Il Crepuscolarismo, Sergio Corazzini

Il Crepuscolarismo

La definizione di poeti "crepuscolari" risale ad una recensione di Giuseppe Antonio Borgese, pubblicata nel 1909 sul quotidiano "la Stampa", il quale parlò di "una voce crepuscolare, la voce di una grande poesia che si spegne". E In effetti coloro i quali vengono definiti come poeti crepuscolari rappresentano l'esaurirsi di un'intera tradizione che aveva come ultimi prestigiosi esponenti Carducci e d'Annunzio; ai contenuti aulici e sublimi di questa tradizione i "crepuscolari" contrappongono l'amore per le piccole cose, con le atmosfere più grigie e comuni della vita quotidiana, utilizzando un linguaggio dismesso e prosaico, tendenzialmente vicino al parlato. Essi non credono nella virtù dell'azione; si lasciano vivere. La poesia carducciana è intesa come eloquenza, erudizione professorale e fredda; il lusso stilistico e i miti eroici di quella dannunziana sono rifiutati come luccicanti falsità. I crepuscolari sono peraltro antidannunziani che sorgono dal seno del dannunzianesimo più tipico; e non solo perch é i loro precedenti sono anche nel Poema paradisiaco; ma perché, sul modello dei decadenti francesi e belgi, essi cantano, bensì, in versi volutamente prosaici, il gusto tradizionale, la morale consuetudinaria, la vita quieta, semplice, monotamente borghese contro cui il D'Annunzio aveva fatto sfolgorare il suo vivere inimitabile, e amano sinceramente tutto questo; ma il dannunzianesimo che hanno nel sangue impedisce loro di aderirvi sentimentalmente in pieno; sì che insieme lo idoleggiano e lo ironizzano staccandosene. Mutano radicalmente la concezione e il significato della poesia che si mimetizza nell'opacità dell'esistenza borghese, presentandosi come esperienza minore e alle volte inutile. I modelli vanno cercati anche in un simbolismo intimista e introverso. Ma anche l'esempio di Pascoli ha contato molto. Quello che si intende per crepuscolarismo, più che una scuola o movimento letterario fu uno stato d'animo, un atteggiamento dello spirito, un gusto comune, ad alcuni poeti italiani all'alba del Novecento. Al centro di esso c'era un abbandono al passato, al ricordo, per incapacità di vivere nel e del presente; un vagheggiamento del piccolo, dell'umile, del "provinciale", per tedio del grande, del vistoso, del mondano: abbandono e vagheggiamento tuttavia impediti, da una certa ironia verso se stessi e la vita, di essere completamente tali, e quindi di riuscire di qualche conforto al vuoto interiore. Geograficamente i cosiddetti "crepuscolari" appartengono solitamente ad aree diverse e lontane ed in molti casi non vi so no rapporti diretti fra di loro. Come grandi personalità identificabili nel movimento crepuscolare possiamo ricordare Sergio Corazzini (il quale viene definito il "padre" del Crepuscolarismo) e Guido Gozzano, attorno al quale si possono raggruppare figure minori come Giulio Gianelli. Se Gianelli interpreta l'aspetto più dolente e disarmato del Crepuscolarismo (inteso come tristezza inguaribile, estenuazione e malattia dell'anima, desiderio di morte), Gozzano è stato riconosciuto come il capofila di una scuola dell'ironia. La posizione dei crepuscolari è in sé e per sé contraddittoria, incerta fra ombra e luce: che è quanto dire, poeticamente, fra l'umiltà del tono e la volontà di canto, fra l'autobiografismo più scoperto e il lirismo più segreto, o soltanto potenziale. Il crepuscolarismo di Corazzini, che adotta il verso libero e si mostra sensibile alla lezione simbolista, ha un forte valore di proposta esistenziale; il poeta si presenta come un povero fanciullo malato, fino a negare, paradossalmente, il significato di poesia alla sua povera scrittura dell'anima (con evidente intenzione polemica nei confronti del panismo e superomismo dannunziani). Inoltre bisogna dire che Corazzini è il più incerto dei poeti crepuscolari. L'incapacità di vivere fa un tutt'uno, in lui, con la sua condizione di giovane consacrato alla morte, e che si sente, di giorno in giorno, mancare: ma questa sincerità di stato d'animo e d'ispirazione, se giova subito a caratterizzarlo, non sa poi trovare i suo accenti poeticamente definitivi, sia per un ricordo ancor troppo insistito dei suoi diletti poeti francesi e belgi, sia perché la sua mestizia e la sua ironia tengono più dello sfogo sentimentale, psicologico e magari fisico, che non di quella contemplazione distaccata di cui anche il dolore ha bisogno per divenire canto. E qui siamo per lo più al grido, sia pure in sordina. Non v'è dubbio che dei crepuscolari Corazzini fu il temperamento più lirico, mentre gli altri saranno portati piuttosto ad una sorta di racconto poetico. Ma si tratta di una liricità in gran parte, appunto, potenziale: anche se dal primo quaderno di versi, Dolcezze (1904) al Libro per la sera della domenica (1906), il suo tono si sia venuto intensificando. Spesso, nei componimenti attribuiti ai poeti crepuscolari, si può notare la corrispondenza tra la banalità dei contenuti e un linguaggio che pur rispettando la metrica e la rima, assume una cadenza tutta dimessa e prosaica, al punto che si è potuto parlare di un "grado zero" della scrittura. Con un abile procedimento di identificazione, la poesia tende a mimetizzarsi nei modi della comunicazione piccolo-borghese, adottandone anche le prospettive ideologiche. Alla parola scandita e altisonante si sostituisce la parola pronunciata a bassa voce e dimessa, che tende a essere ripresa, a diventare ripetitiva, fino alla cantilena o al balbettamento.

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Sergio Corazzini (1886-1907)

La vita

Nato a Roma nel 1886, Corazzini non andò oltre gli studi ginnasiali per il dissesto economico della sua famiglia, che lo costrinse a cercare un lavoro di impiegato presso una compagnia di assicurazioni con il quale manteneva se stesso e i suoi familiari. La sua vita è tutta risolta nell'attività poetica e nel rapporto di intensa amicizia con scrittori che sentì spiritualmente affini (Martini, Palazzeschi, Govoni, Moretti). Colpito dalla tisi, morì giovanissimo all'età di 21 anni, nel 1907.

La poesia

La poesia di Corazzini, segnata profondamente dalle sofferenze e dalla malattia, diventa simbolo di una nuova condizione esistenziale. Nella sua produzione trovano posto i motivi e le atmosfere più care alla sensibilità crepuscolare: il senso di una sofferenza e di una solitudine "esistenziale", il mondo delle "povere piccole cose" e degli affetti comuni degli uomini, il simbolismo infantile delle marionette e un pianto diretto ed elementare, che mai si risolve in semplice lamento vittimistico, ma cerca, nella sua libertà, gli indefiniti valori spirituali di cui è intessuta la trama della realtà. Le sue poesie, pubblicate tra i diciotto anni e la morte, mostrano la consapevolezza della condanna di non poter vivere un'età adulta a causa della malattia. Corazzini esibisce la sua debolezza facendola diventare pilastro portante della sua poesia. Viene rovesciata la sovrapposizione dannunziana fra arte e vita inimitabile e sublime. La vita è per Corazzini quella vera di un giovane malato che aspira all'autenticità delle cose. Il bisogno di autenticità che è all'origine della poesia di Corazzini si esprime come esperienza reale del dolore. Il lessico si apre con larghezza ai materiali dell'esperienza quotidiana, rifiutando di correggerli con la sublimazione caratteristica del modello dannunziano; e la presenza del vocabolario poetico tradizionale implica il riferimento ad un codice comunicativo comune e quasi banale. Inoltre all'adozione frequente di metri tradizionali si alterna il ricorso al verso libero, talvolta allungato fino a sfiorare un registro a mezza via tra la prosa e l'andamento di una preghiera. Corazzini è forse colui che, nella sua brevissima stagione poetica ha tentato la più intensa e precoce sperimentazione formale, dando un'impronta fortemente simbolica ed oggettiva ai temi prettamente crepuscolari.

Le opere

Di Corazzini ricordiamo Dolcezze (pubblicato nel 1904), L'amaro calice (1905) e Le aureole (1905). Successivamente al ricovero (avvenuto nell'autunno del 1906) vengono pubblicati tre volumetti di liriche: Piccolo libro inutile (scritto in collaborazione con l'amico Alberto Tarchiani), Elegie, Libro per la sera della domenica e Poemetti in prosa.

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