Categoria: Tutti gli anni
[1985] Documento dei collettivi veneti al processo
[1985] Lotte nelle carceri, analisi delle fasi (1970-1985)
Durante il decennio 70 nelle carceri italiane si sono verificate forti lotte dei prigionieri che hanno assunto forme diverse nei diversi periodi, in gran parte in rapporto con i mutamenti della situazione politica e sociale esterna. Si possono distinguere diverse fasi:
1. Fase rivolta/evasione (70/75 – NAP)
2. Fase organizzazione stabile interno/esterno (75/80 – DCL)
3. Punto culminante: Asinara/D’Urso (80)
4. Fase di reflusso/sciopero della fame/dialogo con le istituzioni (Punto di svolta San Vittore 81: approdo Nuoro 83)
5. Situazione Attuale: Dissociazione/differenziazione/stasi del movimento.
Uno degli elementi centrali di tutto il periodo è costituito dalla presenza nelle carceri italiane di un numero sempre più elevato di detenuti politici (che alla fine degli anni 70 diventano più 3000) e dal fatto che i detenuti politici hanno cercato un collegamento di lotta con i cd. “comuni”. Nel passato ciò era raramente avvenuto e non è molto comune neppure oggi in altri paesi. La ragione fondamentale di questa caratteristica delle lotte dei prigionieri va trovata nella situazione sociale esterna, nella quale le avanguardie politiche rivoluzionarie hanno agito in collegamento anche con il proletariato cittadino extralegale, il quale per ragioni materiali (disoccupazione) e culturali (rifiuto del lavoro salariato) vivevano e vivono di appropriazioni illegali della ricchezza sociale.
PRIMA FASE: RIVOLTE/EVASIONE
Si tratta di un grande sviluppo quantitativo di una tecnica di lotta conosciuta universalmente. Occupazioni delle carceri dall’interno da parte di prigionieri in rivolta per ottenere allentamenti della disciplina (tipo dell’aumento delle ore di aria, dei colloqui, dei pacchi etc.) e riduzioni di pena (tipo amnistia e condono), parziali concezioni da parte del potere, moltiplicarsi delle evasioni. Nel periodo 70/75 all’esterno si costituiscono diversi organismi di sostegno delle lotte dei prigionieri (ogni organizzazione politica extraparlamentare ha la sua “commissione carceri” o soccorso rosso etc.) ed una organizzazione militare e clandestina (i NAP: Nuclei armati popolari) nasce proprio dallo sviluppo dell’esperienza di collegamento fra prigionieri sociali e militanti esterni realizzata a partire dall’organizzazione “Lotta continua” (naturalmente l’organizzazione legale Lotta continua si distanzierà totalmente dai NAP). La fase è caratterizzata da rivolte interne, attentati alle carceri dall’esterno, evasioni in una quantità mai vista prima, propaganda e solidarietà proletaria ai detenuti e formazione di una certa coscienza popolare anticarceraria prima non conosciuta.
SECONDA FASE: ORGANIZZAZIONE STABILE INTERNA/ESTERNA
Intorno al ’75 avvengono due fatti fondamentali: 1) come conseguenza della lunga fase di lotte il potere promulga una nuova legge penitenziaria vagamente più liberale, 2) come conseguenza del carattere politico assunto dalle lotte attua la costituzione del circuito delle carceri speciali (cioè superdure e sicure) culminato nella sua ufficializzazione nel ’77, destinato ad isolare in alcune carceri i detenuti pericolosi, fra i quali i politici.
La prima risposta del movimento dei detenuti, sostenuto dalle organizzazioni rivoluzionarie esterne, è costituita da un notevole aumento di livello di organizzazione dei prigionieri. In questo periodo si costituiscono i Comitati di Lotta (CdL) nelle carceri. Si tratta di strutture clandestine e, per quanto possibile armate (soprattutto di esplosivo), collegate all’interno e all’esterno specialmente con le Brigate Rosse. I CdL si costituiscono particolarmente nelle carceri speciali. Qui i progetti di evasione sono di difficile attuazione, ed il problema immediato è quello di allargare gli spazi di socialità interna e di mantenere aperti i canali di collegamento con l’esterno. I CdL sono composti indifferentemente da prigionieri politici ed cd. comuni ed attuano un diffuso ed altro livello di scontro con l’amministrazione penitenziaria, civile e militare. Dall’esterno le organizzazioni rivoluzionarie e particolarmente le BR, in cui sono confluiti in parte i disciolti NAP, attaccano duramente il personale della stessa amministrazione penitenziaria ed in generale dello stato (anche a sostegno delle lotte dei detenuti).
PUNTO CULMINANTE DELLA SECONDA FASE
Il punto culminante di questa fase si realizza alla fine del ’80 col sequestro D’Urso (un magistrato direttore centrale delle carceri). L’argomento centrale del sequestro, attuato dalle Br, è il supercarcere dall’Asinara in Sardegna, allora il più duro del circuito, di cui i prigionieri chiedono la chiusura. Nello stesso momento del sequestro D’Urso, i CdL del carcere speciale di Trani organizzano una grande rivolta. Il CdL di Trani e le BR all’esterno divengono i poli coordinati della trattativa per il rilascio di D’Urso. Il sequestro si concluderà con un successo: il carcere dell’Asinara verrà chiuso. La rivolta di Trani verrà pero’ duramente repressa con l’impiego di corpi speciali militari. Alla repressione di Trani le BR reagiranno con l’esecuzione del generale GALVALIGI, comandante dei carabinieri addetti alle carceri.
SVOLTA ANNI ’80 – Fase attuale
Gli anni ’80 vedono un certo disorientamento dei detenuti, in coincidenza con una crisi politica ed organizzativa delle forze rivoluzionarie esterne. Un esempio di questo disorientamento è quello della lotta del carcere di San Vittore di Milano, nell’autunno/inverno ’81. In questo grande carcere i prigionieri attuano un sistema di micro-conflittualità permanente e diffusa diretta nello stesso tempo a conquistare l’obbiettivo tradizionale degli spazi di socialità interni/esterni, ma anche con obbiettivi politicamente più equivoci (di miglioramento contrattato delle condizioni di vita interna) che segnano il momento di svolta.
La lotta avrà un certo appoggio esterno, anche questo equivoco, per la presenza di notevoli tentativi di strumentalizzazione da parte di riformisti di vario tipo ed anche di parte delle strutture istituzionali. Nonostante ciò, alla fine, la lotta di San Vittore verrà duramente repressa.
La crisi di identità politica di molti militanti detenuti e delle stesse organizzazioni rivoluzionarie esterne portano (a partire dal 82) alla diffusione del fenomeno della dissociazione dalla lotta, se non anche di vero e proprio tradimento (il cd. pentitismo). L’esempio tipico è lo sciopero della fame del carcere di Nuoro, attuato da numerosi ex-quadri rivoluzionari, che alla fine del 83 viene condotto all’insegna della dissociazione e della trattativa con le autorità della chiesa e dello Stato. Questo tipo di “movimento” porta ad un solo risultato: la divisione accentuata tra detenuti “buoni” (raggruppati nelle aree omogenee ed in carceri un po’ migliori) e detenuti “cattivi” isolati in bracci speciali, studiati sempre più scientificamente.
Ad Alessandria è stato istituito uno speciale carcere per pentiti che vi godono di ampia socialità e pubblicano addirittura un periodico di propaganda al pentitismo.
Questa situazione di disorientamento nel movimento dei prigionieri, spiega l’attuale situazione di caduta della conflittualità e di restaurazione del completo potere dell’amministrazione penitenziaria.
L’involuzione della situazione può essere schematicamente rappresentata così: durante gli anni 70 i cd. detenuti comuni si politicizzano. Come conseguenza abbandonano il terreno tradizionale delle lotte per le riforme contrattate, tutte interne alla condizione di detenzione come tale “accettata”, per attaccare direttamente la stessa condizione carceraria nel suo insieme. Nella fase del reflusso e specialmente dopo ’82, numerosi fra gli stessi detenuti politici retrocedendo sul terreno delle tradizionali lotte che era stato dei detenuti comuni non politicizzati ed accettano il terreno della lotta per la riforma del carcere, così accettando la stessa condizione di detenzione. Naturalmente oggi esiste un consistente nucleo di prigionieri politici e sociali che non si sono piegati e costituiscono il punto di riferimento per una ripresa di un movimento politico rivoluzionario anche sul terreno delle carceri.
’85
da: Sergio Spazzali: “Lotte nelle carceri analisi delle fasi (1979-1985)”
[ 1973 – La rivolta nel carcere di Pescara
1978 – La rivolta nel carcere dell’Asinara
1980 – La rivolta nel carcere di Volterra
1980 – La rivolta nel carcere di Fossombrone
1980 – La rivolta nel carcere di Badu’e Carros (Nuoro)
1980 – La rivolta nel carcere di Trani
1981 – Il massacro di San Vittore
1982 – Sciopero della fame nel carcere di Badu’e Carros (Nuoro) ]
[1985] Valerio Morucci “Per riaprire un dialogo con la società: Manifesto dei detenuti politici”
Valerio Morucci «[…] cominciò la sua deposizione il 18 gennaio 1985 con la lettura di una dichiarazione dal titolo “Per riaprire un dialogo con la società: Manifesto dei detenuti politici”…
Per riaprire un dialogo con la società: Manifesto dei detenuti politici
[1985] BR-PCC “Opuscolo 20” (estratto)
Riportiamo qui un estratto da un documento delle BR-PCC del Marzo 1985. Il testo, nel suo complesso, tratta di questioni più generali che in parte esulano dall’oggetto di questa raccolta. L’opuscolo 20 in versione integrale può essere letto qui.
La critica a fondo delle elucubrazioni degli ultrarivoluzionari alla Curcio & C. e delle teorie del soggettivismo nostrano, sono da tempo patrimonio delle BR e delle avanguardie rivoluzionarie, come testimonia, tra l’altro, la prima parte del libro “Politica e rivoluzione” riferita al complesso delirante d’analisi, riferimenti teorici e “progettualità” dei fondatori del defunto “Partito Guerriglia”. Uno dei comuni denominatori che oggi divide il campo proletario dai novelli apologeti della borghesia è una rilettura “autocritica” dell’esperienza del movimento rivoluzionario in Italia da un punto di vista individualistico e non già d’organizzazione, dando prova di disponibilità allo stato di condividere una logica che da sempre la borghesia ha tentato di far passare. E cioè quella per cui la lotta rivoluzionaria non è altro che la sommatoria di comportamenti di singoli individui o piccoli gruppi, e di singoli atti “criminali” o “devianti” variamente legittimati socialmente dal politologo o giudice di turno. Legittimati socialmente perché sorti come “reazione” ad uno Stato incapace di coglierne la compatibilità trasformatrice, non tendente cioè alla distruzione dello Stato e alla conquista del potere politico. I ragionamenti portati dai vari personaggi che vorrebbero suffragare la tesi della sconfitta e dell’impossibilità —non necessità stessa— della rivoluzione proletaria, non sono altro che i pietosi tentativi dei nuovi servi sciocchi al servizio dei vari partiti, di fornire le loro squallide “verità” in cambio della benevolenza dello Stato.
Questo mercato sulla pelle del proletariato ha da tempo definito l’inconciliabile antagonismo tra due campi di interessi contrapposti, quello borghese e quello proletario, e ha spuntato l’arma con cui la borghesia ha tentato di distruggere l’identità politica della nostra esperienza, per bocca di più o meno illustri ex—protagonisti di questi anni di lotta rivoluzionaria. E questo perché visto che il proletariato non può dissociarsi dalle sue condizioni di sfruttamento, anche le argomentazioni sorrette da più o meno clamorose ricostruzioni complottarde, cessano di avere il peso lacerante che i super esperti gli avevano assegnato con tanta speranza, chiarendo con sempre maggior concretezza la necessità di una prospettiva unitaria che guidi, la classe alla risoluzione del suo interesse generale, e cioè l’alternativa proletaria e rivoluzionaria alla crisi della borghesia ed alla guerra imperialista.
La fine miserevole di tutte le esperienze più o meno armate legate all’antimarxismo piccolo borghese tanto in voga nel nostro paese, ha stabilito l’estraneità totale tra chi lavora spalleggiato e foraggiato dalle varie consorterie che si dividono e contendono il potere in Italia e chi pur con contraddizioni e costante battaglia politica, lavora alla ricostruzione di un nuovo livello d’unità dei comunisti e un nuovo livello di capacità politica in grado di dirigere la classe nello scontro contro i progetti antiproletari e guerrafondai della borghesia. A questo riguardo ai comunisti non debbono aver paura di affrontare le contraddizioni interne al dibattito del movimento rivoluzionario, pur sapendo che la borghesia tenterà sempre di mistificare ed amplificare le nostre divergenze per offrire un quadro distorto fatto di continue lacerazioni, individualismi e meschini calcoli di gruppo.
La battaglia politica tra ipotesi diverse che, nella pratica della lotta devono trovare la loro verifica, non è operazione carbonara per “addetti ai lavori” ma capacità di far vivere e comprendere i contenuti delle diverse proposte fuori da logiche settarie e di sterile schieramento. Altro non c’interessa e non riguarda lo stile della nostra O, dichiarandoci sin da ora indisponibili verso chiunque usi il metodo dell’attacco politico strumentale, per mascherare la propria incapacità di costruire sulle proprie convinzioni la propria identità politica e organizzativa.
[1986] Intervento del sen. Silvio Coco sulla legge sulla dissociazione
Al Convegno sulla “Legislazione premiale” organizzato dal Centro studi “Enrico de Nicola” a Courmayeur il 19 aprile 1986 il senatore Silvio Coco della commissione giustizia del Senato viene invitato a presentare il disegno di legge che andrà in discussione nei mesi successivi.
estratto (6 min. circa)
integrale (20 min. circa)
[1986] Legge n. 663, 10 ottobre: “legge Gozzini”
Esalta la premialità in carcere e abroga l’art. 90 dell’ordinamento penitenziario sostituendolo con l’articolo 41 bis.
[1987] Legge n. 34, 18 febbraio: “Misure a favore di chi si dissocia dal terrorismo”
[1987] Gallinari, Lo Bianco, Piccioni, Seghetti Autointervista in “il Bollettino” n. 25-26
[1987] Primo Moroni su legge sulla Dissociazione e legge Gozzini
Primo Moroni intervista su legge sulla Dissociazione e legge Gozzini (Radio Onda d’Urto)
[1987] Curcio, Moretti, Iannelli e Bertolazzi: per una soluzione politica / 1
”Nel febbraio 1987 nell’aula bunker del tribunale di Roma le autorità sequestrarono a Nadia Ponti un documento, pubblicato poi su alcuni quotidiani, firmato da Curcio, Moretti, Iannelli e Bertolazzi in cui i quattro brigatisti dichiaravano chiusa l’esperienza della lotta armata e chiedevano una rivisitazione critica degli anni settanta.”
Marco Clementi, Storia delle Brigate Rosse, p. 361
Questo documento, a circolazione interna, divenne poi un comunicato che fu pubblicato dal quotidiano “il manifesto” nell’aprile dello stesso anno.
Soluzione Politica dalla rivista Anni ’70 n. 0
[Per una soluzione politica / 2
Autonomia 39, aprile 1987, la “lettera di Bertolazzi, Curcio, Iannelli e Moretti” e “Dissociazione e dissociati, volge al termine il processo 7 aprile”
Le ragioni di una storia conclusa – dalla rivista Anni ’70 aprile 1988]
[1987] Ponti – Guagliardo: Lettera alla redazione del Manifesto
[1987] Ponti – Guagliardo: Il testamento impossibile
[1987] Autonomia 39, aprile 1987, la “lettera di Bertolazzi, Curcio, Iannelli e Moretti” e “Dissociazione e dissociati, volge al termine il processo 7 aprile”
[1987] Alberta Biliato e Cesare di Lenardo: “Contro una trattativa infame”
[1987] Ancora 16 interventi sulla soluzione politica. “Il Bollettino” 29-30
[1988] Documento di Nadia Ponti e Vincenzo Guagliardo
[1988] Balzerani, Curcio, Moretti: Per una soluzione politica / 2
Per una soluzione politica
Il 21/03/1988 Balzerani, Curcio e Moretti, durante una pausa del processo Moro Ter, rilasciano una intervista a Ennio Remondino del TG1 in cui pongono la questione di una “soluzione politica”.
Le ragioni di una storia conclusa – dalla rivista Anni ’70 aprile 1988]
[1988] Balzerani, Curcio, Moretti: Le ragioni di una storia conclusa
[1988] Oreste Scalzone: Lettere a Feltrinelli jr, Negri, Il Manifesto – Frigidaire n. 95
[1988] Gallinari, Abatangelo, Cassetta, Lo Bianco, Locusta, Pancelli, Piccioni, Seghetti: documento consegnato all’ANSA
Ottobre 1988, Comunicato alla stampa di Gallinari et al.
Gallinari, Abatangelo, Cassetta, Lo Bianco, Locusta, Pancelli, Piccioni, Seghetti fanno avere all’ANSA un lungo documento nel quale si affermava che la guerra contro lo Stato era finita e si riconosceva la sconfitta del movimento rivoluzionario. (da “Storia delle Brigate Rosse” di Marco Clementi)
[Gallinari, Lo Bianco, Piccioni, Seghetti, Autointervista, “il Bollettino” n. 25-26
Ricostruzione del movimento rivoluzionario o soluzione/dissoluzione politica, “il Bollettino” 29-30]