LA CENSURA.
- Lettera di L. R.
Alessandria, 26 maggio 1971.
Dopo un'ora che eri stata in portineria mi consegnarono i libri, ma non le riviste. Figurati, neanche a farlo apposta c'era come capoposto uno della vecchia "zimarra" - il prototipo del secondino - nonché fascista. Le riviste dovevano essere censurate dal direttore. Lunedì gliele portarono e nella stessa giornata me le rifiutò. Chiesi di volata udienza e martedì ero sparato da lui. Gli chiesi se era sua iniziativa il rifiuto motivato da qualche circolare ministeriale. Mi rispose che era il ministero. Non è vero - replicai - la disposizione ministeriale dice testualmente: tutti i quotidiani e le riviste di qualsiasi tendenza politica purché autorizzati dalla legge. Quindi o lei non conosce bene la disposizione oppure sta commettendo un atto repressivo arbitrario e discriminatorio. Sì, perché tutti gli altri giornali e riviste entrano in questo carcere. Qui si tratta di andare contro delle precise disposizioni ministeriali, il che lei non è autorizzato a farlo, ammenocché incorrere in un abuso di autorità. Senti, senti cosa mi rispose: Faccia l'istanza al ministero. Risposi: No, no di certo, l'istanza la deve fare lei; non io, dovessi scrivere a proposito del rifiuto delle riviste so ben io a chi lo farei. Capì al volo che la cosa non sarebbe morta lì vedendo il mio atteggiamento deciso ad andare fino in fondo. Prese il telefono e chiamò Roma. La risposta del ministero venne dopo mezz'ora, una risposta sconcertante e sciocca come si poteva aspettarsi da un ufficio burocratizzato. Sottoponeva al direttore "il quesito". Cosa vuol dire? Premetto: il ministero confermò la mia tesi. Il direttore deve pronunciarsi sulla permessività della rivista in carcere. Se sì, il ministero accoglierà la sua decisione e a sua volta disporrà di una seconda circolare che anche quella rivista è autorizzata alla vendita in carcere. Tutto ciò ha del pazzesco, la rivista di cui si chiede il "quesito" è legalizzata, è venduta in tutto il mondo, e quindi rientra appieno nella prima circolare senza bisogno di farne un'altra. Non c'è stato nulla da fare per far capire questo semplice punto di vista.
- Lettera di S. N. - San Vittore.
Milano, 21 giugno 1971.
In questo momento siamo tornati dal dottor C. (il direttore). Eravamo andati a parlamentare (in blocco) per poter ritirare i giornali che tu ed altri compagni ci avevate mandato, in questi ultimi tempi. Risultato... disastroso! Non una delle nostre richieste è stata accolta, pensa che, quasi per scherzo, alla fine, pur di ottenere una sola cosa, abbiamo chiesto di poter acquistare un chilo di... polenta, neppure quella!!! ... La riunione è stata istruttiva e interessante, nei limiti della correttezza per due motivi: primo perché ci siamo, subito, resi conto della impossibilità assoluta di giungere a una qualsiasi intesa; e non sulle richieste singole, ma proprio per una volontà repressiva chiaramente dichiarata. Secondo, ricatto aperto di essere immediatamente trasferiti alle nostre sedi, in quanto lui ha capito che ci preme di rimanere qui. Naturalmente tale eventuale trasferimento verrebbe giustificato come una esigenza di "sfollamento". Mentre a dispetto dei regolamenti stessi vi sono detenuti-definitivi-ruffiani che non hanno alcuna esigenza processuale e vi restano qui per anni.
[...].
Per il materiale, giornali, eccetera, dapprima si è giustificato con motivi tecnici (mancanza di guardie adatte alla censura di quei giornali), poi, è slittato affermando che se avesse potuto avere delle "garanzie" che i giornali non fossero "usciti dalla nostra cella" ce li avrebbe anche concessi. Tutto ciò è rimasto ipotetico in quanto in ogni caso non avremmo dato alcuna garanzia del genere... I giornali devono entrare, ma senza queste garanzie discriminanti, quindi tra qualche giorno avremo (tutto il raggio) un colloquio con il giudice di sorveglianza cui sottoporre queste ed altre questioni. Infatti oggi c'è stata una petizione in merito firmata da tutto il raggio. Nei prossimi giorni vedremo di impostare una azione efficace contro di lui e i suoi metodi.