Stefano, 1999:
Non so, non sono ancora riuscito a capire un saccodi cose del mondo.
Ad esempio non so tuttora perché sto continuando a vivere, con tantissimi miei simili, in una follia collettiva che pazzi come me chiamano buonsenso.Vedo così tanta gente che come me non è soddisfatta di ciò che la circonda,l'isolamento, i lavori competitivi massacranti o avvilenti, la conquista a fatica di unospazietto dove sopravvivere sperando che nessun fulmine colpisca; l'abitudine alladiffidenza di chiudersi nelle famiglie e chi suona al campanello inaspettato 'sarà unseccatore';
il tempo libero che è misurabile con precisione, e a volte ci trova così stanchi e sfiduciati, ed è così poco, che non sappiamo che farcene e lo lasciamo lì come un resto di cinquanta lire. E questo lo consideriamo normale e a volte ci prendiamoanche sul serio quando lo pensiamo.Però sappiamo che non è così che dovremmo, chevorremmo essere e vivere. O almeno lo sa una gran parte di noi, a giudicare dalle facceche si vedono sugli autobus (andare in motorino aiuta, ma non basta).
Sappiamo bene chenon è proprio il massimo passare così la nostra unica vita, e invece spesso agiamo comese ne avessimo una per adattarsi senza disturbare, e una decina in seguito per star bene;d'accordo, chissà, magari mi reincarno, ma per quello che ne so potrei reincarnarmi inuna cavia da laboratorio, meglio essere prudenti.Sospettiamo (è un eufemismo) che parecchi altripossano condividere i nostri disagi eppure non ci cerchiamo, non ci diciamo nulla,sfioriamo gli sguardi per la strada e per un attimo crediamo di aver visto in altri occhi sconosciuti che non siamo gli unici fessi a sentirsi così minimi.
Ma non sia mai,comunicare, probabilmente ti vuole grattare il portafoglio, e poi dai, passare per strani,passare per deboli, passare per influenzabili; preferiamo sempre passare e basta, passaree raddrizzare lo sguardo e rinfoderare questi pensieri, lucidi dal poco utilizzo, nellamorbida custodia delle abitudini. Non so di cosa più abbiamo paura in realtà, forse del giudizio degli altri, o forse di una vita peggiore o appunto che ci freghino ilportafoglio, non so se ci difendiamo dietro al cartello 'domani cambierà' o se riteniamomorale darci da fare per adattarci a schemi altrui, come se ci avessero dato una tracciada sviluppare e avessimo paura di andare fuori tema. O se semplicemente di norma siamotroppo soli per ogni tipo di iniziativa.
Un'idea fuori tema, in comune con alcuni amici, main realtà con chiunque voglia 'appropriarsene' davvero è quella di ritagliarsi unospazio, di quelli misurabili in metri quadrati od ettari, che ci dia più spazi, quelli misurabili in termini di soddisfazione personale.
Un posto dove poter abitare, sevogliamo, in cui poter lavorare, se vogliamo, poter dismettere molte delle nostre finzioniquotidiane, se vogliamo, potere un po' più facilmente esprimersi e portare avanti le coseche ciascuno di noi ha in testa e cercare di condividerle con chi vuole farlo. Un postodove poter avere un po' più fiducia in una solidarietà delle persone che non sialimitata a un ristretto e spaurito ed accerchiato ambito familiare (ammesso e nonconcesso, anzi proprio negato con forza, che la solidarietà possa esistere all'interno diuna famiglia media).
Dove insomma si possano riesumare due componenti di noi che secondome sono letteralmente massacrate dal tipo di vita che in media siamo costretti a fare: lacreatività e la socialità. No, non facciamo nessuna comune, perché a quanto pare ilsenso della sacralità della privacy ce l'abbiamo tutti. Niente ghetto isolato perché aquanto pare per ora nessuno vuole ritirarsi dal mondo; io sono affezionato alla mia città(e ad alcuni suoi abitanti) e la vedo comunque carica di alcune potenzialità fondamentaliper me, come il lavoro e il casino in dosi ed ambienti che mi piacciono.
Nessuna appendicedi alcuna realtà politica perché è così fuori moda... Nessuna setta satanica perché adoriamo tutti dei o demoni diversi, io stesso mi sono fatto un bellissimo dio su misurache la pensa sempre come me, così schivo un casino di sensi di colpa, ma è un diodifficilmente condivisibile.
Insomma, alcuni lo chiamano paese perché nevedono prevalente l'importanza abitativa, altri progetto, perché è una delle cose piùvaghe che gli vengano in mente, ma, voglio dire, è un'iniziativa senza nessun piano dietro, 'solo' un esperimento di consorzio umano che rielabori da sé certi valori delvivere comune.Qualcuno dirà 'idealisti, ogni consorzio umano èsempre stato mondo di squali, la natura umana è sempre la stessa, homo homini lupus,rosso di sera bel tempo si spera, e poi non c'è più la mezza stagione'. Personalmente ame questo frega pochissimo quando devo pensare alla mia vita, non devo far saltare né tornare i conti a nessun libro di storia, di sociologia o di antropologia.
Vedo quello cheho intorno, ora (e quelli che ho intorno, ora) e cerco di valutare pro e contro per il mio- mi si perdoni! - benessere, e basta. Questo progetto è l'ipotesi più sensata (e piùbella) che ho sottomano. Richiede sacrifici, e magari se vedessi alternative interessantiche non ne richiedono, chissà, punterei su quelli, ma incidentalmente non vedo strade diquesto tipo.Così, se non avete paura di farvi fregare ilportafoglio, venite con noi. No, questa frase è un po' ambigua. Forse la taglio.