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“Ai martiri di Attica”


IL CARCERE COME SCUOLA DI RIVOLUZIONE.


Il carcere si può definire lo specchio della società che lo contiene e i carcerati la sua immagine.
Il carcere è anche la negazione più assoluta delle esigenze e delle necessità fisiologiche e caratteriali dell'individuo che col tempo finiscono anche per comprometterne il suo equilibrio psichico.
Come vedi, parlare di scuola in un ambiente in cui manca quell'equilibrio di valori che sono indispensabili alla formazione ed alla realizzazione dell'uomo stesso è semplicemente ridicolo.
SANTE NOTARNICOLA
carcere di Volterra, 9 marzo 1971.

La risocializzazione non è un fatto esterno, imposto, insegnato meccanicamente. Deve essere conquistato dall'individuo, come soggetto e non oggetto, e come appartenente ad una collettività. Questo significa che solamente acquistando coscienza sociale, di classe, il detenuto può rompere con la delinquenza, ma ciò porta a una sola via d'uscita: quella di diventare un rivoluzionario. Ecco perché il sistema borghese blocca questa soluzione e favorisce la produzione di criminali nelle carceri. Quindi siamo d'accordo su tutto. Anche sul fatto che qui dentro gli “unici” rieducatori possiamo essere noi, cioè quei detenuti che hanno coscienza di classe.
P. C.
carcere di San Vittore, 10 maggio 1971.

Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore compendi, eccetera. Un delinquente produce delitti. Se si considera più da vicino la connessione che esiste fra questa ultima branca di produzione e l'insieme della società, si abbandoneranno molti pregiudizi. Il criminale non solo produce crimini, ma anche il diritto penale e quindi anche il professore che tiene cattedra di diritto penale, e l'inevitabile manuale in cui questo stesso professore getta sul mercato generale i suoi contributi come “merce”. Ciò provoca un aumento della ricchezza nazionale, senza contare il piacere personale che, come ci assicura un testimonio competente, il professor Roscher, la composizione del manuale procura al suo autore.
Il criminale produce inoltre tutta l'organizzazione poliziesca e la giustizia penale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati, eccetera, e tutte quelle differenti professioni che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano le differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuove maniere di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche, e nella produzione dei suoi strumenti ha dato impiego a una massa di onesti lavoratori.
Il delinquente produce un'impressione, sia morale che tragica, secondo i casi, e rende così un “servizio” al movimento dei sentimenti morali ed estetici del pubblico. Egli non produce soltanto manuali di diritto penale, codici penali e legislatori penali, ma produce anche arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedie, come dimostrano non solo “La colpa” di Müllner o “I masnadieri” di Schiller, ma anche l'“Edipo” e il “Riccardo Terzo”. Il criminale rompe la monotonia e la calma tranquillità della vita borghese. Egli la preserva così dalla stagnazione e provoca quella inquieta tensione, quella mobilità senza la quale lo stimolo della concorrenza verrebbe smussato. Egli dà così uno sprone alle forze produttive. Mentre il delitto sottrae una parte della eccessiva popolazione al mercato del lavoro, diminuendo così la concorrenza fra gli operai e impedendo, in una certa misura, la caduta del salario al di sotto del “minimum”, la lotta contro il delitto assorbe un'altra parte della stessa popolazione. Il criminale appare così come uno di quei fattori naturali di equilibrio, che stabiliscono un giusto livello e aprono tutta una prospettiva di “utili” occupazioni. Si potrebbe dimostrare fin nei dettagli l'influenza del delitto sullo sviluppo della forza produttiva. Le serrature sarebbero giunte alla perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? E così la fabbricazione delle banconote, se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe forse trovato impiego nelle comuni sfere commerciali senza le frodi nel commercio? La chimica pratica non deve altrettanto alla falsificazione delle merci e agli sforzi per scoprirla, quanto all'onesto fervore produttivo? Il delitto con i suoi mezzi, sempre nuovi di attacco alla proprietà, chiama in vita sempre nuovi mezzi di difesa, dispiegando così un'azione produttiva del tutto simile a quella esercitata dagli scioperi sull'invenzione delle macchine.
E, abbandonando la sfera del delitto privato, senza delitti nazionali sarebbe forse sorto il mercato mondiale, o anche solo le nazioni? E dal tempo di Adamo, l'albero del peccato non è nello stesso tempo l'albero della conoscenza?
KARL MARX, “Storia delle teorie economiche”.

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