Alcuni testi non abolizionisti utili per l'abolizionismo



Intellettuale ad Auschwitz
Jean Améry
Améry è un suicida (nel 1968) che spiega in parte della sua opera ("Levar la mano su di sé") il suo futuro suicidio. Ma molti anni prima, in "Intellettuale a Auschwitz", ha già spiegato la premessa della sua rigorosa logica: "Chi ha subìto la tortura non può più sentire suo il mondo. L'onta dell'annientamento non può essere cancellata. La fiducia nel mondo crollata in parte con la prima percossa, ma definitivamente con la tortura, non può essere riconquistata. Nel torturato si accumula lo sgomento di avere vissuto i propri simili come avversi: da questa posizione nessuno riesce a scrutare verso un mondo in cui regni il principio della speranza". Ha provato a spiegare tutto ciò negli anni successivi, ma forse ha ritenuto di non poter riuscire a essere ulteriormente capito con altre parole.

Crimini di pace
Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all'oppressione.
A cura di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro.
I primi ad avere avuto un approccio antiproibizionista e abolizionista non parlavano di carceri ma di "istituzioni totali" in generale (come il capostipite Goffman in "Asylums", 1962), di psichiatria e di manicomi in particolare (come Basaglia). Critica della psichiatria e critica del sistema penale portano alle stesse conclusioni pratiche, verso manicomi e prigioni, per ragioni che non hanno nulla di casuale e che è illuminante raffrontare all'interno di una riflessione contro tutte le istituzioni totali.

Il cuore vigile
Bruno Bettelheim
"Il cuore vigile" è un testo che ha il merito, tra vari altri, di affrontare il di solito indefinibile terreno della dignità personale in termini concreti, alla luce dell'esperienza concentrazionaria, dove diventa questione immediata di vita e di morte, senza spazi proprio per quell'"indefinibile" in cui ama annidarsi la falsa coscienza. Bettelheim, che è stato in un lager nazista, è morto suicida.

Prigioniera di Stalin e Hitler
Margarete Buber-Neumann

I carcerieri si somigliano tra loro, e spesso si scambiano favori perché il sistema penale è uno solo e nella sua versione concentrazionaria può non nasconderlo e dimostrarlo anzi senza pudori. Anche se poi non se ne ama parlare. Ma questa donna, moglie di un tedesco militante comunista ucciso dagli stalinisti, quindi da loro fatta prigioniera e infine amichevolmente consegnata a Hitler, lo dice, essendo sopravvissuta. Recentemente, il governo italiano, più modesto, si è contentato di consegnare il curdo Ocalan al regime turco, tuttavia nascondendo la mano.

Sorvegliare e punire
Michel Foucault.
In realtà, l'autore di "Sorvegliare e punire" va inserito ad honorem nel protoabolizionismo per la sua lucida analisi e radicale messa in discussione del concetto stesso di pena detentiva.

Il capro espiatorio
René Girard
L'intera opera di Girard è dedicata "ossessivamente" a un solo argomento: caratteristiche e sviluppi del rito del capro espiatorio, che considera il "centro" della nostra civiltà, un centro nascosto e distruttivo. Aggiungiamo noi: il carcere è indubbiamente il monumento centrale di questo rito barbarico che ancora ci guida, nell'inconscio collettivo, verso la distruzione.

Discorso sulla servitù volontaria
Etienne De La Boétie
Questo famoso libretto scritto qualche secolo fa da un diciottenne non può che essere alla base delle letture di ogni abolizionista, perché la dignità umana è offesa dalla pena proprio perché questa è sempre, in realtà, un tentativo di sviluppare al massimo lo stato di servitù volontaria nelle sue vittime dirette e nella società in generale.

I sommersi e i salvati
Primo Levi
I libri di Primo Levi non sono abolizionisti. Tuttavia, senza l'amarezza risentita di un Rassinier, l'autore denuncia l'importanza delle "zone grige" della collaborazione delle vittime con il proprio carnefice per spiegare in che modo si regga un'istituzione totale. Sapendo che forse sarebbe stato censurato totalmente se fosse sceso di più nei dettagli storici, Levi tratta quest'argomento con relativa "pacatezza" e senza mai fare nomi. Ha impiegato comunque anni a far pubblicare il suo primo libro "Se questo è un uomo" su "larga scala", e ha scritto quello ancor più chiaro sull'argomento ("I sommersi e i salvati") solo poco prima della propria morte, forse un suicidio.

L'altra resistenza
Alessandro Natta
Questo libretto di un ex segretario del Pci dovette aspettare una quarantina anni per essere pubblicato. Racconta una delle più grandi esperienze di resistenza fondata sulla non-collaborazione che siano mai state vissute, e neppure in esso si sottolinea abbastanza l'importanza che questo fenomeno verificatosi nei campi dei prigionieri di guerra ebbe per la caduta del fascismo. Finché questo tipo di riletture e riflessioni non verranno compiute, il sistema penale potrà solo prosperare, con stupore dei più quando fa risorgere "inaspettatamente" i campi di concentramento.

La menzogna di Ulisse
Paul Rassinier
Questo libro, pur giungendo ad alcune tesi conclusive inaccetabili dettate dall'amarezza, narra il ruolo fondamentale svolto dai propri compagni diventati kapo nel lager, dato che Rassinier è un sopravvisuuto al lager nazista. Anche se ovviamente queste tesi sono state ampiamente utilizzate a destra in una prospettiva negazionista, esse sono ben comprensibili a chiunque abbia dovuto vivere a lungo in una situazione di estremo degrado umano, e il libro di Rassinier resta perciò una documentazione preziosa per chiunque voglia realmente capire fin dove può giungere il sistema penale nell'alienazione delle coscienze, ossia nel rendere le vittime complici dei propri carnefici attraverso la "servitù volontaria" che proprio qui trova le sue massime vette. Si tratta di una questione oggi quanto mai attuale, per quanto possa essere sgradevole ai più affrontarla, specie a sinistra, visto che è il paradigma col quale bisogna fare i conti dappertutto e per tutti, non solo nella situazione estrema e rivelatrice del campo di concentramento di solito comodamente narrata a esclusivo carico dei suoi agenti. La memoria di sinistra è piena di autocensure autoedificanti al riguardo, che finiscono purtroppo per non far comprendere più nulla della natura di ogni potere: il quale nasce dal consenso di molti ("servitù volontaria") e non dalla canna dei fucili di pochi. Quest'altra visione della natura del potere è stata finora sostenuta e riccamente argomentata solo da non-violenti, e in parte, in un passato ormai lontano, da settori della sinistra rivoluzionaria liquidati da quella "ufficiale". La retorica resistenziale ufficiale ha negato e combattuto con tutte le sue forze le memorie scomode. Al contrario di Rassinier, noi proponiamo com-prensione e com-passione per le debolezze delle vittime: ma non censura della verità e oblio, le cui conseguenze sono state catastrofiche. La maggior parte della gente che ancora oggi esorcizza Rassinier come "negazionista", ignora persino che egli era un socialista. Sarà difficile capire l'abolizionismo se non ci confronta con una scomoda memoria come questa, "strappandola" a chi l'ha usata da destra.

Disobbedienza civile
Henry David Thoreau
Come il libretto di La Boétie, la "Disobbedienza civile" di Thoreau dovrebbe essere considerato un "classico" per il pensiero abolizionista.

Resurrezione
Leone Tolstoj
Far soffrire fabbrica crimine e criminali criminalizzando un numero sempre maggiore di persone come dimostra la crisi attuale della giustizia dopo due soli secoli di vita del nuovo sistema di pene. Ormai è una minaccia sociale poiché colpisce ceti sociali che fino a ieri si sentivano al riparo dalla sanzione penale, tanto che a costoro la crisi appare anzitutto come «eccesso» di diritto penale. Tutto questo era chiaro a qualcuno già nel 1899, giacché così scriveva Tolstoj nel romanzo Resurrezione:

«L'eterna obiezione: "Che cosa fare, dunque, dei malfattori? Possibile mai lasciarli senz'altro impuniti?" non lo turbava più.
Tale obiezione avrebbe avuto valore se fosse stato dimostrato che la pena diminuisce i reati e corregge i trasgressori; ma una volta che era dimostrato precisamente il contrario, ed era manifesto che non è in potere degli uni correggere gli altri, la sola cosa razionale che si potesse fare era cessar di fare quanto non solo non era utile, ma dannoso, oltre che immorale e crudele».

L'abolizionismo di Tolstoj era, come ogni nuovo pensiero, necessariamente utopico: come direbbe Erich Fromm, richiedeva «un altro tempo» dato che ai giorni di Tolstoj l'avvento del modo di produzione industriale doveva ancora vedere la tecnoburocrazia compiere tutto il suo nuovo ciclo.


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