Se Rodi cede, Lero combatte. E se a Lero furono necessari 50 giorni di assedio, 187 bombardamenti e 2 sbarchi navali per domare la guarnigione ribelle, se a Cefalonia l'ardimento della Divisione Acqui fu pagato col sacrificio di 8400 ufficiali e soldati barbaramente trucidati, in Corsica i soldati italiani riuscirono, assieme alle forze francesi, ad avere la meglio e a mettere in fuga i tedeschi; nei Balcani sorsero dalla dissoluzione delle 30 divisioni dell'esercito regio le nuove divisioni dell'esercito partigiano.
Certo è giusto affermare che la resistenza dell'esercito ebbe soprattutto il carattere di un'esplosione antitedesca, in Italia unendosi immediatamente alle prime forme di ribellione popolare e fuori d'Italia accettando le suggestioni e le sollecitazioni delle popolazioni locali e gli inviti e gli stimoli dei movimenti partigiani di Grecia, di Albania, di Jugoslavia. Ma bisogna allo stesso modo riconoscere che in quel generale, seppur non uniforme sentimento antitedesco, confluirono altri motivi: il senso dell'onore militare, la fedeltà a certi istituti che, pur nel suo valore formale, contribuì a far scegliere a molti la strada giusta. Altre ragioni, più umili certo ma non meno determinanti, vi furono. L'armistizio disse senza possibilità di equivoci che la guerra fascista era perduta; di fronte al crollo bisognava salvarsi, bisognava uscire in qualche modo dalla serie di trappole in cui le nostre truppe erano state cacciate. Ebbe peso pertanto l'istinto di conservazione, la volontà di vivere liberi, di non finire sotto il tallone di ferro dei tedeschi i quali, insopportabili come alleati, si sapeva cosa sarebbero stati come nemici.
Il capovolgimento del fronte riusciva senza dubbio a liberare le coscienze migliori dall'angoscia e dal dubbio dell'orrenda guerra fascista, ma nemmeno questo può essere assunto, a nostro giudizio, come il motivo dominante. Allo stesso modo non sarebbe logico affermare che a fondamento di quella lotta convulsa dei giorni immediatamente seguenti all'armistizio vi fosse una chiara intuizione politica, anche se non mancavano nell'esercito uomini e gruppi che già l'8 settembre avevano maturato una decisa volontà antifascista, e anche se aveva avuto un riscontro tra soldati e ufficiali il processo di sviluppo della resistenza e della cospirazione contro il regime di Mussolini.
La lotta dell'esercito nasce dallo stesso stato d'animo, dalla stessa atmosfera complessa da cui nascerà la guerra partigiana e sarebbe certo incomprensibile se non si ponesse mente alla faticosa e lenta opera di erosione delle posizioni fasciste, di condanna del regime dittatoriale, di formazione di un'opposizione popolare fattasi via via più larga e unitaria, nel corso della guerra.
Così quando vogliamo ricercare le ragioni immediate della ribellione dei militari, della lotta dell'esercito, dobbiamo confessare che essa ebbe origini e temi diversi e diverse spinte, che la scintilla e la leva unitaria, consistette soprattutto nella volontà di finirla con i tedeschi, che fu un no al passato, a tutto ciò che la guerra fascista era stata di sbagliato, di umiliante, di ingiusto.
L'8 settembre si combatté per ribellione a ciò che eravamo stati obbligati a essere, anche se non ancora con la speranza di porre le fondamenta di un edificio nuovo. Anche per questo la battaglia fu disperata. Ma certo non vana. La maturità venne conquistata più tardi, da parte di chi poté continuare in Patria e fuori la lotta nelle formazioni partigiane, nel nuovo esercito, e nei campi di concentramento per coloro che la sorte diede in mano ai tedeschi.