Un italiano in cerca del passato argentino del proprio nonno si imbatte nella tragedia dei desaparecidos argentini, e ci racconta la storia delle madri della Plaza de mayo, della lotta delle nonne, degli hijos, di quelli che se los llevaron, dei sopravvissuti che siguen luchando. E ci racconta anche la verità sul ruolo della chiesa cattolica, le connessioni e le coperture internazionali.
IL RACCONTO DI
HEBE
Sono figlia di un cappellaio e sono nata in una casa di legno, sulla riva
di un fiume, dove ancora vive mia madre. Mi sono sposata molto giovane, mio
marito era meccanico, io tessitrice; abbiamo avuto tre figli, due maschi e una
femminuccia nata quindici anni dopo. La nostra vita era semplice ma anche molto
felice. Io e mio marito avevamo frequentato poco la scuola,, al contrario dei
nostri figli, e non li capivamo quando ci parlavano di politica. Io li aiutavo
quando mi chiedevano di ospitare qualche compagno e di non dirlo a nessuno,
ma lo facevo solo perché ero una mamma molto protettiva.
Sequestrarono mio figlio Jorge lotto febbraio 1977. Il sei dicembre dello
stesso anno toccò a Raùl. Il venticinque maggio del 1978 scomparve
Marìa Elena, la moglie di Jorge; sua sorella Marta era già sparita
da un pezzo.
Entrai a far parte delle Madri dopo la desaparicìon del primo figlio.
Da allora la mia vita è cambiata, io stessa sono diventata unaltra
persona. Tutto quello che ho imparato, lho imparato lottando in piazza,
insieme alle altre madri. Abbiamo condiviso la nostra maternità e io
adesso mi sento madre di tutti e trentamila i desaparecidos. Ho capito le ragioni
dei miei figli ed oggi sono fiera di essere la madre di due rivoluzionari perché
io stessa sono una rivoluzionaria.
Quando hanno portato via i miei figli avevo solo quarantotto anni e mi sono
sentita vecchia; oggi ne ho sessantotto ma mi sento ventanni più
giovane perché ho imparato che lunica lotta che si perde è
quella che si abbandona, e perché ho imparato a non patteggiare, a non
arrendermi, a non tacere. E tutto questo me lo hanno insegnato i miei figli.
Io non li ricordo né torturati né uccisi: li ricordo vivi! Ogni
volta che mi metto il fazzoletto sento il loro abbraccio affettuoso. In Plaza
de Mayo, nella nostra piazza, ogni giovedì si riproduce il solo e vero
miracolo della resurrezione: noi incontriamo i nostri figli.
Noi non vogliamo le loro ossa. I nostri figli sono desaparecidos per sempre
perché la desapariciòn forzata è un crimine contro lumanità
che non va mai in prescrizione e noi vogliamo che gli assassini paghino per
quello che hanno fatto.
Noi non vogliamo tombe su cui piangere, perché non cè tomba
che possa rinchiudere un rivoluzionario. I nostri figli non sono cadaveri: sono
sogni, utopia, speranza
Sono quello che furono, che pensarono, che cantarono,
che scrissero, che soffrirono. Non si può seppellire tutto questo.
Noi non vogliamo rivolgerci ai tribunali di questa democrazia per riavere i
nipoti rapiti. Furono considerati dai militari bottino di guerra e come tale
andava ripreso, un tempo
Ora sono diventati uomini e donne e, nel caso
scoprano la loro vera identità, sta a loro decidere cosa fare della loro
vita.
Noi non vogliamo soldi per la vita dei desaparecidos perché la vita non
ha prezzo. I miei figli mi hanno insegnato che la vita vale vita. Solamente
vita. E non si può riparare con denaro quello che deve essere riparato
con Giustizia.
E in Argentina non cè giustizia, cè solo impunità,
violenza perversa, corruzione. Menem blatera di miracolo economico ma ogni venti
minuti un bambino muore di fame, ogni giorno trentasei uomini muoiono per mancanza
di assistenza sanitaria e le malattie della miseria si diffondono sempre di
più.
La verità è che stanno costruendo una società malata dove
la gente accetta una manciata di pesos per i propri morti e gli assassini non
vanno in galera. È concepibile accettare soldi dalla stessa mano che
ha firmato lindulto per i criminali? In questo paese il capitalismo prima
ti ammazza, poi ti risarcisce. Ma che cosa se ne farà poi la gente di
quel denaro? Tutto quello che comprerà puzzerà di morte. So che
le mie sono parole dure ma accettare il risarcimento significa prostituirsi
perché così si tradiscono i nostri figli e gli ideali per cui
hanno dato la vita. Così si perde il senso della lotta collettiva perché
il denaro serve solo a farti diventare individualista.
Io ho iniziato a lottare per i miei figli ma oggi lotto per i desaparecidos
di tutto il mondo, per i perseguitati, per chi occupa le terre, per gli operai
e gli studenti. Io non voglio passare la vita a raccontare come li ammazzarono
perché loro non mi hanno insegnato questo. Jorge e Raùl amavano
la vita, il comunismo, lutopia del hombre nuevo: solidale, comunitario,
collettivo.
Noi non vogliamo le liste dei morti, vogliamo le liste degli assassini. Noi
non dimentichiamo, né perdoniamo e non ci interessa coltivare la cultura
della morte. Accettare la morte dei nostri figli significa accettare limpunità
dei responsabili dei crimini della dittatura. Non solo. Significa anche accettare
come è stata riscritta la storia della dittatura dagli scrivani della
democrazia, i quali hanno riproposto quella che noi chiamiamo la dottrina dei
due demoni. Il primo è la guerriglia di sinistra che porta con sé
il peccato originale di aver imboccato la via della violenza e di aver provocato
lintervento del secondo demoni: le forze armate. In questo modo, colpevolizzando
tutti, mettendo sullo stesso piano vittime e assassini, si assolvono questi
ultimi. È unenorme menzogna: la scomparsa forzata di molti fu un
progetto ben preciso di annientamento dellopposizione politica
.
Noi non trattiamo
con nessuno. La nostra linea è chiara. Ci hanno chiamato in tutti i modi:
pazze, terroriste, comuniste. Ci odiano perché abbiamo condiviso la nostra
maternità, perché viviamo in modo comunitario, perché non
siamo le classiche vecchiette piegate dal dolore e dalle disillusioni. E ci
odiano soprattutto perché non siamo come le altre: siamo irregolari e
chiediamo alla gente di disubbidire perché senza giustizia non può
esserci democrazia
Oggi i politici, i militari e i preti predicano la riconciliazione.
Parlano di pace, amore e libertà comodamente sparapanzati tra il lusso
e lopulenza. Le loro sono solo parole vuote. Nessuno di loro parlava di
pace quando uccidevano i nostri figli. In realtà quella che offrono è
la pace silenziosa dei sepolcri.
Le Madri della Plaza de Mayo non accettano di vivere in questo teatrino della
democrazia, dove si fa credere al popolo che il suo destino si decide alle elezioni.
Le Madri non votano, nemmeno il meno peggio. Sappiamo che la nostra
voce dà noia ai potenti perché è la voce dei nostri figli
.
.Mio padre era cappellaio, mia madre casalinga, mio marito meccanico e
io tessitrice. La nostra era una vita semplice ma molto felice perché
potevamo garantire ai nostri figli una vita dignitosa e unistruzione adeguata.
Ora mi è rimasta solo la figlia; i due maschi, Jorge e Raùl, sono
con me e mi riscaldano con il loro amore quando indosso il fazzoletto. Ogni
notte mi addormento cullata dai bellissimi ricordi di mamma e ogni mattina mi
sveglio piena di odio per gli assassini che me li hanno portati via.