APPENDICI.
Appendice 1.
LOTTE SPONTANEE E PROTESTE DEL 1971 E 1972.
A proposito delle rivolte spontanee e delle lotte organizzate, va detto che il processo in atto nelle carceri in questi ultimi anni è una “linea di tendenza”, ma nessuno pensi schematicamente che tutte le proteste e le lotte fino al '69 erano spontanee, e tutte quelle dopo “politiche”. La realtà è ben più complessa perché in un carcere come San Vittore, per esempio, coesistono tutte le forme di lotta e di protesta, da quelle individuali, alle lotte organizzate ed ai movimenti spontanei. Se si esaminano le rivolte successe in Italia nel 1971-72 si vede quanto gioca e quanto ancora è giusto che giochi la spontaneità. Comunque il lavoro politico nelle carceri, il collegamento politico con l'esterno, se è vero che va verificato nelle lotte, è anche vero che si esprime in azioni forse non clamorose ma senz'altro molto positive ed utili alla crescita politica dei detenuti ed alla propaganda tra le masse operaie e studentesche: oggi molti detenuti anche di carceri diverse sono collegati tra loro, si riconoscono come compagni, si ritrovano nei trasferimenti, cominciano ad essere organizzati a livello nazionale. “È questa organizzazione il vero fatto nuovo”, non tanto che una singola lotta sia organizzata (sarà sempre difficilissimo comunque) ma che tutte le lotte, anche quelle individuali, siano gestite politicamente da un'organizzazione interna-esterna dei detenuti, cioè da una struttura di partito.
- Le rivolte e le lotte nel 1971-72.
16 gennaio: TORINO, LE NUOVE. Protesta e rivolta. Centocinquanta detenuti si rifiutano di collaborare alle attività carcerarie. Le suppellettili del carcere vengono seriamente danneggiate, il sesto braccio è quasi distrutto e reso inabitabile.
17 gennaio: MONZA, CARCERE GIUDIZIARIO. Sciopero dei cinquantanove detenuti da ogni attività del carcere per chiedere la riforma dei codici e del regolamento carcerario.
19 gennaio: TREVISO. Protesta di quaranta detenuti.
20 gennaio: MILANO, SAN VITTORE. Protesta contro il carcere preventivo. Sciopero della fame.
31 gennaio: GENOVA, MARASSI. Rivolta in tutto il carcere giudiziario. Incendi, scontri con la polizia all'interno, barricate. Si chiede il riscaldamento invernale e la riforma dei codici e del regolamento interno.
Febbraio: continuano le proteste nel carcere di Marassi.
10 febbraio: TORINO, LE NUOVE. Una cinquantina di detenuti dichiarano di non volersi più presentare ai processi per protesta contro i codici fascisti.
Marzo: MILANO, SAN VITTORE. Una trentina di detenuti rifiutano di presentarsi ai processi.
17 marzo: NAPOLI, POGGIOREALE. Sciopero della fame contro la lentezza della procedura giudiziaria.
12-14 aprile: TORINO, LE NUOVE. Rivolta durissima e generale: Le Nuove sono distrutte. È una grande vittoria. Ancora una volta i forcaioli, con la “Stampa” in testa, si scatenano contro “i delinquenti”, i teppisti vandali e invasati e così via. Le Nuove si vuotano e si riempiono, come sempre, le carceri di punizione, quelle in cui si resta per mesi legati alla “balilla”, al letto di contenzione, fino a che tutto il corpo diventa una piaga; o isolati, senza sigarette e caffè, in celle senza finestre, buie, anguste e irrespirabili.
Eppure, i detenuti che escono dalle Nuove per essere caricati e trasferiti non hanno il volto degli sconfitti. Al contrario, i loro saluti e i loro slogans mostrano la coscienza di chi si è proposto un fine, e l'ha raggiunto. La distruzione delle Nuove, di questo simbolo mostruoso dell'oppressione borghese, è stata voluta coscientemente. Da questo si misura la distanza enorme che separa la rivolta di due anni fa da quella del 12 aprile. Essa è stata il punto d'arrivo necessario di un processo cosciente. Basta ripercorrere la cronaca di pochi mesi. Rivolta a gennaio, sciopero della fame, pubblicazione di bollettini. Conquista di alcune rivendicazioni interne, impegno a continuare la lotta su quelle generali. Un mese dopo, decisione di non presentarsi più ai processi, accompagnata da una dichiarazione politica, mentre proseguono le assemblee interne. La direzione e il ministero scelgono la strada della repressione più dura e provocatoria: trasferimenti in massa dei “capi” – più di centocinquanta – denunce e punizioni, l'isolamento più rigido verso l'esterno, e la vigliacca decisione di annullare tutte le conquiste della lotta precedente. L'aria viene ridotta, il diritto a collegarsi e discutere viene abolito. Ci sono altre manifestazioni, e altri trasferimenti con accompagnamento di pestaggi. Ma non basta. Il grado di coscienza politica della massa dei detenuti si riesprime nella volontà di scendere in lotta il giorno dello sciopero generale nazionale, e in collegamento con la lotta di tutti i proletari. La direzione, informata dell'iniziativa, annuncia, tronfia e stupida com'è, di averla soffocata facendo trasferire un altro gruppetto di “agitatori”. Ed ecco, a pochi giorni di distanza, quando la repressione nella sua brutalità ha eliminato ogni altra possibilità di lotta, la rivolta dura, massiccia, determinata. “Con la nostra unità e la nostra forza – scrivono i detenuti – non ci sono muri che non possiamo abbattere”.
14 aprile: NOVARA, CARCERE GIUDIZIARIO. Rivolta e tentativo di evasione in massa dei trenta detenuti. La rivolta è iniziata per solidarietà coi rivoltosi di Torino.
15 aprile: LA SPEZIA. Sciopero e protesta di cinquanta trasferiti dalle Nuove.
15-17 aprile: ROMA, REGINA COELI. Sciopero della fame, per la riforma dell'ordinamento penitenziario.
15 aprile: BRESCIA, CANTON MOMBELLO. Sciopero della fame, sciopero delle lavorazioni.
15-20 aprile: MILANO, SAN VITTORE. Sciopero della fame, astensione dal lavoro, che si protraggono a singhiozzo per una settimana.
1º maggio: FORLÌ, CARCERE PER MINORI E GIUDIZIARIO. Proteste contro la carcerazione preventiva.
6 maggio: CATANIA, CARCERE PER MINORI E GIOVANI ADULTI. Rivolta.
6 maggio: UDINE. Sciopero della fame. Dura repressione da parte della polizia e trasferimento di parecchi detenuti.
27 giugno: ROMA, REBIBBIA. I detenuti del centro di osservazione, sbandierato dai riformisti come un modello europeo per umanità di trattamento e “recupero” scientifico del recluso, salgono sui tetti per protesta contro il sistema carcerario, stufi di essere considerati cavie da esperimento e studio.
29 giugno: CATANIA. Ottanta minori e cento adulti si ribellano contro la sproporzione della pena e la durezza nei confronti di due minorenni condannati a quattro anni per scippo. La lotta è durissima. Sui tetti spiccano grandi cartelli: “Carcere = campo di concentramento”. Vengono incendiate tutte le suppellettili e distrutto un padiglione. Il carcere viene circondato da militari e polizia, che spara diverse raffiche di mitra sui tetti ad altezza d'uomo. I familiari e i compagni sotto il carcere gridano “Polizia fascista”. Dei fascisti che hanno una sede lì vicino, vengono a provocare i compagni, gridando “Pena di morte, cianuro!”, ma i familiari li cacciano via. Infine polizia e pompieri riescono ad entrare. Otto detenuti feriti da arma da fuoco (sui tetti) vanno all'ospedale. Moltissimi i trasferimenti.
6 luglio: FORLÌ, CARCERE PER MINORI. Preceduto da due o tre proteste e uno sciopero della fame, scoppia l'ammutinamento dei minori. Su cento partecipano in novantasei, le guardie e il direttore abbandonano l'edificio. Si fa un'assemblea dove si discute del regolamento e delle lavorazioni. Ad esempio, in falegnameria per una paga irrisoria si costruiscono mobili che il famoso mobilificio Leoni di Meldola vende carissimi. Si decide di non lavorare più. La repressione è molto dura, dodici vengono condannati a venticinque giorni di camera di sicurezza e si sa per certo che Roberto Mander, uno degli anarchici ingiustamente carcerato per la Strage di Stato, che ha partecipato alla rivolta, rischia il manicomio criminale.
9-10 luglio: VENEZIA, SANTA MARIA MAGGIORE. Nella notte i detenuti scendono in lotta, liberano un braccio, salgono sui tetti malgrado i colpi di fucile sparati dalle guardie. I detenuti presentano le seguenti richieste: abolizione del codice fascista; snellimento del procedimento giudiziario; fine dello sfruttamento del lavoro carcerario e della speculazione sul vitto; fine dei trasferimenti politici ai danni dei compagni più combattivi; fine delle punizioni corporali e delle camere di sicurezza. La mattina dell'11 la polizia entra in forze e dopo duri scontri reprime la lotta. I compagni hanno portato il loro sostegno militante all'esterno del carcere ed hanno propagandato nei quartieri popolari i motivi della lotta.
13 luglio: CATANIA. Malgrado la repressione, nuova rivolta dei minori.
14 luglio: FORLÌ. Nuova rivolta dei minorenni. Un gruppo di compagni si è ribellato sfasciando suppellettili e costringendo le guardie ad abbandonare una parte dell'edificio. Il tema della lotta è ancora la fine della speculazione sul lavoro.
16 luglio: ROMA, CARCERE PER MINORI “ARISTIDE GABELLI”. Evasione in massa di dieci “corrigendi”.
20 luglio: MODENA, CARCERI DI SANTA EUFEMIA. Verso le diciannove e trenta i detenuti si barricano nelle celle minacciando di incendiarle se non vengono accolte le loro richieste, che riguardano le condizioni materiali di esistenza: vitto, igiene, colloqui, eccetera. La P.S. e i C.C. circondano l'edificio, mentre i carcerati in coro gridano “Polizia fascista!” “Sistema fascista!” Il sostituto procuratore della repubblica concede ai rivoltosi quello che chiedono, soprattutto riguardo al vitto, ma alcuni promotori della rivolta vengono trasferiti.
29 luglio: BARI, ISTITUTO DI RIEDUCAZIONE “FORNELLI”. Per protesta contro il trasferimento di alcuni ragazzi nel carcere giudiziario, i settanta “corrigendi” si impadroniscono dell'istituto (tre agenti di custodia, T., F., P. all'ospedale!), sfasciano porte e finestre, uffici e si scontrano per un'ora con la P.S. accorsa in forze a dare una mano ai secondini. Identificati e denunciati i “capi” del la rivolta: Domenico, Michele, Leonardo Anaclero, e Piero Navarra. Il Navarra, questo nostro bravissimo fratello minore, ha quattordici anni...! Alcuni giorni dopo un gruppo di quindici minori riusciva ad evadere dall'istituto.
4 agosto: LA SPEZIA. Protesta di centosessantaquattro detenuti. Motivi: disagio derivante da sovraffollamento, caldo, riforma dei codici, migliore trattamento. Metodo di lotta: asserragliati per tre ore nel salone T.V., battono con forza sulle sbarre delle finestre per richiamare l'attenzione dei passanti. Il sostituto procuratore della repubblica, dottor B., ha preso atto delle richieste; i detenuti annunciano uno sciopero della fame in massa in caso non si manterranno gli accordi.
8 agosto: TRAPANI, CARCERE GIUDIZIARIO. Nella notte trenta detenuti si impadroniscono del carcere e incendiano tutto, fuorché i muri e le sbarre! Dopo una durissima repressione, durata tutto il giorno, sono trasferiti in altre carceri siciliane.
12 agosto: PISA, CARCERE GIUDIZIARIO. Cinquanta detenuti in “transito” si rivoltano, dànno fuoco ai pagliericci per protesta, demoliscono alcune tramezze divisorie. Motivo: i continui trasferimenti lontano dai luoghi di provenienza, e quindi dalle famiglie, avvocati, eccetera.
18 agosto: PAVIA, CARCERE GIUDIZIARIO. Quattro giovani, accusati di furto, si barricano in cella per molte ore, per protesta contro la carcerazione preventiva. Anche tre giorni prima altri tre si sono barricati in cella per gli stessi motivi.
14 settembre: FIRENZE, LE MURATE. Proteste, scontri tra guardie e detenuti.
17 settembre: BRESCIA, CARCERE DI CANTON MOMBELLO. Tra le venti e trenta e le otto, duecento detenuti “riformano” in modo concreto il carcere, sfasciando tutto quello che puzza di repressione e di fascismo: uffici, infissi, biblioteca, cappella, eccetera. In venti riescono a salire sui tetti, da dove gridano slogans contro la P.S., i secondini, la magistratura, e cercano di spiegare ai passanti le ragioni della rivolta. Dalle centinaia di C.C. e di P.S. che circondano l'edificio, all'ordine del questore M., partono grappoli di lacrimogeni e numerose raffiche di mitra. Due detenuti sono colpiti, di cui uno, M. P., trentacinque anni, di Broni, che la stampa dice ferito “misteriosamente” da un proiettile vagante, è ricoverato a Milano in gravissime condizioni. Nel pomeriggio sessanta detenuti sono trasferiti in altre carceri, un gruppo nelle famigerate galere della Sardegna, dove normalmente, dopo ogni rivolta, i presunti “capi” vengono inviati per essere massacrati nel fisico e nel morale.
7 ottobre: BARI, CARCERE PER MINORI. Rivolta e fuga di dieci reclusi.
Novembre: PIACENZA. Proteste per i nuovi codici e la riforma penitenziaria.
8-13 dicembre: MILANO, SAN VITTORE. Mille detenuti su milleduecento proclamano lo stato di agitazione alle “lavorazioni”, si rifiutano di obbedire agli orari del carcere, prolungando a piacere la “passeggiata”, si riuniscono in assemblee di raggio, attuano uno sciopero della fame di un giorno, presentano e ottengono diverse richieste, riguardanti sia le condizioni materiali sia la normativa interna (colloqui, abolizione della censura sulla stampa).
15 dicembre: REGGIO CALABRIA, CARCERE DI CINQUEFRONDI. Protesta di cinque ore di ventun detenuti contro i continui trasferimenti. L'occasione è data dal trasferimento di tre detenuti in carceri lontane, dove verrebbe a mancare l'assistenza legale e dei familiari. I detenuti ammassano letti, coperte e tutte le suppellettili contro il cancello all'atrio del carcere. I trasferimenti rientrano, con l'impegno che non ce ne saranno altri preso dalla procura della repubblica di Palmi.
15 dicembre: CALTANISSETTA, CARCERE MINORILE DI SAN CATALDO. Otto ragazzi ingoiano per protesta chiodi, pezzi di vetro, viti e piastrine. Si tratta di un gruppo di “rivoltosi” trasferiti dal minorile di Catania, dopo le ripetute rivolte avvenute in quel carcere. Tra l'altro a Catania era già stata attuata una protesta analoga: settanta ragazzi avevano ingoiato chiodi e pezzi di ferro per richiamare l'attenzione sulle condizioni bestiali in cui erano costretti a vivere. Le carceri per minori sono tremende, e quello che è gravissimo, ma che pochi conoscono, è che l'85 per cento dei reclusi sono figli di disoccupati, o orfani, che non trovano posto presso enti assistenziali (buoni questi!), oppure minorati fisici, “subnormali”, come Fortunato Patti, ragazzo assassinato l'11 dicembre in una cella di rigore dell'istituto di Pedara (Catania) e occultato in un bosco vicino.
20 dicembre: MILANO, SAN VITTORE. Il fascista Casagrande e camerati sono severamente pestati dai compagni del secondo raggio e vengono trasferiti “precauzionalmente” al carcere di Rho.
25-26 dicembre: MILANO, SAN VITTORE. Sciopero della fame al secondo raggio per chiedere l'abolizione del codice Rocco e la liberazione dei detenuti incarcerati per consumo di droga.
14 gennaio 1972: MILANO, SAN VITTORE. I detenuti del secondo raggio rifiutano i colloqui con la commissione di psichiatri e psicologi così come sono stati organizzati dal direttore C., e chiedono che siano ammessi ad assistervi dei compagni esterni, scelti dai detenuti stessi.
20 gennaio: MILANO, SAN VITTORE. Trecento detenuti del terzo raggio attuano uno sciopero della fame di ventiquattro ore per protesta contro il vigente regolamento carcerario fascista.
20 gennaio: NAPOLI, POGGIOREALE. Tutti i detenuti del padiglione Genova si sono rifiutati di mangiare. Le rivendicazioni sono: la riforma dei codici e l'amnistia. A Poggioreale su 1625 detenuti (presenti al 24 gennaio), 817 sono in attesa di giudizio, 522 aspettano l'appello, 138 la cassazione, solo 130 sono definitivi. Cioè, se non esistesse il carcere preventivo, Poggioreale sarebbe vuoto. Invece è pieno come un uovo (anche venti detenuti per camera, senza gabinetto, di 5 metri per 4).
23 gennaio: ALGHERO, CARCERE MANDAMENTALE. I detenuti, al termine dell'ora d'aria si rifiutano di farsi chiudere in cella, salgono sul tetto del carcere, al centro di Alghero, gridando slogans contro agenti di custodia, poliziotti, e chiedendo a gran voce la riforma carceraria e l'abolizione del codice Rocco.
23 gennaio: MODICA (RAGUSA), CARCERI DI PIANO DEL GESÙ. I detenuti minorenni incendiano materassi e coperte delle loro celle per protestare contro la carcerazione preventiva dei minori.
27 gennaio: SPOLETO. Protesta contro la carcerazione preventiva.
2 febbraio: MILANO, SAN VITTORE. Sciopero della fame articolato nei vari raggi per ottenere dal ministero il diritto di riunione e assemblea, e che a queste assemblee possano partecipare giornalisti “esterni”. Nello stesso giorno la questura proibisce al corteo della Statale di recarsi a San Vittore, sostenendo che la “situazione interna al carcere è estremamente tesa ed un sostegno esterno la renderebbe esplosiva”!
3 febbraio: ANCONA. Nella notte tra il 3 e 4 febbraio, mentre a causa delle scosse di terremoto la città si va svuotando rapidamente, e mentre anche le guardie carcerarie si riversano sulla piazza antistante il carcere, i detenuti vengono lasciati chiusi a chiave nelle celle con la prospettiva di fare la fine del topo! Malgrado le proteste dei detenuti che si dànno alla distruzione di quanto c'è nelle celle, che gettano all'esterno del carcere stracci incendiati, che cercano di sfondare le porte delle celle, solo nel tardo pomeriggio una parte di loro viene trasferita. Per gli altri, niente, perché in altre carceri non c'è più posto!
9 febbraio: CATANIA, CARCERE PER MINORI. I detenuti minorenni si ammutinano per protesta contro l'infame condanna a due loro compagni (A. M. e G. M.): due anni e due mesi di reclusione per tentato furto. In trenta si arrampicano sui tetti, reclamando a gran voce l'amnistia che Leone non vuole concedere. La polizia e i carabinieri subito circondano l'edificio, ma sono accolti da nutrite scariche di tegole e pezzi di cemento rotti con piccone. È la quarta rivolta durissima di questi giovani reclusi, in meno di un anno, oltre a decine di altre proteste.
12-13 marzo: due giorni di lotta nelle carceri di NOTO. I detenuti nel carcere di Noto si rifiutano di entrare nelle celle dopo le due ore d'aria. Chiedono: abolizione dell'isolamento diurno, libertà di riunione dentro il carcere, amnistia, libertà di portare le loro donne in cella, la riforma carceraria. Il giorno dopo i dieci detenuti più attivi che hanno organizzato la lotta sono trasferiti nelle carceri di Siracusa, Augusta, Caltanissetta e Trapani.
22 marzo: PALERMO. Viene denunciato un fatto accaduto qualche tempo prima: le guardie, avvertite da una spia che i detenuti dell'Ucciardone stavano preparando uno sciopero, salgono alla sezione e scaraventano i detenuti giù dalle scale, dove vengono picchiati da altri poliziotti. Quando viene il giudice sono costretti dalle minacce a dire di essersi feriti cadendo dalle scale.
8-9 aprile: SAN VITTORE. I detenuti del terzo, quarto, quinto raggio e del braccio femminile protestano contro le centinaia di trasferimenti di sfollamento predisposti dal ministero degli interni per far posto ai “politici” arrestati durante la campagna elettorale. Il 9 aprile decine di bandiere rosse sventolano dai raggi in lotta. Duecento detenuti vengono trasferiti all'Asinara, a Mamone, a Favignana, a Noto.
9 aprile: IMPERIA. Un gruppo di detenuti si rifiuta di rientrare in cella per protestare contro la censura dei giornali.
14 aprile: MESSINA. Rivolta nel carcere per migliori condizioni di vita. P. L. R. per punizione è legato al letto di contenzione, e poi trasferito con altri.
17 aprile: FORLÌ. Scoppia una rivolta per avere più libertà nel carcere-scuola. L'anno prima i detenuti si erano già ribellati contro il regolamento e le dure condizioni di lavoro nel carcere.
22-23 maggio: VENEZIA. Un braccio del carcere si rivolta perché un loro compagno, R. C., è stato legato al letto di contenzione. I detenuti resistono per due ore ai lacrimogeni della polizia, fino a quando il C. viene slegato e riportato in cella. Numerosi i trasferimenti punitivi.
24 maggio: ROMA-REBIBBIA. Il reparto giovani del carcere “modello” è in rivolta. Cinquanta detenuti sui tetti, strade bloccate dalle pantere e camionette della polizia. La protesta è contro i sistemi fascisti del direttore e del personale di custodia.
1° giugno: NAPOLI, POGGIOREALE. Dopo aver chiesto inutilmente di parlare col direttore di Poggioreale e col procuratore capo V., i detenuti riescono ad uscire dalle celle, dopo aver scardinato i cancelli, si radunano nei cortili e salgono sui tetti. Gli agenti di custodia, a cui giungono in aiuto trecento poliziotti armati, sparano colpi di pistola contro i detenuti: A. N. è ferito alla gola da una pallottola ed è ricoverato in fin di vita all'ospedale. Altri due detenuti sono colpiti al viso e alle gambe. Il direttore G. dichiara: “Questo era un piano preordinato, la rivolta covava da tempo, vogliono l'amnistia”. E difatti già da tempo tra i detenuti c'erano state discussioni e scioperi della fame per l'amnistia. Il giorno dopo i detenuti si rifiutano ancora di arrendersi, malgrado l'intervento massiccio della polizia, che spara lacrimogeni e raffiche di mitra contro i dimostranti, e il tentativo di prenderli per fame e per sete impedendo l'accesso al magazzino dei viveri. Intorno al carcere ci sono centinaia di proletari che gridano “Amnistia e libertà” insieme ai detenuti. Il 3 giugno incomincia la deportazione in massa (più di cinquecento trasferimenti). I detenuti si oppongono in modo duro e organizzato fino all'ultimo. I colpi di mitra, moschetto o pistola sparati all'interno del carcere sono stati centinaia. I detenuti di Santa Maria Capua Vetere organizzano una protesta per solidarietà con la lotta di Poggioreale.
5 giugno: TORTONA. Nel pomeriggio una quarantina di detenuti dopo l'aria si rifiutano di entrare in cella, per protesta contro il sovraffollamento dei bracci e per la riforma carceraria.
7 giugno: BERGAMO. Dopo due giorni di sciopero della fame, i detenuti del carcere di Sant'Agata si rifiutano di rientrare nelle celle dopo la televisione: il carcere è posto subito in stato d'assedio. La polizia spara a raffica, lo stesso direttore del carcere si fa avanti contro i detenuti con la pistola in pugno. La protesta è nata per solidarietà con la lotta di Poggioreale.
7 giugno: ALESSANDRIA. I detenuti del carcere giudiziario, tutti giovanissimi, sono in lotta già da due giorni. Sul tetto sventola uno striscione: “Vogliamo la riforma carceraria”. Sui tetti delle case vicine ci sono centinaia di carabinieri coi mitra spianati.
9 giugno: NICOSIA (Enna). I detenuti scendono in lotta: chiedono tra l'altro il rientro nelle carceri di Napoli di venti detenuti minorenni trasferiti dopo la rivolta di Poggioreale.
9 giugno: CATANIA. Tutti i detenuti della sezione minori si barricano nelle loro celle impedendo agli agenti di avvicinarsi. Si temevano trasferimenti punitivi. La parola d'ordine è: “No ai trasferimenti, sì all'amnistia e alla libertà”. La polizia circonda il carcere e carica i numerosi proletari e parenti raccolti attorno alle mura.
9 giugno: SULMONA. Molti detenuti fanno lo sciopero della fame in solidarietà coi compagni di Poggioreale, per l'amnistia e la riforma dei codici.
11-14 giugno: TORINO. Un centinaio di detenuti dopo l'ora d'aria non rientrano in cella e si riuniscono in un cortile (malgrado piova), rientrano solo con l'assicurazione che una delegazione sarà ricevuta dalla direzione. Obiettivi: amnistia generale, riforma dei codici, più libertà all'interno (più ore d'aria, colloqui, abolizione della censura, dei letti di contenzione, delle celle d'isolamento, paga sindacale per i lavoranti). Qualche giorno dopo alcuni compagni sono pestati a sangue dalle guardie e trasferiti. Dopo la denuncia, venti secondini riceveranno un avviso di reato per “abuso di potere”!
13 giugno: SALERNO. Sciopero della fame in solidarietà coi compagni di Poggioreale.
8 luglio: FIRENZE, LE MURATE. Verso le ventitré e trenta le guardie con a capo il direttore ed alcuni sottufficiali trascinano fuori dalle celle alcuni detenuti e li pestano a sangue nelle celle di punizione, senza alcuna ragione. Dopo cinque giorni di isolamento, i compagni vengono trasferiti e denunciati per “rivolta”.
8 luglio: LUCERA (Foggia). I detenuti organizzano una protesta per il caldo e la segregazione in cui sono tenuti.
10 luglio: ROMA-REBIBBIA. Nuova protesta di centocinquanta detenuti del carcere “modello” di Rebibbia. Il giorno dopo quarantacinque detenuti sono massacrati di botte nei sotterranei alla presenza dei due vicedirettori del carcere. I detenuti da pestare sono scelti in base alla lista nera dello stesso direttore del carcere, C., che verrà incriminato, il 28 luglio, insieme ai due vicedirettori e a diverse guardie per violenza privata, lesioni, abuso di potere, eccetera.
19 luglio: PIACENZA. I detenuti protestano contro l'attuale sistema carcerario. Vengono domati a raffiche di mitra.
19 luglio: REGGIO EMILIA. Sciopero della fame.
5 agosto: SULMONA. Protesta dei detenuti contro la censura sui programmi radio, T.V., giornali, eccetera.
5 agosto: VOLTERRA. I detenuti per sette ore si rifiutano di entrare nelle celle e chiedono di parlare con un magistrato.
6 agosto: VICENZA, CARCERE DI SAN BIAGIO. Protesta contro le condizioni igieniche disastrose di questo carcere, costruito nel 1300, umido, sporco, senza luce.
8 agosto: VOLTERRA. Per la seconda volta in pochi giorni i detenuti del Mastio di Volterra si rifiutano di rientrare in cella e chiedono di parlare con il magistrato. Richieste: maggior tempo di “aria”, fine della censura, cibo mangiabile, che nessuno venga punito per la protesta.
11 agosto: MODENA. Protesta contro il regolamento carcerario.
15 agosto: SASSARI. I detenuti si rifiutano di rientrare in cella e impongono la presenza di un magistrato, al quale motivano le parole d'ordine collettive della lotta: amnistia, riforma dei codici, migliori condizioni di vita. Nei giorni seguenti dura repressione, con trasferimenti all'Asinara e cinquanta denunce contro i detenuti.
15 agosto: CITTANOVA (Reggio Calabria). Protesta contro le “bocche di lupo” ed i vetri opachi alle finestre.
21 agosto: TRIESTE. Due detenuti di diciassette anni muoiono bruciati vivi durante la rivolta del carcere. La rivolta è scoppiata per protestare contro l'uso continuo del letto di contenzione. I detenuti si barricano, dànno fuoco a qualche suppellettile. La direzione risponde con centinaia di poliziotti e carabinieri armati. La zona della rivolta viene (come dicono loro) “circoscritta”, cioè posta in stato d'assedio, mentre le fiamme fanno il loro lavoro, gli assedianti si guardano bene dall'aprire vie di scampo. Due detenuti così bruciano vivi: ragazzi di diciassette anni, Giorgio Brosolo e Ivano Gelaini, quest'ultimo trasferito qui per rappresaglia dalle Nuove di Torino. Il giorno dopo la rivolta, il dottor Alessandro Brenci, sostituto procuratore della repubblica di Trieste, annuncia che emetterà ordine di cattura per “concorso in omicidio” contro i detenuti scampati al rogo umano. Così giustizia verrà fatta, e si dimostrerà che nelle carceri italiane se non si viene assassinati si ha comunque buone probabilità di restare dentro per sempre.
26 agosto: MASSA. I detenuti si mobilitano e dànno una severa lezione ai due fascisti appena arrestati, dopo il tentato omicidio nei confronti di un compagno di Massa di Lotta Continua. Questa è una ennesima dimostrazione di come cresce l'organizzazione e la coscienza antifascista dei detenuti.