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2006-06-19
Paloma FERNANDEZ-RASINES | Antropologa ed insegnante associata dell'UPNA
Dovremmo lavorare tutti venti ore "settimanali"
Per l'antropologa Paloma Fernández-Rasines,
il sistema attuale è preparato per accogliere gli uomini che
sono padri di famiglia e possono ottenere un lavoro ben remunerato "per
nutrire la famiglia", lasciando le donne in secondo piano, in un
ruolo di mera sorvegliante. “Si suppone che alla donna l'amore
può bastare, non ha bisogno di un lavoro", segnala.
Nelle giornate organizzate da Gaztelan (lavoro giovanile, NdT) lei parlò
della femminilizzazione della povertà e segnalò che è
molto più complicato che affermare che le donne sono più
povere degli uomini...
Per potere definire che cosa è la femminilizzazione della povertà,
dovremmo incominciare dicendo che le donne, effettivamente, sono prevalenti
nel totale dei poveri. Questo ha a che vedere con il fatto che gli uomini
e le donne hanno una posizione differente nella struttura economica.
Procede, tra le altre cose, dalla divisione sessuale del lavoro, cioè,
lo stesso sistema di sesso-genere, che è come funziona l'apparato
patriarcale, richiede che gli uomini guadagnino il pane e che le donne
si facciano carico delle persone dipendenti.
Cioè, gli uomini guadagnano uno stipendio per mantenere la famiglia,
mentre le donne non producono niente.
Questa struttura è progettata in maniera androcentrica basata
su una realtà per la quale l'uomo padre di famiglia sta al centro
dell'analisi ed il resto è periferico. Quando parliamo di attività
economica stiamo parlando di lavoro monetarizzato, quel che succede
è che la maggioranza degli uomini in età riproduttiva
formano parte dello schema monetarizzato, cioè, sono attivi.
Se guardiamo le donne tra i 25 e 45 anni, invece, appena la metà
sta nella struttura produttiva.
La disoccupazione femminile supera abbondantemente quella maschile.
Da questa prospettiva, le donne non vogliono lavorare?
Da questa lettura che è quella canonica, le donne sono inattive
e gli uomini attivi. Nell'inattività è dove mettono i
lavori di attenzione, per esempio, quelli che l'EPA qualifica come inattività.
Stiamo parlando sempre del fatto che le donne hanno un indice minore
di occupazione, che quasi abbiamo il doppio di disoccupazione., ma parlare
di occupazione e di disoccupazione è parlare di attività
e siamo molto poche le donne che risultiamo come attive. Il problema
preliminare è che la grande maggioranza delle donne sono inattive,
sono dipendenti dei loro mariti. La femminilizzazione della povertà
si spiegherebbe da questa struttura e tenendo conto che il lavoro remunerato
è un obbligo per gli uomini, mentre per le donne è un'opzione.
Secondo questo sistema sono molte più le donne ferme che quelle
che raffigurano nelle statistiche dell'EPA, per esempio.
Bisogna essere sinceri e non dare solamente il dato della disoccupazione
delle donne, bisogna offrire tutti i dati sulle donne che sono inattive,
e quelle donne inattive trasportarle nelle licenziate, cosa che aumenterebbe
in maniera bestiale il numero di donne che presumibilmente non fanno
niente.
Deriva questo dal fatto che le donne finiscano dipendendo dai mariti?
Primo dipendono dai mariti, ma quando la dipendenza finisce, per qualunque
ragione che sia, passano ad una situazione di esclusione.
Come può conciliarsi la vita familiare e quella lavorativa?
Primo bisogna tenere conto che è molto difficile conciliare la
vita lavorativa e familiare quando si lavora 40 o 45 ore settimanali
che nella maggioranza delle occasioni è il caso del padre di
famiglia o "guadagna pane." Questo supporrebbe dire che forse
dovremmo lavorare meno, ma tutti, ognuno 20 ore settimanali, per esempio.
Così potremmo pensare che una famiglia media: un padre, una madre
e due figli, invece di stare a lavorare a tempo pieno il padre, la madre
nell'economia sommersa e facendo da casalinga, e coi figli formandosi
sine die, per lavorare non si sa quando, dovrebbero lavorare tutti 20
ore remunerate ed il resto averlo per godere, badare ai nonni, per curare
i bambini. una situazione utopica sì, ma altrimenti è
difficile farlo. -