Riportiamo qui un estratto da un documento delle BR-PCC del Marzo 1985. Il testo, nel suo complesso, tratta di questioni più generali che in parte esulano dall’oggetto di questa raccolta. L’opuscolo 20 in versione integrale può essere letto qui.
La critica a fondo delle elucubrazioni degli ultrarivoluzionari alla Curcio & C. e delle teorie del soggettivismo nostrano, sono da tempo patrimonio delle BR e delle avanguardie rivoluzionarie, come testimonia, tra l’altro, la prima parte del libro “Politica e rivoluzione” riferita al complesso delirante d’analisi, riferimenti teorici e “progettualità” dei fondatori del defunto “Partito Guerriglia”. Uno dei comuni denominatori che oggi divide il campo proletario dai novelli apologeti della borghesia è una rilettura “autocritica” dell’esperienza del movimento rivoluzionario in Italia da un punto di vista individualistico e non già d’organizzazione, dando prova di disponibilità allo stato di condividere una logica che da sempre la borghesia ha tentato di far passare. E cioè quella per cui la lotta rivoluzionaria non è altro che la sommatoria di comportamenti di singoli individui o piccoli gruppi, e di singoli atti “criminali” o “devianti” variamente legittimati socialmente dal politologo o giudice di turno. Legittimati socialmente perché sorti come “reazione” ad uno Stato incapace di coglierne la compatibilità trasformatrice, non tendente cioè alla distruzione dello Stato e alla conquista del potere politico. I ragionamenti portati dai vari personaggi che vorrebbero suffragare la tesi della sconfitta e dell’impossibilità —non necessità stessa— della rivoluzione proletaria, non sono altro che i pietosi tentativi dei nuovi servi sciocchi al servizio dei vari partiti, di fornire le loro squallide “verità” in cambio della benevolenza dello Stato.
Questo mercato sulla pelle del proletariato ha da tempo definito l’inconciliabile antagonismo tra due campi di interessi contrapposti, quello borghese e quello proletario, e ha spuntato l’arma con cui la borghesia ha tentato di distruggere l’identità politica della nostra esperienza, per bocca di più o meno illustri ex—protagonisti di questi anni di lotta rivoluzionaria. E questo perché visto che il proletariato non può dissociarsi dalle sue condizioni di sfruttamento, anche le argomentazioni sorrette da più o meno clamorose ricostruzioni complottarde, cessano di avere il peso lacerante che i super esperti gli avevano assegnato con tanta speranza, chiarendo con sempre maggior concretezza la necessità di una prospettiva unitaria che guidi, la classe alla risoluzione del suo interesse generale, e cioè l’alternativa proletaria e rivoluzionaria alla crisi della borghesia ed alla guerra imperialista.
La fine miserevole di tutte le esperienze più o meno armate legate all’antimarxismo piccolo borghese tanto in voga nel nostro paese, ha stabilito l’estraneità totale tra chi lavora spalleggiato e foraggiato dalle varie consorterie che si dividono e contendono il potere in Italia e chi pur con contraddizioni e costante battaglia politica, lavora alla ricostruzione di un nuovo livello d’unità dei comunisti e un nuovo livello di capacità politica in grado di dirigere la classe nello scontro contro i progetti antiproletari e guerrafondai della borghesia. A questo riguardo ai comunisti non debbono aver paura di affrontare le contraddizioni interne al dibattito del movimento rivoluzionario, pur sapendo che la borghesia tenterà sempre di mistificare ed amplificare le nostre divergenze per offrire un quadro distorto fatto di continue lacerazioni, individualismi e meschini calcoli di gruppo.
La battaglia politica tra ipotesi diverse che, nella pratica della lotta devono trovare la loro verifica, non è operazione carbonara per “addetti ai lavori” ma capacità di far vivere e comprendere i contenuti delle diverse proposte fuori da logiche settarie e di sterile schieramento. Altro non c’interessa e non riguarda lo stile della nostra O, dichiarandoci sin da ora indisponibili verso chiunque usi il metodo dell’attacco politico strumentale, per mascherare la propria incapacità di costruire sulle proprie convinzioni la propria identità politica e organizzativa.