LA LIBERTÀ È IL CRIMINE
CHE CONTIENE TUTTI I CRIMINI
CHE CONTIENE TUTTI I CRIMINI
Abbiamo molti amici in carcere, noi stessi siamo dei fottuti avanzi di galera. Ecco perché da tempo sentivamo arrivare l’attuale ondata di rivolta, iniziata domenica 5 maggio con l’ammutinamento di una parte di Fleury-Mérogis.
I detenuti non potevano più tollerare le porcherie cui si dedicavano sempre più apertamente i secondini. Due precisi fatti verosimilmente sono stati di troppo:
- in marzo, l’assassinio di Bruno Sulak da parte dei secondini, dopo una fallita evasione. I bugiardi che parlano in televisione e scrivono sui giornali lo hanno presentato come un incidente, nonostante alcune guardie di Fleury si fossero vantate di averlo accoppato.
- all’inizio di aprile, un secondino si era preso qualche pugno in una prigione di Lione, nel corso di un tentativo di evasione. I suoi colleghi hanno risposto proclamando uno sciopero. Qualche giorno dopo, sempre a Lione, alcuni detenuti hanno reagito alla loro arroganza picchiando due di questi schifosi. Ne è conseguito uno sciopero nazionale di tutti i secondini che, sopprimendo l’ora d’aria, le visite e i permessi, ha aggravato ulteriormente le già insopportabili condizioni di detenzione (moltiplicando i disagi, le vessazioni quotidiane ed i pestaggi già d’ordinaria amministrazione).
Quelli che ci parlano di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite fino a farle scoppiare! Evidentemente rovesciano la questione. Per noi non si tratta di costruire altre prigioni, ma di svuotare quelle già esistenti.
L’esigenza dei detenuti in rivolta è chiara: la libertà! Non la negoziano con l’Amministrazione Penitenziaria, ma cominciano a prendersela: salire sui tetti è libertà strappata allo Stato. «Prendiamo aria», esclamano; per qualche ora possono chiacchierare al riparo da orecchie indiscrete, dialogare al di sopra delle mura coi loro compagni fuori, insultare le carogne che li opprimono e colpirle con tegole, fare infine parlare di sé. Sono questi, i veri colloqui liberi!
L’Amministrazione Penitenziaria e i media attribuiscono la rivolta di Fleury-Mérogis a un pugno di militanti politici (nello specifico di Action Directe) che, preoccupati della propria notorietà, si sono sempre resi partecipi di questa menzogna non smentendo tali affermazioni. Tutti questi bugiardi avevano già fatto lo stesso nel corso dello sciopero della fame proclamato a Fleury, alla fine del 1984. Ma abbandoniamo i militanti alla loro lingua di legno...
Una solidarietà reale c’è stata invece tra i prigionieri (a Bois D’Arcy, i detenuti in cella erano pronti a sfasciare tutto se quelli che erano sui tetti fossero stati sloggiati: è per questo che il GIGN (1) non è intervenuto e che gli altri hanno potuto restare per una quarantina d’ore all’aria aperta, rifocillati dai loro compagni di detenzione; mentre a Bastia è stato indetto uno sciopero della fame in solidarietà coi rivoltosi delle altre carceri). La stessa solidarietà è stata espressa anche fuori: il 19 maggio a Montpellier, un gruppo di persone si è schierato dalla parte dei detenuti in rivolta e ha preso alle spalle gli sbirri, i quali li hanno dispersi sguinzagliando i cani. La principale preoccupazione dei detenuti è stata quella di comunicare con l’esterno, di gridare la propria protesta contro la detenzione, il terrore quotidiano esercitato contro di loro. «Vogliono ammazzarci». «Ci gasano, ci manganellano», si poteva leggere sugli striscioni a Bois d’Arcy.
I galeotti corrono un rischio enorme ribellandosi. Fin da subito, ciascuno di loro sa che l’Amministrazione Penitenziaria gli farà poi pagare salato quel momento: con pene detentive, con la soppressione delle riduzioni di pena (2), con trasferimenti, pestaggi, omicidi mascherati da suicidi. A Douai tre detenuti, per essere semplicemente saliti sui tetti e aver manifestato la loro ribellione buttando giù delle tegole, appena scesi sono stati condannati da un tribunale speciale a 15 e a 6 mesi senza condizionale (uno di loro doveva essere liberato a giugno). Si è trattato di una condanna esemplare.
L’angoscia generata dal terrore repressivo e la disperazione di ritornare all’opprimente isolamento della prigione sono così presenti anche nel momento della ribellione che qualcuno le ha ritorte contro di sé mutilandosi. A Fleury e a Montpellier, alcuni detenuti si sono impadroniti dei barbiturici e li hanno trangugiati, spaccando tutto al proprio passaggio. Venticinque di loro sono rimasti seriamente intossicati. Altri si sono tagliati le vene, invitando i propri compagni a fare altrettanto. Un prigioniero è rimasto ucciso. Nel contempo, numerosi detenuti si sono impiccati in diverse prigioni. In questo stesso momento, a Saint Paul e a Lione, c’è qualche detenuto che quotidianamente si mutila o tenta di impiccarsi.
«La libertà è il crimine che contiene tutti i crimini», ed è contro questo crimine che il vecchio mondo si difende: lo Stato sta eliminando fisicamente tutta la bella gioventù che non si rassegna – quella stessa gioventù che muore assassinata dagli sbirri o dai reazionari. Quelli che la giustizia può incastrare, lo Stato li seppellisce vivi nelle sue prigioni il più a lungo possibile, terrorizzando allo stesso tempo gli altri che sono riusciti a restare fuori. Per questi ultimi, paga qualche educatore ed altri tafani per demoralizzarli e far loro dimenticare i compagni in galera...
I quartieri di periferia si svuotano della propria gioventù, mentre le prigioni si riempiono. È questo l’arcano del sovraffollamento. I lacché dello Stato vorrebbero farci credere che si tratta di un problema di stanziamenti! Il sovraffollamento sarebbe causato da un cattivo funzionamento del sistema penitenziario, mentre invece è dovuto all’ottimo funzionamento del sistema giudiziario.
L’unico modo di risolvere il sovraffollamento delle prigioni è chiaramente quello di svuotarle, come hanno sostenuto i rivoltosi di Fleury – su questo punto non potevano essere più chiari, con la loro opposizione alla costruzione di nuove prigioni, nella dichiarazione firmata «i 600 capi». A Montpellier hanno invece fornito una soluzione concreta al sovraffollamento, distruggendo la quasi totalità delle celle!
È contro la giustizia e più precisamente contro quel sequestro rappresentato dalla detenzione preventiva – che condanna d’ufficio ad una reclusione indeterminata, poi come minimo con fermata, quando non aggravata dal processo – che si rivoltano i carcerati. Del resto, ricordiamo il movimento che spediva richieste collettive di libertà provvisoria a Lione, all’inizio dell’estate del 1984.
Da quando esistono le prigioni, tutto ciò che i detenuti hanno ottenuto lo hanno conquistato rischiando la propria pelle, ribellandosi. In qualche caso sono riusciti ad imporre qualche breccia nel regime di detenzione.
Ciò che i detenuti riescono a strappare con la forza e a prezzo del sangue, l’Amministrazione Penitenziaria in seguito se lo rosicchia di nuovo servendosi dei miglioramenti della condizione carceraria come mezzo di ricatto.
I secondini sono incaricati di perseguitare la minima briciola di libertà in ogni gesto di vita quotidiana; la privazione della libertà si raffina ogni giorno nell’arbitrio permanente e sadico di questi porci. In galera, la libertà è anche quella di rimanere seduti, sdraiati o in piedi quando si vuole farlo.
Dopo Peyrefitte e Badinter, se lo Stato propone un programma di riforme è unicamente per prevenire il pericolo di un’esplosione e non certo per motivi umanitari.
I detenuti non chiedono più riforme: ne hanno subito la realtà. L’applicazione di ciascuna di esse dipende dalla buona volontà dell’Amministrazione Penitenziaria e dei secondini. Ciò che veniva presentato come un beneficio diventa un’ignominia supplementare.
– I colloqui liberi sono persino rifiutati da alcuni, tanto è umiliante quel che bisogna subire per beneficiarne.
– La pena di morte, a quanto pare, è stata abolita e non fa più parte del codice penale, è stata resa più ordinaria, democratizzata. Ora viene eseguita da una torma di reazionari e sbirri, mentre in galera ci pensano i secondini a farlo.
– Allo stesso modo, la soppressione dei Q.H.S. [sezioni di massima sicurezza] è un bluff umanitario (sostenuto dalla sinistra). Il miglior esempio di questo atteggiamento opportunista si è avuto quando, grazie a una campagna umanitaria, hanno rilasciato Knobelpiess che aveva denunciato l’orrore dei Q.H.S: prima si sono serviti di lui e poi non hanno esitato a rinchiuderlo là dentro nuovamente (3).
In quanto regime speciale di isolamento, i Q.H.S. non sono mai stati soppressi. Hanno semplicemente cambiato nome. Adesso vengono chiamati Q.I. (sezioni di isolamento). Nel 1983 è entrata in funzione vicino a Nevers una nuova prigione, «Les Godets», destinata a incarcerare detenuti considerati particolarmente pericolosi. Può detenere 80 prigionieri in regime particolarmente duro di sorveglianza.
Inoltre, l’amministrazione e i secondini vogliono estendere le condizioni del Q.H.S. all’insieme della prigione; il numero delle celle di isolamento è aumentato, lo statuto di D.P.S. [Detenuto Particolarmente Sorvegliato] viene sempre più applicato, le celle di punizione sono sempre più piene.
– L’Amministrazione Penitenziaria si riserva sempre più spesso, in base alla tensione che regna in carcere, il diritto di infliggere più punizioni e sanzioni speciali. Soprusi e pestaggi sono all’ordine del giorno. Spinge i detenuti a togliersi la vita, oppure fa passare gli omicidi per suicidi. In prigione non esistono morti naturali, quelli che soccombono muoiono di galera. L’assassinio viene chiamato «morte accidentale», come è il caso di Mohammed Rhabi a Rouen e di Bruno Sulak a Fleury, ammazzati da quelle carogne di secondini durante un tentativo di evasione; come per Alain Pinol a Fresnes, assassinato dagli sbirri. I suicidi dei prigionieri sono altrettanti omicidi commessi dall’Amministrazione Penitenziaria che fornisce loro di buon grado la corda per impiccarsi. E se aumentano col passare del tempo (almeno 20 dall’inizio dell’anno), significa che le condizioni di vita all’interno sono sempre più intollerabili.
– Una pressione supplementare viene esercitata contro gli immigrati condannati. Alla pena della prigione se ne può aggiungere una seconda: l’espulsione. Succede anche che, dopo aver scontato la loro condanna, continuino a marcire per mesi in prigione prima che la procedura di espulsione sia ultimata. Per concludere con le famigerate riforme di Badinter, il suo ultimo regalo, i T.I.G. (4), è stato una bella porcheria. Si può già prevedere che i posti liberati dai T.I.G. verranno presto occupati da nuovi imputati. Questa moderna versione dei lavori forzati non è più invidiabile della galera, tant’è che alcuni condannati l’hanno rifiutata.
Tutti quelli che in prigione reclamano diritti (i sindacati dei detenuti) sono al di qua dei movimenti di rivolta dei prigionieri, giacché questi ultimi non possono che imporre le proprie richieste con la violenza rischiando la vita. «La battaglia del sindacato si farà nella legalità e attraverso la legalità, perseguendo tutti gli abusi davanti alle autorità competenti»: ecco qual è il programma dei sindacati dei detenuti...
Abbiamo già visto cosa sono i sindacati fuori. Non servono che a canalizzare e ad addomesticare la ribellione della gente, in una battaglia di riforme destinate ad abbellire la miseria. Inoltre si adoperano per soffocare le reali rivendicazioni a cui i poveri pensano spontaneamente nella propria lotta.
I detenuti non si battono più per riforme che, ora lo sanno, erano solo illusioni: piuttosto che porsi sul terreno astratto del diritto, possono esigere qualcosa che avrà almeno un risultato concreto, una diminuzione della pena generale.
Si tratta di pretendere:
UNA RIDUZIONE DI PENA PER TUTTI I CONDANNATI
LA LIBERAZIONE DI TUTTI GLI IMPUTATI
LA CESSAZIONE DEFINITIVA DELLE MISURE DI ESPULSIONE
e, naturalmente,
L’ANNULLAMENTO DELLE SANZIONI PER TUTTI I RIVOLTOSI.
L’esigenza di liberazione degli imputati va oltre una specifica esigenza relativa al carcere. Più che allo Stato o all’Amministrazione Penitenziaria, essa si rivolge a tutti i poveri per i quali la detenzione preventiva è una spada di Damocle quotidianamente sospesa sulla testa. È una sfida lanciata a questa società e che risuona con forza nella mente di tutti coloro che hanno deciso di non sottomettersi.
Le questioni giudiziarie e carcerarie restano quasi sempre affari privati in cui ciascuno si trova impotente nel proprio isolamento, sia che questo avvenga all’interno, a chi è in attesa di processo, sia che accada all’esterno, a chi ha un amico in prigione e spesso non può fare altro che assisterlo economicamente e andare a trovarlo. I rivoltosi hanno avanzato alcune rivendicazioni immediatamente praticabili che mirano quanto meno a fare uscire il maggior numero di individui. Queste richieste costituiscono un’offensiva dei detenuti contro il proprio isolamento e un appello a chi si trova fuori affinché agisca concretamente per spezzarlo. Si tratta di esercitare una pressione contro la società, di rompere i coglioni a questo mondo con le sue prigioni di cui preferirebbe non sentir proprio parlare.
OS CANGACEIROS
- Inizio giugno 1985
Diffuso a Parigi, Lione, Marsiglia e in molte altre città, in special modo nei dintorni delle prigioni; letto in radio a Marsiglia e a Tolosa. Tradotto in inglese, tedesco, spagnolo e italiano.
NOTE
(1) Groupe d’Intervention de la Gendarmerie Nationale: reparto speciale autonomo (utilizzato per sommosse, sequestri, ...) dipendente dal Ministero.
(2) Un’altra beffa: le «riduzioni di pena» sono in realtà aumenti di pena, che vengono elargiti a chi osa aprire bocca. I giudici calcolano la condanna in funzione delle concessioni: se vogliono che un galeotto si faccia almeno 9 mesi di carcere, lo condanneranno ad 1 anno.
(3) Una particolare attenzione va riservata alla insopportabile situazione dei condannati che sono stati rinchiusi nelle sezioni di isolamento, o che lo sono ancora come Knobelpiess, coloro contro cui l’Amministrazione Penitenziaria si accanisce in modo particolare per far loro pagare a caro prezzo di non essersi mai piegati al regime carcerario. Citiamo il caso di Charlie Bauer, condannato nel 1962 a 20 anni di reclusione per alcuni furti con scasso. Liberato con la condizionale nel 1976, dopo aver sperimentato a lungo i Q.H.S., è stato di nuovo incarcerato in seguito a una condanna a 5 anni per ricettazione, aumentata di altri 6 anni che corrispondono alla soppressione della sua condizionale. Non uscirà probabilmente che nel 1990. Bauer si è battuto contro i Q.H.S, dove ha incontrato Mesrine, cosa che l’Amministrazione Penitenziaria non gli ha perdonato.
(4) Travail d’Interêt General: pena complementare che prevede ore di lavoro presso alcune associazioni in accordo con lo Stato.