LE ACQUE DEL MARE SI SONO RITIRATE.
Alla sera salii su un automezzo con alcuni compagni a Ludwigslust. Intorno vi erano camion che bruciavano. Lungo i fossati avanzava una marea di civili, di donne, di soldati, di internati, che spingeva carretti e si trascinava dietro bambini. Detenuti in bicicletta, con la loro divisa a righe blu. Camion stracarichi di militari tedeschi. Jeeps. Macchine di ufficiali americani e, in mezzo a quel bailamme, un'auto di S.S. e un'altra di S.D. che circolavano liberamente. Dissi all'autista che bisognava fermare subito quella gente e farla fuori sul posto. Mi guardò sorridendo e mi rispose: «Bisogna essere eleganti nella vittoria».
Pochi giorni dopo parlavo con un medico tedesco che lavorava con noi all'ospedale militare di Ludwigslust, dove avevamo finalmente trasportato i malati. Non era palesemente un nazista. Ne aveva abbastanza della guerra, e non sapeva dove si trovassero sua moglie e i suoi quattro figli. Dresda, la sua città, era stata bombardata spietatamente. «Allora», mi disse, «abbiamo fatto la guerra per Danzica?» Gli risposi di no. «Se è così, la politica di Hitler nei campi di concentramento è stata spaventosa (approvai); ma per tutto il resto aveva ragione.»
La Germania di quelle prime settimane dopo la disfatta non era che uno sterminato cimitero. In tutto il paese regnava un'atmosfera pestilenziale, e tutti quanti erano morti, anche quelli che si vedevano camminare per strada. Nessuno pensava. Ricordo che quando alla sera mi capitava di riferire a Emil le mie conversazioni con dei Posten o dei civili egli reagiva con un moto di impazienza. «Ah!», mi diceva, «a quelli hanno fatto il vuoto nel cervello.» Ed era vero, molto più vero di quanto egli stesso non pensasse. Tanto vero che se lo sentiva nelle ossa prima ancora di averne preso coscienza. Si spiega così la partenza dei politici.
Certo, tutti quanti avevano paura dei russi. E non senza ragione. A Wšbbelin c'era una tale mescolanza di uomini che si conoscevano pochissimo che non era il caso di far conto, in caso di rivolta, su delle distinzioni. Chiunque portasse un bracciale sarebbe stato implacabilmente ucciso. Per questo fuggirono. Vicino a Hannover tutti i Kapos e i Vorarbeiter furono massacrati. I russi mangiarono una coscia del Kapo GŠrtner, un immondo bruto di Dora.
Ma se i politici non tentarono alcunché fu perché intorno a loro il paese era morto. Non si trovavano neanche sei uomini disposti a unirsi e ad agire. I cervelli erano vuoti. La crisi sociale tanto attesa e sempre rinviata non arrivò mai. Anche quando gli alleati abbatterono l'intero sistema, non accadde nulla. Solo una sorta di vuoto. Un silenzio totale. Gli ufficiali americani non furono mai messi in condizione di aggrottare un sopracciglio di fronte a una qualsiasi velleità di manifestazione. Non esistevano più velleità di sorta.
La devastazione provocata dal nazismo era stata grande, molto più di quanto si pensasse all'estero. L'assenza di qualsiasi polo catalizzatore al di là delle frontiere e un muro di propaganda che condannava per lo stesso peccato i capi del regime e il popolo non aiutarono i Signori nella loro opera di distruzione. Ma la ragione decisiva non era questa. Bisognava sentirli, i civili tedeschi, bisognava vederne il sorriso quando si alludeva in loro presenza a un articolo dei giornali che uscivano in Germania. «Propaganda», dicevano. Era questa, probabilmente, la parola più popolare nel grande Reich. La sola traccia di umorismo che fosse rimasta. E questo non solo da parte degli avversari (cioè di quanti aderivano ai vecchi partiti), ma anche, e in pari misura, di quanti erano più profondamente impregnati di demagogia nazista. La vera arma era il terrore.
Qui in Francia, nonostante l'occupazione, non si è mai veramente conosciuto il terrore - il terrore permanente, che tutto invade. Dapprima ne erano stati distrutti moralmente e fisicamente i vecchi partiti; sopravvenne poi una paura generalizzata di parlare, e alla fine tutti cessarono anche di pensare. Non venne solamente annientata l'opposizione: le stesse classi sociali furono smembrate nei loro elementi costitutivi. Il proletariato tedesco perdette la nozione del proprio ruolo e la coscienza di poter prendere un'iniziativa, di poter intervenire nella crisi. Se reagì lo fece soltanto con la diserzione e con una sorta di sciopero a singhiozzo generalizzato, frutto sostanzialmente di stanchezza e di rinuncia. Tutti mollarono le redini.
I campi di concentramento lasciarono la Germania svuotata di qualsiasi sostanza.