Città e Campagna
(Vanja, Enza e Stefano, nel 2001...)

 

Questo vuole essere uno spunto di discussione, magari da approfondire sulle pagine del CIR, poichè abbiamo iniziato a buttar giù quello che pensavamo che però va discusso... non aveva per noi neanche senso, del resto, una scrittura 'solitaria' perchè su molte questioni abbiamo le idee poco chiare...

Città – Campagna

Il rapporto città/campagna: ci è stato difficile esprimere qualcosa di sensato perché troppe sono le implicazioni, troppi i rivoli, torrenti, fiumi che confluiscono, troppe le conoscenze che ci mancano – la campagna ligure, quella emiliana, quella meridionale, per restare a livello nazionale, sono molto diverse; se poi ci aggiungiamo la campagna cinese o latino-americana, o africana... il problema richiede almeno un tot di seminari autogestiti a Balbi... con relativa scazzottatura virtuale.

L'economia globale e il pensiero globale: i "sensibili"

È inutile affrontare in modo particolarmente approfondito la questione dei danni dell'economia cosiddetta "globale" – tutti, chi più chi meno, ne abbiamo un'idea. Tutti sappiamo che la nostra economia si regge (oggi come ieri) in modo sostanziale sullo sfruttamento su più fronti da parte di noi occidentali e su abusi massicci ai danni di almeno un tre miliardi di altri terrestri, delle loro ex-economie, dei loro equilibri, e ai danni, infine, dell'unico pianeta che abbiamo a disposizione... etc., etc.; va be', questo lo sanno anche i sassi e gli amministratori delegati della Sandoz, con la differenza che questi ultimi vedono i problemi come contingenti, non necessariamente funzionali al sistema economico; (i sassi tacciono). Non ci sono grandi prospettive che possano essere rosee e verosimili al tempo stesso perché l'attuale sistema ha assolutamente bisogno di questi sfruttamenti.

Negli ultimi anni è parzialmente entrata nella mentalità comune l'importanza del consumatore come variabile altrettanto necessaria del sistema: dalle reti di commercio equo e solidale al mercato del biologico, a campagne di sensibilizzazione, etc. Non per sovvertire, ma per addolcire l'esistente, a volte entrandovi in maniera totalmente compromissoria, a volte riuscendo a uscirne, in un certo senso, puliti; d'altra parte sembra inverosimile rivoluzionare il tutto con immense campagne, di guerriglia o di pubblicità che siano. Il risultato netto di queste iniziative a volte è positivo, ma più spesso consiste nel tranquillizzare il Nuovo Consumatore. Dalla massa dei consumatori totalmente inconsapevoli si può adesso estrarre un nuovo target, quello dei "sensibili", da tranquillizzare col messaggio di un'economia che presta un occhio anche alle conseguenze dei suoi processi produttivi o commerciali.

Presumibilmente i "sensibili" hanno un grado di istruzione medio-alto e quindi uno stipendio adeguato, che consente loro di pagare una piccola tassa aggiuntiva sulla salute, sul destino del sud del mondo, sul destino del pianeta terra. Non è una grossa fetta, ma sta aumentando: economisti di tutto il mondo unitevi a studiare questo nuovo fenomeno, così carico di speranze e di grana.

Non vorrei apparire troppo nichilista – ci sono di certo tante persone in perfetta buona fede, e riconosco che è difficile pensare a situazioni molto diverse, anche economicamente, da quella attuale, perché non le abbiamo mai conosciute. Alla fine è forse preferibile che esistano iniziative del genere, segnali a volte molto timidi del fatto che almeno qualcosa non va per parecchie altre persone. O forse no. In un certo senso questi segnali sono anche segnali di una sorta di "pensiero globale" di cui probabilmente siamo vittime tutti, almeno un po', almeno a volte. Di fronte a grandi ingiustizie o si sogna di rovesciare tutto subito, o ci si sente, anche in gruppi, spersi, impotenti, comparse. Nel primo caso sono pronte le forze dell'ordine; nel secondo sono le braccia spalancate del mercato stesso a farci sentire meno sfruttatori e più "protagonisti".

Gruppi d'acquisto – gruppi e basta: città e campagna

Personalmente credo anch'io all'importanza del consumatore nel sistema economico, ma intravedo la possibilità di andare oltre, almeno in parte, alla scelta del meno peggio sul mercato standard: il rendersi, come consumatori, il più invisibili, inutili e quindi dannosi possibile, con l'attenzione specifica a non essere fetta di mercato. E per questo bisogna "sglobalizzarci" – cercare cose minime per il mondo, ma determinanti per noi, ritagliare una fetta, non di mercato, appunto, ma proprio geografica, una zona, una casa, un centro sociale, un mercato e anche vivere dei luoghi, non farci esclusivamente attività "mirate" o "politiche" in senso stretto. Questi posti esistono, almeno in quanto luoghi, sia in città che in campagna, e in alcuni casi stanno aumentando e organizzandosi.

Dopo aver conosciuto qualche centro sociale e altre situazioni cittadine e avere più recentemente girato varie realtà rurali, ho ricavato prima di tutto l'impressione che ci sia nella maggior parte dei casi poco contatto tra i due mondi, il che rende sterili molte potenzialità di entrambi. L'impressione – ma solo di impressione si tratta – è che alcuni centri sociali "classici" abbiano a cuore una politica "classica", che allo stato attuale delle cose sfocia spesso soltanto in manifestazioni e concerti a presso più o meno politico; e che le situazioni rurali, se non riescono a crearsi un mercato rurale davvero alternativo, tendano a rinchiudersi sulla naturalità della loro vita e dei loro prodotti – cosa sacrosanta ma, credo, non esaustiva di una certa esigenza di tipo sociale, che vuol dire semplicemente scambi e relazioni e interazioni, anche con le città.

Creare più gruppi, non solo d'acquisto, piccoli, limitati, autogestiti, collegati tra loro ma non supervisionati da nessuno: forse non è una soluzione "globale" e non esaurisce ovviamente le aspirazioni di nessuno. Però vale la pena di prendere in considerazione ogni situazione che aiuti ad alimentare un'economia, una socialità, un modo di pensare su piccola scala, con produttori più sensibili a tutto ciò che ruota intorno al prodotto indipendentemente dalla certificazione di qualche ente, e con consumatori che "selezionano" per conoscenza diretta e se hanno dei dubbi li possono fugare andando a conoscere i produttori, guardandoli in faccia e al lavoro; e che aiuti nello stesso tempo a conoscere realtà e persone diverse.

Creare un gruppo vuol dire anche creare una coscienza collettiva che, un po' per le discussioni interne, un po' per le maggiori informazioni che si possono raccogliere, sia più "evoluta", più consapevole rispetto a quella del singolo. Ed è anche una forza economica e politica maggiore, questo va da sé.

D'altra parte, creare un gruppo abbastanza piccolo e conservarlo tale significa non fare la fine di coop, wwf, partiti politici etc., ma continuare a essere semplicemente un gruppo di persone che ragiona sulle cose singole, trovando a volte migliore lo scambio di merci o di lavori, e a volte l'acquisto, magari scendendo a compromessi necessari su un tipo di merce, ben sapendo che le parole "compromesso necessario"non hanno senso parlamentaristico dovendo rispondere il meno possibile alle leggi del mercato.

Tutto ciò è già stato fatto in molte situazioni, si tratta solo di introdurlo, rielaborandolo, nella realtà locale di ciascuno, collegando i gruppi cittadini e rurali a partire anche da semplici scambi e collezioni di numeri di telefono e indirizzi destinati a non restare esclusivamente tali. 

La miseria della città, ma anche la miseria della campagna, in generale la miseria della vita umana, quando questa diviene "vita vissuta a propria insaputa"...

La possibilità nel nostro immaginario... un mito, un luogo comune, che vede la città come fonte di non si sa quali potenzialità, legate forse alla presenza di grosse concentrazioni di popolazione – fabbriche, scuole, uffici, centri commerciali e, perché no, carceri... -  l'esprimersi umano rimane spesso legato alla città...

A pensarci bene, quali sono le potenzialità dell'una, le mancanze dell'altra? A qualcuno potrà mancare la discoteca, a qualcun altro la palestra, a qualcun altro la vicinanza con gli amici, a qualcuno la libreria e la storia, le pareti che trasudano secoli...

Se penso al motivo "istintivo" che mi potrebbe trattenere nell'ambito cittadino, questo è un senso di potenzialità, di socialità, brutalmente dovuto al numero di persone... tante persone = tante potenzialità... ma pensandoci meglio, sono briciole quelle che posso ottenere rispetto alle aspettative e non c'è nulla di così grandioso o vitale da convincermi della sensatezza di questa mia impressione. Di fatto, poche volte mi viene voglia di uscire, di giocare; ancora meno sono le volte in cui trovo qualcuno disposto ad assecondare la cosa, e quando ciò accade trovo sulla mia strada guardie giurate o tutori vari... avverto un generale senso di ostilità o anche di distanza, spesso mi casso a priori interiorizzandoli... oppure la demenza collettiva mi   impone scelte "coatte", tipo evitare di uscire in centro storico il venerdi sera...

Miseria della campagna?

 


(Poi, Vanja...)

 

Esco di casa, centro storico, piazza san matteo è vuota come sempre, ricorda un guscio vuoto, dove un tempo viveva qualche animale, ormai estinto...

 

Più riflettiamo su queste questioni, meno appare possibile una riconciliazione con quelli che sono, apparentemente, gli aspetti positivi della vita in città... uno dopo l'altro crollano i luoghi di aggregazione, e sono sempre più spesso ricoperti da revisioni 'moderne' degli stessi, nascono i 'cyber cafe' che riescono a essere, oltre un giochino da provare una volta nella vita (non l'ho mai provato, ma immagino), un tempio dell'asocialità... quando, per parlare con dei 'compagni' di pub ti devi affidare alla comunicazione elettrica o virtuale, i giochi son presto fatti... addirittura ci sono gli sms party - già non mi piacevano come idea i party... forse mi ricordano troppo uno spaccato di società anglosassone che ho avuto modo di conoscere bene durante un periodo della mia vita. In generale, nella città ciò che spicca di più è la contrapposizione tra tempo dedicato al lavoro / studio e tempo libero... il tempo libero è sempre più precisamente incanalato dalla società e dalla vita cittadina in quelli che risultano divertimenti "direzionati", a volte coatti. Neppure i bambini hanno scampo: nasce a Genova la città dei bambini, la città dei bambini ricchi, e di converso i mille e più bambini extraeuropei che si ammassano nell'area Expo (fuori dalla città dei bambini, ovviamente) sono visti dai commercianti come un inquinamento di quello che era il desiderato approdo turistico del centro storico... anche i pattinatori sono poco desiderati, insieme a chi vuole giocare a palla: non si può nell'area expo!

 

 

Rapporto città e campagna

 

L'industria è il luogo di aggregazione che ha dato un senso alla città, senso oggi legato prevalentemente ai servizi

 

Centri sociali Hanno in mente qualcosa di diverso rispetto allo stare in città?

Si delega alla campagna la produzione di viveri

 

Tu sei specializzato e fai un lavoro lavoro che ti da il denaro per comprare

Gli altri di campagna fanno il lavoro producono robe per sé, vendono il resto

e acquistano ciò che viene dalla città (macchina, gas, servizi)

 

Con la permacoltura gli australiani portano un problema "di campagna" in città: coltivati il terrazzo, risparmia acqua, energia, cose che puoi fare in città ... 

 

Questione di mentalità : uno potrebbe avere l'Acquasola non infestata da tossici,

ma siamo mentalmente abituati alla raccolta da supermercato e

nessuno si pone il problema di prodursi qualcosa...

Non si cambia niente se ognuno di noi non ragiona sui propri meccanismi

come riappropriarsi del maggior numero di strumenti indispensabili a vivere, senza   delegare ad altri tutto quello che possiamo fare in proprio

vie palazzi piazze mi comunicano spesso un senso di vuoto perché sento i luoghi disertati tranne per quanto e'indispensabile. si esce di casa per recarsi in un altro luogo chiuso e nel mezzo la totale assenza di spazi aperti accoglienti o in qualche modo interessanti fa si'che   non ci fermiamo, assediati dalle auto attorno alle e per le quali e'stato progettato lo spazio urbano, assillati dalla calca e dalla fretta che abbiamo di ritrovarci sulla terraferma, cioè in un qualche luogo chiuso o  sufficientemente rassicurante. La sera in giro non c'è assolutamente nessuno, spesso le vie grandi e piccole sono deserte perché la vita di ognuno, tranne quando si è costretti a uscire di casa (per il lavoro e  gli altri impegni quotidiani), coinvolge poche persone –i familiari o gli amici più stretti. Ognuno di noi si sente sollevato di essersi tratto fuori, a fine giornata, dal caos della vita pubblica e si rifugia nel suo privato, nel suo guscio. In quel momento i luoghi che diciamo appartenere a tutti non sono di fatto di nessuno, e nessuno li vuole perché nessuno li sente suoi. La città sembra essere un luogo estraneo ai suoi abitanti, un luogo da sfruttare con la freddezza con cui tratteremmo un articolo usa-e-getta; a fine giornata la buttiamo via perché non serve più e ci basta il nostro appartamento. Aprendo la porta non dovremmo stupirci di trovare una distesa di sabbia a perdita d'occhio, e intorno non un'anima. Siamo isolati. La gente sull'autobus ci soffoca e non ci piace perché puzza, perché è sporca; i luoghi in comune con gli altri sono solo luoghi di passaggio, dove si siede, si ferma e vive solamente il barbone, il disadattato. Le persone normali hanno una casa, e quello che c'è fuori non ha molta importanza. Lo snobbiamo perché è sporco, come se non fosse anche nostro; come se non fosse nostro anche lo sporco che abbiamo prodotto e bandito dalle nostre case sputandolo all'esterno.

 

Immaginario delle possibilità della città contro l'isolamento della campagna

 

Passaggio dal latifondo con condizione preindustriale a situazione moderna.

Piuttosto che di campagna come processo produttivo, parlare di come mai siamo affezionati alla città... idea di essere fuori dall'economia   

Attrazione non solo economica verso le città, ma disposizione mentale ormai insita nel "cittadino"

Uomo come essere sociale: la famiglia nucleare è tanto innaturale quanto l'ultra assembramento nelle città. Casualità delle aggregazioni, grandi o piccole che siano

Essere insieme in qualche modo: da una parte solitudine in termini di km, dall'altra solitudine in termini di metri (fastidio della vicinanza)

 

Città/campagna: una questione numerica?

Il cervello ha bisogno di stimoli

Campagna conservatrice: pochi stimoli?

Cosa può significare per noi il rapporto con la città.

Ricerca di luoghi di aggregazione spontanea

Consumatori: è possibile svolgere il ruolo in modo attivo (ad es. presidiamo per una settimana i vari centri commerciali perché slogan del tipo "scelto per te", "tutto il buono con cura" sono trop[po simili per suonare veri, come le due facce di bronzo che ci sovrastano dai manifesti elettorali.)

Estendere i gruppi d'acquisto

Divisione tra attività politica, attività economica, attività ludica... frantumazione e parcellizzazione

Quale tipo di alternativa economica propongono i centri sociali?

 

All'una e mezza l'assemblea si scioglie nell'acido ortofosforico