[1973] La rivolta nel carcere di Pescara e il processo che ne seguì

Imputati del processo di PescaraIl processo di Pescara, celebrato dal 18 settembre al 31 ottobre 1973 contro 50 detenuti colpevoli, secondo l’accusa, di aver dato luogo a una violenta protesta contro lo stato dell’attuale sistema penitenziario, si è trasformato ben presto in una denuncia delle responsabilità avute dalle autorità governative per il mancato accoglimento delle richieste dei detenuti. L’avvocato difensore discute la linea politica adottata dalla difesa, la quale è riuscita a far ridurre i 110 anni complessivi richiesti dal pubblico ministero a 9 anni per il solo reato di danneggiamento e a conseguire l’assoluzione per il reato di resistenza aggravata.

MATERIALI:

Dichiarazione degli imputati al processo di Pescara

da “Ci siamo presi la libertà di lottare. Il movimento di massa dei detenuti da gennaio a settembre ’73”, Edizioni Lotta Continua

G. Spazzali Il processo di Pescara

da “La zecca e il garbuglio. Dal processo allo Stato allo Stato dei processi“, Machina libri, Milano, 1981

Lotta Continua 7/8/1973

l’Unità 19/9/1973

[1977] Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il plenipotenziario del nuovo circuito carcerario che diventa operativo (vedi art. 90)

Nato a Saluzzo il 27 settembre 1920, Carlo Alberto Dalla Chiesa è un figlio d’arte: il papà Romano è ufficiale dei Carabinieri, il fratello Romolo pure.

Dal 1966 al 1973, come colonnello, ha il Comando della Legione di Palermo.

Dall’ottobre 1973, ormai promosso generale, comanda la Brigata di Torino, e nel 1974 diviene Comandante della Regione Militare di Nord-Ovest, con giurisdizione su Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria.

Nel maggio 1974, una rivolta dei detenuti del carcere di Alessandria, che hanno preso alcuni ostaggi e vogliono trattare con l’amministrazione carceraria il miglioramento delle condizioni di vita carcerarie, viene stroncata dallo stesso Dalla Chiesa e dal procuratore generale di Torino, Carlo Reviglio Della Veneria (poi insignito, il 1º luglio 1976, del titolo di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana). I due ordinano un intervento armato che si conclude con sette morti (due detenuti, due agenti di custodia, il medico del carcere, un insegnante e una assistente sociale) e quattordici feriti.

Ancora nel maggio di quell’anno, Dalla Chiesa crea una nuova struttura antiterrorismo, denominata Nucleo Speciale Antiterrorismo, con base a Torino. Nel settembre 1974, a Pinerolo, il Nucleo riesce a catturare i brigatisti Renato Curcio e Alberto Franceschini, grazie anche alla determinante collaborazione di Silvano Girotto, detto “frate mitra”. Nel 1976 il Nucleo Antiterrorismo viene sciolto, a seguito di una serie di critiche ricevute per i metodi impiegati. Da lì in poi, Dalla Chiesa presterà sempre molta attenzione a garantirsi le coperture politiche necessarie.

Nel 1977 è nominato Coordinatore del Servizio di Sicurezza degli Istituti di Prevenzione e Pena e, passato al grado di Generale di Divisione, il 9 agosto 1978 ottiene poteri speciali per diretta determinazione governativa e viene nominato Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, sorta di reparto operativo speciale alle dirette dipendenze del Ministro dell’Interno Virginio Rognoni.

In questa veste organizza una vera e propria controguerriglia urbana, basata su princìpi chegli stesso avrebbe successivamente esplicitato: I nostri reparti dovevano vivere la stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false, telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro” (http://www.carabinieri.it/arma/curiosita/non-tutti-sanno-che/d/dalla-chiesa-carlo-alberto).

Tra la fine del 1979 e l’inizio del 1980 organizza l’arresto e il “pentimento” di Patrizio Peci ed è il principale responsabile della strage di via Fracchia (28 marzo 1980).
Dopo avere tenuto a Milano, dal dicembre 1979 al dicembre 1981, il comando della Divisione Pastrengo, struttura chiave del controllo militare sul Nord Italia e crocevia di innumerevoli trame legate alla Strage di Stato e alla P2, nel 1982 giunge alla (allora) massima carica per un carabiniere: vice Comandante Generale dell’Arma.

Irruzione al carcere di Alessandria: Corriere della sera 10 Maggio 1974

[2014] Parla don Maurilio Guasco, l’ultimo mediatore: quarant’anni dopo la rivolta gli errori e il cinismo di un’operazione costata 7 morti

[1977] Istituzione dei carceri speciali. Decreto ministeriale 450 – 12 maggio

Decreto ministeriale 450 – 12 maggio 1977
Con un semplice decreto ministeriale, il n. 450 del 12 maggio 1977, vengono istituite le carceri speciali per rispondere alle lotte che si erano sviluppate e continuavano a svilupparsi nel circuito carcerario e per cercare di ostacolare i livelli di aggregazione in continua crescita, nonché per tentare di frenare il movimento di evasioni sviluppatosi enormemente negli ultimi anni.

La gestione di questa operazione viene affidata all’Arma dei carabinieri al comando del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa(1), sia per la scelta e la ristrutturazione degli edifici, sia per i compiti di sorveglianza esterna e di controllo e ispezione interna. Così la notte tra il 16 e il 17 luglio 1977, in grande segretezza e con ampio spiegamento di forze e mezzi, facendo anche largo uso di elicotteri, alcune centinaia di compagni e proletari detenuti vengono trasferiti nelle prime carceri speciali allestite.

I primi cinque supercarceri vengono istituiti nel luglio 1977: Favignana, Asinara, Cuneo, Fossombrone e Trani. A questi si aggiunsero presto Novara, Termini Imerese, Nuoro e Pianosa (D.M. 21 dicembre 1977).
L’assegnazione e il trasferimento avvengono a totale discrezione dell’amministrazione carceraria, e dipendono dalla condotta del detenuto (partecipazione a rivolte o evasioni, violenza, ma anche segnalazioni di spie e rapporti delle guardie), nonché in base alla natura del reato (banda armata, rapina a mano armata, ecc.). Su tali decisioni non c’è alcun controllo da parte del giudice di sorveglianza.

Corriere della Sera 25 luglio 1977
Corriere della Sera 25 luglio 1977

Lotta Continua, 22 luglio 1977

[ Carlo Alberto Dalla Chiesa

1982 – Decreto ministeriale, 22 dicembre: “I carceri speciali” – rinnovo e inasprimento

1983 – Decreto Ministeriale, 28 aprile: “I carceri speciali” – rinnovo

1983 – Decreto ministeriale, 3 agosto 1983. Sospensione parziale carceri speciali

1983 – Circolare della Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e Pena, 3 agosto. Formalizzazione delle Aree Omogenee  ]

 

(1) “Lo stesso giorno della pubblicazione del decreto, il Ministro di Grazia e Giustizia, Bonifacio, diramò una circolare rivolta agli ispettori e ai direttori dei penitenziari, ove «si raccomandava la più ampia collaborazione con il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, agevolandone i compiti, specie fornendo ogni necessaria informazione circa la sicurezza, l’ordine e la disciplina all’interno degli istituti».

[…]

Le intenzioni dell’esecutivo erano chiare, si decise di delegare il coordinamento del servizio di sicurezza esterna degli istituiti ad un generale Dalla Chiesa, a cui vennero affidati i compiti di visitare gli istituti, riferire al governo le disposizioni necessarie per l’espletamento dei suoi compiti; egli doveva essere, inoltre, informato dai direttori degli istituti di pena riguardo alle disposizioni adottate per il mantenimento della sicurezza, dell’ordine e della disciplina all’interno degli istituti.

Le idee del generale Dalla Chiesa, su come risolvere il problema della sicurezza delle carceri, appaiono chiare già dalle prime direttive emanate e dalle prime visite negli istituti penitenziari: l’obiettivo era quello di individuare le carceri più sicure ove destinare i detenuti ritenuti più pericolosi.

Il 20 maggio Dalla Chiesa dirama una circolare in cui chiedeva dettagliate informazioni su:

  • i controlli effettuati sulle persone che entrano ed escono dagli istituti penitenziari;
  • i controlli telefonici, richiedendo anche dettagliate informazioni sugli apparecchi abilitati all’uso all’interno delle carceri;
  • i controlli che venivano effettuati nel perimetro esterno degli istituti da parte degli agenti di custodia;
  • i controlli effettuati sui pacchi destinati ai detenuti;
  • l’eventuale impiego di detenuti nelle attività interne del carcere;
  • l’indicazione dei fornitori di generi alimentari o altro ammessi all’interno dell’istituto;
  • le garanzie esistenti sul divieto di possesso di denaro da parte dei detenuti;
  • quante e quali ispezioni venivano effettuate giornalmente alle inferriate e ai locali di uso comune. Veniva anche richiesto se l’orario e il risultato di tali ispezioni veniva annotato in apposito registro;
  • le carenze strutturali, che potevano essere superate con interventi in economia, per poter conseguire la sicurezza auspicata.

L’individuazione delle carceri destinate a diventare di «massima sicurezza» fu affidata allo stesso Dalla Chiesa che in pochi mesi visitò vari penitenziari della penisola; naturalmente tutto ciò era avvolto dal segreto, solo ad operazioni ultimate si ebbe notizia di quali carceri erano diventate di «massima sicurezza».

A metà luglio furono predisposti cinque istituti che, preventivamente sfollati dei vecchi detenuti destinati ad altre sedi, dovevano ospitare i soggetti ritenuti pericolosi. Riguardo all’individuazione dei detenuti da destinare ai «carceri speciali», fu scontato il trasferimento dei detenuti politici, ovvero di coloro che erano stati accusati o condannati per reati di eversione e terrorismo. Inoltre, l’Amministrazione Penitenziaria invitò i direttori degli istituti penitenziari a trasmettere un elenco dei detenuti comuni ritenuti particolarmente pericolosi, ovvero coloro che erano stati coinvolti in specifici episodi violenti (evasioni, sequestri o violenze ai danni di agenti di custodia, rivolte e proteste particolarmente violente).”

Maria Rosaria Calderone, L’articolo 41 bis Ord. pen. e altri regimi particolari di detenzione – L’AltroDiritto 2005

[1977] Il caso Soccorso Rosso e lo stato all’attacco del diritto alla difesa

Opuscolo del Comitato per la scarcerazione di: Sergio Spazzali, Ilaria Elisa Benati, Vincenzo della Vecchia, Fiorino Ghibesi, Giovanni Morlacchi, Saverio Senese.

presso: “Libreria lnternazionale”, piazza S. Eustorgio 8, 20123 Milano, tel. 02/8324074, luglio 1977

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Il caso Soccorso Rosso

[1979] Centralità operaia, lotta armata, composizione di classe ed altro

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“CONTROinformazione”, supplemento speciale, “Centralità operaia, lotta armata, composizione di classe ed altro”, giugno 1979

[1980] Rivolta nel carcere di Volterra

Il 6 ottobre 1980, alle 21.30, un’ottantina di detenuti del Mastio di Volterra prendono in ostaggio 5 guardie carcerarie e si barricano nella sezione del carcere richiedendo: 1) la chiusura delle carceri di massima sicurezza (in particolare l’Asinara); 2) il trasferimento in altre carceri; 3) l’incontro con giornalisti e avvocati. La rivolta cessa 36 ore dopo. A capeggiarla è stato il “nucleo organizzato dei prigionieri, Martino Zicchitella”, composto di 12 politici (Piantamore, Solimano, Fuga).

[1980] Rivolta nel carcere di Fossombrone

Il 7 ottobre 1980 mattina alle 9 inizia la rivolta nel carcere di Fossombrone. Quattro detenuti, tre politici (Fiore, Gasparella, Lattanzio), prendono in ostaggio tre guardie. Chiedono di non essere trasferiti in Sardegna. Gli altri detenuti solidarizzano gridando slogan contro le supercarceri. La rivolta cessa 7 ore dopo con l’accoglimento delle richieste.

[1981] Il massacro di San Vittore

Il massacro di San Vittore (22/9/1981) (1)

 

Lettere da San Vittore in Adnkronos: “Dissociazione dal terrorismo: quali strumenti legislativi per una soluzione politica”

 

[Botte, torture e colloqui con i vetri. 1982]

 

(1)

“Gli anni ’80 vedono un certo disorientamento dei detenuti, in coincidenza con una crisi politica ed organizzativa delle forze rivoluzionarie esterne. Un esempio di questo disorientamento è quello della lotta del carcere di San Vittore di Milano, nell’autunno/inverno ’81. In questo grande carcere i prigionieri attuano un sistema di micro-conflittualità permanente e diffusa diretta nello stesso tempo a conquistare l’obbiettivo tradizionale degli spazi di socialità interni/esterni, ma anche con obbiettivi politicamente più equivoci (di miglioramento contrattato delle condizioni di vita interna) che segnano il momento di svolta.
La lotta avrà un certo appoggio esterno, anche questo equivoco, per la presenza di notevoli tentativi di strumentalizzazione da parte di riformisti di vario tipo ed anche di parte delle strutture istituzionali. Nonostante ciò, alla fine, la lotta di San Vittore verrà duramente repressa”.

S. Spazzali 1985 – Lotte nelle carceri, analisi delle fasi (1970-1985)

[1981] Il Bollettino del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione, n. 3

52_Bollettino3_Novembre1981

Bollettino dei comitati contro la repressione n. 3, novembre 1981

[1982] Tortura

Nel 1982 si assiste a una generalizzazione dell’uso della tortura a carico dei sospetti “terroristi” (praticata da squadrette come quella del “prof. De Tormentis”).

 

Salvatore Genova intervistato nel 2012:

https://www.youtube.com/watch?v=mhqfJ6rd0G4

[Francesco Giordano, lettera a Lotta Continua

Ennio di Rocco – Progetto memoria – Le Torture affiorate]

altri materiali si trovano sul sito Insorgenze

[1982] Decreto ministeriale, 22 dicembre: “I carceri speciali” – rinnovo e inasprimento

“Il Guardasigilli, ritenuto che nelle sezioni a maggior indice di sicurezza degli istituti penitenziari di Cuneo, Fossombrone, Trani, Palmi, Nuoro, Novara, Ascoli Piceno, Pianosa, Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma-Rebibbia, Napoli, Messina (sezione femminile speciale) sono ristretti soggetti ad elevato indice di pericolosità in relazione alle imputazioni loro ascritte e alle condanne loro inflitte;
considerato pertanto che ricorrono gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza […] decreta:
dal 1° gennaio 1983 e sino al 30 aprile 1983 è sospesa negli stabilimenti penitenziari di cui in premessa l’applicazione dei seguenti istituti e regole di trattamento:
– è sospeso il diritto dei detenuti di corrispondere con altre persone detenute, anche ove trattasi di congiunti. La corrispondenza indirizzata a persone non detenute o proveniente dall’esterno è sempre sottoposta a visto di controllo;
– è sospesa la partecipazione dei detenuti al controllo delle tabelle e della preparazione del vitto, alla gestione del servizio di biblioteca, alla organizzazione delle attività culturali, ricreative e sportive;
– è sospesa la corrispondenza telefonica dei detenuti con i propri familiari, conviventi e terzi;
– è sospeso il diritto dei detenuti a ricevere generi alimentari ed oggetti contenuti in pacchi – salvo quelli contenenti biancheria ed indumenti intimi – provenienti dall’esterno;
– è sospesa la possibilità in questi reparti di avere colloqui tra detenuti, familiari, conviventi e terzi fuori dei limiti e della durata stabilita nel 7° comma dell’art 35 e nella prima parte del 9° comma dello stesso articolo (ossia non più di un’ora di colloquio ogni 15 giorni con i familiari stretti)”. (1)

[ Istituzione delle carceri speciali Decreto ministeriale 450 Maggio 1977

1983 – Decreto Ministeriale, 28 aprile: “I carceri speciali” – rinnovo

1983 – Decreto ministeriale, 3 agosto 1983. Sospensione parziale carceri speciali

1983 – Circolare della Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e Pena, 3 agosto. Formalizzazione delle Aree Omogenee ]

(1) “Come detto, il sistema della differenziazione degli istituti penitenziari, non nasce con l’applicazione dell’articolo 90 O.P., bensì con il decreto interministeriale del 1977 che attribuiva il compito di coordinamento per la sicurezza esterna e interna degli istituti penitenziari al Generale Dalla Chiesa. Le successive decisioni del Generale sfociarono nella creazione delle «carceri speciali», ove veniva applicato un regime differenziato più gravoso rispetto alle carceri ordinarie. Difficile è l’individuazione delle «carceri speciali», poiché la loro istituzione avvenne tramite Decreti Ministeriali indirizzati ai singoli istituti. Riguardo al regime penitenziario applicato, come ricordato, si demandava al regolamento dell’istituto, raccomandando che le carceri appartenenti alla medesima categoria predisponessero un regolamento uniforme.

Successivamente, all’interno delle sezioni delle «carceri speciali», il regime penitenziario venne regolato attraverso l’applicazione dell’art. 90 O.P, ciò veniva a costituire una garanzia per coloro che erano ristretti in dette carceri. Infatti, prima della applicazione dell’art. 90 O.P, il regime differenziato che si applicava, era del tutto sconosciuto, non verificabile e soprattutto si prestava a diverse applicazioni nel tempo e nello spazio. L’applicazione della sospensione dei diritti, ex art. 90 O.P., chiariva quali dovevano essere le limitazioni da applicare al regime detentivo, limitava l’ambito territoriale della sua applicazione e, nonostante le diverse proroghe, definiva la durata temporale delle restrizioni.

Quello che emerge è una situazione molto caotica: da un lato, negli istituti già considerati «speciali», la previsione delle sospensioni delle regole trattamentali andò a sommarsi alle restrizioni esistenti; dall’altro aumentarono i «carceri di massima sicurezza». Infatti, dopo l’applicazione dell’art. 90 O.P. vennero considerati «carceri speciali» tutti quegli istituti ove trovava applicazione tale articolo.

In un intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, il 25 agosto 1983, il direttore della Direzione Amministrativa Penitenziaria, N. Amato, dichiarava che l’applicazione dell’art. 90 O.P. riguardava 18 istituti e poco meno di un migliaio di persone.

La prima applicazione dell’articolo 90 O.P., si avrà nel marzo del 1978.

Il 16 marzo 1978, in via Fani, un commando delle Brigate Rosse rapisce il Presidente della D.C. Aldo Moro e uccide i cinque uomini della scorta, a questo fatto di cronaca viene associata la prima applicazione dell’art. 90 O.P., con l’attuazione della censura sulla corrispondenza dei «detenuti differenziati», e per circa due anni resterà la sola applicazione di detto articolo.

Bisogna sottolineare che i «detenuti differenziati» erano coloro che, per la tipologia di reato che avevano commesso o perché considerati pericolosi dall’Amministrazione penitenziaria, si trovavano ristretti nelle «carceri speciali», cioè quelle individuate dal decreto interministeriale del maggio 1977. Dal 1982, il campo di applicazioni dell’articolo 90 O.P. subisce un’estensione che si concretizza in due Decreti Ministeriali, entrambi datati 22 dicembre 1982, che definiscono quali devono essere le limitazioni da applicare negli istituti penitenziari menzionati dagli stessi decreti.

Il primo Decreto Ministeriale prevede l’applicazione della sospensione, ex art. 90 O.P., nelle sezioni a maggior indice di sicurezza, di determinati istituti penitenziari, in quanto, in tali carceri sono ristretti soggetti ad elevato indice di pericolosità, rilevabile dai reati imputati o dalle condanne inflitte.

La sospensione delle regole di trattamento penitenziario previste dall’ordinamento penitenziario, riguardano:

  • L’art. 18 l. 354/76, in cui è previsto il diritto dei detenuti a corrispondere con altre persone detenute, anche ove trattasi di congiunti. La corrispondenza indirizzata a persone non detenute o quella proveniente dall’esterno è sempre sottoposta a visto di controllo del direttore. Inoltre, sono sospesi i colloqui telefonici con i familiari, conviventi o terze persone, previste ai commi 5 e 8 dell’art. 18. Viene anche limitato il diritto ai colloqui straordinari con familiari o terze persone.
  • gli articoli 9, commi 6, 12, ultimo comma e 27, ultimo comma l. 354/75, dove è prevista la possibilità per i detenuti di partecipare al controllo delle tabelle e alla preparazione del vitto, la gestione della biblioteca, l’organizzazione di attività culturali, ricreative e sportive. Ancora, è sospeso il diritto previsto all’art. 9 O.P.- in relazione all’articolo 14 d.p.r. 29/4/1976 n. 431 – che consentono ai detenuti e agli internati di ricevere pacchi dall’esterno. Era solo consentito ricevere biancheria indumenti e libri, purché si trattasse di libri privi di dorso e rilegatura.

Nel secondo Decreto Ministeriale, datato 22 dicembre 1982, viene prevista una diversa l’applicazione dell’art.90 O. P. in tre carceri: Torino, Ariano Irpino e Foggia. Per questi penitenziari vengono aggiunte ulteriori sospensioni degli istituti previsti dalla l. 354/75, determinando così un regime penitenziario più rigido. Infatti, sono sospesi sia i diritti menzionati nel primo decreto, ma anche:

  • l’articolo 10, commi 1 e 2, che consentono ai detenuti di permanere almeno due ore al giorno all’aria aperta e prevede che tale permanenza si effettui in gruppi. Era consentito permanere all’aria aperta, sempre per non più di due ore al giorno anche in compagnia di un altro detenuto, previa autorizzazione dell’amministrazione penitenziaria;
  • l’art. 9, comma 7, ove è prevista la possibilità per il detenuto di acquistare genere alimentari a proprie spese.
  • Riguardo ai colloqui, è consentito un colloquio mensile con i familiari, si possono acquistare due quotidiani al giorno e un periodico la settimana. È consentito anche l’acquisto di un apparecchio radio, senza modulazioni di frequenza;
  • Sono inoltre sospese le garanzie previste dall’art. 33, riguardanti le ipotesi di applicazione dell’isolamento penitenziario.

Entrambi i Decreti Ministeriali del 22 dicembre 1982 prevedono che la sospensione del trattamento doveva durare dal 1 gennaio 1983 al 30 aprile 1983″.

Maria Rosaria Calderone, L’articolo 41 bis Ord. pen. e altri regimi particolari di detenzione – L’AltroDiritto 2005

[1983] Decreto Ministeriale, 28 aprile: “I carceri speciali” – rinnovo

“[…] considerato che permangono tuttora i gravi ed eccezionali motivi di ordine e di sicurezza […] le disposizioni contenute nel summenzionato d.m. sono ulteriormente prorogate sino al 31 dicembre 1983”. (1)

[ Istituzione delle carceri speciali Decreto ministeriale 450 Maggio 1977

1982 – Decreto ministeriale, 22 dicembre: “I carceri speciali” – rinnovo e inasprimento

1983 – Decreto ministeriale, 3 agosto 1983. Sospensione parziale carceri speciali

1983 – Circolare della Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e Pena, 3 agosto. Formalizzazione delle Aree Omogenee ]

(1)

Nel 1983 la sospensione dei diritti dei detenuti viene successivamente prorogata con altri due D.M., datati 28 aprile 1983, fino al dicembre dello stesso anno. Questi ultimi D.M., sono praticamente identici a quelli dell’anno precedente, viene però estesa l’applicazione dell’art. 90 O. P. ad un altro istituto penitenziario: Voghera. Si specifica, inoltre, che la corrispondenza, sottoposta a visto di controllo, è trattenuta o inoltrata su decisione del magistrato di sorveglianza o dell’autorità giudiziaria procedente.

Maria Rosaria Calderone, L’articolo 41 bis Ord. pen. e altri regimi particolari di detenzione – L’AltroDiritto 2005

[1983] Decreto ministeriale, 3 agosto 1983. Sospensione parziale carceri speciali

Decreto ministeriale 3 agosto 1983

1983 – Decreto ministeriale 3 agosto. Sospensione parziale carceri speciali. (1)

[ Istituzione delle carceri speciali Decreto ministeriale 450 Maggio 1977

1982 – Decreto ministeriale, 22 dicembre: “I carceri speciali” – rinnovo e inasprimento

1983 – Decreto Ministeriale, 28 aprile: “I carceri speciali” – rinnovo

1983 – Circolare della Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e Pena, 3 agosto. Formalizzazione delle Aree Omogenee ]

(1)

Il 3 agosto 1983, viene emanato un nuovo Decreto Ministeriale, che abroga in parte i decreti precedenti. Infatti, dato che le esigenze di ordine e sicurezza, che avevano ispirato l’adozione dei precedenti decreti, erano in parte cessate. Si prevede che in alcuni degli istituti (Cuneo, Fossombrone, Trani, Palmi, Nuoro, Novara, Ascoli Piceno, Pianosa, Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma – Rebibbia compresa la sezione femminile, Napoli, Messina, Voghera.), non venga vietata la corrispondenza con altri detenuti, inoltre, deve essere concessa la possibilità di effettuare, per eccezionali circostanze, colloqui straordinari con i familiari eccedenti la durata massima di un’ora.

Maria Rosaria Calderone, L’articolo 41 bis Ord. pen. e altri regimi particolari di detenzione – L’AltroDiritto 2005

[1985] Lotte nelle carceri, analisi delle fasi (1970-1985)

Lotte nelle carceri, analisi delle fasi (1985)

Durante il decennio 70 nelle carceri italiane si sono verificate forti lotte dei prigionieri che hanno assunto forme diverse nei diversi periodi, in gran parte in rapporto con i mutamenti della situazione politica e sociale esterna. Si possono distinguere diverse fasi:

1. Fase rivolta/evasione (70/75 – NAP)
2. Fase organizzazione stabile interno/esterno (75/80 – DCL)
3. Punto culminante: Asinara/D’Urso (80)
4. Fase di reflusso/sciopero della fame/dialogo con le istituzioni (Punto di svolta San Vittore 81: approdo Nuoro 83)
5. Situazione Attuale: Dissociazione/differenziazione/stasi del movimento.

Uno degli elementi centrali di tutto il periodo è costituito dalla presenza nelle carceri italiane di un numero sempre più elevato di detenuti politici (che alla fine degli anni 70 diventano più 3000) e dal fatto che i detenuti politici hanno cercato un collegamento di lotta con i cd. “comuni”. Nel passato ciò era raramente avvenuto e non è molto comune neppure oggi in altri paesi. La ragione fondamentale di questa caratteristica delle lotte dei prigionieri va trovata nella situazione sociale esterna, nella quale le avanguardie politiche rivoluzionarie hanno agito in collegamento anche con il proletariato cittadino extralegale, il quale per ragioni materiali (disoccupazione) e culturali (rifiuto del lavoro salariato) vivevano e vivono di appropriazioni illegali della ricchezza sociale.

PRIMA FASE: RIVOLTE/EVASIONE

Si tratta di un grande sviluppo quantitativo di una tecnica di lotta conosciuta universalmente. Occupazioni delle carceri dall’interno da parte di prigionieri in rivolta per ottenere allentamenti della disciplina (tipo dell’aumento delle ore di aria, dei colloqui, dei pacchi etc.) e riduzioni di pena (tipo amnistia e condono), parziali concezioni da parte del potere, moltiplicarsi delle evasioni. Nel periodo 70/75 all’esterno si costituiscono diversi organismi di sostegno delle lotte dei prigionieri (ogni organizzazione politica extraparlamentare ha la sua “commissione carceri” o soccorso rosso etc.) ed una organizzazione militare e clandestina (i NAP: Nuclei armati popolari) nasce proprio dallo sviluppo dell’esperienza di collegamento fra prigionieri sociali e militanti esterni realizzata a partire dall’organizzazione “Lotta continua” (naturalmente l’organizzazione legale Lotta continua si distanzierà totalmente dai NAP). La fase è caratterizzata da rivolte interne, attentati alle carceri dall’esterno, evasioni in una quantità mai vista prima, propaganda e solidarietà proletaria ai detenuti e formazione di una certa coscienza popolare anticarceraria prima non conosciuta.

SECONDA FASE: ORGANIZZAZIONE STABILE INTERNA/ESTERNA

Intorno al ’75 avvengono due fatti fondamentali: 1) come conseguenza della lunga fase di lotte il potere promulga una nuova legge penitenziaria vagamente più liberale, 2) come conseguenza del carattere politico assunto dalle lotte attua la costituzione del circuito delle carceri speciali (cioè superdure e sicure) culminato nella sua ufficializzazione nel ’77, destinato ad isolare in alcune carceri i detenuti pericolosi, fra i quali i politici.

La prima risposta del movimento dei detenuti, sostenuto dalle organizzazioni rivoluzionarie esterne, è costituita da un notevole aumento di livello di organizzazione dei prigionieri. In questo periodo si costituiscono i Comitati di Lotta (CdL) nelle carceri. Si tratta di strutture clandestine e, per quanto possibile armate (soprattutto di esplosivo), collegate all’interno e all’esterno specialmente con le Brigate Rosse. I CdL si costituiscono particolarmente nelle carceri speciali. Qui i progetti di evasione sono di difficile attuazione, ed il problema immediato è quello di allargare gli spazi di socialità interna e di mantenere aperti i canali di collegamento con l’esterno. I CdL sono composti indifferentemente da prigionieri politici ed cd. comuni ed attuano un diffuso ed altro livello di scontro con l’amministrazione penitenziaria, civile e militare. Dall’esterno le organizzazioni rivoluzionarie e particolarmente le BR, in cui sono confluiti in parte i disciolti NAP, attaccano duramente il personale della stessa amministrazione penitenziaria ed in generale dello stato (anche a sostegno delle lotte dei detenuti).

PUNTO CULMINANTE DELLA SECONDA FASE

Il punto culminante di questa fase si realizza alla fine del ’80 col sequestro D’Urso (un magistrato direttore centrale delle carceri). L’argomento centrale del sequestro, attuato dalle Br, è il supercarcere dall’Asinara in Sardegna, allora il più duro del circuito, di cui i prigionieri chiedono la chiusura. Nello stesso momento del sequestro D’Urso, i CdL del carcere speciale di Trani organizzano una grande rivolta. Il CdL di Trani e le BR all’esterno divengono i poli coordinati della trattativa per il rilascio di D’Urso. Il sequestro si concluderà con un successo: il carcere dell’Asinara verrà chiuso. La rivolta di Trani verrà pero’ duramente repressa con l’impiego di corpi speciali militari. Alla repressione di Trani le BR reagiranno con l’esecuzione del generale GALVALIGI, comandante dei carabinieri addetti alle carceri.

SVOLTA ANNI ’80 – Fase attuale

Gli anni ’80 vedono un certo disorientamento dei detenuti, in coincidenza con una crisi politica ed organizzativa delle forze rivoluzionarie esterne. Un esempio di questo disorientamento è quello della lotta del carcere di San Vittore di Milano, nell’autunno/inverno ’81. In questo grande carcere i prigionieri attuano un sistema di micro-conflittualità permanente e diffusa diretta nello stesso tempo a conquistare l’obbiettivo tradizionale degli spazi di socialità interni/esterni, ma anche con obbiettivi politicamente più equivoci (di miglioramento contrattato delle condizioni di vita interna) che segnano il momento di svolta.
La lotta avrà un certo appoggio esterno, anche questo equivoco, per la presenza di notevoli tentativi di strumentalizzazione da parte di riformisti di vario tipo ed anche di parte delle strutture istituzionali. Nonostante ciò, alla fine, la lotta di San Vittore verrà duramente repressa.

La crisi di identità politica di molti militanti detenuti e delle stesse organizzazioni rivoluzionarie esterne portano (a partire dal 82) alla diffusione del fenomeno della dissociazione dalla lotta, se non anche di vero e proprio tradimento (il cd. pentitismo). L’esempio tipico è lo sciopero della fame del carcere di Nuoro, attuato da numerosi ex-quadri rivoluzionari, che alla fine del 83 viene condotto all’insegna della dissociazione e della trattativa con le autorità della chiesa e dello Stato. Questo tipo di “movimento” porta ad un solo risultato: la divisione accentuata tra detenuti “buoni” (raggruppati nelle aree omogenee ed in carceri un po’ migliori) e detenuti “cattivi” isolati in bracci speciali, studiati sempre più scientificamente.
Ad Alessandria è stato istituito uno speciale carcere per pentiti che vi godono di ampia socialità e pubblicano addirittura un periodico di propaganda al pentitismo.

Questa situazione di disorientamento nel movimento dei prigionieri, spiega l’attuale situazione di caduta della conflittualità e di restaurazione del completo potere dell’amministrazione penitenziaria.

L’involuzione della situazione può essere schematicamente rappresentata così: durante gli anni 70 i cd. detenuti comuni si politicizzano. Come conseguenza abbandonano il terreno tradizionale delle lotte per le riforme contrattate, tutte interne alla condizione di detenzione come tale “accettata”, per attaccare direttamente la stessa condizione carceraria nel suo insieme. Nella fase del reflusso e specialmente dopo ’82, numerosi fra gli stessi detenuti politici retrocedendo sul terreno delle tradizionali lotte che era stato dei detenuti comuni non politicizzati ed accettano il terreno della lotta per la riforma del carcere, così accettando la stessa condizione di detenzione. Naturalmente oggi esiste un consistente nucleo di prigionieri politici e sociali che non si sono piegati e costituiscono il punto di riferimento per una ripresa di un movimento politico rivoluzionario anche sul terreno delle carceri.

’85

da: Sergio Spazzali: “Lotte nelle carceri analisi delle fasi (1979-1985)”

 

[ 1973 – La rivolta nel carcere di Pescara

1978 – La rivolta nel carcere dell’Asinara

1980 – La rivolta nel carcere di Volterra

1980 – La rivolta nel carcere di Fossombrone

1980 – La rivolta nel carcere di Badu’e Carros (Nuoro)

1980 – La rivolta nel carcere di Trani

1981 – Il massacro di San Vittore

1982 – Sciopero della fame nel carcere di Badu’e Carros (Nuoro) ]