A quanto finora descritto si potrebbe aggiungere il continuo incremento degli
interventi e dei dispositivi contrattuali per (ri)stabilire la «sicurezza»
(a scuola, nell'impresa, nel quartiere, in città), la proliferazione,
attraverso tutto il continente, di misure volte a prevenire o reprimere tutto
quanto potrebbe turbare il tranquillo sviluppo delle relazioni pubbliche (per
esempio le ordinanze comunali che limitano o vietano la mendicità e le
spedizioni delle forze dell'ordine contro i senzatetto) (87), l'instaurazione
del coprifuoco per gli adolescenti, applicato in maniera discriminatoria nelle
zone più povere (talvolta in maniera del tutto illegale, come in Francia),
il massiccio dispiegamento della videosorveglianza in luoghi e mezzi di trasporto
pubblici, il crescente favore che incontra il controllo elettronico, nonostante
appaia evidente che esso tende non a sostituire ma ad aggiungersi alla carcerazione.
Con ogni evidenza, un simile quadro non può essere considerato, come
suggerisce il criminologo David Garland, solamente nei termini della «denegazione
isterica» di una patente impotenza nei confronti della delinquenza, che
le stesse autorità ammetterebbero, ricorrendo a strategie di responsabilizzazione
dei cittadini e delega del controllo dello spazio pubblico (88). Diversamente,
appare evidente come si stia procedendo a "un'espansione del trattamento
penale della miseria" che, paradossalmente, deriva dall'indebolimento della
capacità d'intervento sociale dello stato e dall'abbandono delle prerogative
pubbliche di fronte alla presunta onnipotenza del «mercato», ossia
della legge economica del più forte. A tal proposito, è possibile
anche avanzare l'ipotesi secondo cui lo scivolamento verso una gestione giudiziaria
e carceraria della povertà è tanto più probabile e accentuato,
quanto maggiormente la politica economica e sociale condotta dal governo si
ispira alle teorie neoliberali improntate alla «privatizzazione»
dei rapporti sociali e le garanzie dallo stato sociale sono più deboli.
Non è un caso quindi se fra i paesi dell'Unione europea, l'Inghilterra
è quello che manifesta allo stesso tempo il più alto tasso di
carcerazione (e il tasso che negli ultimi anni è aumentato più
rapidamente), il mercato del lavoro più «deregolamentato»
(con un conseguente livello di povertà da record, sempre in grande aumento),
le ineguaglianze sociali più marcate (cresciute più rapidamente
che altrove) e il sistema di protezione sociale più limitato, e «all'americana»
(89). E d'altra parte non è certo una fortunata coincidenza se i paesi
scandinavi - che meglio di altri hanno resistito alle pressioni esterne e interne
volte a smantellare lo stato sociale e in cui le istituzioni di redistribuzione
e condivisione dei rischi collettivi hanno una più consolidata tradizione
- hanno il più basso tasso di carcerazione e ricorrono al trattamento
punitivo dell'insicurezza sociale solo in maniera sussidiaria, così come
attesta la crescita moderata della popolazione carceraria in Svezia, la sua
stabilità in Danimarca, e il notevole abbassamento in Finlandia (che
così manifesta il suo legame al blocco socialdemocratico di area occidentale).
Nei paesi latini come Spagna, Portogallo e Italia, d'altra parte, la crescita
accelerata del numero dei detenuti è avvenuta proprio negli ultimi anni,
in corrispondenza all'avvio delle politiche di tagli ai già magri programmi
di assistenza sociale e di «modernizzazione» del mercato del lavoro,
attraverso la facilitazione dei licenziamenti e l'ampliamento delle opportunità
di sfruttamento della manodopera, in conformità al modello inglese (e
dunque indirettamente americano). Secondo uno studio comparativo incentrato
su Inghilterra, Galles, Francia, Germania, Olanda, Svezia e Nuova Zelanda, a
livello internazionale le differenze nel tasso di carcerazione, e la loro evoluzione,
sono fondate non sulle dinamiche del tasso di criminalità ma sulla diversità
delle politiche sociali e penali e sul livello delle disparità socio-economiche
(90).
Tutto indica quindi che un eventuale riallineamento "al ribasso" dell'Europa
"sociale", centrato sull'alleggerimento della regolazione politica
del mercato del lavoro e il progressivo indebolimento delle garanzie collettive
nei confronti dei rischi della condizione salariata (disoccupazione, malattia,
pensioni, povertà), sarà accompagnato necessariamente da un riallineamento
al rialzo dell'Europa "penale", perseguito attraverso la diffusione
generalizzata delle posizioni e delle politiche più severe in materia
di delitti e pene. Una simile convergenza - di cui l'adesione dei dirigenti
della sinistra di governo europeo ai discorsi e alle misure sicuritarie più
classiche, confezionate con un vocabolario falsamente «repubblicano»,
rappresenta un segnale particolarmente eloquente - si tradurrà immediatamente
in un massiccio incremento dell'inflazione carceraria e in un inasprimento delle
condizioni di detenzione, sotto la duplice pressione della carenza di mezzi
e della deriva repressiva delle ideologie giudiziarie che dovrebbero giustificarli.
L'accusa di «lassismo» in materia di spesa pubblica e politica monetaria
infatti, trova un "pendant" nella vergogna per il «lassismo»
in materia penale e di ordine pubblico.
Da quanto detto, risulta evidente l'urgenza di sottolineare, quando si traccia
il bilancio dei presunti benefici della «liberalizzazione» a livello
europeo dell'economia salariale - ossia della deregolamentazione del mercato
del lavoro in direzione di un accresciuto sfruttamento della manodopera -, gli
astronomici costi finanziari, sociali e umani, spesso mal valutati in quanto
scaglionati o differiti nel tempo, del suo corrispettivo socio-logico al livello
delle classi subalterne, ossia della sorveglianza poliziesca e della reclusione
della miseria. Come hanno dimostrato Western e Beckett per il caso americano,
a breve termine l'aumento significativo della popolazione carceraria riduce
artificialmente il tasso di disoccupazione facendo scomparire dalle statistiche
un importante segmento della popolazione in cerca di impiego. A medio e lungo
termine, tuttavia, una simile politica altro non fa che aggravare la situazione,
in quanto rende più difficilmente assumibili, se non addirittura inassumibili
in un mercato del lavoro dequalificato sempre più affollato, coloro che
hanno soggiornato in galera (91). A tutto ciò si aggiungono gli inevitabili
effetti della carcerazione sui gruppi sociali e i luoghi maggiormente soggetti
alla tutela penale: stigmatizzazione, interruzione delle strategie scolastiche,
matrimoniali e professionali, destabilizzazione delle famiglie, rottura delle
reti sociali, radicamento nei quartieri sfavoriti, nei quali la carcerazione
si banalizza, di una «cultura di resistenza» se non addirittura
di sfida all'autorità. E ovviamente il complesso di patologie, sofferenze
e violenze (inter)personali comunemente associate all'esperienza carceraria.
Nettezza urbana della precarietà, l'istituzione carceraria non si limita
a raccogliere e immagazzinare i (sotto)proletari considerati inutili, indesiderabili
o pericolosi, allo scopo di "occultare" la miseria e di "neutralizzarne"
gli effetti più distruttivi. Troppo spesso si dimentica, infatti, come
essa contribuisca attivamente a estendere e rendere perenne l'insicurezza e
l'abbandono sociale da cui trae alimento e legittimazione. La prigione, in quanto
istituzione totale rivolta ai poveri e ambiente criminogeno e abrutente forgiato
dagli imperativi (e dalle fantasie) sicuritari, non può che impoverire
ulteriormente coloro che sono affidati alle sue cure (e le loro famiglie), privandoli
delle magre risorse di cui dispongono all'entrata, annullando sotto l'etichetta
infamante del «pregiudicato» tutti i possibili status in grado di
conferire un minimo di identità (in quanto figli, mariti, padri, lavoratori
salariati o disoccupati, malati, marsigliesi o madrileni eccetera), affondandoli
nell'irresistibile spirale della "pauperizzazione penale". Si tratta
dell'altra faccia della «politica sociale» riservata dallo stato
alle fasce di popolazione più demunite, che alimenta l'inesauribile profluvio
di discorsi sulla «recidiva» e la necessità di inasprire
il regime di detenzione (con tanto di ritornello ossessivo sulle «prigioni
a tre stelle») affinché esso possa svolgere una reale funzione
dissuasiva.
[Un'approfondita ricerca condotta su sette penitenziari della Francia mostra
che la traiettoria carceraria dei detenuti può essere descritta come
una serie di traumi e rotture provocati da una parte dagli imperativi interni
di sicurezza delle strutture penitenziarie, dall'altra dalle esigenze e dalle
decisioni dell'apparato giudiziario, che scandiscono una discesa programmata
negli abissi della miseria, tanto più rapida quanto più le condizioni
di partenza sono precarie (92). L'ingresso in carcere normalmente è accompagnato
dalla perdita non solo del lavoro e della casa, ma anche dei diritti alle prestazioni
sociali. Un simile impoverimento colpisce immediatamente anche la famiglia del
detenuto e non manca di contribuire alla degradazione dei legami e delle relazioni
affettive (separazione dalla moglie o compagna, «affido» dei figli,
presa di distanza degli amici eccetera). Segue una serie di trasferimenti all'interno
dell'arcipelago penitenziario, che si traducono in altrettanti tempi morti,
in smarrimenti e confische di oggetti ed effetti personali, in difficoltà
di accesso a risorse rare come il lavoro, la formazione o gli svaghi collettivi.
Infine, anche l'uscita dal carcere, che avvenga per un permesso, in libertà
condizionata o a titolo definitivo, comporta un ulteriore impoverimento, provocato
dalle spese immediate (viaggio, abbigliamento, regali, brama di consumo eccetera)
e dall'improvviso confronto con una miseria che la detenzione aveva in qualche
modo messo fra parentesi. «In quanto istituzione chiusa che troppo spesso
considera di secondaria importanza gli investimenti esterni del carcerato, in
quanto luogo in cui prevale una dimensione sicuritaria che colloca sistematicamente
gli interessi, o almeno l'idea che di essi ci si fa, del corpo sociale che si
intende tutelare dinanzi a quelli dei detenuti, la prigione contribuisce attivamente
a rendere precarie le già misere condizioni di buona parte della popolazione
carceraria e a consolidare le situazioni provvisorie di povertà»
(93).
I dati sulla miseria carceraria rilevati dalla ricerca sul campo trovano una
conferma nelle statistiche: in Francia, il 60 percento dei carcerati al momento
della liberazione sono disoccupati, il 12 percento senza alloggio e più
di un quarto non dispone della benché minima quantità di denaro
o, per essere più precisi, di più di 100 franchi, la soglia stabilita
dall'amministrazione carceraria per il riconoscimento dello statuto di «indigente»
e la concessione di un «aiuto» (i detenuti stranieri si trovano
in condizioni ancora peggiori, con percentuali che si attestano rispettivamente
al 68, 29 e 30 percento). La metà dei detenuti non ha mai ricevuto durante
il soggiorno dietro le sbarre la visita di un parente o amico, più di
un terzo non troverà nessuno ad attenderlo al momento dell'uscita dal
carcere. E almeno un detenuto su tre accumula almeno tre di questi handicap.
Di conseguenza, visto lo scarso supporto esterno e l'ampiezza delle difficoltà
con le quali gli «ex galeotti» devono fare i conti, ogni proposito
di «reinserimento» si rivela quantomeno improbabile (94).
Ma c'è di peggio: gli effetti pauperizzanti del penitenziario non sono
limitati ai detenuti e al carcere ma ricadono ben al di là delle sue
mura. La prigione infatti esporta la sua povertà destabilizzando continuamente
le famiglie e i quartieri soggetti alla sua presa. Di conseguenza, il trattamento
carcerario della miseria (ri)produce senza sosta le condizioni della propria
espansione: più si recludono i poveri, più essi rimarranno tali,
offrendo inoltre un comodo obiettivo alla politica di criminalizzazione della
miseria. La gestione penale dell'insicurezza sociale trae quindi alimento dal
proprio fallimento programmato].
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IL REDDITO MINIMO Di INSERIMENTO (R.M.I.) PER I DETENUTI FRANCESI.
Gli Stati uniti escludono sistematicamente i loro due milioni di carcerati
dalla redistribuzione sociale del reddito. La Francia non fa molto meglio, in
quanto i suoi circa 54 mila detenuti sono in gran parte esclusi dal minimo di
copertura sociale che potrebbero esigere a causa della loro posizione marginale
sul mercato del lavoro e della scarsezza dei loro risparmi e patrimoni (nel
caso esistano).
Se nella migliore delle ipotesi, ancorché statisticamente assai rara,
essi possono percepire la pensione di anzianità o invalidità minima,
oppure accedere alle case popolari, del tutto esclusa è la possibilità
di beneficiare dell'Allocazione specifica di solidarietà (ASS), dell'Allocazione
per genitore unico (API) e dei contributi dell'Assedic (nonostante gli eventuali
versamenti). Inoltre, un «decreto di applicazione fellone», per
riprendere l'espressione di Jean-Michel Belorgey, relatore della legge sull'R.M.I.
all'Assemblea nazionale, emanato di soppiatto dal governo Rocard nel dicembre
1998 esclude i carcerati dal reddito minimo di inserimento a partire dal sessantesimo
giorno di detenzione. E' inutile sottolineare come l'aiuto pecuniario e un sostegno
durevole all'inserimento sarebbero di vitale importanza per la popolazione detenuta.
Il versamento dell'R.M.I. ai detenuti che «fuori» ne avrebbero diritto
sortirebbe quattro effetti. In primo luogo contribuirebbe ad attenuare le forti
ineguaglianze di classe che caratterizzano l'esperienza della detenzione e violano
gravemente i princìpi della giustizia. Inoltre, faciliterebbe il mantenimento
della «pace penitenziaria» diminuendo lo spaccio, i racket e le
violenze che traggono alimento dalla condizione di estrema miseria della maggior
parte dei carcerati (è per questo motivo che molti direttori di istituti
di pena sono favorevoli a una simile ipotesi). Come ben sanno tutti coloro che
operano nel carcere, un discreto numero di detenuti è costretto a prostituirsi
per ottenere quanto necessario alla vita quotidiana: sapone (che serve per la
toilette, le stoviglie e il bucato), forniture igieniche, sigarette, cibi, farmaci,
per non parlare dello studio, costoso e al di fuori della portata di coloro
che ne avrebbero più bisogno. Lo stato in questo caso non si limita dunque
a privare della libertà ma spinge i detenuti verso la miseria materiale
e morale.
In terzo luogo, l'R.M.I. contribuirebbe a conservare la solidarietà familiare,
evitando al detenuto di diventare immediatamente un peso. Il prezzo della carcerazione
può rivelarsi insostenibile per i familiari, in quanto alla perdita del
reddito del detenuto si aggiungono i notevoli costi prodotti dalla reclusione
(biancheria, contributo per la mensa, spostamenti per le visite, spese processuali
e per l'avvocato eccetera). "Last but not least", concedere l'allocazione
a coloro che ne hanno diritto, secondo le norme correnti, significherebbe affermare
a livello simbolico che i prigionieri appartengono alla comunità dei
cittadini (o dei residenti) e quindi porre migliori premesse per il loro ritorno
in società. Non esiste alcuna ragione giuridica o penale a una simile
privazione di diritti sociali, che appare come una sorta di «doppia pena»,
questa volta per «nazionali», visto che gli stranieri sono già
ampiamente esclusi dall'R.M.I. anche quando sono in libertà.
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In ogni caso, "lo stato penale europeo è già in via di instaurazione"
nella pratica, mentre la costruzione di un fantomatico stato sociale europeo
resta ancora alla fase del progetto e dei vuoti proclami. L'Europa della libera
circolazione dei capitali e degli individui è infatti anche l'Europa
della cooperazione poliziesca, giudiziaria e penitenziaria, di una cooperazione
che si è fortemente intensificata sull'onda delle recenti spinte all'integrazione
economica e monetaria (95). Come ha illustrato il politologo Didier Bigo, le
reti di relazioni informali e di contatti interpersonali, intessute lungo gli
anni settanta in seno ai gruppi di lotta alla droga o al terrorismo o in occasione
degli incontri fra le diverse polizie europee, sono state valorizzate e formalizzate
fra il 1985 e il 1990 dagli accordi di Schengen. Sono stati così estesi
i diritti di indagine e azione giudiziaria attraverso le frontiere e distaccati
funzionari di collegamento presso i servizi di polizia di altri paesi. Di particolare
importanza è inoltre la creazione del Sistema informatizzato di Schengen
(SIS), una banca dati con sede a Strasburgo nella quale convergono le schede
inviate dai vari paesi riguardanti coloro che sono coinvolti nelle attività
della grande criminalità e gli stranieri ai quali è stato rifiutato
il permesso di soggiorno o l'ingresso alla frontiera. Il Trattato di Maastricht
ha istituzionalizzato la cooperazione poliziesca in materia di lotta al terrorismo,
alla criminalità organizzata e internazionale, alla droga. Il comitato
chiamato K-4, istituito sotto l'egida del Consiglio della giustizia e degli
affari interni dal quarto titolo del trattato, ha precisamente lo scopo di favorire
l'armonizzazione delle politiche degli stati membri nell'ambito sia della giustizia
civile e penale, sia dell'immigrazione e del diritto d'asilo.
Gli accordi, le convenzioni e le commissioni che proliferano e agiscono nella
penombra del nascente campo burocratico europeo hanno esteso il concetto di
«sicurezza interna» alle problematiche inerenti la circolazione
attraverso le frontiere degli stranieri provenienti da paesi esterni all'ambito
euro-americano. L'immigrazione viene così definita in termini espliciti
come minaccia all'integrità del territorio su cui si deve vigilare, il
cosiddetto «spazio di Schengen» che presto verrà esteso a
tutti i paesi membri dell'Unione europea. L'equivalenza politico amministrativa
fra frontiera-crimine-immigrazione partecipa della demonizzazione dello straniero
(non euro-americano) e rafforza l'associazione immigrazione-insicurezza di cui
si nutrono le virulente correnti xenofobe apparse negli ultimi anni nella maggior
parte delle società dell'Europa occidentale.
La convenzione Europol, in discussione fin dal 1995, sfocerà quanto prima
nell'istituzione dell'Ufficio europeo della polizia, un organismo dotato di
una personalità giuridica indipendente con sede a Strasburgo, che prefigura
una futura polizia federale dell'Unione europea. Inoltre, ormai da due decenni
le direzioni delle amministrazioni penitenziarie dei paesi membri del Consiglio
d'Europa si riuniscono regolarmente (oggi due o tre volte all'anno) in seno
al Consiglio di cooperazione penale per confrontare le rispettive esperienze,
definire norme comuni di detenzione e armonizzare le procedure. La creazione
del mercato unico alla fine degli anni ottanta, dunque, è stata accompagnata
da un'accelerazione dell'europeizzazione delle polizie e della sicurezza, considerate
alla stregua di un «terzo cantiere, certo discreto, se non addirittura
segreto, ma che procede più rapidamente e mobilita altrettante energie
e personale della costruzione delle tanto reclamizzate Europa monetaria e Europa
della difesa». Così come negli Stati uniti l'ascesa dello stato
penale ha effetti opposti alle due estremità della gerarchia sociale
e razziale, allo stesso modo lo sviluppo della polizia a largo raggio e della
polizia in rete a livello europeo conduce a «un'era in cui alla più
grande libertà di circolazione per la maggioranza dei cittadini si unisce
la concentrazione dei controlli sulle minoranze e i flussi attraverso le frontiere»
che di fatto sono sottoposti a una sorveglianza discriminatoria a livello sia
dei principi, sia delle pratiche (96).
In un simile contesto, l'esperienza di quei paesi che attraverso una politica
volontaristica sono riusciti in tempi recenti a stabilizzare o addirittura ad
abbassare la loro popolazione carceraria, in particolare attraverso l'ampliamento
del ricorso alle ammende o alla libertà condizionata e la sensibilizzazione
dei giudici rispetto alla realtà dell'universo carcerario, assume un
particolare valore analitico e politico (confronta tabella 5). Fra il 1985 e
il 1995, l'Austria ha ridotto il proprio tasso di carcerazione del 2 percento,
la Finlandia del 25 percento, la Germania del 6 percento (nonostante la riunificazione).
Il tasso è rimasto stabile in Danimarca e Irlanda. Simili tendenze alla
diminuzione della popolazione detenuta non hanno alcuna incidenza sul livello
della criminalità (97).
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Tabella 5, Deflazione carceraria in tre paesi europei (1983 -1997).
Germania (Ovest): 62525 nel 1983 - 48548 nel 1990 - 60489 nel 1995 - incremento:
meno 4%
Austria: 8387 nel 1983 - 6231 nel 1990 - 6954 nel 1995 - incremento: meno 8%
Finlandia: 4709 nel 1983 - 3106 nel 1990 - 2798 nel 1995 - incremento: meno
41%
Fonti: Pierre Tournier, "Statistiques pénales annuelles du Conseil
de l'Europe, Enquête 1997", Conseil de l'Europe, Strasbourg 1999.
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I risultati ottenuti da queste società mettono in luce il fatto che
in materia penale e sociale - se nelle regioni più basse dello spazio
sociale è ancora possibile distinguere per ragioni che non siano di comodità
di linguaggio fra quei due registri dell'azione pubblica - si resta sempre all'interno
di ciò che Marcel Mauss definiva «ambito della modalità».
Allo stesso titolo del lavoro precario, l'inflazione carceraria non è
una fatalità naturale o una calamità dovuta a una divinità
lontana e inarrivabile, ma deriva da scelte culturali che sarebbe necessario
sottoporre a un vasto dibattito democratico. Come afferma Marcel Mauss, ogni
fenomeno sociale è «opera della volontà collettiva, e chi
dice volontà umana dice scelta fra le differenti opzioni possibili»
(98). L'importante è che le opzioni siano chiaramente identificate e
valutate come tali, e non selezionate di nascosto o alla cieca e quindi presentate
come sviluppi ineluttabili e irreparabili.
L'esperienza americana dimostra l'impossibilità, oggi come alla fine
dell'Ottocento, di separare la politica sociale e la politica penale o, per
essere più diretti, il mercato del lavoro, l'intervento sociale (se ancora
lo si può definire così), la polizia e la prigione. L'adeguata
comprensione di entrambe non può infatti prescindere da un'analisi delle
loro plurime interconnessioni (99). Dovunque si afferma, l'utopia liberale,
apporta ai gruppi sociali più demuniti ma anche a coloro che prima o
poi sono destinati all'espulsione dal settore del lavoro garantito, non un surplus,
come vorrebbero i suoi apologeti, ma una riduzione se non addirittura l'annullamento
della libertà, come effetto della regressione verso un paternalismo repressivo
vecchio stile, caratteristico del capitalismo selvaggio, a cui si aggiunge oggi
uno stato punitivo onnisciente e onnipotente. La «mano invisibile»
cara ad Adam Smith è quindi ritornata, ma rivestita dal «guanto
di ferro».
Gli Stati Uniti hanno chiaramente optato per un modello che individua nella
criminalizzazione della miseria il necessario complemento dell'insicurezza salariale
e sociale. L'Europa si trova di fronte a un bivio, a un'alternativa storica
fra, da una parte, la reclusione dei poveri e il controllo poliziesco e penale
delle popolazioni destabilizzate dalla rivoluzione delle forme di lavoro salariato
e dall'indebolimento della protezione sociale, dall'altra, la creazione di nuovi
diritti di cittadinanza, quali il reddito d'esistenza, indipendente dal lavoro
(100), l'educazione e la formazione continua, l'accesso generalizzato all'alloggio
e alle cure mediche, accompagnati dalla ricostruzione attiva delle capacità
di intervento sociale dello stato, nella prospettiva della rapida creazione
di uno stato sociale europeo degno di questo nome. Da una simile scelta dipende
il tipo di civiltà che l'Europa intende offrire ai suoi cittadini.
NOTE.
N. 1. Un esempio: l'opuscolo stampato in Germania, a cura del ministero dell'Economia,
per giustificare la netta svolta neoliberale impressa dal cancelliere Schroeder
nell'estate del 1999 (riduzione della spesa pubblica di 16 miliardi di euro,
abbassamento delle imposte, blocco delle pensioni, deregolamentazione del lavoro,
restringimento delle garanzie sociali) reca in esergo l'appassionato grido di
Mark Wossner, amministratore delegato del conglomerato mediatico Bertelsmann:
«Un pezzo d'America, ecco la via da seguire per aumentare la prosperità
economica della Germania».
N. 2. Confronta Economic Policy Institute, "Beware the US Model",
EPI, Washington 1995; C. N oble, "Welfare as We knew It. A Political History
of the American Welfare State", Oxford University Press, New York 1997,
p.p. 105-135.
N. 3. Children's Defense Fund, "The State of America's Children",
Beacon Press, Boston 1998; L. Mishel, J. Bernstein, J. Schmidt, "The State
of Working America, 1996-1997", M. E. Sharpe, New York 1997, p.p. 304-307.
N. 4. Su questa vera falsa-riforma, la più regressiva dal punto di vista
sociale promulgata da un governo democratico dopo la Seconda guerra mondiale,
L. Wacquant, "Les pauvres en pâture. La nouvelle politque de la misère
en Amérique", in «Hérodote» 85, primavera 1997,
p.p. 21-33. Si veda anche l'aspro giudizio espresso dal Premio Nobel per l'economia
Robert Solow nel suo "Work and Welfare", Princeton University Press,
Princeton 1998.
N. 5. I dati, così come quelli del paragrafo precedente, sono tratti
da un importante articolo di Richard Freeman, economista di Harvard e direttore
del programma sul lavoro del National Bureau of Economic Research: R. Freeman,
"Le modèle économique américain à l'épreuve
de la comparaison", in «Actes de la recherche en sciences sociales»,
124, settembre 1998, p.p. 36-48.
N. 6. Confronta M. Morris, B. Western, "Inequality in Earnings at the Close
of the Twentieth Century", in «Annual Review of Sociology»,
25, 1999, p.p. 623-657; S. Anderson et al., "A Decade of Executive Excess",
Institute for Policy Studies, Washington 1999, p.p. 3, 8. Sarah Anderson e i
suoi collaboratori affermano che se nel passato decennio il salario operaio
medio fosse aumentato in proporzione ai redditi dei dirigenti d'impresa, oggi
un operaio americano guadagnerebbe più di 110 mila dollari all'anno e
il minimo salariale supererebbe i 22 dollari all'ora (contro gli attuali 5,15).
N. 7. D. Chalmers, "And the Crooked Places Made Straight. The Struggle
for Social Change in the 1960s", Temple University Press, Philadelphia
1991; J. T. Patterson, "Grand Expectations. The United States, 1945-1974",
Oxford University Press, Oxford 1996, in particolare p.p. 375-406, 637-677.
N. 8. D. Dodge, a cura di, "A Nation without Prisons", Lexington Books,
Lexington 1975; su quel dibattito: N. Morris, "The Future of imprisonment",
The University of Chicago Press, Chicago 1974.
N. 9. Salvo diversa indicazione, i dati statistici sono tratti da pubblicazioni
del Bureau of Justice Statistics del ministero federale della Giustizia (in
particolare dalle relazioni periodiche "Correctional Populations in the
United States", Government Printing Office, Washington).
N. 10. Confronta Bureau of Tustice Statistics, "Criminal Victimization
in the Unites States, 1975-1995", Government Printing Office, Washington
1997. Per un'analisi più dettagliata: L. Wacquant, "Crime et châtiment
en Amérique de Nixon à Clinton", in «Archives de politique
criminelle», 20, primavera 1998, p.p. 123-138.
N. 11. V. Schiraldi, J. Ziedenberg, J. Irwin, "America's One Million Nonviolent
Prisoners", Justice Policy Institute, Washington 1999; C. Wolf Harlow,
"Profile of Jail Inmates 1996", Bureau of Justice Statistics, Washington
1998; J. Irwin, J. Austin, "It's about Time. Amenca's Imprisonment Binge",
Wadsworth, Belmont 1997, p.p. 22-39.
N. 12. Diana Gordon descrive assai bene una simile sinergia in "The Justice
Juggernaut Fighting Street Crime", Rutgers University Press, Brunswick
1991.
N. 13. J. Petersilia, "Parole and Prisoner Reentry in the Unites States",
in M. Tonry, J. Petersilia, a cura di, "Understanding Prisons. Performance
and Policy Options", The University of Chicago Press, Chicago 2000.
N. 14. M. Freeley, J. Simon, "The New Penology. Notes on the Emerging Strategy
of Corrections and its Implications", in «Criminology», 30,
4, novembre 1992, p.p. 449-474; T. Simon, "Poor Discipline Parole and the
Social Control of the Underclass, 1890-1990", The University of Chicago
Press, Chicago 1993.
N. 15. Il complesso delle amministrazioni peniteniziarie dei cinquanta stati,
con l'aggiunta delle due imprese di lavoro a termine Manpower Inc. e Kelly Services,
si collocherebbe in quinta posizione.
N. 16. S. Donziger, "The Real War against Crime", cit., p. 48.
N. 17. R. Gangi, V. Shiraldi, J. Ziedenberg, "New York State of Mind? Higher
Education vs. Prison Funding in the Empire State, 1988-1998", Justice Policy
Institute, Washington 1998, p. 1.
N. 18. La filosofia penale oggi dominante negli Stati uniti può essere
riassunta dalla seguente formula, assai in voga fra gli addetti ai lavori: «Fare
in modo che il prigioniero si senta un prigioniero» (W. Johnson et al.,
"Getting Tough on Prisoners. Results from the National Corrections Executive
Survey, 1995", in «Crime and Delinquency», 43,1, gennaio 1997,
p.p. 25-26). Ne consegue la reintroduzione delle punizioni corporali, l'uso
di costringere i detenuti a spaccare pietre e ripulire i fossati, con tanto
di piede alla catena, uniforme a righe e capelli rapati, il divieto delle riviste
pornografiche, dei pesi e bilanceri, dei pacchi natalizi eccetera.
N. 19. D. Burton-Rose, D. Pens, P. Wright, a cura di, "The Celling of America.
An Inside Look at the US Prison Industry", Common Courage Press, Monroe
1998, p.p. 102-131.
N. 20. E. Lotke, "The Prison-Industrial Complex", in «Multinational
Monitor», 17, 1996, p. 22. L'espressione "not in my backyard"
(letteralmente «non nel mio giardino») e la relativa sigla NIMBY
traggono origine dai movimenti locali di lotta contro i fattori nocivi legati
all'industria e al commercio emersi durante gli anni settanta, sulla scia dello
sviluppo del movimento ecologista. In seguito, per estensione, saranno chiamate
a designare l'opposizione allo stabilirsi di qualsiasi elemento in grado di
minacciare la «qualità della vita» di un determinato luogo
(e i suoi valori immobiliari): fabbriche, deposito di autobus, discariche, ma
anche cliniche psichiatriche, case di accoglienza per senzatetto, centri di
disintossicazione eccetera.
N. 21, Tale stima comunque non distingue fra «bianchi» wasp e di
origine ispanoamericana, aumentando meccanicamente il tasso dei «bianchi»
di origine europea, tanto più che i latinos rappresentano il gruppo il
cui tasso di carcerazione negli ultimi tempi è maggiormente cresciuto.
N. 22. Titolo dell'importante libro di Jerome Miller, "Search and Destroy
African-American Males in the Criminal Justice System", Cambridge University
Press, Cambridge 1997.
N. 23. M. Tonry, "Malign Neglect. 'Race, Crime and Punishment in America",
Oxford University Press, New York 1995, p. 105.
N. 24. Nel 1998 la comunità afroamericana dello stato di New York contava
34800 propri membri nei penitenziari statali contro i 27900 studenti del campus
della State University of New York, mentre i latinos fomivano 22400 carcerati
e soltanto 17800 studenti (R. Gangi, V. Shiraldi, J. Ziedenberg, "New York
State of Mind? Higher Education vs. Prison Funding in the Empire State, 1988-1998",
cit., p. 3).
N. 25. W. J. Chambliss, "Policing the Ghetto Underclass. The Politics of
Law and Law Enforcement", in «Social Problems», 41, 2, maggio
1994, p.p. 177-194.
N. 26. D. Rothman, "The Discovery of the Asylum. Social Order and Disorder
in the New Republic", Little Brown, Boston 1971, p.p. 254-255.
N. 27. B. Western, K. Beckett, "How Unregulated is the US Labor Market?
The Penal System as a Labor Market Institution", in «American Journal
of Sociology», 104, gennaio 1999, p.p. 1135-1172.
N. 28. L. Wacquant, "De la «terre promise» au ghetto: la «Grande
Migration» noire américaine, 1916-1930", in «Actes de
la recherche en sciences sociales», 99, settembre 1993, p.p. 43-51; Kerner
Commission, "The Kerner Report. The 1968 Report of the national Advisory
Commission on Civil Disorders", Pantheon, New York 1989 (ed. or. 1968);
T. B. Edsall, M. D. Edsall, "Chain Reaction", W.W. Norton, New York
1991.
N. 29. Nato in prigione (la madre, Afeni Shakur apparteneva al Black Panthers
Party) il coinventore del "gansta rap" ed eroe dei giovani del ghetto,
è morto nel 1996 a Las Vegas, crivellato di colpi durante un'imboscata
tesagli da una gang rivale. In precedenza era stato accusato di avere sparato
ad alcuni poliziotti e aveva scontato otto mesi di detenzione in seguito a una
condanna per violenza sessuale.
N. 30. J. R. Lilly, P. Knepper, "The Corrections-Commercial Complex",
in «Crime and Delinquency», 39, 2, aprile 1993, p.p. 150-166; E.
Schlosser, "The Prison-Industrial Complex", in «The Atlantic
Monthly», 282, dicembre 1998, p.p. 51-77.
N. 31. A. Kuhn, "Populations carcérales. Combien? Pourquoi? Que
faire?", in «Archives de politique criminelle», 20, primavera
1998, p.p. 47-99; P. Tournier, "The Custodial Crisis in Europe. Inflated
Prison Populations and Possible Alternatives", in «European Journal
of Criminal Policy and Research», 2, 4, 1994, p.p. 89-110; nonché
le cronache dello stesso autore che compaiono regolarmente sul «Bullettin
d'information pénologique» del Consiglio d'Europa.
N. 32. Administration pénitentiaire, "Rapport annuel d'activité
1996", Ministère de la justice, Paris 1997, p. 14.
N. 33. P. Tournier, "La population des prisons est-elle condamnée
à croître?", in «Sociétés et représentations»,
3, novembre 1996, p.p. 321-332.
N. 34. T. Godefroy, "Mutation de l'emploi et recomposition pénale",
Cesdip, Paris 1998, p.p. 16-17; si veda anche T. Godefroy, B. Laffargue, "Changements
économiques et répression pénale", Cesdip, Paris 1995.
N. 35. Il Reddito minimo d'inserimento (R.M.I.), esempio della nuova politica
della miseria sviluppatasi in Francia alla fine degli anni ottanta, conosce
un forte sviluppo. In dieci anni, infatti, il numero dei beneficiari è
cresciuto di 2,8 volte e il totale dei crediti si è quintuplicato.
N. 36. G. Rusche, O. Kircheimer, "Pena e struttura sociale", il Mulino,
Bologna 1984 (ed. or. 1939); T. Chincos, M. Delone, "Labor Surplus and
Punishment. A Review and Assessment of Theory and Evidence", in «Social
Problems», 39, 4, 1992, p.p. 421-446.
N. 37. S. Snacken, K. Beyens, H. Tubex, "Changing Prison Populations in
Western Countries. Fate or Policy?", in «European Journal of Crime,
Criminal Law and Criminal Justice», 3, 1,1995, p.p. 18-53, in particolare
p.p. 28-29.
N. 38. B. Aubusson de Cavarlay, "Hommes, peines et infractions", in
«Année sociologique», 35, 1985, p. 293. A prescindere dalla
designazione giuridica del reato commesso, la carcerazione colpisce «quasi
una volta su due i disoccupati, una su sette gli operai, una su trenta i datori
di lavoro: per l'ammenda vale esattamente il contrario» (ivi, p.p. 291-292).
In Francia, la percentuale dei detenuti senza impiego è valutata nei
seguenti termini: il 26 percento di coloro di cui si è potuto determinare
la situazione occupazionale hanno dichiarato di essere disoccupati (il 18 percento
ha esercitato un'attività, il 6 percento non ha mai avuto un lavoro):
se si avanza la ragionevole ipotesi che il 40 percento dei restanti carcerati
sono disoccupati nella stessa proporzione di un quarto, otterremo un 10 percento
in più di prigionieri senza impiego, ai quali si deve aggiungere una
parte del restante 5 percento (formato da studenti, militari, casalinghe eccetera).
Ne deriverebbe una stima che, come minimo, si attesterebbe sul 35 percento.
Se la metà dei cosiddetti «indeterminati» risultassero senza
lavoro, il tasso si avvicinerebbe al 50 percento. (I dati provengono dallo Schedario
nazionale dei prigionieri e mi sono stati gentilmente comunicati da Annie Kensey,
demografa dell'Amministrazione penitenziaria.) Una ricerca qualitativa condotta
nella regione Provence-Alpes-Côte d'Azur ha rivelato che il 50 percento
dei detenuti era disoccupato al momento della loro messa sotto chiave (J.-P.
Jean, "L'inflation carcérale", in «Esprit», 215.
ottobre 1995, p.p. 117-131).
N. 39. R. Morgan, "Imprisonment. Current Concern and a Brief History since
1945", in "The Oxford Handbook of Criminology", Oxford University
Press, Oxford 1997, p. 1161.
N. 40. E. Cashmore, E. McLaughlin, a cura di, "Out of Order? Policing Black
People", Routledge, London 1991; J. H. Smith. "Race, Crime and Criminal
Justice", in "The Oxford Handbook of Criminology", Oxford University
Press, Oxford 1993, p.p. 703-759; e i capitoli di D. J. Smith (sull'Inghilterra),
H.-J. Albrecht (sulla Germania) e J. Junger-Tas (sull'Olanda) in M. Tonry, a
cura di, "Ethnicity, Crime and Immigration. Comparative and Cross-National
Perspectives", The University of Chicago Press, Chicago 1997, p.p. 101-182,
31-99, 257-310.
N. 41. F Brion, A. Rihoux, F. de Conick, "La surpopulation et l'inflation
carcérales", in «La Revue Nouvelle», 109, 4, aprile
1999, p.p. 48-66.
N. 42. P. Tournier, "La délinquance des étrangers en France.
Analyse des statistiques pénales", in S. Palidda, a cura di, "Délit
d'immigration / Immigration Delinquency", Commission européenne,
Bruxelles 1996, p. 158.
N. 43. Secondo la distinzione idealtipica introdotta da C. Faugeron, "La
dérive pénale", in «Esprit», 215, ottobre 1995,
p.p. 132-144.
N. 44. J.-P. Perrin-Marin, "La rétention", L'Harmattan, Paris
1996; per una comparazione fra la Francia, il Regno unito, la Germania e gli
Stati uniti, si veda il numero 23 (1996) della rivista «Culture et conflits»,
dedicata al tema "Circuler, enfermer, éloigner. Zone d'attente et
centres de rétention des démocraties occidentales".
N. 45. L. Vanpaeschen, "Barbelés de la honte", Luc Pire, Bruxelles
1998; F. Brion, "Chiffrer, déchiffrer. Incarcération des
étrangers et construction sociale de la criminalité des immigrés
en Belgique", in S. Palidda, a cura di, "Délit d'immigration
/ Immigrant Delinquency", cit., p.p. 163-223.
N. 46. S. Palidda, "La construction sociale de la déviance et la
criminalité parmi les immigrés. Le cas italien", in Id.,
a cura di, "Délit d'immigration / Immigrant Delinquency", cit.,
p.p. 23 1-266.
N. 47. D. Bigo, "L'Europe des polices et la sécurité intérieure",
Complexe, Bruxelles 1992; Id., "Sécurité et immigration:
vers une gouvernamentalité de l'inquiétude?", in «Cultures
et conflits», 31-32, autunno 1998, p.p. 13-38.
N. 48. N. Christie, "Suitable Enemy", in H. Bianchi, R. van Swaaningen,
a cura di, "Abolitionism. Toward a Non-Repressive Approach to Crime",
Free University Press, Amsterdam 1986.
N. 49. Sul processo di criminalizzazione dei migranti si vedano i lavori comparativi
raccolti in A. Dal Lago, a cura di, "Lo straniero e il nemico. Materiali
per l'etnografia contemporanea", Costa & Nolan, Genova 1998; il numero
speciale di «Rassegna italiana di sociologia» (1, 1999) su "Etnografia
delle migrazioni" e il numero degli «Actes de la recherche en sciences
sociales» (129, settembre 1999) su "Délit d'immigration".
Sul caso olandese: G. Engbersen, "In de schaduw van morgen. Stedelijke
marginaliteit in Nederland", Boom, Arnsterdam 1997; su quello tedesco M.
Kubink, "Verständnis und bedeutung von Ausländerkriminalität.
Eine analyse der Konstitution sozialer probleme", Centaurus, Pfaffenweiler
1993. L'espressione «sottobianco» è tratta da A. Réa,
"Immigration et racisme en Europe", Complexe, Bruxelles 1998 (che
a sua volta la prende dal gruppo rap francese IAM).
N. 50. N. Christie, "Crime Control as Industry. Toward Gulags, Western
Style", Routledge, London 1994 (seconda edizione ampliata), p. 69. Per
il caso britannico si veda anche S. Box, "Recession, Crime and Punishment",
MacMillan, London 1987, in particolare il quarto capitolo, dal titolo «The
State and 'Problem Populations'».
N. 51. N. Christie, "Crime Control as Industry. Toward Gulags, Western
Style", cit., p. 66-67; le cifre sugli altri paesi europei sono tratte
da P. Tournier, "Statistiques pénales annuelles du Conseil d'Europe.
Enquête 1997", Strasbourg 2000.
N. 52. P. Tournier, "Inflation carcérale et surpeuplement des prisons",
Conseil de l'Europe, Strasbourg 2000, tavole 1.1, 2.3, 4. Sul sovraffollamento
carcerario, e le relative conseguenze, in Italia, Grecia e Olanda: V. Stern,
"Mass Incarceration. A Sin against the Future?", in «European
Journal of Criminal Po]icy and Research», 3, 1996, p.p. 9-12.
N. 53. M. Guillonneau, A. Kensey, P. Mazuet, "Densité de population
carcérale", in «Cahiers de démographie pénitentiaire»,
4, settembre 1997.
N. 54. Administration pénitentiaire, "Rapport annuel d'activité
1996", cit., p. 113.
N. 55. R. Morgan, "Tortures et traitements inhumains ou dégradants
en Europe: quelques données, quelques questions", in C. Faugeron,
A. Chauvenet, P. Combessie, a cura di, "Approches de la prison", DeBoeckUniversité.
Bruxelles 1997, p.p. 323-347; si veda anche il resoconto dell'indagine sul campo
del Comitato per la prevenzione della tortura, steso dal suo primo presidente:
A. Cassese, "Umano-Disumano. Commissariati e prigioni nell'Europa di oggi",
Laterza, Bari-Roma 1994.
N. 56. Diversità sottolineata in C. Faugeron, a cura di, "Les politiques
pénales", La documentauon française, Paris 1992; si veda
anche J. Muncie, R. Sparks. a cura di, "Imprisonment: European Perspectives",
Harvester Wheatshesf, Hempstead 1991. La crescita degli effettivi incarcerati,
per fare un esempio, non esclude lo sviluppo del ricorso alla conciliazione
e alla mediazione penale così come gli sforzi di depenalizzazione (di
diritto o di fatto) e di accresciuta individualizzazione delle pene. Allo stesso
modo delle politiche sociali, le politiche penali non sono monolitiche e nella
loro evoluzione integrano tendenze spesso divergenti se non addirittura contraddittorie.
N. 57. In Francia, per esempio, «nonostante nei discorsi ufficiali si
sottolinei sempre la missione di reinserimento svolta dall'amministrazione penitenziaria,
a prevalere è sempre più la separazione e la reclusione»
(A.-M. Marchetti, "Pauvreté et trajectoire carcérale",
in C. Faugeron, A. Chauvenet, P. Combessie, a cura di, "Approches de la
prison", cit., p. 197). Sull'inasprimento delle politiche penali in Francia,
Belgio, Inghilterra e Olanda: S. Snacken. K. Beyens, H. Tubex, "Changing
Prison Populations in Western Countries: Fate or Polic?", cit., p.p. 34-36.
N. 58. R. van Swaanigen, G. de Jonge, "The Dutch Prison System and Penal
Policy in the 1990s. From Humanitarian Paternalism to Penal Business Management",
in V. Ruggiero, M. Ryan, J. Sim, a cura di, "Western European Penal System.
A Critical Anatomy", Sage, London 1995, p.p. 24-45. Un'analoga deriva è
osservabile nel caso delle Svezia, antico modello di penalità dal volto
umano (confronta K. Leander, "The Normalization of the Swedish Prison",
in ivi p.p. 169-193).
N. 59. D. D. Downes, "Contrasts in Tolerance. Post-War Penal Policy in
the Netherlands and England and Wales", Clarendon Press, Oxford 1988.
N. 60. Il processo di «trattamento penale del sociale» è
particolarmente evidente nel caso belga, a causa dell'impatto della congiuntura
favorevole a una svolta punitiva su una realtà caratterizzata da un deficit
di legittimità del potere centrale e della devoluzione a livello regionale
e comunale di competenze legate alla protezione collettiva: Y. Cartuyvels, L.
Van Campenhoudt, "La douce violence des contrats de sécurité"
in «La revue nouvelle», 105, marzo 1995, p.p. 49-56; Id., "Insécurité
et prévention en Belgique. Les ambigüités d'un modèle
«global-integré» entre concertation partenariale et integration
verticale", in «Déviance et société»,
20, 2, 1996; P. Mary, a cura di, "Travail d'intérêt général
et médiation pénale. Socialisation du pénal ou pénalisation
du soccial?", Bruylant, Bruxelles 1997.
N. 61. Sulla base delle affermazioni riportate in «Le Monde», 15
luglio 1999, e verificate presso il Collectif informatique, fichiers et citoyenneté.
N. 62. Notiamo, per inciso, che la gestione dei dossier sugli stranieri in situazione
irregolare è stata notevolmente informatizzata nell'ottobre 1997, senza
peraltro che si sappia con precisione la tipologia, il tempo di conservazione
e gli usi dei dati disponibili.
N. 63. Lo si può arguire dal precedente americano. Negli Stati uniti,
con il Budget Reduction Act del 1984, la connessione degli schedari dei comparti
amministrativi incaricati di gestire il sostegno sociale, l'assistenza medica,
le imposte (sul reddito e gli immobili) e le pensioni è stata posta come
condizione per l'ottenimento, da parte degli stati, dei crediti federali per
l'assistenza agli indigenti (G. T. Marx, "Undercover Police Surveillance
in America", California University Press, Berkeley 1988, p. 210).
N. 64, "Interconns des fichiers: les nouveaux alchimistes", in «Hommes
et libertés, 102, 1999, p. 16.
N. 65. Si vedano, rispettivamente: Onderzoekscommissie, "Het Recht op Bjstand",
Vuga, The Hague 1993; P. Bernini, G. Engbersen, "Koppeling en uitsluiting.
Over de ongwenste en onbedoelde gevolgen van de koppelingswe"t, in «Nederlands
Juristenblad», 74, 1998, p.p. 65-71.
N. 66. R. Engbersen, "Nederland aan de monitor", Dutch Institute for
Care and Welfare, Utrecht 1997.
N. 67. M. Foucault, "Omnes et singulatim. Vers une critique de la raison
politique" in Id., "Dits et écrits", IV, Gallimard, Paris
1994, p.p. 134-161.
N. 68. Si tratta del rapporto di C. Lazergues, J.-P. Balduyck, "Réponses
à la délinquance des mineurs", cit.
N. 69. Il ministro della Sanità prosegue affermando: «Ma vi ricordo
che abbiamo fatto della sicurezza, della sicurezza del cittadino, una delle
notre bandiere, un punto qualificante della nostra linea politica. Lionel Jospin
ne ha parlato spesso. E' necessario garantire la sicurezza, ma lo si potrà
fare - come ha più volte ripetuto il Primo ministro - solo capendo che
cosa sta succedendo. "Non abbiamo a che fare con dei nemici"»
(servizio di trascrizione del canale televisivo T.F.1; corsivi di L. W.). E'
opportuno notare l'uso eufemistico dell'aggettivo «cittadino», spesso
chiamato in causa nei più diversi ambiti per dare una riverniciata democratica
e progressista a provvedimenti e politiche - in questo caso la distribuzione
ineguale delle forze dell'ordine «a favore» delle zone urbane che
subiscono maggiormente gli effetti del ridimensionamento dell'impegno economico
e sociale dello stalo - che al di là delle intenzioni dei proponenti
si rivelano intrinsecamente inegualitari nell'applicazione e nei risultati.
(Sulla stessa linea, una delle possibili traduzioni del termine angloamericano
«workfare» potrebbe essere «salario cittadino», visto
che la sua giustificazione risiede nell'esigenza di ricondurre il destinatario
dell'assistenza sociale alla comunità civica del lavoratori, sia pure
precari.)
N. 70. "Madamme Gulgou estime qu'il faut combiner répressif et éducatif",
in «le Monde», 19 gennaio 1999. Le motivazioni educative rappresentano
lo scontato alibi a cui ricorre un sedicente partito di sinistra (il P.S.) per
giustificare l'estensione dei mezzi e delle prerogative a disposizione dell'apparato
penale per procedere alla gestione della miseria. L'educazione a cui si fa riferimento,
in realtà, non svolge alcuna funzione preventiva (se non rispetto alla
recidiva) in quanto viene attivata dopo la condanna e sotto controllo giudiziario,
a prescindere dall'effettiva detenzione. Un'autentica attività di prevenzione,
diversamente, dovrebbe passare per la Pubblica istruzione, collocandosi quindi
a monte della deriva delinquenziale. Ciò esigerebbe tuttavia investimenti
ben superiori, e avrebbe senza dubbio una ricaduta mediatica di minor impatto.
N. 71. In «Libération», 4 gennaio 1999, p. 2.
N. 72. Confronta J. Duval, C. Gaubert, F. Lebaron, D. Marchetti, F. Pavis, "Le
«Décembre» des intellectuels français", Raison
d'agir, Paris 1998.
N. 73. R. Debray et al., "Républicains, n'ayons pas peur!",
cit., p. 13. Sul tropo della minaccia ["jeopardy"]: A. O. Hirschman,
"Retoriche dell'intransigenza. Perversità, futilità, messa
a repentaglio", il Mulino, Bologna 1991.
N. 74. Lo stesso Nixon aveva tratto la retorica del "Law and Order"
dai politici segregazionisti degli stati del Sud, che a loro volta la avevano
elaborata nel decennio precedente, per meglio procedere alla repressione del
movimento di rivendicazione dei diritti civili dei neri.
N. 75. «Constatare che i quartieri con maggiori problemi di violenza sono
quelli in cui l'immigrazione clandestina è più diffusa significa
forse cedere alle sirene del razzismo?» chiedono Régis Debray e
gli altri firmatari, come per assicurarsi che il lettore abbia ben chiaro chi
sono i principali fautori del disordine (repubblicano). In realtà alla
domanda non si può nspondere che in maniera affermativa, in quanto si
ha a che fare con una «constatazione» fondata su una proiezione
fantasmatica. In primo luogo, infatti, non esiste alcuna statistica attendibile
sull'immigrazione irregolare - e ancor meno dati scorporati per aree geografiche
- visto che il fenomeno per definizione tende a sfuggire alle quantificazioni
ufficiali. Inoltre, in Francia, la cartografia della povertà urbana e
quella dell'immigrazione non coincidono affatto. Così come non si sovrappongono
quelle della vio1enza e della povertà. Sulla base dei dati INSEE, i quartieri
più degradati a livello economico e di habitat non sono affatto quelli
più «colorati» di immigrati (più o meno irregolari),
né i più soggetti ad atti di delinquenza o a esplosioni di violenza
collettiva. Prima di fare certe affermazioni, quindi, sarebbe meglio tenere
conto di indicatori affidabili, anziché affidarsi ai titoli a cinque
colonne dei quotidiani o alle impressioni del telespettatore (Confronta N. Lenoir,
C. Guignard-Hamon, N. Smadja, "Bilan/perspectives des contrats de plan
de développement social des quartiers", La documentation française,
Paris 1989; OCDE, "An Exploratory Quantitative Analysis of Urban Distress
in OCDE Countries", OCDE, Paris 1997).
N. 76. In Francia, i condannati per questioni di droga sono la categoria più
numerosa fra i detenuti già giudicati. Rappresentano il 20 percento della
popolazione carceraria, e la loro percentuale è cresciuta continuamente
nel corso degli ultimi quindici anni (A. Kensey, P. Mauzet, "Analyse conjoncturelle
de la population détenue", in «Cahiers de démographie
pénitentiaire», 3, maggio 1997, p. 4).
N. 77. H. Tubex, S. Snacken, "L'évolution des longues peines de
prison. Sélectivité et dualisation", in C. Faugeron, A. Chauvenet,
P. Combessie a cura di, "Approches de la prison", cit., p.p. 221-224.
N. 78. Si potrebbe attirare l'attenzione di Debray e degli altri firmatari su
qualche recente condanna, che potrebbe incrinare il mito dell'impunità
totale e permanente. In seguito agli incidenti verificatisi a Strasburgo la
notte di San Silvestro del 1998, un giovane non pregiudicato si è preso
otto mesi di prigione, di cui quattro da scontare, per il semplice tentativo
d'incendio di un furgone a Schweighouse-sur-Moder; un altro dieci mesi, di cui
la metà da scontare, per aver rotto il vetro di un airbus e dato una
testata a un poliziotto a Koenigshoffen. Dopo gli incidenti di place de la Nation
che punteggiarono la manifestazione degli studenti del 15 ottobre 1998, un giovane
di ventisette anni, arrestato in un negozio di telefonia saccheggiato e trovato
in possesso di un cellulare rubato in un altro negozio e di una carta d'identità
presa da un'auto, si è visto comminare una condanna a dieci mesi da scontare
integralmente in quanto è stato definito «un delinquente che resta
delinquente». Nella stessa occasione, una ragazza di diciotto anni che
si era limitata a raccogliere alcuni pacchetti di sigarette dal marciapiede
dopo il saccheggio di un labaccaio, si è presa due mesi con la condizionale.
Come si può vedere, non si trattava certo di reati «fra i più
micidiali».
N. 79. J. Junger-Tas et al., "Delinquent Behavior Among Young People in
the Western World. First Results of the International Self-Report Delinquent
Sludy", Kugler, Amsterdam-New York 1994; M. Killias, "La criminalisation
de la vie quotidienne et la politisation du droit pénal", in «Revue
de droit suisse», 114,1995, p.p. 369-449.
N. 80. M. Ryan, "Prison Privatization in Europe", in «Overcrowded
Times», 7, 2, aprile 1996, p.p. 16-18; Id., "Private Prison",
in «The Manchester Guardian», 26 agosto 1998. Nel Regno unito, come
negli Stati uniti, il trattamento della delinquenza giovanile fin dalla fine
del diciannovesimo secolo è ampiamente affidato a operatori privati o
del terzo settore.
N. 81. W. Ludwig-Mayerhoffer, "The Public and Private Sectors in Germany.
Rethinking Developments in German Penal Control", in «International
Journal of the Sociology of Law», 24,1996, p.p. 273-290.
N. 82. K. Dixon, "Les évangélistes du marché",
cit.
N. 83. Prison Service, "Research Report n. 5", London, 1998; R. Morgan,
"Imprisonment: Current Concerns and a Brief History since 1945", cit.,
p.p. 1137-1194.
N. 84. D. McDonald, "Public Imprisonment by Private Means. The Re-Emergence
of Private Prison and Jails in the Unifed States, the United Kingdom and Australia",
in «British Journal of Criminology», 34, 1994.
N. 85. B. Williams, "The US New Right and Corrections Policy. The British
Example", in «The Social Worker/Le travailleur social», 64,
3, autunno 1996, p.p. 49-56.
N. 86 Il «clima penale» britannico, caratterizzato nell'ultimo decennio
da una deriva repressiva e penitenziaria particolarmente marcata, è descritto
da un autorevole esperto come un «ritorno all'atteggiamento severo tipico
dell'ideologia penale (e della legislazione sulla miseria) del diciannovesimo
secolo»: R. Sparks, "Penal «Austerity». The Doctrine
of Less Eligibility Reborn?", in R. Matthews, P. Francis, a cura di, "Prison
2000", MacMillan, London 1996, p.p. 74-93. La regressione a una penalità
di tipo vittoriano si accompagna alla regressione sociale e si nutre del sentimento
collettivo d'inquietudine e risentimento provocato dal deterioramento delle
condizioni di vita della classe operaia e dall'accentuarsi delle diseguaglianze.
N. 87. Ambito nel quale si distingue la Francia, in quanto nel momento in cui
la mendicità come reato scompare dal nuovo Codice penale, nel 1994, aumentano
decisamente gli arresti municipali volti a reprimerla: J. Damon, a cura di,
"Les S.D.F.", La documentation française, Paris 1996, p.p.
20-21; Id., "La grande pauvreté. La tentation d'une rue aseptisée",
in «Informations sociales», 60, 1997, p.p. 94-101.
N. 88. D. Garland, "The Limits of the Sovereign State. Strategies of Crime
Control in Contemporary Society", in «The British Journal of Criminology»,
36, 4, autunno 1997, p.p. 445-471; Id., "Les contradictions de la société
punitive. Le cas britannique", in «Actes de la recherche en sciences
sociales», 124, settembre 1998, p.p. 49-67. Come nota Claude Faugeron,
nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale «il penale ha assunto
sempre più un carattere polivalente, configurandosi come dispositivo
di gestione dei rischi individuali e sociali». Inoltre, all'interno del
ventaglio di possibili risposte penali, «il carcere si pone come riferimento
obbligato e prioritario, tanto da trasformarsi nel modo abituale per affrontare
i disordini sociali» (C. Faugeron, "La dérive pénale",
cit., p. 133,134).
N. 89 A parere di Robert Walker, si tratterebbe di un sistema di welfare settoriale
e stigmatizzante più simile a quello in vigore negli Stati uniti che
al modello quasi universale di protezione sociale tipico dei paesi dell'Europa
occidentale (R. Walker, "The Americanization of British Welfare. A case
Study of Policy Transfer", in «Focus», 123,1998).
N. 90. W. Young, M. Brown, "Cross-National Comparisons of Imprisonment",
in M. Tonry, a cura di, "Crime and Justice. A Revieu, of Research",
The University of Chicago Press, Chicago 1995. Secondo una ricerca ancora in
corso, le differenze fra i tassi di carcerazione dei vari paesi sarebbero dovute
sia al livello delle ineguaglianze economiche, sia al funzionamento delle istituzioni
politiche nazionali: D. Greenberg, "Punishment, Division of Labor and Social
Solidarity", comunicazione al Congresso mondiale dell'International Sociological
Association, luglio 1998).
N. 91. B. Western, K. Beckett, D. Harding, "Le marché du travail
et le système pénal aux Etats-Unis", in «Actes de la
recherche en sciences sociales», 124, settembre 1998, p.p. 27-35; Id.,
"How Unregulated is the US Labor Market?", cit.
N. 92. A.-M. Marchetti, "Pauvretés en prison", Cérès,
Ramonville Saint-Ange 1997, in particolare p.p. 129-165.
N. 93. Ead., "Pauvreté et trajectoire carcérale", in
C. Faugeron, A. Chauvenet, P. Combessie, a cura di, "Approches de la prison,
cit., p. 197; Ead., "Pauvretés en prison", cit., p.p. 185-205.
N. 94. M. Guilloneau, A. Kensey, P Mazuet, "Les ressources des sortants
de prison", in «Cahiers de démographie pénitentiaire»,
5, febbraio 1998.
N. 95. Confronta T. Bunyan, a cura di, "State watching the New Europe",
Statewatch, London 1993; J.-C. Monet, "Polices et sociétés
en Europe", La documentation française, Paris 1993; M. Anderson,
a cura di, "Policing the European Union", Clarendon Press, Oxford
1995; J. Sheptycki, "Transnationalism, Crime Control and the European State
System", in «International Criminal Justice Review», 7, 1997,
p.p. 130-140.
N. 96. D. Bigo, "Polices en réseaux. L'expérience européenne",
Presses de Sciences-po, Paris 1996, p.p. 12, 327; Id., a cura di, "L'Europe
des polices ef de la sécurité intérieure", Complexe,
Bruxelles 1992; M. Anderson et al., "Policing the European Union. Theory,Law
and Practice", Clarendon Press, Oxford 1995.
N. 97. Confronta A. Kuhn, "Populations carcérales. Combien? Pourquoi?
Que faire?", cit., p.p. 63-71; S. Snacken, K. Beyens, H. Tubex, "Changing
Prison Populations in Western Countries: Fate or Policy?", cit.. p.p. 3
7 -37. La politica di decarcerizzazione intrapresa in Germama è ben descritta
in: J. Feest, "Reducing the Prison Population in West German Experience",
in J. Muncie, R. Sparks, a cura di, "Imprisonment. European Perspectives",
cit., p.p. 131-145. Sulle cause politiche e culturali del decremento penitenziario
avvenuto in Finlandia: N. Christie, "Eléments de géographie
pénale", in «Actes de la recherche en sciences sociales»,
124, settembre 1998, p.p. 68-74.
N. 98. M. Mauss, "Les civilisations. Elements et formes", in Id.,
"Oeuvres", II, "Répresentations collectives et diversité
des civilisations", Minuit, Paris 1968, p. 470. Confronta la dimostrazione
di Pierre Tournier per quanto riguarda il caso francese: P Tournier, "La
populations des prisons est-elle condamnée à croître",
cit; in una prospettiva internazionale: N. Christie, "Eléments de
géographie pénale", cit.
N. 99. David Garland lo dimostra chiaramente per quanto riguarda l'Inghilterra
vittoriana: D. Garland, "Punishment and Welfare. A History of Penal Strategies",
Gower, Aldershot 1985.
N. 100. P. van Parijs, "Refonder la solidarité", Cerf, Paris
1996. I lavori del BIEN (Basic Income European Net vork) mostrano come l'instaurazione
di un «reddito di cittadinanza» incondizionato sia possibile dal
punto di vista fiscale, efficiente a livello economico e desiderabile dal punto
di vista civile e morale. L'unico autentico ostacolo sarebbe quindi la miopia
e l'assenza di volontà politica.