A proposito di una prospettiva nomade La carovana non e' ancora partita. La prospettiva nomade non la vediamo frutto di una passione che si pone al di fuori del tempo (estemporanea), ma piuttosto coinvolgimento attivo di soggetti che si dotano di un importante strumento per mettersi in relazione. Ad oggi, un coinvolgimento e messa in gioco comune nasceranno dalla presa di coscienza della necessita' di cio' e delle possibilita' che rimettera' in pista. La nostra azione e' ancora imberbe ed avvolta nell'ombra mentre i segni dello sgretolamento della comunita' umana sono evidenti al massimo grado, alla luce del sole e ognuno di noi se li porta sulla propria pellaccia. A questo coinvolgimento e messa in gioco di soggetti, a questa rete di relazioni, diamo il nome di comunita' umana. Non un concetto assolutizzante, onnicomprensivo. Un concetto che va di pari passo con le nostre esistenze, eplode e implode insieme a loro. La ricerca dell'autonomia, l'autocostruzione, il sabotaggio e in definitiva la distruzione dell'odiato esistente camminano di pari passo con la socializzazione di pratiche e saperi, la condivisione, l'allargamento del proprio raggio d'azione – per questo non saremo mai felici in nessun luogo, sia questo palude, bosco, pianura, citta', collina o montagna fino a che non vivremo in un mondo a nostra misura. Gli sprazzi di felicita' - quando riusciamo a mettere a fuoco un bersaglio, a concludere un progetto iniziato, a condividere gioie e rabbie – ci spronano a tirar fuori da noi tutto quel che e' sepolto dentro – gioia e rivoluzione, il forte binomio. La costruzione di una comunita' umana, in questa landa di rovine, e' il primo importante passaggio – il primo segnale di vita che riusciremo a lanciare. Un segnale che porta con se le sfumature di realta', territori e pratiche differenti, coalizzate nello smantellamento di quella divisione citta' / campagna forzata dal sistema produttivo che vuole ogni pratica separata dalle altre, ogni individuo atomizzato e piu' facilmente addomesticabile e intercambiabile come ingranaggio all'interno della macchina del dominio. I differenti soggetti che riescono a dare spazio e dignita' alla teoria ed alla pratica che portano avanti, condividendo una messa in gioco a 360 gradi, fondano una comunita' di soggetti sempre meno vincolati da spazi e tempi che riesce a far fronte alle differenti necessita', attivandosi in una costellazione sempre piu' ampia di luoghi e tempi. Ne fa parte chi coltiva un'idea di autonomia, chi decide di sottrarsi ai meccanismi della societa' organizzata (atti a distruggere l'idea dell'autonomia e a rendere ogni individuo in primo luogo cittadino). Sono soggetti radicati in un territorio e soggetti la cui vita si muove tra differenti orizzonti a costituire l'indispensabile trama vitale tra i vari territori: ritornano a vivere forme di nomadismo che non ripercorrono le strade lastricate da generazioni di vita sedentaria e che investono questa esplorazione vecchia come il mondo di nuova energia e passione. La comunita' umana si dota nel corso del tempo di luoghi e tempi propri: fuori dai contesti metropolitani, montagne o campagne che siano, dove e' ancora possibile aprire spazi di autonomia materiale, lavora per produrre questa autonomia. Nelle citta', dove si concretizza l'addentellato delle nostre esperienze, dove la contrapposizione spicca al massimo grado, porta i propri contenuti, buttando in faccia alla marea di consumatori allo sbando la proposta pratica e concreta della sovversione come scintilla della propria vita e dei propri desideri. La comunita' umana deve imparare a soddisfare i bisogni che produce, tra cui il denaro, bisogno primario nella relazione col mondo esterno. Soddisfatti questi, in un percorso di autonomia crescente che vuole fuoriuscire dalla logica mercantile, non ci si puo' certo ritenere soddisfatti: il mondo infatti va avanti. Ma la costruzione di una comunita' umana e` prioritaria proprio a partire dalla soddisfazione dei propri bisogni. Subito messi a confronto con la durezza della condizione odierna, la distruzione di ogni resistenza al dominio e la sostituzione delle diverse forme di vita con l'omologazione meccanizzata della merce e dei suoi automi, si impongono delle scelte. Rifiutare la societa' attuale non significa ritagliarsi angolini di liberta' illusorie, ma agire (soprattutto: collettivamente) contrapponendo a questo saccheggio e devastazione la nostra stessa esistenza, incompatibile con il sistema. La riappropriazione dei saperi, l'autocostruzione, gli orti, gli impianti energetici che tireremo su non saranno fini in se stessi... sapremo affinarli come strumenti della lotta sociale perche` una comunita' umana che dispone di strumenti, di capacita' nell'utilizzo delle varie tecnologie, di autonomia nei propri bisogni, potra' sferrare un attacco piu' significativo al complesso dell'esistente che,diciamo, dispone di mezzi pur troppo sofisticati rispetto alla nostra incommensurabile arretratezza. La consapevolezza di se' e delle proprie potenzialita', dopo esser stata per anni relegata nella pattumiera compressa della sfera privata e dell'individualismo esistenziale, reclama un contesto in cui esprimersi, crescere e fortificarsi. In assenza di tale contesto, da soli, non soggiogati, nell'incubo metropolitano non possiamo far piu` nulla, come non possiamo far piu` nulla nelle campagne se non sopravvivere - r/esistere. Ci serve una comunita' umana di riferimento in cui investire insieme le nostre energie ed esperienze, che si accumulano, anno dopo anno di r/esistenza al dominio. La resistenza, se pure attiva, e` una pratica di difesa. E l'attacco? Relegato alla sfera individuale? O del “gruppo di affinita'”? Non si puo'... rimanere una vita a difendere! E soprattutto, difendere cosa? Non abbiamo in mano quasi niente se non le nostre vite, qualche spazio nelle citta' e nelle montagne - non abbiamo piu` quasi nulla da difendere – all'opposto, e` tutto da conquistare. E' per questo fondamentale negli spazi che liberiamo dalla logica e dai tempi del dominio, siano essi strade, piazze, boschi o montagne riprendere in mano in un percorso collettivo cio` che riteniamo prioritario, chiarendo le affinita', le divergenze, e in un articolato percorso di incontri, scambi e relazioni passare dalle parole ai fatti. Socializzare le capacita' di organizzare il nostro esistere. Ad oggi sembra che la “causa comune” sia naufragata all'orizzonte. Questo e' vero soltanto per i rassegnati. O preferiscono forse chiamarsi realisti? O addirittura, individualisti? Che vadano tutti a cagare. A tutti coloro che non hanno ancora seppellito l'ascia di guerra, a chi l'idea di una causa comune evoca ancora qualcosa di vitale - c'e' chi la chiama liberta', chi anarchia, chi e' refrattario all'uso dei simboli. Se spesso le parole fanno piu' danni che altro ricordiamoci che possiamo anche smettere di chiamarla e la sostanza non cambia. L'importante e' che una comunita' umana si costituisca in una causa comune, a monte di tutte le altre. Per noi, il fine, unico, sta racchiuso nella parola liberta'. Nell'abolizione del potere. Della gerarchia. Del dominio. Ne esiste un altro?