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Le origini del penitenziario Capitolo 7.
LE PRIGIONI, LO STATO E IL MERCATO DEL LAVORO, 1820-1842.


1. L'era di Peterloo lasciò nelle classi dirigenti inglesi uno spirito vendicativo, come dimostravano i continui attacchi al radicalismo. Mentre l'opposizione whig e i filantropi delle classi medie invocavano l'uso di misure concilianti, lord Sidmouth, ministro degli Interni, perseguiva una politica di vendette. Con il 1822 i radicali erano stati rinchiusi nelle carceri, messi in fuga o costretti ad agire clandestinamente (1). Un altro segno dell'umore delle classi dirigenti era costituito da un evidente indurimento dell'opinione pubblica nei confronti della questione della pena.
Durante gli anni Venti divenne comune, ad esempio, deridere «la falsa benevolenza» di Elizabeth Fry e della Prison Discipline Society. La Fry era, con sempre maggior frequenza, considerata un personaggio ben intenzionato ma ingenuo, stravolto dall'«idea errata» di attuare «riforme attraverso lo strumento della persuasione morale». Benché sia la Fry sia la società si preoccupassero di dimostrare che «non erano favorevoli a un'indebita indulgenza», si diffuse la convinzione che la loro filantropia avesse sminuito l'efficacia della detenzione.
In una contea dopo l'altra, i magistrati si convinsero, come disse un giudice di pace dello Staffordshire, «che nulla se non il terrore della sofferenza umana può riuscire a prevenire il crimine» (2). Un influente parlamentare tory, C. C. Western, espresse le idee di molti gentiluomini della contea quando nel 1821 disse che

«La verità è che le nostre carceri e le nostre case di correzione sono in genere considerate dai delinquenti di ogni strato sociale un rifugio sicuro e confortevole per quando la buona sorte li abbandona» (3).

Nel 1828 un comitato della Camera dei Comuni che investigava sulle cause del crimine, espresse, nel suo rapporto, il parere che il successo dei riformatori nel liberare le prigioni dall'orrore della sporcizia e delle malattie avesse compromesso il valore deterrente delle pene detentive. Il rapporto contestava inoltre la tesi della Prison Discipline Society sulla rieducazione dei detenuti quale principale funzione della pena: «Come semplici luoghi di emendamento, le carceri non hanno avuto successo; come semplici luoghi di emendamento esse non vanno tenute in considerazione» (4). Nel 1831 un magistrato del Wiltshire, parlando a una riunione di un comitato della Camera dei Comuni sulla questione delle pene, disse che «la condizione di prigioniero (è) oggi infinitamente preferibile a quella, mi dispiace dirlo, di gran parte dei contadini nei distretti meridionali e sud-occidentali di questo paese» (5).
Di conseguenza i magistrati si preoccuparono di rendere la detenzione «solitaria, scomoda e tediosa quanto la mente umana può sopportare» (6). L'irrigidimento della disciplina a Millbank dopo il 1818 testimonia una tendenza generale. George Holford, presidente del comitato di Millbank, venne rimproverato alla Camera dei Comuni e sulla stampa di gestire un «luogo d'ingrasso» (7). Le rivolte dei prigionieri di Millbank per il pane nel 1818 incrementarono il mito di un'amministrazione indulgente e debole e Holford, legato all'approvazione parlamentare per il controllo della situazione carceraria, cedette ben presto alle pressioni. Ogni tipo di lettura, anche gli opuscoli religiosi di Hannah More, fu vietato con il pretesto che costituiva un «divertimento» e distraeva i detenuti dalla riflessione sulle loro colpe (8). Le visite vennero ridotte a dieci minuti; un guardiano, munito di clessidra, si poneva tra il prigioniero e il suo visitatore con l'ordine di calcolare il tempo e ascoltare eventuali critiche contro la prigione. Nel 1820, dopo che Holford ebbe scoperto che i detenuti giocavano alla cavallina durante le ore di esercizio, furono fissate nuove norme che li obbligavano a camminare in silenzio e in coppia lungo un percorso circolare (9). Anche la dieta venne fortemente ridotta; nel 1817 i prigionieri ricevevano carne e verdure almeno una volta alla settimana. Nel 1822 il comitato di Millbank comunicò che le «liberali» razioni alimentari sarebbero state diminuite in considerazione delle «sostanziali riduzioni effettuate nelle diete di diverse carceri e case di correzione» (10). Nel 1823 i detenuti vivevano di una dieta uniforme di pane, farinata d'avena e minestra acquosa, fatta con il «collo e le cartilagini di bue». Una tale riduzione ebbe effetti disastrosi. «Quei ribaldi assassini ci stanno facendo morire di fame poco alla volta» mormorò un prigioniero alla madre nella sala delle visite, prima di essere trascinato in cella. Durante l'inverno del 1823 i detenuti cominciarono a soccombere al tifo, la dissenteria e lo scorbuto. Trentuno morirono e altri quattrocento vennero distrutti fisicamente prima che la prigione fosse temporaneamente chiusa e i restanti prigionieri graziati o inviati sulle prigioni galleggianti (11). Dapprima le autorità tentarono di celare le cause della tragedia. Durante l'inchiesta del "coroner" per la morte dei detenuti, una giuria del Middlesex rilasciò una dichiarazione di «morte per dissenteria provocata da dieta inadeguata», ma il "coroner" «fece comprendere ai giurati il malcontento che un tale verdetto avrebbe causato all'esterno» (12). La prigione aveva naturalmente dei nemici: proprietari convinti che la sua presenza stesse abbassando il valore delle loro case, oppositori al regime di isolamento e i poveri che ne paventavano la pericolosità per la salute del circondario (13). Per proteggere l'amministrazione contro questi elettori, la giuria si piegò agli argomenti del "coroner" e mutò la dichiarazione in quella di morte accidentale.
Tuttavia alla fine Holford e il comitato di Millbank furono costretti a spiegarsi davanti a un comitato d'inchiesta della Camera dei Comuni che, con la sua relazione, provò l'esistenza di un nesso fra la riduzione della dieta e la morte dei detenuti. Si osservò inoltre che «le depressioni di spirito», provocate dall'isolamento, avevano agito quale «causa morale» dell'epidemia, rendendo i prigionieri più sensibili alla malattia (14). Quando Millbank venne nuovamente aperta nel 1824, l'isolamento fu in parte allentato, i periodi di detenzione abbreviati e alla dieta di pane, acqua e farinata fu aggiunto un brodo reso più sostanzioso da concentrato di manzo e verdure. L'esperimento compiuto dal comitato di Millbank con l'applicazione di misure atte a terrorizzare i detenuti era stato eccezionale, ma non anomalo. A propria difesa esso sostenne di aver ridotto la dieta in risposta alla generale riduzione operata nelle carceri di tutto il paese. Nello sforzo di contenere l'aumento delle condanne dopo il 1816, magistrati di contea e di distretto avevano introdotto diete di pane e acqua e proibito la fornitura di cibo dall'esterno. All'inizio degli anni Quaranta la riduzione nelle diete dei carceri aveva raggiunto un punto tale che il ministro degli Interni aveva ritenuto necessario mettere in guardia i giudici di pace contro l'uso di diete ridotte «come strumenti di pena» (15).
Oltre a questo provvedimento, la magistratura introdusse anche la ruota a pedali. Si è debitore della sua invenzione a Samuel Cubitt, uno dei fondatori della gigantesca impresa edile che oggi porta il suo nome. I giudici della sua natia Ipswich non riuscivano a trovare una forma di lavoro forzato che agisse come deterrente sui loro prigionieri; Cubitt escogitò un enorme cilindro ruotante cui erano applicati gradini, come le assicelle di un'elica (16). I detenuti salivano i gradini della ruota, facendola girare con i piedi mentre si reggevano a una sbarra per tenersi diritti. In genere la ruota veniva fatta girare a circa quarantotto o cinquanta passi al minuto. Alcune erano adattate per macinare grano o sollevare acqua, ma la maggior parte non facevano altro che «macinare aria». Secondo l'influente pubblicista Sydney Smith, l'inutilità totale della ruota era di per sé una forma salutare di pena:

«Bandiremmo tutti i telai dalla prigione di Preston e li sostituiremmo solo con la ruota o l'argano, o qualche altro tipo di meccanismo con cui il lavoratore non possa vedere i risultati della propria fatica e tale che sia il più monotono, noioso e deprimente possibile...» (17).

I giudici espressero per la ruota un entusiasmo senza limiti. Uno di loro osservò che essa costituiva, «la punizione più tediosa, angosciosa e salutare che fosse mai stata escogitata dall'ingegno umano» (18). Pubblicizzata dapprima in un rapporto del 1818 della Prison Discipline Society, nel 1824 la ruota era già diffusa in ventisei contee (19). In molte istituzioni girava per dieci ore al giorno, con turni di venti minuti seguiti da venti di riposo. Nel loro entusiasmo, i magistrati non risparmiarono nessuno, costringendo alla ruota donne incinte, vagabondi storpi con gambe in cattivo stato e operai con l'ernia. L'aborto di diverse donne e il collasso di persone anziane provocarono l'adozione di un più attento esame medico e una selezione dei detenuti messi alla ruota.
A Leicester e Swaffham, la macchina uccise tre prigionieri, schiacciandoli e maciullandoli fra i suoi meccanismi (20). Incidenti simili tuttavia non impedirono ai magistrati di manifestare la loro calorosa approvazione della macchina. Essi le attribuivano il merito di aver posto un freno ai crimini di «vagabondi, braccianti agricoli disobbedienti e altri delinquenti minori» (21). La ruota restò, fino agli anni Settanta, una delle umiliazioni imposte ai poveri d'Inghilterra. Durante gli anni Cinquanta vi erano vagabondi che potevano calcolare il tempo speso sullo «scorticatoio» misurandolo in anni della loro vita.
Oltre all'imposizione di dieta a pane e acqua e all'introduzione della ruota, questo periodo vide l'allargamento del regime del silenzio. I riformatori degli anni Ottanta del secolo precedente non si erano espressi chiaramente al proposito. Il silenzio era considerato un prerequisito essenziale alle meditazioni dei prigionieri nelle loro celle, ma non venne imposto durante le ore di esercizio o di lavoro comune. A Millbank i prigionieri avevano almeno il permesso di mormorare fra loro in vicinanza delle celle e nei cortili. Il Gaol Act del 1824 non includeva il silenzio tra i provvedimenti disciplinari (22). Nelle officine comuni dei penitenziari americani di Auburn e Sing Sing tuttavia il silenzio totale costituiva un fattore essenziale del sistema disciplinare e dopo il 1830 il loro esempio venne seguito anche in Inghilterra.
Una delle prime carceri inglesi ad adottare il silenzio assoluto fu la casa di correzione di Coldbath Fields a Londra, dove, nel 1834, vennero proibiti tutti i discorsi e i gesti fra detenuti. Nel 1835 diciannove contee introdussero norme simili (23). A Coldbath Fields il direttore, G. L. Chesterton, riferiva con orgoglio:

«I prigionieri sono tenuti giorno e notte sotto un controllo continuo e occulto e nei dormitori le luci restano accese tutta la notte e vi sono turni di guardia notturni; ogni movimento dei detenuti viene fatto in modo da evitare che volgano il viso gli uni verso gli altri; essi si muovono solo in fila indiana» (24).

Per far rispettare le nuove norme vennero assunte altre guardie di modo che ve ne fu una per ogni venti detenuti invece di una ogni quaranta come in passato (25). Con l'introduzione del sistema del silenzio il direttore del carcere e il personale di custodia iniziarono una lotta durissima contro quel che sopravviveva della subcultura carceraria. Il numero delle punizioni comminate per trasgressioni alle norme disciplinari crebbe paurosamente da una ogni 191 detenuti nel 1825 a una ogni 3,4 nel 1835 (26). Ferri, pane e acqua, celle sotterranee e frusta punivano qualsiasi tentativo di parlare o protestare. I detenuti tuttavia si dimostrarono molto testardi e ricchi di inventiva; venne escogitato un codice di segnali, tipico delle prigioni, fatto di ammiccamenti, segni con le mani e colpi sulle condutture e questo alfabeto clandestino divenne una delle eredità culturali della malavita londinese (27). Dopo un deciso tentativo di impedire completamente qualsiasi «associazione», Chesterton e le sue guardie si rassegnarono a vegliare su di un silenzio che in realtà aveva un suo linguaggio segreto.
Il regime del silenzio, la dieta a pane e acqua e la ruota segnarono le diverse tappe nel rafforzamento della disciplina carceraria dopo il 1820. Alla fine di questo processo stava Pentonville. La Prison Discipline Society nel complesso si adattò a questo rinnovato ciclo di severità, ma alcuni riformatori della vecchia generazione guardavano sospettosi a questo modo di concepire la disciplina carceraria. Nel 1835, ad esempio, Elizabeth Fry mise in guardia un comitato della Camera dei Lord per le prigioni contro un uso eccessivo della ruota, della dieta a pane e acqua e dell'isolamento troppo rigoroso e confessava: «Sotto questo aspetto, penso che vi sia più crudeltà nelle nostre carceri di quanto ne abbia mai vista in passato» (28).

2. L'incremento nell'uso di misure deterrenti faceva seguito all'aumento del tasso di criminalità. Il numero di maschi processati alle assise e alle sessioni trimestrali per delitti gravi salì da 170 per ogni 100000 abitanti nel 1824 a 240 nel 1828 e a 250 nel 1830. Dopo una pausa dal 1830 al 1835, il tasso ricominciò a salire, raggiungendo l'apice nel 1842, anno in cui fu inaugurata Pentonville, con 326 persone sotto processo su 100000 abitanti (29).
Il numero di persone rinchiuse in carcere per crimini minori aumentò ancor più rapidamente. Ad esempio, a Londra e nel Middlesex il numero di persone rinviate a giudizio per delitti minori aumentò di più del doppio fra il 1814-1821 e il 1822-1829, mentre il numero di persone rinviate a processo crebbe soltanto del 28% (30). A livello nazionale, le persone rinviate a giudizio per vagabondaggio crebbero del 34% fra il 1826 e il 1829 e del 65% fra il 1829 e il 1832, più del doppio del tasso di incremento dei delitti più gravi (31).
Durante gli anni Quaranta perciò i delinquenti minori (vagabondi, bracconieri, ladruncoli, disturbatori e ubriachi abituali) ammontavano a più della metà della popolazione carceraria, mentre i detenuti in attesa di giudizio o quelli che scontavano condanne per delitti gravi rappresentavano solo il 25%; il resto era costituito da disertori e debitori (32). Il rafforzamento della disciplina carceraria era quindi finalizzato soprattutto alla repressione della delinquenza minore e dei delitti collegati al mondo del lavoro: vagabondaggio, allontanamento dal lavoro, distruzione di utensili, furto di legname e di prodotti dei campi, abbandono del tetto coniugale, ubriachezza molesta, condotta sregolata, bracconaggio e risse. Tentando di spiegare questo tipo di delinquenza, i magistrati degli anni Venti ponevano l'enfasi sulla corruzione dei braccianti agricoli.
I coltivatori che testimoniarono davanti al Committee on Criminal Committals nel 1826 ammettevano che il carattere occasionale che sempre più di frequente il mercato del lavoro rurale stava assumendo, costituiva una delle cause dell'aumento della criminalità. Le «migliorie» accrescevano la domanda di mano d'opera non specializzata per scavare fossi, prosciugare campi e piantare siepi, ma il lavoro era sempre più stagionale e temporaneo. Siccome i lavoratori non erano più alloggiati e nutriti dai loro datori di lavoro durante la stagione morta, le prigioni rurali si riempivano, nei mesi invernali, di giovani lavoratori celibi; questi seguivano le squadre addette al raccolto fino all'autunno e poi rubavano pollame per essere condannati a un periodo di detenzione presso qualche casa di correzione quando non potevano più trovare lavoro (33).
L'abolizione della «residenza» ovviamente serviva gli interessi dei datori di lavoro nelle campagne, che pure, in molti casi, comprendevano la necessità di mantenere un efficace controllo sociale sui lavoratori che non vivevano più presso di loro:

«I servitori non vivono più nella fattoria e non son più tenuti in soggezione come si usava fare, ma vivono piuttosto a casa con i genitori e sono padroni di se stessi; di conseguenza vanno dove vogliono e non possono essere costretti a tenere una buona condotta... Oggi nelle fattorie non è più possibile accoglierli come si faceva in passato... Le mogli dei fattori non amano avere per casa due o tre servitori cui dover badare e una delle ragioni sta nel fatto che i braccianti sono educati male e la loro condotta morale è viziosa... Non vi è attaccamento fra datore di lavoro e lavoratori come vi era in passato; essi paiono piuttosto seguire interessi differenti» (34).

Alcuni dei fattori che stavano cintando terre comuni, consolidando possedimenti e scacciando i piccoli affittuari riconoscevano che tali misure comportavano costi sociali. Un agricoltore dell'Huntingdonshire ammetteva che la recinzione dei terreni comuni in un villaggio vicino aveva costituito un «torto» verso la «povera gente che teneva una mucca o due» sul pascolo comune. Altri riconoscevano che l'eliminazione dei piccoli possedimenti e il graduale allontanamento dei piccoli affittuari aveva distrutto i sogni di indipendenza che avevano stimolato l'industria a domicilio (35).
Durante gli anni Venti il crimine venne ripetutamente definito soprattutto un problema rurale, un segno della rottura del «vincolo di unione che esisteva in passato fra il lavoratore e il suo datore di lavoro» (36). Anthony Collett, un pastore del Suffolk meridionale, riferì a un comitato della Camera dei Comuni nel 1842 che per quanto si ricordava, le due classi avevano sempre considerato «identici i propri interessi». I «contadini allora lavoravano per anni, perfino per un'intera vita, sulla stessa terra; erano considerati parte dell'impresa, si rallegravano per la prosperità del padrone e si rammaricavano per le sue sventure». Ora, invece «il lavoratore è... in genere un semplice bracciante a giornata o uno stagionale; ed è licenziato, quando il suo compito termina, e deve cercare mezzi di sussistenza precari tramite altri lavori, se ne può trovare, o rivolgersi altrimenti all'assistenza parrocchiale. Tutto ciò ha causato molto rapidamente la corruzione degli strati inferiori e, se lo scarso contributo concesso per tenersi in vita ha condotto alla disperazione coloro che hanno sentimenti di onestà, ha trasformato in bracconieri, ladri e rapinatori coloro che sono maggiormente privi di principi» (37).
Dieci anni dopo, in seguito alle rivolte contadine del 1830 che sconvolsero le contee meridionali, Edwin Chadwick citò la testimonianza di Collett nel Poor Law Report del 1834, aggiungendo un'annotazione significativa:

«Eppure queste parole furono dette nel 1824, in un periodo al quale quanti hanno assistito agli avvenimenti del 1830 nei distretti sconvolti... devono guardare come a un'era di relativo conforto» (38).

Secondo Chadwick e Collett le cause della criminalità nelle campagne e delle rivolte del 1830 andavano ricercate «fra quelle bande che non hanno quasi altro impiego o divertimento che raccogliersi in gruppo (in squadre poste al lavoro nelle strade o nelle birrerie) e parlare delle proprie sventure» (39).
I salari bassi erano ovviamente il soggetto più frequente di queste lagnanze. Pur accettando le dichiarazioni degli agricoltori secondo i quali la sovrapopolazione e la depressione nel commercio del grano non lasciavano loro altre scelte che un abbassamento dei salari o il ricorso a mano d'opera sussidiata dall'assistenza pubblica, la maggior parte dei magistrati e degli ecclesiastici faceva notare quanto fossero elevati i costi sociali in termini di criminalità, corruzione e disordini. Come ebbe a dire nel 1824 il reverendo Philip Hunt, un magistrato di Bedford,

«Un lavoratore non può risparmiare denaro per il giorno in cui desidera sposarsi; a stento può concedersi qualche momentanea gratificazione senza dover ricorrere a altri mezzi che non siano il lavoro; e nella contea in cui vi sono molte riserve di caccia, la risorsa rappresentata dal bracconaggio gli viene subito in mente. Se è scoperto, non può pagare l'ammenda e quindi è inviato in prigione...» (40).

Fra le cause dei bassi salari, oltre al crollo dei prezzi e alla sovrapopolazione, venivano messe anche le stesse leggi sui poveri. Certi che la parrocchia avrebbe mantenuto i salari a livelli di sussistenza, i datori di lavoro li riducevano, assumendo quindi i poveri sovvenzionati dalla parrocchia invece di braccianti con contratto a lungo termine. L'usanza di assistere i poveri contribuiva in tal modo a indebolire i vincoli fra agricoltori e braccianti:

«Il coltivatore, trovandosi fornito di più mano d'opera di quanta ne necessiti, tenta naturalmente di economizzare, licenziando quei braccianti di cui ha meno bisogno e servendosi della mano d'opera fornita dalla parrocchia, mentre fino ad allora aveva dovuto assumersene i costi... Il bracciante regolare e che lavora con zelo, assunto in base a un contratto dal padrone, è trasformato nell'assistito degradato e inefficiente della parrocchia» (41).

Contemporaneamente, secondo magistrati ed ecclesiastici, la consapevolezza che esisteva l'assistenza pubblica erodeva qualsiasi incentivo all'operosità che pur poteva sopravvivere in un'economia a bassi salari. Ne derivava che le persone abili erano «trascurate nel lavoro e dissolute nelle ore di riposo». Nelle squadre al lavoro sulle strade della parrocchia, i lavoratori si appoggiavano agli attrezzi o si inoltravano nei boschi vicini per rubare legna da ardere o nei campi a rubare rape, fingendo di lavorare solo quando passava un coltivatore o un sorvegliante (42). Sempre scontenti, sempre in lite con sorveglianti e coltivatori sul proprio diritto all'assistenza, i braccianti persero gradualmente il rispetto per le classi sociali superiori e le loro proprietà. In tal modo si era rimosso qualsiasi freno al crimine.
Molti comitati d'inchiesta sulle cause del pauperismo e sulla criminalità avevano concentrato la propria attenzione, durante gli anni Venti, sui distretti rurali, pur rilevando una simile rottura nei rapporti fra padroni e servitori anche nelle aree industriali. Alla fine di questo decennio alcuni magistrati preoccupati cominciarono a riscoprire le possibilità disciplinari offerte dagli statuti di apprendistato, lasciati cadere in disuso nell'interesse di un libero mercato del lavoro. John Eardley Wilmot, presidente delle sessioni trimestrali del Warwickshire, imputò la delinquenza minorile a Birmingham alla scomparsa di quella paterna sorveglianza che i padroni esercitavano sui loro giovani apprendisti:

«In passato l'apprendista era alloggiato nella casa del padrone; era considerato uno della famiglia ed aveva alloggio, vitto ed educazione dal padrone che doveva rispondere della sua condotta; ora il padrone ha dieci o dodici apprendisti e forse non li vede mai. Essi lavorano... e quindi possono andare dove vogliono e sappiamo che la notte per i ragazzi è il momento peggiore per essere padroni di sé e di conseguenza diventano tutti ladri» (43).

Un'elegia della disciplina paternalistica esercitata nelle piccole officine artigiane si trova anche negli attacchi contro i proprietari di fabbriche con macchine a vapore delle città industriali, i quali non si facevano scrupolo di gettare sulla strada i loro operai ogni volta che diminuiva la domanda. Si contrapponevano loro nostalgicamente i datori di lavoro delle manifatture rurali, con macchinari azionati ad acqua, degli anni Ottanta del secolo precedente, i quali avevano fornito agli operai case, scuole e la garanzia di un lavoro regolare. I datori di lavoro degli anni Venti invece si disinteressavano di ciò che facevano i loro operai una volta che avevano lasciato la fabbrica alla fine della giornata. Come faceva l'agricoltore che introduceva migliorie, essi lasciavano alla parrocchia o alla prigione il compito di allevi re la miseria dei disoccupati e di controllare i giovani (44).
Per quanto riguardava città come Londra, prive di una forte presenza industriale, i comitati d'inchiesta definirono il problema della criminalità in termini differenti. In questo caso le cause andavano ricercate nell'incapacità di una struttura tradizionale - fortemente frammentaria e inefficiente, che impiegava forza-lavoro in piccole botteghe, attività artigianali e lavoro nero a domicilio - di garantire un lavoro regolare a un numero sempre crescente di lavoratori non specializzati (45). Ne conseguiva una forte concentrazione nelle poche attività, particolarmente nei commerci di strada, in cui era facile introdursi.
Mancando uno studio dettagliato del mercato del lavoro londinese, è impossibile documentare il rapporto fra criminalità e condizioni d'occupazione nei tre decenni che seguirono le guerre napoleoniche (46). E' chiaro tuttavia che, dopo il 1816, le classi medie si rendevano conto dell'esistenza di una popolazione giovanile sottoccupata e semivagabonda che custodiva cavalli per i gentiluomini, tirava carri o vendeva giornali. Il comitato per l'investigazione sulla delinquenza minorile del 1816 aveva scoperto che un gran numero di questi giovani dormiva ammucchiato sotto delle carrette nei portici di Covent Garden. Come si è visto, gli evangelici e i quaccheri presenti nel comitato consideravano la loro esistenza un segno dell'erosione della disciplina familiare e del fallimento della tradizionale struttura artigianale nel provvedere un lavoro regolare. Sullo sfondo di questa scena i magistrati e gli uomini politici che formularono una politica giudiziaria e assistenziale nei confronti dei poveri durante gli anni Venti, tentarono di comprendere le cause dell'incremento dei procedimenti penali. Il crimine era interpretato come manifestazione di una continua crisi nella disciplina del mercato del lavoro e nei rapporti di classe, specialmente nei distretti rurali del sud, ma anche in aree industriali e nel mercato del lavoro minorile della capitale. Anche quei coltivatori e quegli industriali che avevano tutto da guadagnare dall'eliminazione dei rapporti paternalistici, dall'introduzione di macchinari che riducevano la mano d'opera e dall'abbassamento dei salari, erano preoccupati per i costi sociali di queste misure che si traducevano in un aumento della criminalità e del pauperismo. Come i filantropi che durante gli anni Settanta del secolo precedente si erano preoccupati dell'azione corrosiva del «lusso», i loro successori del decennio 1820-1830 si rendevano perfettamente conto della contraddizione esistente fra la loro ansia per una società stabile e il desiderio di trasformare le basi economiche e tecnologiche del proprio rapporto con le classi inferiori. La violenza stessa di tale trasformazione minacciava le fondamenta della loro egemonia.
Il dilemma sorgeva dalla necessità di perseguire la trasformazione in senso capitalistico della società senza distruggerne la stabilità. Eric Hobsbawm e George Rudé hanno espresso assai bene questo punto in "Rivoluzione industriale e rivolta nelle campagne":

«Nel periodo della rivoluzione industriale vi fu una contraddizione fondamentale nel cuore della società inglese. I suoi governanti volevano che fosse capitalistica e stabile, tradizionale e gerarchica; volevano, in altre parole, che fosse retta dal libero mercato universale auspicato dagli economisti liberali (necessariamente, un mercato della terra e degli uomini così come delle merci), ma solo fin dove piaceva a nobili, "squires" e fittavoli; sostenevano un'economia che implicava classi fra loro antagoniste, ma non volevano che essa distruggesse una società gerarchicamente ordinata» (47).

In questo contesto va collocata l'introduzione della ruota, del regime di silenzio e della dieta a pane e acqua. La severità di tali provvedimenti rifletteva il desiderio dei magistrati e degli uomini politici degli anni Venti di ricostituire un'economia di mercato che, come ricordavano nostalgicamente, nel passato si era basata sulla stabilità sociale.
Essi comprendevano inoltre che, in un libero mercato del lavoro, lo stato avrebbe dovuto assumere funzioni disciplinari in precedenza assolte da datori di lavoro «paternalistici». Durante gli anni Venti vennero perciò adottate misure che dovevano rendere più facile per i datori di lavoro affidare ai giudici di pace locali l'applicazione della disciplina. Quattro nuove leggi, approvate fra il 1824 e il 1831, diedero ai giudici di pace l'autorità di giudicare casi di aggressione, bracconaggio, violazione dolosa, e danni recati a proprietà, come pure certe categorie di furti minori (48). Si evitò in tal modo di accollare a chi sporgeva denuncia le spese e i rinvii che i processi con giuria comportavano. Alcuni osservatori contemporanei si trovarono d'accordo nel ritenere che le nuove leggi contribuivano ad aumentare la frequenza di processi per delitti minori. Il comitato sulla criminalità nelle campagne, per esempio, si sentì dire, nel 1828, che gli agricoltori, i quali avevano l'abitudine di battere i propri servitori colpevoli di cattiva condotta, ora li portavano davanti a un giudice perché facesse loro provare la ruota. I bambini che in genere erano «castigati immediatamente» per aver rubato delle mele, venivano ora trascinati davanti a un giudice che li ammoniva o li puniva (49).
Questa nuova forma di severità nei confronti di delitti minori, fu accompagnata da provvedimenti intesi a migliorare l'azione della polizia, specialmente a Londra. Il difetto che più di frequente veniva imputato al vecchio corpo dei poliziotti di Bow Street, alle guardie volontarie e ai mazzieri parrocchiali che pattugliavano le strade di Londra prima del 1828, era che essi ignoravano i delinquenti minori poiché il loro arresto non procurava alcuna ricompensa. Come disse nel 1816 un magistrato indignato, i poliziotti di Bow Street tendevano a considerare i ladruncoli dei covi e delle case di tolleranza di Saint Giles come selvaggina in una riserva, sorvegliandoli e curandoli finché fossero diventati abbastanza importanti da giustificare lo sforzo di catturarli (50).
Il nuovo corpo di polizia venne istituito nel 1828 proprio per catturare la selvaggina minore. L'85% degli arresti che esso effettuò negli anni Trenta era costituito da vagabondi, prostitute, ubriachi, disturbatori della quiete pubblica e aggressori, mentre solo il 15% era costituito da delinquenti accusati di delitti passibili di processo, per la maggior parte ladri e borsaioli (51).
Sebbene la nuova polizia non avesse maggior successo di quella precedente nel prevenire o scoprire svaligiamenti, scassi e altri delitti gravi, il suo operato rivoluzionò l'applicazione della legge contro vagabondi e ubriachi (52). Infatti per impedire che i tribunali fossero sovraccarichi di casi di ubriachezza, i magistrati dovettero insistere perché la polizia potesse arrestare solo le persone che intendeva accusare e perseguire formalmente. Nel caso del vagabondaggio, le denunce fra il 1829, anno in cui venne costituito il nuovo corpo di polizia, e il 1832, anno in cui esso raggiunse il pieno delle forze, crebbero nel Middlesex del 145% (53).
L'effettivo incremento del tasso di criminalità dopo il 1828 e il cresciuto numero di arresti per crimini minori attuati dalla polizia provocarono un forte sovraffollamento nelle prigioni londinesi. Due di queste dovettero raddoppiare la propria capienza per far fronte alla situazione; quattrocento nuove celle furono aggiunte alla casa di correzione di Westminster, mentre il vasto edificio di Coldbath Fields, che nel 1825 poteva ospitare seicento detenuti, nel 1832 (54) ne ospitava 1150.
La «Steel» divenne la più grande prigione d'Inghilterra, un enorme complesso di celle, officine, ruote, dormitori e mense stipate all'interno delle mura costruite nel 1794. Ogni anno passavano attraverso i suoi portoni più di mille vagabondi, mendicanti, disturbatori della quiete pubblica, ubriachi e ladruncoli e molti di loro vi entravano solo perché erano poveri. Il giornalista Henry Mayhew scoprì nel 1851 che il 48,1% della popolazione di Coldbath Fields vi era stata rinchiusa per non aver potuto pagare le ammende comminate dal giudice di polizia (55). I poveri di Londra giunsero a conoscere bene le sue amache, i suoi rumorosi recinti per le visite, la sua ruota e le sue brodaglie.
L'introduzione del regime del silenzio a Coldbath Fields, nel 1834, può essere considerato un aspetto del generale assalto contro la delinquenza minore fra i poveri della capitale. Commentando questo fenomeno nel 1851, Mayhew scriveva con giustificabile esagerazione:

«Oggi è quasi impossibile che un povero eviti il carcere. Un passo falso mentre cammina per strada può far sì che egli rompa un vetro e quindi, se non può pagare il danno, si guadagna l'ammissione al carcere. Un vetturino protesta con il suo passeggero, un venditore ambulante nel desiderio di guadagnarsi onestamente da vivere ostruisce il passaggio, uno spazzacamino lancia il proprio richiamo per la via, uno spazzino suona la campanella o qualcun altro commette una serie di piccole trasgressioni con il risultato di dover andare in carcere, indossando un'uniforme e facendo il lavoro dei delinquenti» (56).

Tuttavia anche i poveri beneficiavano di una più rigida applicazione della legge, nella misura in cui erano essi stessi vittime della criminalità. Dopo tutto, la nuova forza di polizia non arrestava solamente l'uomo che aveva visto arrampicarsi su una casa di Grosvenor Square, ma anche chi aveva visto rubare biancheria stesa in Brick Lane. Se la polizia avesse protetto solo i datori di lavoro e i ricchi, sarebbe stato impossibile introdurla nelle vie di Londra. I primi commissari, Rowan e Mayne, si rendevano perfettamente conto che l'efficacia della polizia dipendeva dalla possibilità di assicurarsi in qualche modo la cooperazione riluttante dei membri «rispettabili» delle classi lavoratrici. L'applicazione del Police Act (definito dai burloni Breathing Act perché nelle sue molteplici clausole si poteva trovare la giustificazione per arrestare chiunque per il semplice fatto che respirava) non fu mai tanto rigorosa quanto si potrebbe pensare (57). I magistrati e i sovrintendenti di polizia comprendevano, ad esempio, che la caccia spietata contro le trasgressioni delle classi popolari poteva essere controproducente se troppe persone povere si abituavano a vivere in prigione. Come disse uno di loro nel 1836, «Il solo fatto di essere mandato in carcere può verosimilmente privare un uomo della più efficace forma di ritegno morale, il timore di essere additato come criminale davanti ai suoi simili» (58).
I magistrati si preoccupavano in particolare degli effetti «criminalizzanti» che brevi periodi di detenzione potevano avere sui giovani. Un giudice di Londra ricordò ad esempio negli anni Trenta la carriera carceraria da primato di un certo Thomas McNelly di quattordici anni:

«1836
15 aprile: Per rottura premeditata di diversi riquadri di vetro, Chiesa di Saint Saviour
7 giorni.
30 aprile: Per aver dormito all'aperto a Saint Olave
Rilasciato.
29 maggio: Per aver rubato 7 chili di carbone da una barca
1 mese.
6 luglio: Per aver rubato una borsa contenente spazzole
3 mesi.
17 novembre: Per aver rubato 2 fascine di legna
Rilasciato.
23 dicembre: Per aver rubato carote da una chiatta
14 giorni.
1837
31 gennaio: Per aver rubato un pezzo di formaggio da un negozio in Saint Saviour
3 mesi.
29 aprile: Per aver rubato un paio di mutandoni a Bermonsdey
1 mese».

La sensibilità dimostrata di fronte ai rischi di trasformare in criminale un ragazzo come Thomas McNelly fa comprendere meglio i motivi che stavano alla base della nuova strategia contro le forme minori di disordine sociale. Sebbene fosse studiata per dividere ulteriormente i «criminali» dalle persone «rispettabili» delle classi lavoratrici, questa strategia colpiva tutta la mano d'opera avventizia momentaneamente disoccupata. Le condanne a brevi periodi detentivi comminate dai tribunali di polizia riunivano nelle stesse stanze in cui si lavorava la stoppa e negli stessi dormitori di Coldbath Fields delinquenti abituali e giovani sorpresi a rompere vetrate di chiese, i rivoltosi londinesi e il venditore ambulante delle vie di Londra che scontava l'ammenda inflittagli per ubriachezza molesta. I magistrati potevano solo sperare che l'imposizione del silenzio totale a Coldbath Fields servisse a ridurre i rischi di questa pericolosa fraternizzazione.

3. Oltre al rafforzamento della disciplina carceraria e al rinnovamento delle forze di polizia, venne centralizzata anche l'amministrazione delle prigioni. Nel 1831 la Prison Discipline Society e i suoi sostenitori in parlamento convennero che le misure di centralizzazione avviate dal Gaol Act non erano sufficienti. Molti distretti erano stati esentati dall'applicare le sue clausole e, sui 130 che avevano ricevuto la richiesta di sottoporre rapporti annuali al ministero degli Interni, solo ottanta avevano risposto. Il ministero degli Interni a sua volta non aveva neppure autorità sufficiente per ordinare la chiusura delle piccole prigioni delle cittadine di provincia dove più frequenti erano gli abusi.
Mancava insomma un'uniformità nella disciplina carceraria nelle varie contee; alcune tenevano i vagabondi alla ruota per quattro ore al giorno, altre per dieci; alcune davano carne solo una volta la settimana, altre passavano solo pane e acqua. La Prison Discipline Society, rilevando il crescente carattere nazionale del mercato del lavoro e le enormi distanze che la gente era costretta a percorrere alla ricerca di impiego, espresse nei suoi rapporti la preoccupazione che i lavoratori itineranti si riunissero in contee dove era garantita una «condanna leggera», sotto forma di un periodo da trascorrere in carcere.
Samuel Hoare e William Crawford, membri della società, chiesero l'istituzione di un ispettorato nazionale alle carceri, quale unico mezzo per combattere l'inevitabile tendenza della disciplina carceraria a divenire una serie di abitudini fiacche e distratte. Essi citarono l'esempio dell'ispettorato carcerario irlandese, costituito nel 1833, e le commissioni sulle leggi sui poveri del 1834 quali precedenti di un intervento governativo nell'amministrazione locale (60). Nel 1835 un ispettorato venne finalmente istituito, ma i suoi poteri restarono assai limitati; per non limitare le prerogative della magistratura, agli ispettori si conferì solamente il potere di rendere pubblici gli eventuali abusi e non di chiudere le prigioni o di ordinare dei mutamenti. Di conseguenza i loro rapporti sono una serie di lagnanze. Molte delle consuetudini che Howard aveva denunciato cinquant'anni prima erano ancora in vigore nelle piccole carceri di distretto e nelle prigioni londinesi. Howard, ad esempio, avrebbe riconosciuto la scena descritta in un rapporto steso dagli ispettori sul Giltspur Street Compter di Londra nel 1841:

«Guardando attraverso uno spioncino, vedemmo un gruppo di detenuti che giocavano a testa e croce; altri erano stesi sui letti e si divertivano a guardarli. Richiamammo l'attenzione del direttore che vide egli stesso i prigionieri giocare. Pareva che essi fossero tanto poco abituati ad essere sorvegliati da non rendersi conto che li stavamo osservando; e finché la porta del reparto non venne aperta e noi entrammo nella stanza, essi continuarono con il loro gioco» (61).

Le malattie mietevano meno vittime che ai tempi di Howard e si tentava con maggior sollecitudine di applicare le condanne ai lavori forzati, ma i detenuti non erano costretti a dormire in celle singole, le libere riunioni nei cortili durante il giorno erano tollerate e in uno o due posti i prigionieri riscuotevano ancora esazioni dai nuovi venuti (62).
Gli ispettori evitarono con cura qualsiasi accusa diretta contro i giudici di pace, ma la loro documentazione sugli abusi contribuì a diminuire il favore che in parlamento ancora si dimostrava per le tradizioni di amministrazione locale. Gli ispettori furono così in grado di accrescere i propri poteri. All'inizio degli anni Quaranta, essi davano la loro approvazione a progetti edilizi, alle diete e a proposte di isolare detenuti che i magistrati sottoponevano alla loro attenzione (63). La costituzione di un ispettorato istituzionalizzò il movimento di riforma. Con la nomina a ispettori di Whitworth Russell, che era stato cappellano a Millbank, e di William Crawford, affarista londinese e membro della Prison Discipline Society, la società stessa diminuì d'importanza. Da allora in poi, fino alla costituzione della Howard Society negli anni Ottanta, le voci più influenti a favore della riforma dovevano levarsi all'interno del sistema carcerario stesso, dagli ispettori, dai cappellani e dai direttori.
La professionalizzazione della riforma fu accompagnata dalla ristrutturazione della polizia e del personale di custodia. Le possibilità di imporre una più rigida disciplina e una più attenta sorveglianza nelle strade dipendevano dal reclutamento di uomini che avessero attitudini a un esercizio scrupoloso dell'autorità. I primi riformatori avevano cercato invano un personale subalterno efficiente. Tuttavia alla fine delle guerre napoleoniche un gran numero di ufficiali a mezza paga e di sottufficiali cominciò a intraprendere la carriera carceraria. Durante gli anni Venti e Trenta essi ricoprirono cariche nella polizia metropolitana, nelle prigioni, nell'ispettorato alle carceri, nell'amministrazione delle leggi sui poveri, e più tardi fra le guardie rurali, portando con sé l'abitudine al comando che avevano appreso durante il servizio militare. L'introduzione di uomini usi alla disciplina fornì il personale necessario alla centralizzazione e razionalizzazione del meccanismo preposto all'ordine pubblico negli anni Trenta.
Tipico esempio di queste nuove figure fu George Laval Chesterton, che fu direttore di Coldbath Fields e introdusse nel carcere il regime del silenzio nel 1834. Egli era un ufficiale a mezza paga e veterano della campagna spagnola contro Napoleone (64) come il colonnello Rowan, il commissario di polizia che trasformò un'eterogenea banda di veterani, commercianti e operai nella Metropolitan Police. Questi derivò il regolamento di disciplina della nuova forza di polizia dal manuale di esercitazioni militari usato da Sir John Moore durante la guerra di Spagna (65). A Millbank venne assunto, perché vi riportasse ordine, un altro veterano dell'esercito, il colonnello Chapman. A Preston nel 1827 un ex capitano di marina successe ai carcerieri degli anni Venti, rispettivamente un ex sergente dell'esercito, il maggiordomo di un magistrato di contea e un oste (66).
La concessione a ufficiali di cariche precedentemente riservate a piccoli commercianti attesta l'accresciuta importanza che le classi medie attribuivano alle prigioni. Coloro che si specializzarono nell'amministrazione carceraria furono poco alla volta considerati elementi indispensabili e quindi funzionari pubblici rispettabili. Non si potrebbe spiegare altrimenti il fatto che uomini come Chesterton e il reverendo Clay, direttore della casa di correzione di Preston, divenissero importanti figure pubbliche. Per una borghesia che non poteva più dare per scontato l'ordine pubblico, le persone con esperienze dirette nel trattare i poveri divenuti criminali divennero particolarmente preziose. Pare che perfino un personaggio come lord Brougham abbia detto a Clay che la lettura dei suoi rapporti sul carcere di Preston lo aveva tenuto sveglio per metà di una notte (67). Dal canto suo Chesterton manteneva rapporti epistolari con Dickens nel periodo in cui il romanziere stava cercando informazioni di prima mano sulle «classi pericolose».
Il cambiamento nella composizione sociale dei funzionari delle carceri e il mutamento delle loro funzioni si rifletteva anche nel linguaggio. Nel 1807 Robert Southey osservava che il vecchio termine settecentesco di «carceriere» ("keeper"), che aveva in sé qualcosa di troppo esplicito, era stato sostituito dal termine più impersonale e accattivante di «direttore» ("governor"), mentre a «secondino» ("turnkey") si era sostituito «guardiano» ("warder") (68).
Contemporaneamente le usanze carcerarie del Settecento che avessero connotazioni di tipo familiare, vennero abbandonate; Howard si era servito del termine «famiglia» per riferirsi ai detenuti, dicendo ad esempio: «Non so perché una casa di correzione non possa essere gestita con la stessa regolarità con cui lo è qualsiasi altra abitazione in cui stia una famiglia numerosa» (69). L'uso del termine, che cessò negli anni Venti, era diffuso anche in molti libelli settecenteschi relativi alla gestione delle case di correzione; al sorvegliante ci si riferiva come a «padre di famiglia», a sua moglie come a «madre di famiglia» e ai poveri come alla «famiglia». Nello stesso modo, quando John Jebb discuteva della disciplina o della vita quotidiana in una prigione, si serviva del termine «economia», riferendosi alla distribuzione dei compiti e alla suddivisione delle spese di una famiglia (70).
Verso la fine delle guerre napoleoniche cominciò a fare la sua comparsa un linguaggio privo di connotazioni familiari o troppo esplicitamente carcerarie. La parola «cella» sostituì la parola «appartamento» con i suoi nessi con l'abitazione domestica. La disciplina scacciò l'economia. Nel linguaggio ufficiale si diceva «popolazione carceraria», non più famiglia. I comandi divennero sempre più simili a quelli militari; il nuovo personale, proveniente dalla carriera delle armi, usava il linguaggio di una parata o del reggimento. Nel rapporto steso nel 1837, uno degli ispettori carcerari, William J. Williams, egli stesso un ex ufficiale dell'esercito, sostenne che la direzione delle prigioni

«doveva essere resa il più possibile simile a quella di un battaglione; con la stessa gradualità di responsabilità fra gli ufficiali, la stessa inflessibile regolarità estesa anche alle cose più minute, la stessa sollecitudine nelle punizioni, la stessa accurata suddivisione del tempo. Con un tale regolamento, unito a un rigido e uniforme sistema di disciplina correttiva, rigorosamente applicata, le prigioni possono se non altro essere liberate dall'accusa di tendere più all'incremento che alla repressione del crimine» (71).

La militarizzazione della disciplina carceraria non fu raggiunta però senza contrasti sia con le vecchie guardie sia con i detenuti. Quando Chesterton assunse la direzione di Coldbath Fields nel 1828 trovò che nelle celle sovraffollate e nei cortili fioriva una vivace subcultura:

«Avvicinandosi al cortile, l'orecchio era colpito da un ronzio discordante di voci, canti e fischiettii e, di tanto in tanto, da un grido o da un'esclamazione. Questo vocìo proveniva da una folla eterogenea di persone di ogni età, da sedici anni in su, che si spostavano in una massa confusa, senza sorveglianza, ordine o sistema ordinato qualsivoglia. Non appena venne avvertita la mia presenza tutto questo strepito fu improvvisamente soffocato e il sorvegliante, in genere il ribaldo più astuto dell'intero gruppo, assunse un'aria di solenne severità, togliendosi il berretto e chinandosi rispettosamente e tentando di apparire quale la stessa immagine di una primitiva semplicità» (72).

Prima di poter ridurre al silenzio questo tumulto, Chesterton doveva riconquistare il controllo sulle guardie. Queste ricavavano un buon profitto da una serie di attività illegali all'interno della prigione, di cui la più fantasiosa prevedeva una botola nascosta attraverso la quale, dietro compenso, si consentiva ai detenuti di entrare nei reparti femminili (73). Servendosi di informatori fra i prigionieri, Chesterton riuscì a raccogliere le prove di queste attività allo scopo di ottenere il licenziamento delle guardie corrotte, ma dovettero passare sei anni prima che egli si sentisse sicuro a sufficienza del suo personale per impone il regime del silenzio nel carcere.
A parte questo, Chesterton tentò di impedire qualsiasi forma di fraternizzazione fra le guardie, i prigionieri e le loro famiglie:

«I guardiani... hanno l'assoluta proibizione di conversare familiarmente con i prigionieri o di comunicare con loro su qualsiasi soggetto che non sia connesso ai loro doveri. Non devono intrattenere rapporti al di fuori delle mura della prigione con amici o parenti con la scusa di fare favori ai detenuti. Inoltre ci si aspetta che essi si astengano con cura da rapporti più o meno stretti con prigionieri liberati di ogni classe o tipo e che invece mantengano la propria rispettabilità evitando la compagnia di qualsiasi persona di questo genere» (74).

Le lotte condotte da Chesterton con il personale di custodia ricordano le difficoltà incontrate da Rowan e Mayne nel costituire un corpo di polizia fidato, scegliendo fra i «furfanti» più svariati, come li aveva definiti Rowan, che si erano presentati per il lavoro (75). Allo scopo di separare la polizia dalla classe che essa avrebbe dovuto sorvegliare venne escogitata una serie di espedienti disciplinari. I poliziotti erano addestrati con stile militare, obbligati a indossare uniformi e imbevuti di lealismo verso il corpo. Ricevevano un salario regolare che doveva renderli indipendenti dalla loro comunità. Erano alloggiati in caserme o dormitori presso gli uffici di polizia. Si proibiva loro di frequentare ritrovi della loro classe, come birrerie o teatri popolari. Era loro vietato, inoltre, di imprecare o di servirsi di espressioni gergali. Il regolamento imponeva un comportamento sobrio e imparziale in tutti i rapporti con la gente e vietava rigorosamente forme di fraternità o familiarità (76).
Come si può immaginare, i commissari incontrarono difficoltà a trovare uomini capaci di tanto autocontrollo. Su 2800 persone assunte nel 1830, solo 562 erano ancora in servizio nel 1834, mentre le restanti erano state licenziate o avevano dato le dimissioni (77). Questo rapido avvicendamento testimonia non solo dell'incapacità di alcune reclute ad adattarsi alla nuova vita, ma anche del rigore della disciplina cui erano sottoposte. In pratica si chiedeva loro di rinunciare a linguaggio, abitudini e lealtà verso la propria classe, prova che sarebbe stata difficile in qualunque periodo, ma che lo era specialmente di fronte alla massiccia ostilità dimostrata dalla popolazione nel corso delle manifestazioni del novembre 1830. Chiamati a pattugliare le vie che il re avrebbe percorso fino al parlamento, i poliziotti furono attaccati da una folla di manovali e piccoli negozianti che li malmenarono, cantando «Abbasso i "Peelers"!» e «Abbasso i "Lobster Backs"!» (riferendosi alle giacche rosse da loro indossate). L'odio popolare nei confronti della polizia si manifestò nuovamente nel 1833 quando un distaccamento di guardie caricò una dimostrazione radicale presso Coldbath Fields, disperdendo la folla a colpi di manganello. Questi scontri ricordavano con efficacia alle giovani reclute che esse erano, in qualche modo, considerate i nemici
della propria classe (78).
Anche se il rafforzamento degli strumenti di controllo dell'ordine pubblico richiedeva la formazione di quadri fidati tratti dalle classi lavoratrici dalle quali il regolamento doveva separarli, in pratica risultò difficile trovare un numero sufficiente di uomini capaci di adottare il comportamento controllato che i riformatori avevano ideato.

4. L'inaugurazione di Pentonville nel 1842 rappresentò il punto culminante dei tentativi di rafforzare il controllo sociale, avviati a partire dal 1820. Si trattò nello stesso tempo di uno sforzo per salvare il sistema disciplinare del penitenziario dopo il fallimento di Millbank. Whitworth Russell, che era stato cappellano della prigione e, negli anni Quaranta, ricopriva la carica di ispettore carcerario, era convinto che a Millbank non si fosse imposta una disciplina abbastanza rigorosa. I prigionieri lavoravano da soli nelle celle, ma le porte durante il giorno restavano aperte, guardiani e sorveglianti circolavano liberamente nei corridoi, raccoglievano il lavoro finito, consegnavano altro materiale e istruivano gli inesperti. I sorveglianti erano in genere detenuti che mantenevano i contatti per una rete di resistenza alle guardie, come spiegò Russell in un rapporto confidenziale al ministro degli Interni:

«L'impiego di prigionieri in questi casi li mette in grado anche di agire da spie dei movimenti dei funzionari tanto efficacemente da impedire a questi di scoprire e reprimere disobbedienze e irregolarità» (79).

Nei corridoi vi era sempre un sottile ronzio di voci provenienti dalle celle:

«Se, come succede di frequente, la guardia che sente il rumore torna nel reparto, un segnale dato dal guardiano o dall'istruttore ai lavori fa sospendere immediatamente il chiasso ed elude il tentativo della guardia di scoprire il trasgressore».

In tal modo, concludeva tristemente Russell, «il prigioniero è il sorvegliante della guardia piuttosto che viceversa». Secondo Russell poi, per risolvere il problema non sarebbe bastato abolire il sistema basato su sorveglianti e imporre un rigoroso regime di silenzio. Era l'intera struttura dell'edificio che non si prestava a questa innovazione; vi erano tante zone cieche, lungo i corridoi circolari, che era impossibile tenere i prigionieri sotto una sorveglianza continua.
Per imporre l'isolamento, ribadiva Russell, era necessario sviluppare un'architettura carceraria che ponesse il detenuto nella sua cella sotto gli occhi dell'autorità. A parer suo Millbank rappresentava un tentativo rabberciato di mettere in pratica il principio di sorveglianza del Panopticon di Bentham. Russell e il suo collega William Crawford si misero alla ricerca di un altro progetto che armonizzasse l'imperativo di un rigoroso isolamento con le esigenze di una continua sorveglianza. Essi trovarono il modello che stavano cercando in America.
Nel 1830 i resoconti della Boston Prison Discipline Society e i rapporti di viaggiatori inglesi come il capitano Basil Hall avevano reso familiare in Inghilterra il progetto di penitenziario ideato da Haviland a Filadelfia. Invece di porre le celle attorno a una torre circolare, come a Millbank, Haviland progettò blocchi di celle a tre file poste su tre lati di un enorme corridoio aperto. Questi blocchi si irradiavano da un punto centrale d'osservazione, permettendo di controllare tutto l'edificio. Il progetto di Pentonville era basato in gran parte sul modello di Filadelfia (80).
L'America poteva inoltre offrire due modelli diversi di disciplina, il regime d'isolamento applicato a Filadelfia e il sistema di una vita in comune silenziosa in uso a Auburn e a Sing Sing. A Auburn i detenuti erano isolati nelle loro celle durante la notte, ma di giorno lavoravano in reparti comuni in assoluto silenzio. Nel 1829 Basil Hall descrisse ai lettori inglesi il «meccanismo morale» applicato in quel penitenziario:

«Uno stretto e scuro passaggio corre lungo la parte posteriore di tutte le officine e da esso i detenuti seduti al lavoro e i loro guardiani possono essere visti distintamente attraverso aperture nel muro larghe un centimetro e mezzo e coperte di vetro, mentre il sorvegliante non può essere né visto né sentito dai prigionieri o dai loro guardiani. La consapevolezza che un occhio vigile può fissarsi in qualsiasi momento su di loro, è ritenuta singolarmente efficace nel tener desta l'attenzione di tutti a un grado che nessuna sorveglianza, visibile e permanente, a quanto mi si dice, riesce ad ottenere» (81).

Il sistema adottato a Filadelfia colpì Hall assai meno favorevolmente. I detenuti erano costretti a sopportare anche cinque anni di totale isolamento, interrotto solo da visite del personale di custodia. I prigionieri lavoravano e dormivano nella propria cella e facevano dell'esercizio fisico in stretti recinti circondati da mura, annessi ad ogni cella. Era questo il sistema adottato a Reading negli anni Ottanta del Settecento che Howard aveva condannato perché costituiva una realizzazione eccessivamente rigorosa delle sue idee. Basil Hall riteneva alla stessa stregua che a Filadelfia si era andati troppo oltre. «Non vi è veramente nessuna tortura più crudele anche per una mente equilibrata dell'isolamento totale», egli disse, esprimendosi decisamente a favore del sistema di Auburn.
Nel 1834 il ministro degli Interni inviò William Crawford a studiare entrambi i sistemi e a riferire sui loro meriti rispettivi. Crawford criticò il sistema in uso a Auburn perché si basava sullo sfruttamento del lavoro dei prigionieri a scapito del loro emendamento morale. Le prigioni, sosteneva con un'enfasi degna di Howard e Paul, non si sarebbero mai dovute trasformare in «semplici manifatture». Lo sgomentava inoltre l'uso indiscriminato, fatto a Auburn, della frusta. Il sistema di Filadelfia al contrario poneva anzitutto l'enfasi sul pentimento e il rimorso raggiunti grazie all'isolamento; il mantenimento dell'ordine si basava poi non sulla frusta ma sulla forza soggiogante dell'isolamento stesso:

«Nel giudicare i rispettivi meriti dei due sistemi si vedrà che la disciplina a Auburn è di carattere fisico, a Filadelfia morale. La frusta infligge un dolore immediato, ma l'isolamento ispira un terrore permanente. La prima degrada perché umilia; il secondo soggioga ma non abbatte. A Auburn il detenuto è trattato costantemente con durezza, a Filadelfia con garbo; un sistema contribuisce a indurire, l'altro a addolcire le passioni. Auburn suscita sentimenti vendicativi, Filadelfia l'abitudine alla sottomissione» (82).

Crawford restò inoltre impressionato dal successo con cui nel penitenziario di Filadelfia si era riusciti a stroncare ogni associazione indebita fra detenuti. Egli amava raccontare come un detenuto avesse chiesto a un guardiano se il suo complice era stato arrestato, senza sapere che erano stati rinchiusi in celle adiacenti per dieci mesi (83).
Oltre a lodare il regime di isolamento adottato a Filadelfia, Crawford si sforzò di dimostrare che la disciplina applicatavi aveva origini inglesi e citò la legge del 1779 e gli istituti penali di Gloucester e di Horsham come precedenti per respingere eventuali critiche ai penitenziari da parte di chi li poteva considerare innovazioni straniere. In realtà, egli insisteva, essi erano «britannici d'origine, britannici nella stessa applicazione, britannici nella sanzione legislativa» (84).
Tornato in patria, Crawford unì i propri sforzi a quelli di Whitworth Russell per far approvare la costruzione di un penitenziario modello. Entrambi ritenevano però che l'esempio americano fosse manchevole da un punto di vista fondamentale. Le condanne comminate a Filadelfia erano in genere di cinque e, a volte, di dieci anni. L'esperienza di Russell a Millbank lo aveva convinto che i detenuti non potevano essere sottoposti a periodi tanto lunghi di isolamento senza rischi per la loro salute. Nella loro proposta al ministro degli Interni per la costruzione di Pentonville, essi raccomandarono un periodo di isolamento di diciotto mesi al massimo (85).
Il modello americano venne da loro modificato anche in un altro particolare. A Filadelfia, come pure a Millbank, i detenuti erano rimandati dopo il rilascio in seno alla società. Nel 1831 Basil Hall fece riferimento alle preoccupazioni degli americani per il rapido aumento di detenuti liberati e espresse il proprio sollievo perché la Gran Bretagna poteva ancora liberarsi dei criminali inviandoli in Australia (86). Anche se entrambi avevano dubbi sul valore deterrente della deportazione, sia Crawford sia Russell ritenevano che fosse impossibile sostituirla con condanne che permettevano agli ex detenuti di far ritorno alla vita comune. Essi raccomandarono perciò che a Pentonville i delinquenti trascorressero un periodo probatorio in isolamento, prima di essere imbarcati per la deportazione. Consigliarono inoltre di sottoporre ai rigori del regime di Pentonville solo detenuti alla prima condanna con costituzione robusta e un'evidente disposizione a correggersi (87).
Queste concessioni non servirono a soddisfare gli oppositori del regime d'isolamento né riuscirono a conquistare sostenitori, in Inghilterra, al sistema di Auburn. Fra questi ultimi vi erano G. L. Chesterton, che lo aveva introdotto a Coldbath Fields, e Peter Laurie, un magistrato sovrintendente alla prigione.
In due libelli che ebbero grande risonanza Laurie si scagliò sia contro il ruolo sempre più invadente degli ispettori carcerari nelle prigioni locali sia contro il loro attaccamento dogmatico al regime d'isolamento, facendosi gioco del loro fanatismo per la disciplina:

«I ladri possono essere istruiti a marciare con tutta la gravità e la regolarità di una parata, dal bagno alla ruota, dalla ruota al luogo dei pasti e quindi di nuovo al lavoro e al calar della notte al letto, si può insegnar loro a sedere con vestiti decenti e in stanze pulite in file poste a una certa distanza l'una dall'altra, essendo un centimetro troppo vicino sinonimo di contaminazione e uno troppo lontano di grave insubordinazione; essi possono dichiarare di amare la lavorazione della stoppia e di odiare i furti, essere gentili con le guardie e rispettosi verso i visitatori; alle donne si può insegnare a fare calze e intrecciare cuffie, a chiedere delle letture invece di tè e a preferire la filatura ai liquori; a piangere per un buon consiglio e a inchinarsi convenientemente; pure tutto ciò può rappresentare un modo efficace di far diminuire la criminalità e emendare i criminali quanto il tentativo di Mrs. Partington di prosciugare l'Atlantico» (88).

Trascinato dalle proprie pungenti sortite contro Crawford e Russell, Laurie dimenticava che i sostenitori del sistema di lavori svolti in silenzio in sale comuni si dimostravano altrettanto insistenti sull'introduzione di una rigida routine né si lasciavano attrarre dal preteso ravvedimento di furbi prigionieri. Nondimeno questo sistema di lavoro in comune si attirò appoggi influenti. Nelle sue "American Notes", Charles Dickens si pronunciò contro il penitenziario di Filadelfia:

«Ritengo che questa manomissione lenta e quotidiana del cervello sia incommensurabilmente peggiore di qualsiasi tortura fisica; perché i segni e i simboli orrendi che essa lascia non sono visibili all'occhio e al tatto come le cicatrici della carne, perché le ferite che produce non sono alla superficie e le grida che estorce non possono essere udite da orecchie umane» (89).

Anche nello stesso apparato burocratico si sviluppò un'opposizione al sistema di isolamento. Gli ispettori William J. Williams e Bisset Hawkins, colleghi di Crawford e Russell, espressero nei loro rapporti un «deciso dissenso» contro di esso, ricordando quanto sarebbe costato trasformare le prigioni esistenti secondo il modello cellulare e manifestando dubbi sulla moralità del regime di isolamento (90). Williams inoltre sollevò obiezioni alle richieste stravaganti avanzate da Crawford e Russell per utilizzare l'isolamento come strumento di riforma dei detenuti. Il crimine, disse, era troppo legato all'economia, ai mutamenti tecnologici, alla situazione della famiglia delle classi lavoratrici e a altri «fattori incerti e incontrollabili» perché fosse possibile «influenzarne permanentemente e profondamente l'andamento con qualsiasi sistema di disciplina carceraria» (91). Non meraviglia perciò che, posti di fronte a consigli contrastanti da parte dei propri ispettori e all'opposizione di personaggi influenti, i ministri degli Interni Russell, Normanby e Graham, si accingessero uno dopo l'altro con esitazione alla costruzione di Pentonville. Tuttavia, come esperimento di una forma di disciplina mai applicata in passato, Pentonville si dimostrò un grande successo, suscitando emulazione in altre carceri inglesi e europee. Nel 1850 erano già state costruite dieci nuove prigioni e dieci altre erano state trasformate sul modello di Pentonville (92). Sebbene le critiche dei sostenitori del sistema di una vita in comune trascorsa in silenzio continuassero a farsi sentire, Pentonville rappresentò il trionfo del regime di isolamento. Questo sistema offriva molti vantaggi; i cappellani trovavano che l'uso di celle individuali conferisse loro uno straordinario potere sulla psiche dei delinquenti. Come ebbe a dire il reverendo Clay, la solitudine era un «solvente terribile»:

«... pochi mesi in una cella solitaria rendono un prigioniero stranamente malleabile. Il cappellano può allora far piangere come un bambino un robusto sterratore; può agire sui suoi sentimenti quasi come vuole; può, per così dire, stampare i propri pensieri, i propri desideri e le proprie opinioni nella mente del suo paziente, e mettergli in bocca le sue stesse frasi e parole» (93).

Fra i pensieri che il cappellano cercava di «stampare» nella mente del proprio «paziente» vi era quello della giustezza della sua condanna. I cappellani esortavano il criminale a «deporre ogni sentimento d'ira contro il proprio accusatore, a riconoscere la giustizia della propria condanna, a prendere con rassegnazione la propria punizione e a tentare di placare il malcontento e a reprimere la turbolenza degli altri» (94). Come tecnico della colpa, il cappellano legittimava continuamente l'esistenza dell'istituzione carceraria. Era lui che presentava il penitenziario sotto forma di universo morale pieno di benevole intenzioni, impediva ai delinquenti di sottrarsi al senso di colpa rifugiandosi nel disprezzo verso i carcerieri.
Se il cappellano, come spesso accadeva, falliva nel suo compito di inserire il prigioniero nel mondo ordinato della prigione, le autorità carcerarie avevano a disposizione numerosi altri espedienti per ridurlo alla ragione, compresa la forza. Il digiuno e la limitazione dei privilegi di ricevere lettere e visite si dimostrarono strumenti di controllo efficaci quanto le catene e la frusta. Quando Henry Mayhew chiese alla guardie di Pentonville nel 1856, «Credete di controllare i prigionieri del carcere come ai tempi in cui avevate "torcidita", "bavagli" e "marchiature"?», ricevette una risposta significativa:

«Penso che abbiamo su di loro un potere maggiore, signore. Infatti, vedete, oggi togliamo il diritto di ricevere e spedire lettere e impediamo le visite dei loro amici e un uomo sente queste cose molto più di qualunque tortura che gli si possa infliggere» (95).

Catene e frusta continuarono a servire per punire gli atti di insubordinazione più gravi, ma le nuove «micro-pene» rappresentarono un'aggiunta necessaria all'arsenale di strumenti di controllo, perché le antiche punizioni corporali non erano più ritenute adatte per quelle trasgressioni minori - strizzare gli occhi, far segni con la testa, incidere iniziali su una tazza e altre simili - provocate dalle
nuove norme.
L'intensificarsi della sorveglianza richiedeva a sua volta un personale di custodia più numeroso in rapporto al numero dei detenuti. Nelle nuove prigioni, costruite su modello di Pentonville, si impiegava d'abitudine un guardiano per ogni dieci-quindici detenuti (96). Ciò significava costi più alti per le contee, ma, a causa dello stato d'animo incline a una maggiore severità che accompagnò l'aumento apparentemente incontrollabile del tasso di criminalità alla metà degli anni Dieci, i giudici di pace erano disposti a pagare.
Il regime adottato nei penitenziari incontrava molto favore sia per la sua severità sia per le potenziali capacità di emendare i detenuti. I sostenitori del sistema di Pentonville infatti amavano dire che esso era in grado di educare proprio perché era severo. Il conte di Chichester, uno dei commissari preposti al controllo di Pentonville, disse nel 1856:

«L'umana natura è fatta in modo che quando un uomo si è a lungo dedicato a una vita criminosa o ai piaceri sensuali è necessario un forte dolore per costringerlo a riflettere; egli deve essere provvidenzialmente privato di quelle risorse di piacere animale e di quelle eccitazioni che fino ad allora gli hanno permesso di tacitare la propria coscienza e chiudere fuori dalla propria mente ogni pensiero del futuro; vi deve essere qualcosa di esterno che affligga, spezzi lo spirito, qualche sofferenza corporale o qualche angoscia della mente, prima che la voce della coscienza, ancora debole, possa farsi sentire e l'uomo ritorni in sé» (97).

Sorgeva però un dubbio inquietante sulla possibilità che la disciplina applicata a Pentonville riuscisse fin troppo a provocare l'«angoscia della mente». Ben presto i commissari di Pentonville cominciarono a ricevere rapporti dal medico del carcere sugli effetti psicologici dell'isolamento. I detenuti si recavano da lui lamentandosi di allucinazioni; uno di loro gli disse che «vi era qualcosa che non andava nella sua testa, qualcosa stava divorandogli il naso»; un altro «immagina spesso che gli siano penetrati insetti nella testa, dice di aver visto la propria madre, e vaneggia sullo spirito di suo padre che, afferma, è dentro di lui» (98). Il detenuto 1264 disse al medico che il suo corpo veniva galvanizzato con lo stagno, mentre un altro era ossessionato dall'idea che un uccellino, che appariva ogni mattina nei cortili, fosse il segno premonitore della fine di sua moglie e dei suoi figli. Il detenuto 222 venne portato dapprima in infermeria e poi in manicomio, dopo che era stato rinvenuto nella sua cella mentre borbottava «parole incoerenti sulla regina» (99). Ogni nuovo caso era un'occasione di imbarazzo per i commissari di Pentonville e un'arma per i suoi oppositori (100).
I commissari riconobbero pubblicamente, durante i primi otto anni di funzionamento della prigione, solo quindici casi di pazzia, ma questo dato non includeva i detenuti portati temporaneamente in infermeria perché soffrivano di allucinazioni o di crisi depressive. Anche se i loro rapporti davano un'immagine positiva degli esperimenti con il regime di isolamento, i commissari cominciarono a nutrire dubbi su di essi e, quando il più attivo di loro, William Crawford, morì nel 1847, ridussero il periodo di isolamento da diciotto a dodici e infine a nove mesi (101). Durante gli anni Cinquanta essi modificarono ulteriormente il sistema, abolendo gli scompartimenti separati nella cappella, i recinti individuali per gli esercizi fisici e le maschere che i detenuti dovevano portare nei corridoi per evitare di riconoscersi fra loro (102).
La fiducia nel potere di riforma del sistema di Pentonville sopravvisse a stento agli anni Quaranta. Nel decennio successivo si ricominciò nuovamente a sostenere che le «classi pericolose» non erano in grado di ravvedersi e, benché l'isolamento restasse un elemento essenziale della disciplina carceraria per il resto del secolo, esso venne mantenuto più come strumento di terrore che di riforma. Fin dal 1854 si erano udite voci di persone influenti, come Joseph Kingsmill, cappellano di Pentonville, ammettere che

«L'isolamento non è una panacea per la malvagità dei criminali. Lo si è ritenuto capace di rieducare un uomo portandolo dall'abitudine al furto a una vita onesta, dal vizio alla virtù. Nessuna punizione umana ha mai ottenuto ciò» (103).

Una dimostrazione del disincanto pubblico nei confronti di Pentonville era data dal fatto che le lacrime di coccodrillo versate dai detenuti erano divenute oggetto del ridicolo universale. Charles Dickens, sempre in sintonia con l'umore dei propri lettori, sapeva che avrebbe provocato una risata facendo concludere la carriera di Uriah Heep come carcerato modello a Pentonville:

«"Dunque, Ventisette," disse Mister Creakle, con mesta ammirazione, "come vi sentite oggi?".
"Sono umilissimo, signore," rispose Uriah Heep.
"Lo siete sempre, Ventisette," confermò Mister Creakle.
A questo punto, un altro signore chiese, con grande ansia: "Vi trovate comodo?".
"Sì, grazie, signore!" rispose Uriah Heep, voltandosi a guardare da quella parte. "Molto più comodo qui di quanto sia mai stato fuori. Ora vedo le mie follie, signore. E questo mi dà un senso di benessere"» (104).

5. I dubbi a proposito del penitenziario aumentarono dopo la sospensione della deportazione nel 1853. In conseguenza delle proteste delle colonie australiane e delle polemiche in patria sul valore deterrente che poteva avere inviare un condannato in una colonia sempre più stabile e prospera, il governo cominciò dal 1848 a sostituire la deportazione con la detenzione in una rete nazionale di prigioni. Fra il 1848 e il 1863 la detenzione, usata in passato per delitti minori, venne trasformata in una pena inflitta anche per i crimini maggiori, eccetto gli omicidi, in precedenza puniti sia con l'impiccagione pubblica sia con la deportazione. Le autorità si vennero quindi a trovare nella necessità di gestire condanne a lunghi periodi detentivi. Fino alla fine degli anni Quaranta, i periodi di condanna più lunghi inflitti dalla giustizia inglese erano di tre anni (105). La maggior parte dei delinquenti trascorreva in carcere circa sei mesi. Lord John Russell aveva ribadito un'opinione comune, quando aveva detto nel 1837 che una detenzione di dieci anni sarebbe stata «una punizione peggiore della morte» (106). Alla metà degli anni Cinquanta condanne così lunghe erano divenute comuni in sostituzione della deportazione ormai abbandonata.
I delinquenti erano infatti mandati ai lavori forzati in una serie di prigioni apposite, gestite dal governo, e messi a cavar pietre per opere pubbliche, a costruire argini o a lavorare nei cantieri regi. Questo periodo di lavori forzati faceva seguito a sei mesi di isolamento a Pentonville o Millbank. Scontata la condanna, i detenuti erano rilasciati in libertà vigilata, con l'obbligo di presentarsi a intervalli regolari alla polizia, di mantenere un'occupazione fissa e di evitare legami con altri ex detenuti (107).
Le prime persone ad ottenere la libertà vigilata furono rilasciate nel 1853 fra il timore generale. Quasi subito si videro accusati di ogni crimine, grande o piccolo. Il direttore delle prigioni, Joshua Jebb, ripeteva che la percentuale dei recidivi fra i detenuti in libertà vigilata era più basso che fra quelli rilasciati dalle prigioni di contea e di distretto, ma i detenuti stessi dovettero sopportare gli effetti dell'ansietà, diffusa in un'opinione pubblica preoccupata che non si potesse più liberare l'Inghilterra dai criminali incalliti con la deportazione nelle colonie (108). I detenuti in libertà vigilata si videro esclusi da quasi tutte le occupazioni e dovettero subire le vessazioni della polizia e gli insulti della stampa.
Molti di loro non avevano opinioni politiche, ma vennero ben presto additati quale fonte di potenziali pericoli per lo stato. Alcuni allarmisti, in particolare gli editorialisti del «Times» e lo stesso conte Grey ricordavano inquieti il ruolo che gli ex detenuti avevano avuto nella rivoluzione del 1848 a Parigi. Bande di "forçats" liberati, proclamava il «Times», erano «state gli strumenti principali nelle mani dei demagoghi che perpetrarono lo sconvolgimento della repubblica francese». In patria, si puntava il dito sui borsaioli e i criminali di poco conto che avevano circolato durante l'immensa dimostrazione cartista al Kennington Common nel giugno 1848. Anche se non vanno considerate troppo seriamente come ritratti delle folle parigine o londinesi nel 1848, affermazioni di questo genere denunciano, in effetti, quell'insieme di timori politici e sociali scatenati dalla sospensione delle deportazioni e dal passaggio a un sistema di repressione basato interamente sui penitenziari (109).
I detenuti liberati sulla parola, dal canto loro, non esitarono a protestare contro l'ostracismo espresso nei loro confronti dall'opinione pubblica. In due riunioni convocate da Henry Mayhew, una nel marzo 1856 e l'altra nel gennaio 1857, essi riferirono episodi di molestie da parte della polizia e di repulse da parte dei datori di lavoro. La maggior parte di questi uomini, riferiva il «Times», «ha l'aspetto di chi appartiene alla fratellanza dei venditori ambulanti o alla classe dei raccattaossa o raccoglitori di altri rifiuti» (110). Uno degli ex detenuti raccontò che, mentre stava camminando per Tothill Street, a Westminster, con una borsa di pelli di coniglio, venne catturato da un poliziotto, portato davanti a un giudice e minacciato di carcere. Avendo protestato la propria innocenza, il magistrato sbottò dicendo: «Oh, sei un insolente e una disgrazia per la società e se il ministro degli Interni fosse a conoscenza delle tue attività ti deporterebbe».
Durante la riunione del gennaio 1857, il profondo rancore provocato dalle ingiurie della stampa delle classi medie esplose anche contro Henry Mayhew, l'esponente della stampa londinese più sensibile alla loro causa. La riunione era in corso, con Mayhew sul podio e il conte di Carnarvon alla presidenza, quando uno dei presenti gridò:

«Amici, state attenti. Sbagliate a venire qui pubblicamente consegnandovi a un uomo che vuole solo raggiungere i propri fini (segni di forte disapprovazione). Henry Mayhew è il vostro peggior nemico. Egli vuole solo cavarvi fuori qualcosa per metterlo nel suo libro (risate e fischi). Potete fischiarmi, ma sto dicendo la verità» (111).

Come le persone in libertà vigilata, così anche i detenuti ancora in carcere non accolsero favorevolmente la sospensione delle deportazioni e la sostituzione con lunghi periodi detentivi, accompagnati da una pseudo-contribuzione alla Heep. Per loro, il cambio poneva fine drasticamente alla possibilità di iniziare una nuova vita in Australia. Il provvedimento inoltre provocò una serie di sentenze ingiuste; le persone condannate a sette anni di deportazione, ad esempio, ebbero la sentenza commutata in tre anni e mezzo di carcere seguiti dallo stesso periodo di libertà vigilata, mentre i prigionieri condannati in base al nuovo sistema dovevano scontare quattro anni di carcere senza dover sottostare a un periodo di libertà vigilata (112). Entrambe le categorie si ritenevano ingannate. Dal 1853 al 1858 i penitenziari furono sconvolti da disordini, rifiuti di lavorare, assalti di gruppo alle guardie e tentativi di fuga, intesi a far pressione sui direttori perché fossero eliminate le anomalie nelle sentenze e riprese le deportazioni (113).
Alcuni degli atti di resistenza più violenti furono provocati da prigioniere di Brixton e Millbank (114). Fra il 1853 e il 1859 un piccolo gruppo sostenne un'ostinata protesta contro la conversione delle loro sentenze di deportazione: laceravano lenzuola, incendiavano uniformi, battevano sulle porte delle celle, si spogliavano nude davanti alle sorveglianti attonite e interrompevano il silenzio con imprecazioni e canti. I direttori erano insieme affascinati e sconvolti da queste donne che violavano con tanta esuberanza il mito della fragilità femminile. Esse parevano resistere a celle sotterranee, camicie di forza, diete a pane e acqua. Nel 1859 il direttore dei penitenziari confessò che le donne di Brixton erano «totalmente incontrollabili, avevano superato i limiti della convenienza e della decenza, distrutto ogni speranza eccetto che per l'intervento di qualche fatto miracoloso» (115). Egli comprendeva, tuttavia, che le proteste delle prigioniere avevano un fondamento reale, riconosceva che le donne rilasciate dalla prigione erano sottoposte a un ostracismo ancor più duro che gli uomini e di conseguenza incontravano difficoltà maggiori nel trovare un lavoro (116). Le donne si rendevano conto di tutto ciò ed erano decise a lottare perché le lasciassero andare in Australia.
Se i direttori rifiutavano di cedere alle loro richieste, tuttavia i disordini fecero comprendere che la loro autorità dentro i penitenziari non era assoluta come si pensava. Le sommosse rivelarono che essi potevano garantire l'ordine solo finché rispettavano quella sorta di codice di equità stabilito dai detenuti. Nel 1856 quindi furono approvate nuove leggi che equiparavano le sentenze di detenzione e quelle di deportazione (117) anche se ciò non bastò a calmare i detenuti.
Tutte le volte che tentavano di modificare le consuetudini carcerarie, le autorità si trovavano di fronte all'opposizione attiva dei prigionieri. Nel 1861, quando i direttori delle prigioni ordinarono una forte riduzione nella dieta nel tentativo di rendere più severo il sistema carcerario, i prigionieri a Portland e a Chatham diedero il via a una sommossa durata due giorni che provocò gravi danni. Ricoprirono il capoguardia di farinata, sopraffecero le guardie, aprirono le celle e assunsero il controllo totale di Chatham per diverse ore, finché un contingente di Royal Marines riuscì a rioccupare l'edificio con le armi (118).
Solo nel 1864 i disordini nelle carceri e l'ansietà pubblica cominciarono a diminuire. L'opinione pubblica si abituò gradatamente all'abolizione delle deportazioni e al rilascio di ex detenuti in patria e questo processo fu facilitato da una graduale diminuzione del numero dei criminali perseguiti dopo il 1855.
I direttori dei penitenziari fecero del loro meglio per riacquistare la fiducia del pubblico nelle loro istituzioni. Consci che l'opinione pubblica era favorevole a una maggiore severità, essi ridussero le diete e imposero restrizioni sempre più dure ai detenuti in libertà vigilata (119). Dopo il 1862, cominciarono a revocare la libertà vigilata a chi non si presentava al controllo e a chi frequentava elementi sospetti. Nel 1870 venne costituito un contingente speciale della Metropolitan Police addetto alla sorveglianza dei detenuti in libertà vigilata a Londra e incaricato di tenere schede segnaletiche a disposizione del tribunale (120). Alla fine degli anni Sessanta venne introdotto l'uso di fotografare gli ex detenuti e durante gli anni Novanta si cominciarono a prendere le impronte digitali allo scopo di facilitare l'identificazione e la sorveglianza di «criminali abituali» (121). Durante l'ultimo decennio del secolo era stato costituito a Whitehall un archivio criminale nazionale che permetteva di tenere sotto controllo la «classe criminale» e di identificare i recidivi in modo da infliggere loro condanne adeguate.
Questi tentativi di estendere la sorveglianza esercitata all'interno del penitenziario ai delinquenti rilasciati provano quanto fosse profonda la disillusione nelle possibilità redentrici dei penitenziari e sono indice di un mutamento nella strategia del controllo sociale. Avendo rilevato che vi erano delinquenti che resistevano a qualsiasi sforzo rieducativo, lo stato adottò l'espediente di identificare questa sottopopolazione il più accuratamente possibile, controllando i suoi movimenti nelle vie e mettendola in condizione di non nuocere nuovamente. Nell'ambito di questa strategia le carceri non furono più usate allo scopo di riformare, ma per porvi i delinquenti in una sorta di quarantena.
In tal modo i penitenziari, che erano stati istituiti negli anni Quaranta come strumenti per modificare il carattere umano, sopravvissero sino al tardo Ottocento in virtù della loro funzione repressiva. L'isolamento, introdotto come strumento di riforma, venne conservato come strumento di punizione. Nel 1863, il Lord Chief Justice espresse l'idea su cui si sarebbe fondato il sistema carcerario nel successivo quarto di secolo:

«La rieducazione dei delinquenti è in grandissima misura ipotetica e incerta e il rinnovarsi di continue tentazioni la rendono estremamente aleatoria. D'altro canto l'impressione prodotta dalle sofferenze inflitte come punizione per i crimini e il timore di subirle nuovamente hanno probabilmente effetti più duraturi...» (122).

6. Nel 1877 avevano ormai preso forma i principali elementi del sistema carcerario moderno. Le ultime vestigia dell'amministrazione locale e volontaria erano state rimosse con il trasferimento di tutte le prigioni di distretto e di contea sotto il controllo di una commissione centrale diretta da Whitehall. Le impiccagioni pubbliche erano state sostituite da esecuzioni entro le mura delle prigioni e ad annunciarle non restava che il modesto atto, di sinistro valore, di alzare una bandiera nera sopra la prigione. Erano state effettuate le ultime deportazioni in Australia e le prigioni galleggianti erano state smantellate. La detenzione era ormai divenuta la punizione per tutti i delitti gravi, eccetto gli omicidi. Erano state gettate le fondamenta del moderno sistema di concessione della libertà provvisoria ed erano stati allestiti archivi criminali con fotografie e incartamenti. Si era ormai affermato il principio di tenere edifici separati per i giovani delinquenti, con l'apertura delle prime scuole professionali e dei riformatori. Soprattutto il penitenziario vittoriano, nel cuore della città, era divenuto una massiccia e minacciosa presenza, simbolo della forma estrema di potere statale. E mentre i dormitori, le case di lavoro, le scuole professionali, i centri di assistenza e le abitazioni modello sono crollate sotto i picconi dei demolitori e in seguito al mutare delle tendenze filantropiche e della politica statale, le prigioni vittoriane costituiscono l'elemento più stabile dell'eredità istituzionale dell'epoca. Nel 1969 oltre il 40% delle carceri in funzione in Inghilterra era stato costruito in età vittoriana (123). Lungo la Caledonian Road, nella Londra settentrionale, ad esempio, il vecchio mercato del bestiame è sparito e le abitazioni operaie della zona sono state rinnovate almeno tre volte dal 1842, ma Pentonville, pur ristrutturata internamente, è ancora una presenza dominante, come lo era 125 anni fa. Il ministero degli Interni preferisce cantare le lodi del moderno complesso psichiatrico di Grendon Underwood nel Buckinghamshire, dove la terapia di gruppo e l'analisi hanno sostituito l'isolamento e le esortazioni religiose come ultimi ritrovati della tecnologia della rieducazione. Pentonville serve alla detenzione di criminali minori, casi di immigrazione illegale, alcolizzati e drogati. Nelle celle costruite per ospitare un solo uomo sono ora concentrati tre, e a volte quattro, prigionieri, e nei corridoi in passato silenziosi come catacombe, risuonano le televisioni, i giovani discutono di una partita di ping pong e i vecchi si trascinano, fumando distrattamente e parlando tra sé. Invece di maschere e uniformi incolori con un numero distintivo, i detenuti indossano jeans e magliette.
Di tutto l'elaborato rituale disciplinare adottato nell'Ottocento e fatto di processioni in fila indiana, di ispezioni effettuate al suono di campane e alla cadenza di ordini urlati, sono sopravvissute solo poche vestigia: l'appello all'alba e al tramonto e il controllo delle celle durante le ore notturne. Il regime disciplinare per la cui applicazione era stato eretto l'edificio non esiste più. Tuttavia l'enorme meccanismo che Jebb, Crawford e Russell idearono sopravvive ancora pur attraverso i mutamenti nel modo di concepire le prigioni, melanconico monumento alla radicale continuità dello stato nell'esercitare la forma estrema del suo potere.

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