Oreste Scalzone

da un 16 Marzo all'altro

Valle Giulia

Parte 1 (1960 - 1972)
- Introduzione
- Luglio ’60
- Piazza Statuto
- Verso il Sessantotto
- Valle Giulia
- 16 marzo 1968
- Il Maggio francese
- Torino, corso Traiano, 3 luglio 1969
- Dall’“autunno caldo” a Piazza Fontana
- Milano, 11 marzo 1972

Parte 2 (1973 - ...)
- ’73-’74: pratiche proletarie nella crisi
- Le “giornate di aprile” del ’75
- Le lotte alla Magneti Marelli e la nascita dei Comitati comunisti
- Le azioni armate fra il ’74 e il ’76
- Il Settantasette (parte 1)
- Il Settantasette (parte 2)
- Moro, 16 marzo 1978
- Il processo “7 aprile”
- Il carcere e l’espatrio
- Cinquant’anni dopo: in galera, in galera!

Parte 1 (1960 - 1972)


Introduzione

Quando si riflette sulla memoria si ha a che fare con qualcosa che si modifica e si riscrive nel tempo secondo quel duplice meccanismo di scarto e ripetizione che caratterizza ogni narrazione. Ripetizione perché per raccontare una storia è sempre necessario rifarsi a qualche appiglio storico e geografico comprensibile al proprio interlocutore, più per necessità di comunicazione che di convenzioni intellettuali.
Scarto perché qualcosa, a maggior ragione se per motivi di ipermnesia, va omesso, per non rischiare che la parte soccomba al tutto e il discorso perda di senso.
E forse è stato questo il gioco alla base dell’esperimento narrativo-filmico che Oreste ha compiuto, nella tensione e nello sforzo costante a far dialogare la storia iper-soggettiva di un vissuto denso, con l’architettura oggettiva o oggettivizzante della memoria sociale.
Un gioco che, come tutti i giochi, ha le sue regole, dividendo le narrazioni in maniera forzosa in blocchi da 30 minuti per ripercorrere, non senza scossoni e voli pindarici, alcune delle tappe più importanti del decennio '68-’78; ma anche le sue deroghe, ampliandosi di due antefatti (il luglio del 1960 a Genova e i fatti di Piazza Statuto a Torino) e di tre post-fatti (il 7 aprile 1979, l’espatrio e l’oggi).

Luglio ’60

È l’aprile del 1960 e il secondo governo Segni è da poco caduto, dopo appena un anno dal suo giuramento. Per riuscire a strappare la maggioranza necessaria a ottenere la fiducia alla Camera, il neo-governo a guida Tambroni decise di appoggiarsi ai voti del MSI, causando un’ondata di accuse e di sdegno verso la Democrazia Cristiana rea di aprire le porte del governo ai neofascisti.
In tutta risposta il Movimento Sociale Italiano MSI, con l’avallo del governo, si apprestò a convocare un congresso previsto per il maggio seguente. Ma la scelta di organizzarlo a Genova, una delle città più rosse del Paese, che solo un quindicennio prima era stata in prima linea negli sforzi per la resistenza e le cui forze sociali avevano nel luglio ’48 dato chiara dimostrazione pratica di ciò che erano disposte a fare, ebbe tutta l’aria di essere una provocazione eccessiva.
Quelli che sono ricordati come i “fatti del 30 giugno a Genova” furono una serie di accesi scontri, avvenuti nel capoluogo ligure, tra forze dell’ordine e manifestanti che con pietre, sbarre e bastoni scalzarono i sindacati e i partiti parlamentari prendendosi, letteralmente, piazza De Ferrari. Un movimento di giovani “con le magliette a strisce”, studenti, ex-partigiani e dissidenti che reclamava una forma di lotta che le organizzazioni tradizionali non potevano offrire. Qualcosa era iniziato.

Piazza Statuto

Il 5 febbraio del 1961 il sindaco Amedeo Peyron annuncia la nascita del milionesimo abitante di Torino: è figlio di un operaio Fiat.
Con l’introduzione massiccia della catena di montaggio, l’aumento della produzione e la forte immigrazione dal Sud Italia, l’operaio diventa il soggetto di maggioranza in fabbrica. è però “un’operaio-massa”, abitante generico della catena, sfruttato, dequalificato e sostituibile, ma che vive in fabbrica, nel rapporto di produzione, la contraddizione più pura del capitale.
I guadagni dei padroni sempre più elevati e le condizioni di vita per nulla migliorate, fanno esplodere le tensioni con il rinnovo dei contratti del 1962.
La serie di scioperi che bloccano Torino non può essere placata con un semplice aumento salariale. La firma dell’accordo separato tra Fiat, Uil e Sida è la goccia che fa traboccare il vaso. Il 7, 8 e 9 luglio Piazza Statuto a Torino, sede della Uil, è un campo di battaglia fisico e teorico, tra i logori schemi del sindacalismo e nuove forme di sciopero sconosciute ai vecchi quadri comunisti. I primi ad arrivare sotto la sede del sindacato saranno infatti gli stessi operai aderenti alla Uil, inferociti dalle prese di posizione dei loro dirigenti sindacali. Da qui non si tornerà più indietro.

Verso il Sessantotto

La voce ruggente degli operai dei primi anni Sessanta ha accresciuto, sia nella coralità che nell’impeto, le rivendicazioni e le lotte che mutagene sono rimbalzate e si sono rincorse - a fasi alterne - fin dalla Resistenza.
Ma una voce, un’eco, è troppo forte per essere ignorato. Rimbombo lontano, a tratti esotico, talvolta frammentario, sovente mitico ed eroico; ma forse proprio per questo più energico e travolgente. L’assalto alla Moncada, La guerra d’Algeria, l’assassinio di Lumumba, i Colonnelli, la Guerra dei Sei Giorni, il Vietnam. Che Guevara. Il qui ed ora italiano scopre l’altrove, e si fa tutt’uno.
Le piazze italiane sono piazze composite, fatte da una miriade di gruppi con scontri che avvengono più davanti alle ambasciate che alle fabbriche o alle occupazioni. è l’Italia del boom, quella in cui “anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Nel 1966 la Sapienza di Roma è la seconda università al mondo per numero di iscritti; è qui che le rivendicazioni dei giovani, le voci delle piazze, gli echi dei giornali si scontrano con un Potere intransigente, burocratico, vecchio e noioso. Qualcosa di più grande si sta preparando. Il 26 gennaio 1966 la facoltà di Sociologia di Trento è occupata, qualche mese dopo è la volta della Sapienza in seguito alla morte di Paolo Rossi. Infine sarà il 27 novembre 1967 che gli studenti di Palazzo Campana a Torino si accorgeranno che quel “qualcosa” era già iniziato.

-

Valle Giulia

Hanno impugnato i manganelli/ ed han picchiato come fanno sempre loro/ e all'improvviso è poi successo/ un fatto nuovo un fatto nuovo un fatto nuovo/ non siam scappati più/ non siam scappati più...

Le occupazioni universitarie del novembre ’67 di Trento, della Cattolica di Milano e di Palazzo Campana a Torino preannunciano l’aprirsi di un anno particolarmente intenso sul fronte delle lotte studentesche e non solo. La vicenda romana di Valle Giulia, però, ha contorni differenti da quelli avvenuti nei mesi precedenti in altri Atenei. Verso il finire del febbraio 1968 alcuni studenti occupano la facoltà di lettere della Sapienza, pretendendo che gli esami universitari vengano effettuati con un nuovo metodo: un colloquio d’esame pubblico con un voto che può essere rifiutato al termine dell’esame. Il Consiglio di Facoltà decide di accogliere la proposta ma il rettore, Pietro Agostino D’Avack, si oppone e ordina alla polizia di sgomberare le Facoltà occupate. L’indomani l’appuntamento degli universitari è in Piazza di Spagna dove una parte del corteo parte in direzione della Sapienza, mentre un’altra si dirige verso la sede di Architettura, ancora presidiata dalle forze dell’ordine. All’altezza di Valle Giulia la polizia schierata inizia una serie di cariche. A differenza di come era stato altre volte, però, il corteo non solo non si scioglie, ma risponde in maniera violenta lanciando oggetti e uova sulle jeep in una sorta di guerriglia urbana. Dopo una giornata di cariche e contro-cariche il corteo prenderà la volta di Piazza Colonna. I giornali del giorno dopo titoleranno: “Battaglia a Valle Giulia” e gli effetti di questo episodio innescarono un’ondata di entusiasmo e di lotte in molte delle principali università italiane.

-

16 Marzo 1968

Nel ribollire caotico della Sapienza occupata, dopo l’epilogo di Valle Giulia, si annidavano alcuni gruppuscoli fascistoidi che nutrivano un desiderio mimetico con il movimento e che cercavano per certi aspetti di emularne nello slancio rivoluzionario e picaresco. Un insieme eterogeneo e forse a tratti farsesco, a cui si aggiungevano simpatizzanti di destra, picchiatori, nazi-maoisti e che si erano relegati nella zona della Facoltà di Giurisprudenza e che erano stati volutamente ignorati dal comitato di occupazione.
Il 16 di marzo, alle prime luci, un nutrito gruppo di fascisti aveva dato l’assalto al picchetto di Lettere e Filosofia, per poi asserragliarsi nella Facoltà di Giurisprudenza chiudendone ogni accesso.
Si verrà presto a scoprire che a lanciare la spedizione non furono tanto i componenti di questi gruppetti di universitari filo-fascisti, ma alcuni esponenti legati all’MSI e guidati da Almirante che si erano anzi sostituiti ai precedenti. Nel tentativo da parte del Movimento di liberare gli spazi di Giurisprudenza seguì un fitto lancio di oggetti di grosse dimensioni da parte dei missini. Infine, in concomitanza con l’irruzione di alcuni studenti del Movimento, interverrà la polizia che scorterà i fascisti di Almirante fuori dalla Facoltà, ormai semidistrutta.

Il Maggio francese

Al maggio strisciante italiano, fatto di un lento crescendo che dura mesi - se non anni - di ricadute e di riprese, si contrappone il fuoco del maggio francese - rampante - che esplode a Nanterre il 22 marzo con l’occupazione della sala del Consiglio di Lettere dell’università e durerà poco più di due mesi.
Gli echi inebrianti della rivolta convincono molti militanti italiani a partire alla volta di Parigi per toccare con mano quella che fu uno degli episodi più celebri del novecento europeo.
Il 10 maggio un corteo di studenti marcia per chiedere la riapertura della Sorbona, chiusa dopo gli scontri del 3 maggio. Impossibilitato dagli schieramenti di polizia a proseguire, il corteo occupa fisicamente il Quartiere latino e l’area intorno alla Sorbona erigendo barricate e impegnandosi in un combattimento con la polizia che durerà tutta la notte in quella che è ricordata come “la notte delle barricate”. L’indomani le violente immagini televisive della repressione poliziesca innescheranno un meccanismo di solidarietà da parte di operai e lavoratori con gli studenti che porterà, di fatto, ad un’unione delle lotte con l’occupazione della Sorbona e del festival di Cannes il 13 di maggio e di molte fabbriche il 14.
La Sorbona diventa il cuore del movimento studentesco, nel cortile centrale troneggiano un’enorme raffigurazione di Marx da una parte e di Bakunin dall’altra, mentre le note della Varshavianka riecheggiano come in un teatro d’opera.
Picchetti, cortei, azioni e contestazioni diventano la quotidianità Ma la luce che brilla il doppio dura spesso la metà. Il 30 maggio De Gaulle lancia una contro-manifestazione a sostegno del governo, gli Champs- Elysées sono gremiti dai gollisti e nella settimana la situazione ritorna alla sua terribile normalità.

-

Torino, corso Traiano, 3 Luglio 1969

“Non si affitta ai meridionali” è ricordato come uno degli slogan più tristemente famosi della Torino degli anni Sessanta. Cartelli del genere si trovavano esposti nei caseggiati di Santa Rita, Borgo Filadelfia e Borgo San Paolo. Non nei quartieri del centro, dove gli immigrati dal sud non si sarebbero mai potuti permettere una casa, ma nemmeno in quelli periferici dove gli affitti - abbondantemente gonfiati - ai “terroni” costituivano una lucrosa fonte di reddito per i proprietari dei fatiscenti immobili. Di giorno, invece, le ore passavano identiche sulla catena di montaggio di Mirafiori o della più recente Rivalta.
Presto si aggiunsero gli aumenti del canone e le prime lettere di sfratto innescando un’inevitabile ondata di protesta che ebbe tra gli episodi anche l’occupazione del Municipio di Nichelino il 13 giugno 1969.
I sindacati, che a quel punto non potevano più ignorare la questione del caro-affitto, organizzarono un blando sciopero il 3 di luglio. Ma l’arrivo degli operai inferociti, degli studenti, e degli sfrattati scaldò velocemente la giornata e tra i lacrimogeni, le cariche e le bisarche della FIAT in fiamme si consumò lungo corso Traiano uno degli episodi anticipatori dell’“Autunno caldo” 1969. “Cosa vogliamo: tutto!” riportava uno dei cartelli dei manifestanti di ritorno verso il Nichelino.

Dall’“autunno caldo” a Piazza Fontana

Il 3 settembre la Fiat riaprì i cancelli. La FIOM di Bruno Trentin, nel tentativo di cavalcare la tigre, avanza una serie di proposte politiche che intrecciano piattaforme e consigli di fabbrica. L’idea di lanciare un “sindacato dei consigli” dal vago sapore luxemburghiano era in ultima analisi un tentativo di recuperare gli operai a quei movimenti della sinistra extraparlamentare che divenivano sempre più forti e organizzati.
Il sipario di Corso Traiano si riapre invece a Milano, il 19 novembre, giorno in cui fu indetto uno sciopero generale sul caro affitti. Mentre un corteo di marxisti leninisti transitava per Via Larga, dal Teatro Lirico uscì la folla lì radunata per seguire il comizio sindacale della CISL. La polizia, che a distanza non si era accorta dell’uscita degli spettatori, e vedendo quell’ammassarsi di gente pensò che il corteo volesse attaccarla e ordinò una carica. I mezzi della polizia cominciarono i caroselli sui marciapiedi investendo indistintamente manifestanti e sindacalisti usciti dal teatro, i quali erano del tutto ignari di quello che stava avvenendo. Nel tafferuglio generale delle cariche e contro-cariche che intanto si andavano organizzando con l’apporto degli statalini, rimase ferito a morte l’agente Annarumma.
Rientrati alla Statale cominciò a circolare la notizia che alla caserma Sant’Ambrogio i celerini si erano ammutinati e stavano organizzando una spedizione punitiva verso l’università. Non se ne fece nulla, ma fu lì che maturò una certa consapevolezza sulla perdita dell’innocenza del Movimento. Del resto si apriva la tetra stagione delle bombe di Stato, e di lì a poco, il 12 dicembre, a poche centinaia di metri dalla Statale e dallo stesso Lirico, si sarebbe consumata la ben nota “Strage di Piazza Fontana”.

Milano, 11 Marzo 1972

L’11 marzo 1972 si prepara a Milano una manifestazione indetta dalla destra a piazza Castello. Per contro, il corteo organizzato dal “Comitato contro la strage di Stato” tra cui figurano Potere Operaio, Lotta Continua e Avanguardia operaia viene vietato, ma i gruppi decidono comunque di posizionarsi in varie zone del centro.
La tensione, tuttavia, si taglia con il coltello.
Al lancio di lacrimogeni ad altezza uomo da parte della polizia muore un anziano pensionato che passava di lì. Del resto le violenze della polizia, gli insabbiamenti, le bombe e i morti di piazza sempre più frequenti pesano come macigni sul Movimento, che radicalizza le sue posizioni sull’uso della violenza. Già la pratica dell’utilizzo di bombe molotov e del “girare armati” erano stata ormai sdoganata e facevano parte di un certo modo di vivere il clima politico di quegli anni. La valutazione, che fu anche quella dei Gap, è che il colpo di stato di destra era imminente e bisognava essere pronti, per quanto questo significasse anche fare i conti con l’ipotesi della clandestinità. A cadere non erano più le sfortunate vittime di scontri malgestiti dalla polizia.
Tre giorni dopo, infatti, il cadavere di Feltrinelli fu ritrovato in circostanze sospette presso un traliccio dell’alta tensione a Segrate.

Mozilla/5.0 AppleWebKit/537.36 (KHTML, like Gecko; compatible; ClaudeBot/1.0; +claudebot@anthropic.com)