INTRODUZIONE
Da qualche tempo si sta diffondendo all’interno del cosiddetto movimento un rinnovato interesse per tutto ciò che riguarda il carcere e le condizioni di vita al suo interno, con un fiorire di bollettini, siti web, comitati, azioni e iniziative di lotta. Al di là dei motivi più contingenti (inchieste giudiziarie e arresti) e politici (spesso, in mancanza di una progettualità grazie alla quale sperimentare intese e trovare complici, rimane solo la sventura della detenzione ad accomunare i compagni, azzerandone però le differenze), la ragione principale per cui la critica anticarceraria sta destando una così sentita attenzione è molto semplice, quasi una banalità: è sempre più facile per chiunque essere rinchiuso fra le mura di una prigione. E ciò non solo a seguito di una risposta repressiva generalizzata che lo Stato può dare alla radicalizzazione e all’incremento delle lotte sociali, essendo il risultato dello stesso progresso sociale, economico e tecnologico a manifestarsi sotto questo inquietante paradosso: tutti possiamo finire in carcere anche perché tutti viviamo già in un carcere. Nessuno escluso.
Tutti possiamo finire in carcere. È il trionfo di questa società del denaro ad aver deteriorato le condizioni di vita di milioni di persone, gettandole in una situazione di provvisorietà in attesa solo di un peggioramento, distruggendo certezze in grado di dare in qualche misura un significato all’esistenza su questa terra, sciogliendo ogni legame sociale che non sia di tipo economico, scatenando disperazione, angoscia e rabbia. Se in passato il gelo di un cuore vuoto veniva in parte compensato dal torpore di una pancia piena, oggi una simile illusione è diventata improponibile. Non sembra davvero un caso se, a fronte della crescente miseria affettiva e materiale che ha isolato l’individuo nell’angolo in cui si è visto confinare dal processo di riproduzione sociale, è andata contemporaneamente aumentando la richiesta di partecipare alla sola comunità esistente, quella del capitale, nell’unica maniera da esso concepibile: attraverso il consumo di merci. La sirena della pubblicità non dorme mai e invita tutti a consumare, di più, sempre di più. E si può ben immaginare cosa accade quando chi non è più niente e non possiede niente viene spronato ininterrottamente ad avere al fine di apparire: si allungano le mani, si calpestano i piedi, non si guarda più in faccia a nessuno.
Come se non bastasse, l’ambizione istituzionale di prevenire ogni possibile via di fuga da un mondo che ci viene spacciato come “il migliore possibile”, ha portato alla criminalizzazione di qualsiasi comportamento che non sia di cieca accettazione e difesa dell’ordine sociale (con tutte le sue regole, leggi e morali). Nella sua presunzione di regolare e codificare ogni impulso e ogni passione umana a salvaguardia della pace dei mercati e delle strade, la legge ha allargato notevolmente il campo dell’illegalità creando numerosi nuovi reati, quindi nuovi criminali, quindi nuovi futuri detenuti; cosa che ha provocato l’esigenza di un maggior numero di poliziotti, un maggior numero di magistrati, un maggior numero di prigioni, in un infame circolo vizioso che si alimenta da sé. Il risultato di tutto ciò è che oggi basta respirare non a comando per correre il rischio di ritrovarsi chiusi fra quattro mura.
Tutti viviamo già in un carcere. Nel corso di questi ultimi anni, più la struttura fisica della prigione è stata spostata lontano dai nostri occhi – in quelle periferie dove la sua lugubre presenza non viene ad oscurare le sgargianti vetrine del centro cittadino, adattandosi perfettamente allo squallore di quei luoghi – e più la sua ombra ha iniziato a gravare sopra tutti noi senza abbandonarci un istante. Il merito, se così si può dire, va all’introduzione delle nuove tecnologie che hanno permesso un inimmaginabile balzo in avanti nell’ambito del controllo sociale. Come per ogni altra innovazione tecnologica, anche le tecniche di sorveglianza sperimentate in carcere per tenere a bada i detenuti più riottosi hanno trovato una loro applicazione civile. Dopo tutto, la sicurezza dentro le galere comincia con la sicurezza all’esterno delle mura. Il che spiega il numero impressionante di telecamere onnipresenti agli angoli delle nostre città (e fin dentro autobus e treni), i percorsi obbligati cui siamo costretti per i nostri spostamenti, i rilevatori magnetici che ci ispezionano all’uscita di molti negozi, i codici di riconoscimento che sostituiscono la nostra individualità, gli innumerevoli divieti che bisogna rispettare nonché la variegata folla di guardiani preposti a salvaguardia di questo mondo: insomma, tutto ciò che infesta le nostre esistenze. Ben presto, grazie ai nuovi tesserini di identità, non dovremo nemmeno più essere arrestati per fornire le nostre impronte digitali. Essendo tutti potenziali criminali, veniamo già trattati come tali. Passo dopo passo, è l’intera società ad essere diventata una enorme prigione a cielo aperto da cui è impossibile evadere. Tutto ciò – oltre a realizzare il peggior incubo totalitario, quello che non ha nemmeno bisogno di mandare carri armati o pattuglie di soldati per le strade perché li ha in parte sostituiti con minuscole e meno appariscenti protesi tecnologiche – offusca le differenze esistenti fra chi si trova al di qua e chi si trova al di là delle sbarre. A tal punto da rendere la stesso nozione di libertà solo una nebulosa sfumatura e invece precisa, scientifica, concreta, ma soprattutto normale, la sottomissione alla coercizione.
Come contributo alla lotta contro la società carceraria, abbiamo deciso di pubblicare questa raccolta di testi diffusi in Francia dal gruppo Os Cangaceiros. Un’attività importante la loro – che ha coperto all’incirca il periodo che va dal 1984 ai primi anni ’90 –, perché è stata capace di non limitarsi ad esprimere solo una critica teorica dell’esistente, ma di alimentare e propagare anche una critica pratica conseguente.
Autore di una omonima rivista di cui sono usciti solo tre numeri (ricchi di analisi e documentazioni sulla violenza delle periferie francesi, sugli scioperi scatenati per contrastare la ristrutturazione industriale allora in corso, ma anche sulle sommosse avvenute in altri paesi come la Spagna, la Gran Bretagna o il Sud Africa), di volantini e manifesti che si distinsero per le inusuali prese di posizione (ricordiamo quello in difesa degli hooligan, dopo la tragedia dell’Heysel avvenuta nel 1985), di due libri (un’ampia antologia di scritti sul millenarismo e un diario sulla malattia mortale che aveva colpito una di loro, apparso anche in Italia per le edizioni 415) e di un dossier sulle nuove carceri in via di costruzione sul suolo francese, il gruppo Os Cangaceiros – dal nome dei fuorilegge brasiliani che alla fine del XIX secolo rapinavano i ricchi proprietari ridicolizzando la polizia – è nato e si è sviluppato in quell’ambito che, per così dire, partendo dalla delinquenza sociale sfocia direttamente nell’azione rivoluzionaria (ricordiamo che la Francia è la terra dei vari Mandrin, Lacenaire, Mesrine...).
Dopo aver osservato che «La delinquenza agli inizi degli anni ’70 esprimeva, ..., un desiderio di libertà, una svolta selvaggia, un gioco di bande» e come questa «libertà criminale» sia terminata nei primissimi anni ‘80 per effetto della durissima repressione poliziesca e del ricatto imposto dal «regno della necessità», a Os Cangaceiros non è rimasto che prendere atto della «fine di un’epoca» di spensieratezza e prepararsi all’avvento di un’epoca di disperazione segnata dal ritorno da parte della “classe pericolosa” alla rabbia più incontrollata: «Non facciamo altro che parlare della violenza: è il nostro elemento, e possiamo anche dire il nostro destino quotidiano. La violenza è prima di tutto quella delle condizioni che ci vengono imposte, quella della polizia che le difende e, più raramente purtroppo, quella che noi le gettiamo in faccia». Più affossatori del vecchio mondo che edificatori di quello nuovo, più vicini ai poveri e alle loro esplosioni di violenza che ad una classe lavoratrice cui viene ideologicamente assegnata una missione storica salvifica, Os Cangaceiros si sono sforzati di dare voce e ragioni al rifiuto di tutte le condizioni di esistenza, anche quando questo rifiuto poteva assumere forme particolarmente feroci, con una consapevolezza che non poteva di certo provenire da una militanza politica, verso cui hanno sempre ostentato il massimo disprezzo, ma piuttosto da una vera e propria dimensione di vita extra-legale rivendicata con orgoglio.
Banditi sociali, insomma, alcuni dei quali pregiudicati per reati di tipo comune, tutti a perenne rischio di venire ospitati nelle patrie galere. Con una simile premessa, inutile aggiungere che le prigioni trovarono in Os Cangaceiros dei nemici dichiarati e i detenuti dei complici solidali. L’occasione per dimostrarlo venne loro fornita dalle rivolte scoppiate nel maggio del 1985 all’interno di alcune carceri francesi. Un mese dopo, in giugno, Os Cangaceiros rivendicavano il sabotaggio di alcune installazioni della Società Nazionale delle Ferrovie Francesi a Châtelet-en-Brie, l’incendio con copertoni e paglia delle rotaie della linea ferroviaria Nantes-Parigi, il blocco del treno Parigi-Bruxelles le cui carrozze furono ricoperte di scritte a favore delle lotte dei detenuti. Come spesso accade in questi casi, grazie anche alla semplicità dei mezzi usati, l’idea si fece strada e cominciò a dilagare in tutto il paese. Nel giro di pochissime settimane le ferrovie diventarono il principale bersaglio delle azioni di solidarietà con i detenuti – furono prese di mira anche le tipografie dove venivano stampati alcuni giornali, la metropolitana, le vetture di alcuni funzionari statali, una ditta che sfruttava il lavoro penitenziario, le automobili del Tour de France... – molte delle quali rimasero anonime o vennero rivendicate da altri gruppi (come il Gruppo di Appoggio ai Ribelli Imprigionati, gli Amici dei carcerati rivoltosi, gli Hooligans della ferrovia, il Comitato di sostegno ai carcerati, Los bandoleros...).
La stampa nazionale, in preda al panico, corse ai ripari evocando lo spettro del terrorismo e denunciando il misterioso gruppo che sarebbe stato dietro tutte queste azioni. Da parte loro, Os Cangaceiros rifiutarono con sdegno ogni loro legame con un “terrorismo” (termine che utilizzeranno con disinvoltura per indicare la violenza dei vari gruppi politici armati, cosa tanto più strana se si considera che si professavano nemici della lingua dello Stato) in cui non vedevano altro che il proseguimento della politica con altri mezzi, una tipica espressione dell’impotenza gauchiste.
Di ben altra natura era invece la loro violenza giacché, come essi stessi spiegavano, «I nostri strumenti d’azione sono quelli che utilizza qualsiasi proletario: sabotaggio e vandalismo. Non facciamo azioni simboliche; creiamo disordine, come sanno fare correntemente gli operai in lotta, che bloccano strade e ferrovie, sabotano materiali, ripetitori della televisione, ecc...». Nulla a che vedere con il lottarmatismo tanto caro ai militanti delle varie organizzazioni combattenti.
Quattro anni dopo, nel 1989, Os Cangaceiros fecero un ulteriore passo in avanti nella loro battaglia contro l’istituzione carceraria. Dalla solidarietà attiva nei confronti delle lotte dei detenuti passarono all’azione diretta contro la costruzione di nuove prigioni. Questa volta l’opportunità venne loro fornita dal cosiddetto “Programma dei 13.000”, un ambizioso progetto varato dal governo per riorganizzare completamente il sistema penitenziario francese. Un progetto che prevedeva la chiusura degli istituti più vetusti e inadeguati, la ristrutturazione degli altri e la costruzione di nuove e più moderne prigioni. Il tutto all’insegna della sicurezza assoluta da ottenere grazie all’impiego massiccio delle nuove tecnologie, in grado di controllare costantemente il prigioniero in ogni suo movimento in maniera discreta e asettica. L’obiettivo dichiarato era di creare 13.000 nuovi “posti” per i detenuti (da cui il nome del programma) per alleggerire il sovraffollamento, quello reale era di dare un giro di vite all’interno delle carceri e di assecondare la mania giustizialista che stava dilagando in vasti settori della società.
Os Cangaceiros raccolsero la sfida lanciata dal governo francese e a partire dal mese di aprile del 1989 diedero il via ad una lunga campagna di sabotaggi nei cantieri delle carceri in costruzione, accompagnata dai furti delle planimetrie degli edifici ai danni dei Comuni e dalla devastazione degli uffici delle ditte di lavori pubblici che ne avevano ottenuto l’appalto. Fra le numerose azioni sparse sull’intero territorio nazionale – che, nonostante in questo caso fossero state censurate dalla stampa nazionale, riuscirono ad ispirare altri amanti della libertà – vogliamo ricordare la lezione impartita nella pubblica via all’architetto Christian Demonchy, responsabile della costruzione di diverse prigioni. Dopo oltre un anno di sabotaggi, Os Cangaceiros si procurarono diecimila indirizzi di abitanti nei pressi delle future carceri, a cui spedirono estratti di un voluminoso dossier contenente molti dati e informazioni (frutto delle loro “visite” nei locali delle imprese coinvolte nell’immondo affare) sugli istituti di pena in via di costruzione.
Nel novembre 1990 esce finalmente il dossier completo Treize mille belles (Tredicimila evasioni) la cui diffusione scatenerà mille polemiche e l’ira del governo francese, anche in seguito alla pubblicazione di diversi stralci da parte di alcuni quotidiani a tiratura nazionale. Il dossier contiene tra l’altro un’accurata documentazione tecnica relativa alle numerose carceri in costruzione e in via di ristrutturazione, con cenni generali, informazioni sui materiali usati, sugli infissi, sui controlli d’accesso, le porte e le serrature, sugli impianti elettrici e idraulici, sui sanitari, sulle coperture, sulle installazioni esterne e, soprattutto, dettagliate piantine di ogni edificio e dei suoi particolari.
La polizia, che aveva intensificato gli sforzi per neutralizzare Os Cangaceiros già dall’estate del 1987, causando forse per questo l’interruzione dell’attività “pubblica” del gruppo, effettuò numerose perquisizioni negli ambienti sovversivi francesi. Pare che il solo possesso di Treize mille belles fosse sufficiente per venire inquisiti ed anche i redattori del giornale Mordicus, che avevano osato pubblicare alcuni stralci del dossier, ebbero le loro noie giudiziarie. Ad ogni modo non ci risulta che qualcuno sia mai stato processato e condannato per i fatti attribuiti a Os Cangaceiros, i quali scompariranno nel nulla nei primi anni ‘90.
In questo libretto abbiamo raccolto alcuni dei testi apparsi sul secondo numero della loro rivista, edito nel novembre del 1985, relativi alla rivolta dei detenuti francesi del maggio 1985 e alle azioni di solidarietà nei loro confronti che si svilupparono nei mesi successivi. Abbiamo poi aggiunto altri testi tratti dal loro dossier Treize mille belles, fra cui la cronologia delle azioni condotte fra il 1989 ed il 1990 contro il “Programma dei 13.000” corredata dalle lettere di rivendicazione spedite da Os Cangaceiros alle loro “vittime”, l’introduzione al loro dossier e la lettera che ne accompagnava la spedizione.
Fuori da ogni intento apologetico, speriamo che la lettura di questi testi possa fornire spunti di riflessione sulle possibili prospettive antipolitiche e pratiche di una lotta contro l’istituzione carceraria, che non è possibile concepire separatamente da una lotta contro la società che la ospita.