ultimo mancante: alle 23,45, dopo varie
operazioni, questo mancante è a sua volta trovato, la S.S.-Führung
e l'Arbeitsstatistik sono d'accordo. Rientriamo al Block e possiamo andare a
dormire, lasciando ancora una decina di morti dietro di noi.
Ora avete la spiegazione della lunghezza degli appelli: gli uomini impiegati
al l'Arbeitstatistik, analfabeti o quasi, sono diventati contabili soltanto
per favoritismo e sono incapaci di redigere di primo acchito una situazione
esatta degli effettivi. Il campo di concentramento è un mondo in cui
il posto di ognuno è determinato dalla sua disinvoltura e non dalle sue
capacità: i contabili utilizzati come muratori, i carpentieri sono contabili,
i carrai sono medici e i medici aggiustatori, elettricisti o sterratori.
***
Tutti i giorni un vagone di dieci tonnellate pieno di pacchi provenienti da
tutte le nazioni dell'Europa occidentale, salvo che dalla Spagna e dal Portogallo,
arrivava alla stazione di Dora: a parte qualche rara eccezione, quei pacchi
erano intatti. Eppure, al momento della consegna all'interessato, il loro contenuto
era stato del tutto o per tre quarti depredato. In numerosi casi si riceveva
soltanto l'etichetta con l'indirizzo accompagnata dall'elenco del contenuto,
oppure da un sapone da barba, o da una saponetta, o da un pettine, eccetera.
Un Kommando di cechi e di russi era adibito allo scarico del vagone. Da lì
si portavano alla “Poststelle”, dove gli Schreiber e Stubendienst
di ogni Block venivano a prenderli in consegna. Poi il capo Block li rimetteva
lui stesso all'interessato. Era su questo percorso limitato che i pacchi venivano
saccheggiati.
Il meccanismo del saccheggio era semplice. Anzitutto, erano specialmente i pacchi
francesi, rinomati per la ricchezza del loro contenuto, a farne le spese. Sul
luogo stesso di scarico, il vagone veniva aperto dal Kapo del Kommando sotto
gli occhi di una S.S. incaricata di controllare le operazioni. Il pacco passava
per tre mani: dal vagone un ceco lo lanciava ad un russo che stava a terra e
che doveva prenderlo al volo per rilanciarlo ad un altro russo o ad un altro
ceco il cui compito era di disporlo sul carro. Ogni tanto il russo del vagone
diceva: «”Franzous!”» e il ceco tirava indietro le mani:
il pacco cadeva a terra sfasciandosi, il contenuto si spargeva sul suolo e russi
e cechi se ne empivano le tasche o il tascapane. Se qualcosa del pacco sventrato
le piaceva, la S.S. tendeva la mano, e così veniva comprata la sua complicità.
Il carro pieno, tirato da sei uomini, si avviava verso la Poststelle; su questo
primo percorso, molti pacchi sparivano o venivano a loro volta sventrati.
Il regolamento prescriveva che alla Poststelle i pacchi dovevano essere minuziosamente
esaminati e che dovevano esserne tolti i medicinali, il vino, gli alcolici,
le armi e o i vari oggetti che potevano essere utilizzati come armi. Questa
perquisizione ufficiale era fatta da una squadra di detenuti, tedeschi o slavi,
sotto la sorveglianza di due o tre S.S.: nuovo prelevamento. Le S.S. stesse
si lasciavano tentare da un pezzo di lardo, da una tavoletta di cioccolata della
quale l'amichetta aveva voglia, da un pacchetto di sigarette, da un accendisigari.
Si assicuravano il silenzio dei detenuti chiudendo gli occhi sulle ruberie che
questi commettevano.
Dalla Poststelle al Block, gli Schreiber e gli Stubendienst si ingegnavano per
effettuare un terzo prelevamento e, alla fine della corsa, c'era il capo Block
che effettuava il quarto e ultimo, dopo di che rimetteva il resto all'interessato.
La cerimonia della consegna all'interessato aveva qualcosa di grottesco. Il
detenuto veniva chiamato per numero e invitato a recarsi dal capo Block. Sullo
scrittoio di questi c'era il suo pacco aperto e inventariato. Ai piedi dello
scrittoio, una grande cesta sormontata da un cartello: «”Solidarität».
Ogni detenuto era moralmente costretto a lasciarvi cadere un po' di quello che
riceveva per coloro che non ricevevano mai niente, soprattutto i russi e gli
spagnoli, i bambini, i diseredati di ogni nazionalità che non avevano
parenti o dei quali i parenti ignoravano l'indirizzo, eccetera. Tutto questo
in teoria, perché in pratica il capo Block, dopo ogni distribuzione,
si appropriava puramente e semplicemente di ciò che era caduto nella
cesta e lo spartiva col suo Schreiber e con gli Stubendienst.
Dopo ogni arrivo le S.S., i Kapo, i Lagerschutz, i Blockältester, tutti
coloro che avevano un grado qualsiasi nella S.S.-Führung o nella H-Führung,
erano abbondantemente provvisti di prodotti francesi, il che mi aveva persuaso
che le ruberie erano opera di una banda organizzata.
Ricevetti il mio primo pacco il 4 aprile 1944; mancavano tutta la biancheria,
una tavoletta di cioccolata, credo, e un barattolo di marmellata, ma restavano
tre pacchetti di sigarette, un buon chilo di lardo, una scatola di burro e varie
altre piccole derrate commestibili. Avevamo cambiato di Block due giorni prima,
eravamo all'11, e il nostro capo Block era un tedesco con il triangolo nero.
Gli domandai che cosa avrebbe gradito:
- “Nichts, geh mal” (75).
Risolutamente gli tesi un pacchetto di sigarette; poi, mostrando la cesta di
«Solidarität», lo interrogai con gli occhi:
- “Brauchst nicht! Geh mal, blöde Kerl! (76)
Avevo puntato bene. Due giorni dopo, fui di nuovo chiamato: questa volta avevo
tre pacchi. Di uno di essi rimaneva solo l'etichetta, ma gli altri due erano
suppergiù intatti: in uno, un enorme pezzo di lardo.
- “Dein Messer” (77), dico al capo Block.
Ne taglio una buona metà e gliela tendo, poi me ne vado senza nemmeno
domandare se dovevo lasciare qualcosa alla «Solidarität». Mentre
mi allontano mi guarda con gli occhi sgranati: i francesi avevano fama, da essi
del resto giustificata, di essere gelosi dei loro pacchi e poco generosi. Ad
un tratto mi richiama:
- “Dein Nummer?” (78)
Lo scrive, poi:
- “Höre mal, Kamerad, deine Paketten werden nie mehr gestollen werden”,
mi dice. “Das sage ich. Geh mal, jetzt!” (79)
Infatti, da quel giorno, i miei pacchi mi furono consegnati tutti e pressoché
intatti: il capo Block aveva fatto passare il mio numero alle varie fasi dello
svaligiamento con l'ingiunzione di «non toccare». E’ a ciò
che io debbo di avere avuta salva la vita, perché i pacchi che arrivavano
dalla Francia, oltre all'integrazione che recavano all'alimentazione del campo,
erano una preziosa moneta di scambio con la quale ci si potevano procurare esenzioni
dal lavoro, vestiario supplementare, posti privilegiati. A me hanno permesso
di passare all'infermeria un otto mesi che altri, malati quanto me, hanno dovuto
passare facendo una ginnastica della quale sono morti.
A proposito dei pacchi, è accaduto un altro fenomeno tragico: la maggior
parte dei francesi, anche di famiglia molto agiata, ne ricevevano uno, per tre
quarti saccheggiato, poi più nulla. Ebbi la spiegazione di ciò
alla liberazione: all'arrivo al campo i detenuti scrivevano una volta alla loro
famiglia, precisando che avevano il diritto di scrivere due volte al mese. La
famiglia spediva un pacco e, dato che era il primo, aspettava che gliene fosse
accusata ricevuta prima di inviare il secondo, ma questa non arrivava mai perché,
a parte la prima lettera, soltanto una su dieci delle lettere che scrivevamo
in prosieguo giungeva a destinazione. Al campo il detenuto che scriveva regolarmente
si domandava cosa mai stesse accadendo e, mentre moriva di fame, in Francia
la sua famiglia era persuasa che non valesse la pena di mandargli un secondo
pacco: dato che non aveva accusato ricevuta del primo, certamente era morto.
Mia moglie, che mi mandò regolarmente un pacco tutti i giorni, mi ha
detto che lo faceva soltanto a scarico di coscienza e contro ogni speranza,
avendo mia madre stessa cercato di persuaderla che lo spediva ad un morto e
che al lutto sicuro si aggiungeva del denaro buttato.
***
Il primo giugno 1944 il campo è irriconoscibile.
E’ dal 15 marzo che i convogli non cessano di arrivare (di 800, 1000 e
1500 uomini) una o due volte alla settimana, e la popolazione del campo è
salita a circa 15000 unità. Se non ha oltrepassato tale cifra è
perché la morte ha falciato in una proporzione molto vicina alla totalità
degli arrivi: ogni giorno da cinquanta a ottanta cadaveri hanno preso la strada
del crematorio. La H-Führung comprende da sola un decimo della popolazione
del campo: da 1400 a 1800 privilegiati, onnipotenti e tronfi della loro importanza,
regnano sul “vulgus pecus” fumando sigarette, mangiando zuppe e
bevendo birra a volontà.
Si sta montando il Block 141, destinato a diventare il Theater-Kino, e il bordello
è pronto a ricevere donne. Tutti i Block, geometricamente e piacevolmente
disposti in collina, sono collegati tra loro da strade asfaltate: scale in cemento
e a gradini che conducono ai Block siti più in alto: davanti ad ognuno
di essi, pergolati con piante rampicanti, giardinetti con praticelli di fiori;
qua e là, piccole rotonde con fontanella o statuetta. Il piazzale dell'appello,
che si estende per circa mezzo chilometro quadrato, è interamente pavimentato,
pulito da non smarrirci uno spillo.
Una piscina centrale con trampolino, un campo sportivo, ombre fresche a portata
di mano, un vero campo da soggiorno in vacanza; e qualsiasi passante che vi
fosse stato ammesso per visitarlo in assenza dei detenuti ne sarebbe uscito
persuaso che vi si conduceva una vita piacevole, piena di poesia silvestre e
particolarmente invidiabile, in ogni caso fuori di ogni paragone con quei rischi
della guerra che sono appannaggio degli uomini in libertà. Le S.S. hanno
autorizzato la creazione di un Kommando della musica. Tutte le mattine e tutte
le sere un complesso di una trentina di strumenti a fiato sostenuti da piatti
e da una grancassa ritma il passo dei Kommando che vanno al lavoro o che ne
ritornano. Durante il giorno si esercita e assorda il campo con i più
straordinari accordi. Il pomeriggio della domenica dà dei concerti nell'indifferenza
generale, mentre i privilegiati giuocano al football o fanno acrobazie sul trampolino.
Le apparenze sono cambiate ma la realtà è rimasta la stessa. La
H-Führung è sempre quella che era: i politici vi si sono introdotti
in numero notevole e i detenuti, invece di essere maltrattati da comuni, lo
sono dai comunisti o sedicenti tali. Ogni individuo riceve regolarmente uno
stipendio: da due a cinque marchi la settimana. Questo stipendio è incassato
dalla H-Führung, che in genere lo distribuisce il sabato sera sul piazzale
dell'Arbeitsstatistik, ma procedendo in modo tale, organizzando tali resse,
che manifestare la pretesa di riceverlo equivale a porre la propria candidatura
al crematorio. Pochissimi sono i temerari che si presentano. I Kapo, capi Block,
Lagerschutz, si spartiscono ciò che così sono dispensati dal distribuire.
Si distribuiscono anche delle sigarette - 12 sigarette ogni dieci giorni - contro
80 “pfennig”. Non si ha denaro per pagarle e i capi Block incaricati
della ripartizione esigono, da coloro che di denaro ne hanno, tali virtù
di igiene e di contegno che è pressoché impossibile entrare in
possesso della propria razione. Infine, si distribuisce della birra: come norma,
a tutti; ma, anche lì, bisogna poter pagare. Le famiglie dei detenuti
sono autorizzate a mandar loro ogni mese 30 marchi, che essi non ricevono, così
come, del resto, non ricevono il loro salario settimanale o le loro sigarette,
per le stesse ragioni. E così via per tutto: un giorno quelli della H-Führung
decisero di spartirsi il vestiario e gli oggetti vari dei quali eravamo stati
depredati al nostro arrivo a Buchenwald.
Bisogna aggiungere che, per ottenere questo risultato, migliaia e migliaia di
detenuti sono passati per il crematorio, sia che ci siano finiti in modo del
tutto naturale, in conseguenza della vita che si faceva far loro, sia che vi
siano stati mandati per motivi diversi, specie per sabotaggio, facendo prender
loro la strada degli “Strafkommando”, del Bunker e della forca.
Dal marzo 1944 all'aprile 1945 non è passata settimana che non vedesse
i suoi tre o quattro impiccati per sabotaggio. Alla fine li si impiccava a dieci,
a venti per volta, gli uni sotto gli occhi degli altri. L'operazione aveva luogo
sul piazzale dell'appello, alla presenza di tutti. Erigevano una forca, i condannati
arrivavano, in bocca un bavaglio di legno in forma di morso, le mani dietro
la schiena. Montavano su uno sgabello, passavano la testa nel nodo scorsoio.
Con un calcio il Lagerschutz di servizio spostava lo sgabello. Ma non tutto
in una volta: i disgraziati impiegavano quattro, cinque, sei minuti per morire.
Una o due S.S. sorvegliavano. Terminata l'operazione, tutta la popolazione del
campo sfilava davanti ai cadaveri appesi alla fune.
Il 28 febbraio 1945 ne impiccarono 30 che salirono il patibolo a dieci per volta.
I primi dieci infilarono la testa nel nodo scorsoio, mentre i dieci successivi
aspettavano il loro turno sull'attenti, vicino agli sgabelli, e gli ultimi dieci
si tenevano a cinque passi aspettando il loro. L'8 marzo successivo ne impiccarono
19: questa volta l'esecuzione ebbe luogo nel Tunnel e soltanto i Kommando del
Tunnel ne furono testimoni. I 19 condannati furono disposti su una fila di faccia
alla Hall 32. Un grande paranco al quale erano fissate 19 funi scese lentamente
sopra le loro teste. Il Lagerschutz passò i 19 nodi scorsoi, poi il paranco
risalì adagio adagio: oh, gli occhi dei disgraziati che si spalancavano
e i loro poveri piedi che cercavano di tenere il contatto col suolo! La Domenica
delle Palme ne impiccarono 57, otto giorni prima della liberazione, quando già
avevano sentito vicinissimo il cannone alleato e l'esito della guerra non poteva
lasciare dubbi alle S.S.
Accadeva anche questo, che le S.S. scoprivano per conto proprio un certo numero
di atti di sabotaggio (nel 1945, e fin dalla metà del '44, era diventato
impossibile a chiunque, dentro o fuori dei campi, vivere senza sabotare), ma
la H-Führung gliene segnalava senza pietà un numero ancora maggiore.
Del resto, ci si potrà fare un'idea giusta di quello che poteva essere
questa H-Führung quando si saprà che alla liberazione, al momento
dei trasporti di evacuazione, tutti i tedeschi che ne facevano parte, rossi
o verdi, ci inquadravano, col bracciale bianco e il fucile carico sotto il braccio.
Tutti i tedeschi, dico, con quali occhi pieni di invidia guardati dagli altri,
russi, polacchi o cechi, i servizi dei quali erano stati in precedenza rifiutati.
Inutile insistere sul costo dell'impresa in vite umane! Il primo giugno 1944
la popolazione del campo era quasi esclusivamente costituita da gente arrivata
in marzo o dopo. Si potevano ancora incontrare sette detenuti le cui matricole
erano comprese tra i numeri 13000 e 15000: erano arrivati in 800 il 28 luglio
1943. Se ne potevano contare una dozzina nei 20 e 21000: erano arrivati in 1500
in ottobre. Degli 800 presi nei 30-31000 arrivati in dicembre-gennaio ne restava
una cinquantina, dei 1200 presi nei 38-44000 in febbraio-marzo ne sopravvivevano
tre o quattrocento. Le matricole da 45 a 50000, arrivati nel mese di maggio,
erano ancora suppergiù al completo: non per molto.