La vasta rete di diffusione della nuova ragione penale parte da Washington
e New York, attraversa l'Atlantico per attraccare a Londra, da dove estende
le sue ramificazioni lungo tutto il continente. Affonda le sue radici nell'ambiente
degli organi federali statunitensi a cui è ufficialmente affidato il
compito di promuovere il «rigore penale» che da due decenni imperversa
negli Stati uniti. Il risultato è stato il quadruplicarsi della popolazione
carceraria: un fatto decisamente insolito in un periodo caratterizzato da un
tasso di criminalità inizialmente stagnante e quindi in regressione (4).
Nel determinare un simile esito, assai rilevante è stata la funzione
svolta da istanze quali il Ministero federale della giustizia (che conduce periodicamente
delle autentiche campagne di disinformazione sulla criminalità e la carcerazione)
e il Dipartimento di stato (a cui sono affidati gli affari esteri e che, per
il tramite delle ambasciate, milita attivamente, in ogni paese ospitante, in
favore di politiche penali ultrarepressive, in particolare in materia di stupefacenti),
gli organismi parapubblici e professionali legati all'amministrazione poliziesca
e penitenziaria (Fraternal Order of Police, American Correctional Association,
American Jail Association, sindacati delle guardie carcerarie), le associazioni
delle vittime del crimine, i media e le imprese private che partecipano al grande
sviluppo dell'economia della carcerazione (aziende carcerarie, di sanità
penitenziaria, edilizie, produttrici di tecnologie di identificazione e sorveglianza,
studi di architettura, assicurativi e di intermediazione eccetera) (5).
Anche in questo settore, come del resto in molti altri, a partire dalla rottura
del compromesso fordista-keynesiano il settore privato fornisce un contributo
decisivo alla progettazione e realizzazione delle «politiche pubbliche».
In realtà il ruolo eminente rivestito dai "think tanks" neoconservatori
nella costituzione e quindi nell'internazionalizzazione della nuova "doxa"
punitiva spesso fa passare in secondo piano i legami organici, sia ideologici
sia pratici, fra il deperimento dell'intervento sociale dello stato e il dispiegarsi
del suo braccio penale. Effettivamente le agenzie di consulenza che, sulle due
rive dell'Atlantico, hanno preparato fra il 1975 e il 1985 il terreno per l'avvento
del «liberalismo reale di Ronald Reagan e Margaret Thatcher attraverso
un paziente lavoro intellettuale di trincea sul fronte economico e sociale contro
le politiche keynesiane, un decennio dopo hanno rifornito le élite politiche
e mediatiche di concetti, principi e misure in grado di giustificare e accelerare
il rafforzamento dell'apparato penale (6). Tutti coloro - paesi partiti, politici
e professori - che ieri militavano, con l'insolente successo che si può
constatare sulle due rive dell'Atlantico, a favore di «meno stato»
per quanto riguarda i privilegi del capitale e l'utilizzo della mano d'opera,
esigono oggi con altrettanto ardore «più stato» al fine di
mascherare e contenere le conseguenze sociali deleterie, nelle regioni inferiori
dello spazio sociale, della deregolazione delle relazioni salariali e del deterioramento
delle garanzie sociali.
Sul versante americano, un ruolo preponderante nella diffusione del discorso
e dei meccanismi volti a reprimere i disordini attribuibili a coloro che già
Tocqueville definiva «l'infima plebe delle nostre città è
stato svolto non tanto dall'American Entreprise Institute, dal Cato Institute
o dalla Foundation Heritage, quanto dal Manhattan Institute, noto per aver lanciato
Charles Murray, guru dell'amministrazione Reagan in materia di welfare. Nel
1984, l'organismo fondato da Anthony Fisher (il mentore di Margaret Thatcher)
e William Casey (che si apprestava a divenire direttore della CIA) per applicare
i principi dell'economia di mercato alla risoluzione dei problemi sociali lancia
"Losing Ground" di Charles Murray, l'opera che rappresenta la vera
e propria «bibbia» della «crociata contro lo stato assistenziale
intrapresa da Ronald Reagan» (7). Il libro, che giungeva al momento giusto
per attribuire una veste pseudoscientifica all'energica politica di disimpegno
sociale sostenuta dal governo repubblicano (con l'assenso del Congresso a maggioranza
democratica), individuava nell'eccessiva generosità delle politiche di
sostegno ai gruppi svantaggiati la causa dell'incremento della povertà
negli Stati uniti. In tal modo, infatti, si ricompensava l'inattività
provocando la degenerazione morale delle classi popolari, in particolare le
unioni «illegittime», causa ultima di tutti i mali della società.
Diretta conseguenza di tutto ciò sarebbe stata la «violenza urbana».
[Charles Murray era un politologo disoccupato di reputazione mediocre. Il Manhattan
Institute gli offrì trentamila dollari e due anni di tranquillità
per scrivere "Losing Ground American Social Policy 1950-1980". In
seguito, di concerto con i suoi referenti in ambito giornalistico e amministrativo,
organizzò un battage mediatico senza precedenti intorno al libro. Uno
specialista in relazioni pubbliche fu assunto con il solo scopo di garantirne
un'adeguata promozione: un migliaio di copie fu inviato in omaggio a giornalisti,
politici e ricercatori. Charles Murray, inoltre, fu lanciato nel circuito dei
talk show televisivi e delle conferenze universitarie Innumerevoli furono gli
incontri con direttori di giornale ed editorialisti. Il Manhattan Institute
organizzò anche un grande convegno dedicato a "Losing Ground",
per partecipare al quale gli invitati percepirono «onorari» che
arrivavano ai millecinquecento dollari, senza considerare l'alloggio gratuito
in un hotel di lusso nel cuore di New York (8). Il libro, uscito all'acme della
popolarità di Reagan e perfettamente in sintonia con il senso comune
politico dominante - (molto) meno stato (sociale) -, nonostante si presentasse
come un'opera-truffa infarcita di non-sense logici ed errori empirici, divenne
rapidamente un «classico» del dibattito statunitense sull'assistenza
sociale (9). Il volume di Charles Murray seguiva di poco l'ode alla gloria del
capitalismo - e dei capitalisti, visti come epici eroi della battaglia per la
creazione della ricchezza - pronunciata da George Gilder in "Wealth and
Poverty", accolto da «The Economist» con le seguenti parole:
«Siano benedetti coloro che fanno i soldi». Già per Gilder,
la causa della miseria degli Stati uniti doveva essere cercata nell'«anarchia
familiare tipica dei poveri concentrati nelle "inner city"»,
sostenuta dalle sovvenzioni sociali, il cui effetto è quello di pervertire
quelli che da sempre sono i tre fondamenti della prosperità: la voglia
di lavorare, la famiglia patriarcale e il fervore religioso (10).
Charles Murray, da parte sua, dopo un libro di filosofia da supermercato votato
all'apologia del libertarismo, "In Pursuit of Happines and Good Government"
(11), che dipinge lo stato come la forza maligna responsabile di tutti i mali
dell'universo e invoca un ritorno a una mitizzata America jeffersoniana, e al
quale tuttavia le riviste intellettual-mondane come la «New York Review
of Books» hanno ritenuto opportuno dare ampio rilievo in virtù
delle buone entrature politiche di cui godeva l'autore, è salito ancora
una volta sulla ribalta mediatica con un vero e proprio trattato di razzismo
scientifico, scritto a quattro mani con lo psicologo di Harvard, Richard Herrnstein,
"The Bell Curve: Intelligence and Class Structures in American Life",
nel quale si sostiene che negli Stati uniti le ineguaglianze razziali e di classe
rifletterebbero differenze individuali di «capacità cognitiva».
Per "The Bell Curve", il quoziente intellettuale non solo determina
l'accesso e il percorso universitario, ma stabilisce anche chi è disoccupato
e chi miliardario, chi vive nel sacramento del matrimonio piuttosto che in libera
convivenza («le unioni illegittime - uno dei maggiori problemi sociali
della nostra epoca - sono strettamente connesse al livello di intelligenza»),
se una madre educa adeguatamente o trascura i figli, se un determinato individuo
adempie più o meno coscienziosamente ai doveri civici («i bambini
più intelligenti, provenienti dalle diverse classi sociali, anche dalle
più povere, apprendono rapidamente le modalità di funzionamento
dello stato e sono più propensi a informarsi e discutere di questioni
politiche, e a parteciparvi»). Come prevedibile, il quoziente intellettivo
governa anche la propensione al crimine e alla carcerazione: si diviene criminali
non a causa delle privazioni materiali ["deprived"] caratteristiche
di una società ineguale, ma per carenze mentali e morali ["depraved"].
«Molti pensano che i criminali provengano dai 'quartieri malfamati' delle
città. Da un certo punto di vista hanno ragione, in quanto è proprio
in quei quartieri che in larga parte risiedono le persone a bassa capacità
cognitiva». In breve, tutte le «patologie sociali» che affliggono
la società americana sarebbero «decisamente concentrate ai livelli
inferiori della distribuzione del quoziente intellettivo».
Ne consegue logicamente che lo stato dovrebbe astenersi da interventi volti
a ridurre ineguaglianze che trovano nella natura il loro fondamento, e che conseguono
l'unico risultato di aggravare il male che tentano di sanare perpetuando «la
perversione dell'ideale egualitario apparso con la Rivoluzione francese».
Infatti «che siano giacobite (sic!) o leniniste, le tirannie egualitarie
sono molto più che antiumanitarie: sono inumane» (12)].
Il Manhattan Institute, ormai considerato la principale «fabbrica di
idee» della nuova destra americana riunita intorno alla trinità
libero mercato/responsabilità individuale/valori patriarcali e forte
di un budget che supera i cinque milioni di dollari, agli inizi degli anni novanta
organizza un convegno, i cui atti saranno in seguito pubblicati in un numero
speciale della rivista «City» dedicato al tema della «qualità
della vita». (La lussuosa rivista, nata con l'ambizione di «civilizzare
la città» e la cui tiratura di diecimila copie è distribuita
gratuitamente a politici, alti funzionari, uomini d'affari e giornalisti influenti,
era nel frattempo divenuta il principale punto di riferimento dei "decision
maker" della regione.) In tale occasione, è più volte ribadito
come il «carattere sacro degli spazi pubblici» sia condizione necessaria
della vita urbana e, "a contrario", il «disordine» del
quale si compiacciono le classi povere rappresenti il terreno di coltura naturale
del crimine. Fra i partecipanti più interessati a quel «dibattito»
va annoverato Rudolph Giuliani che, dopo essere stato sconfitto alle elezioni
per la carica di sindaco di New York dal democratico di colore David Dinkins,
era alla ricerca di spunti e temi per quella che sarebbe stata la vittoriosa
campagna del 1993 (13). Ed è in tale contesto che emergono i principi
guida della politica giudiziaria riguardante l'ordine pubblico che, in breve,
avrebbero trasformato New York nella vetrina mondiale della dottrina della «tolleranza
zero», perseguita attraverso la concessione di un assegno in bianco alla
polizia incaricata di incalzare in maniera estremamente aggressiva la microcriminalità
e di spingere i mendicanti e i senzatetto a trasferirsi verso i quartieri poveri.
E' ancora il Manhattan Institute a diffondere la teoria detta del «vetro
rotto», formulata nel 1982 da James Q. Wilson (pontefice della criminologia
conservatrice statunitense) e George Kelling in un articolo pubblicato dalla
rivista «Atlantic Monthly»: adattamento del proverbio secondo cui
«chi ruba poco ruba assai», questa sedicente teoria sostiene che
per far rifluire le grandi patologie criminali è necessario in primo
luogo rispondere fermamente, colpo su colpo, ai piccoli disordini quotidiani.
Il suo Center for Civic Initiative, il cui obiettivo è «la ricerca
e l'applicazione di soluzioni creative per i problemi urbani ispirate al libero
mercato», e che annovera fra i suoi "fellow" Richard Schwartz,
l'ideatore dei programmi di lavori forzati ("workfare") dell'amministrazione
Giuliani e amministratore delegato di Opportunity of America (impresa privata
di «collocazione» nel mondo del lavoro dei beneficiari dei sussidi
sociali), finanzia e promuove il libro di George Kelling e Catherine Coles,
"Fixing Broken Windows. Restoring Order and Reducing Crime in Our Communities"
(14).
La teoria del «vetro rotto», mai verificata empiricamente, funziona
come alibi criminologico alla riorganizzazione dell'azione di polizia promossa
da William Bratton, responsabile per la sicurezza della linea metropolitana
di New York, promosso alla guida della polizia municipale. L'obiettivo della
riorganizzazione: placare le paure delle classi medie e superiori - quelle che
votano - molestando sistematicamente i poveri negli spazi pubblici (vie, parchi,
stazioni, bus, metro eccetera). Per perseguire tale strategia si ricorre a tre
strumenti. Decuplicazione degli effettivi e della dotazione delle squadre; devoluzione
di responsabilità operative ai commissariati di quartiere con obbligo
di conseguire obiettivi quantitativamente fissati; elaborazione di una quadrettatura
informatica (con schedario segnaletico e cartografico centrale consultabile
direttamente dai minicomputer presenti sulle vetture di pattuglia) che permetta
il dispiegamento continuo e l'intervento quasi istantaneo delle forze dell'ordine,
con la conseguente applicazione inflessibile della legge nei confronti di violazioni
minori quali l'ubriachezza, gli schiamazzi, la mendicità, gli atti osceni,
le semplici minacce e «altri comportamenti antisociali associati ai senzatetto»
per usare la terminologia di George Kelling.
[«A New York, sappiamo chi è il nemico» dichiarava William
Bratton in occasione di una conferenza alla Fondazione Heritage, altro grande
think tank neoconservatore alleato del Manhattan Institute nella campagna di
trattamento penale della povertà: gli "squeegee men", i senzatetto
che ai semafori si avvicinano alle automobili per lavare i vetri (il nuovo sindaco
Rudolph Giuliani li aveva trasformati nel simbolo vergognoso del declino sociale
e morale della città, mentre la stampa popolare li assimila esplicitamente
ai parassiti: "squeegee pests"), i piccoli spacciatori di droga, le
prostitute, i mendicanti, i vagabondi e i graffitisti (15). In breve, il sottoproletariato
che allo stesso tempo stona e inquieta, proponendosi come il bersaglio privilegiato
della politica della «tolleranza zero» volta a ristabilire la «qualità
della vita» di quei newyorkesi che sanno come comportarsi in pubblico.
Per lottare palmo a palmo contro tutti i piccoli disordini quotidiani presenti
nelle strade - traffici, schiamazzi, minacce, deiezioni, ubriachezza, vagabondaggio
- la polizia di New York utilizza un sistema statistico informatizzato (COMPSTAT,
abbreviazione di "computer statistics") che permette a ogni commissario
e a ogni pattuglia la distribuzione delle attività nel proprio settore
in funzione di un'informazione precisa, continuamente aggiornata e geograficamente
localizzata sugli incidenti e le denunce. Tutte le settimane, i commissari di
quartiere si riuniscono presso la Direzione generale della polizia newyorkese
per una riunione periodica di valutazione collettiva dei risultati di ogni settore:
immaginate la vergogna di coloro che non sono in grado di vantare le canoniche
cifre sulla diminuzione della criminalità.
L'autentica innovazione introdotta da William Bratton, tuttavia, non riguarda
la strategia di ordine pubblico adottata, che si presenta come una variante
della «polizia intensiva», che colpisce non tanto i singoli delinquenti
quanto determinati gruppi sociali, moltiplica gli strumenti e i dispositivi
specializzati e si avvale dell'uso sistematico dell'informatica in tempo reale,
contrapposta alla «polizia comunitaria» e alla «polizia centrata
sulla risoluzione di un problema» (16). La vera novità, diversamente,
risiede in una massiccia mobilitazione e riconfigurazione della burocrazia sclerotizzata
e impigrita ereditata dalle precedenti gestioni, basata su criteri ispirati
alle più recenti teorie manageriali riguardanti il "re-engineering"
dell'impresa (associate ai nomi di Michael Hammer e James Champy) e la «gestione
per obiettivi» cara a Peter Drucker. Da subito, Bratton procedette all'«appiattimento»
dell'organigramma delle forze di polizia attraverso massicci licenziamenti di
ufficiali di alto livello: i tre quarti dei commissari di quartiere sono invitati
a levare il disturbo, nonostante l'età media oscilli fra i sessanta e
i quaranta anni. I commissariati sono trasformati in «centri di profitto»,
la cui redditività è rappresentata dalla riduzione statistica
degli atti criminosi rilevati. Tutti i criteri di valutazione vengono fondati
su questo unico parametro. In breve, l'amministrazione delle forze di polizia
viene gestita nello stesso modo in cui un industriale procederebbe nei confronti
di un'azienda giudicata improduttiva dagli azionisti. «Sono pronto a confrontare
il mio staff direzionale con quello di una qualsiasi impresa compresa nella
lista di 'Fortune 500' dichiara con orgoglio il nuovo 'amministratore delegato
del New York Police Department', che confessa di vagliare religiosamente l'evoluzione
quotidiana delle statistiche riguardanti la criminalità: «Riuscite
a immaginare per caso un banchiere che non controlli tutti i giorni i suoi conti?»
(17).
La seconda carta vincente di Bratton è rappresentata dalla straordinaria
espansione delle risorse che New York destina al mantenimento dell'ordine pubblico:
la città, infatti, in cinque anni ha aumentato il budget della polizia
del 40 percento, raggiungendo una cifra complessiva di 2,6 miliardi di dollari
(ossia un importo quattro volte superiore agli stanziamenti concessi agli ospedali
pubblici) e reclutato un vero e proprio esercito di 12 mila poliziotti, che
portano gli effettivi totali a più di 46 mila dipendenti (nel 1999),
di cui 38600 agenti in uniforme. Per operare un significativo confronto, si
può notare come nel frattempo i servizi sociali della città abbiano
subito il taglio di un terzo del loro budget, con la perdita di 8000 posti e
il conseguente attestarsi del numero dei dipendenti intorno alle 13400 unità
(18).
Nell'aderire alla dottrina della «tolleranza zero», Bratton volgeva
le spalle alla cosiddetta «polizia comunitaria» (versione americana
della «polizia di prossimità» britannica) alla quale doveva
la sua fortuna come capo della polizia di Boston. La conversione non era affatto
dettata da dati di fatto: basti confrontare i dati di New York con quelli di
San Diego, città nella quale viene applicata la "community policing"
(19). Fra il 1993 e il 1996, la metropoli californiana può vantare una
diminuzione della criminalità identica a quella di New York, ottenuta
tuttavia con un incremento degli effettivi di polizia che si attesta intorno
al 6 percento. Il numero degli arresti effettuati dalle forze dell'ordine di
San Diego in tre anni è diminuito del 15 percento, mentre a New York
è aumentato del 24 percento, raggiungendo la cifra esorbitante di 314
mila e 292 persone arrestate nel corso dell'anno 1996 (il numero dei fermati
per violazioni minori della legislazione sugli stupefacenti è raddoppiato,
raggiungendo quota 54 mila, ossia più di mille persone alla settimana).
Infine, il numero delle denunce contro la polizia è sceso del 10 percento
sulle rive del Pacifico, mentre è aumentato del 60 percento nella città
di Rudolph Giuliani].
Le autorità cittadine e i media, nazionali ed esteri (seguiti da centinaia
di ricercatori europei, la cui principale fonte di informazioni sulla città
americana è rappresentata dall'assidua lettura, da Parigi, Londra o Stoccolma,
dell'«International Herald Tribune»), tuttavia attribuirono affrettatamente
alla nuova politica il merito della recente diminuzione della criminalità
a New York, nonostante tale flessione avesse iniziato a manifestarsi già
tre anni prima dell'introduzione delle nuove tattiche di polizia e riguardasse
anche città come Boston, Chicago o San Diego che non avevano affatto
adottato analoghi provvedimenti (20). Fra i «conferenzieri» invitati
nel 1998 dal Manhattan Institute al suo prestigioso "luncheon forum",
al quale presenzia il gotha della politica del giornalismo e degli istituti
filantropici e di ricerca della costa orientale, spicca William Bratton, nel
frattempo divenuto «consulente internazionale» per quanto riguarda
la polizia urbana, mettendo a frutto la fama di stroncatore dell'«epidemia
del crimine» a New York (e il risentimento per essere stato silurato da
Rudolph Giuliani, al quale stava iniziando a far ombra) con una pseudobiografia
volta a predicare ai quattro venti il vangelo della «tolleranza zero»
(21). Il tutto a partire dall'Inghilterra, terra d'accoglienza e acclimatazione
per politiche che si apprestano a invadere l'Europa.