27.06.06
Che perdano entrambi
Iñaki Gil de San Vicente - La Haine
Pane et circensis dicevano i patrizi romani quando avevano problemi
di ordine pubblico. Ora, oltre ad altri sofisticati sistemi di controllo,
vigilanza e repressione, la parola d’ordine della classe dominante
è "calcio e schermo piatto", dando parte di ragione
a quanti vengono denunciando da trent’anni la società dello
spettacolo, nel nostro caso e subito, lo spettacolo dell'industria calcistica.
La differenza del presente rispetto all'epoca romana è che, ora,
niente è gratis, tutto si vende ed il calcio è un'industria
speciale che fabbrica, oltre a goal, anche e soprattutto un massiccio
allineamento. I patrizi romani chiedevano solo voti, passività
ed obbedienza al sistema. La borghesia ti intontisce e si riprende l'idiozia
che sta iniettandoti. Ma il tema è molto più grave. Le
due selezioni "nazionali" degli Stati che si spartiscono il
nostro paese, lo spagnolo ed il francese, delucidano il loro futuro
nel Mondiale che si gioca in Germania.
Nel frattempo, un ampio settore del nostro paese vive indifferente questa
situazione preoccupato per altri problemi più gravi ed angosciosi,
dalla repressione accresciuta fino all'indebitamento familiare passando
per il deterioramento allarmante delle condizioni di salute, senza dimenticare
il neoliberismo in salita. Sono troppi i problemi per potere addormentarli
davanti alla scatola tonta.
Esiste anche, tuttavia, un altro settore ampio della nostra popolazione
che per ragioni varie, dalla sua origine nazionale e culturale, il suo
allineamento, o semplicemente per alleviare un po' prima le angosce
quotidiane viste, si siedono davanti al televisore con gli occhi aperti
e la mente indifesa e disarmata, ed assorbono passivamente tutta l'ideologia
reazionaria dell'industria sportiva.
Uno degli obiettivi, e non il minore, di questa industria è quello
di aizzare il nazionalismo degli Stati dominanti, creare spazi di sfogo
delle frustrazioni e tensioni quotidiane, aprire le valvole per controllare
il grado di malessere sociale latente, deviare verso altri obiettivi
l'aggressività e la violenza sociali create dall'aumento dello
sfruttamento borghese, rinforzare il machismo ed il sessismo, rinforzare
il razzismo, etc.
Infine, un terzo settore, nel quale mi aggiungo, abbiamo un'altra prospettiva
completamente differente: respingiamo l'industria dello sport e la riduzione
dello sportivo a semplice lavoratore; respingiamo, pertanto, i legami
politico-economici e culturali tra quell'industria e gli Stati borghesi;
vogliamo che il nostro paese abbia le sue proprie selezioni e la sua
propria presenza internazionale; esigiamo che urgentemente si prendano
misure che facilitino quanto prima questi obiettivi, e, per non dilungarci,
lottiamo per emanciparci anche dalle strutture sportive. essenzialmente
politiche, economiche e linguistico-culturali - degli Stati che c'opprimono.
Naturalmente, il rifiuto dell'industria dello sport, in questo caso
del calcio, è per ciò stesso un rifiuto radicale del capitalismo
che, nella sua fase attuale, bisognoso di aprire nuovi rami economici,
mercanteggia tutto, dalla vita fino alle pantofole degli arbitri. La
cosa brutta è che quella mercificazione generalizzata va unita
all'espansione del nazionalismo borghese che riappare nei grandi Stati
genocidi e brutali: Spagna, Francia, Germania, Inghilterra...
Inoltre, direttamente i due che subiamo si affrontano sul terreno della
potenza che dirige in euroimperialismo alleato all'imperialismo yankee:
Germania che vive un'ondata di inquietante pangermanismo. Migliaia di
basche e baschi di Hegoalde vogliono che perda la selezione spagnola,
ma altre migliaia di Iparralde che perda la francese. Disgraziatamente
la soluzione è tanto semplice come impossibile: che perdano entrambe
e che le due squadre vengano eliminate.
Che cosa fare allora? Perché non cadere nella trappola dal suppostamente
inevitabile. Cioè, sviluppare e socializzare la nostra strategia
indipendentista insieme a realizzare una critica radicale dell'industria
dello sport. Non è inevitabile che soffriamo l'oppressione nazionale
per tutta l'eternità: possiamo conquistare la nostra indipendenza.
Questa filosofia vitale è imprescindibile ed in realtà
stiamo applicandola da tempo, con effetti più positivi che negativi.
La cosa opposta all'industria sportiva, strettamente unita agli Stati
oppressori, è il vissuto del gioco come espressione della creatività
e della fraternità umana. Non bisogna confondere il gioco con
lo sport. Mentre lo sport è, per sua essenza, prodotto dell'individualismo
e potenzia i valori capitalisti di assoluta competitività benché
si giochi in squadra, il gioco, al contrario, è collettivo, partecipativo
e creativo per quanto ammette l'adattamento e miglioramento delle regole
nello stesso gioco.
Fu la borghesia ascendente quella che creó lo sport secondo la
sua forma di vita individualista e mercantile per differenziarsi dalla
massa lavoratrice e per darsi coesione come classe sociale. Quindi l'usò
per disciplinare i lavoratori". civilizzarli"--nelle imprese
e per metterli contro impresa per impresa; dopo, questo sistema di controllo
ed integrazione si applicò per rinforzare il nazionalismo borghese
nella fase imperialista, ed il colmo del machiavellismo eurocentrico
si produsse con l'ufficializzazione del mito delle Olimpiadi; dagli
anni 60-70, con la fase del consumismo compulsivo delle masse, assistiamo
all'industrializzazione dello sport. A dispetto di questa dinamica generale,
non sono mancate le esperienze pratiche di altri modelli sportivi, come
neanche l'uso dello sport borghese per fini di emancipazione.
Le nazioni oppresse hanno avuto brevi momenti di presenza internazionale
quando hanno utilizzato, con tutto il diritto, gli atti sportivi di
massa per fare conoscere le loro rivendicazioni. È sempre bello,
con tutti suoi limiti, vedere come i paesi poveri e schiacciati vincono
almeno i grandi Stati imperialisti in alcune competizioni sportive.
Ma sono piaceri fugaci perché la soluzione sta da un’altra
parte poiché, perfino buona parte di queste vittorie finiscono
per favorire alla fine la corrotta minoranza dominante in quei paesi
poveri, minoranza che sta al potere grazie al fatto che difendono gli
interessi dell'imperialismo.
La corruzione, il potere e la propaganda sono inerenti all'industria
sportiva. Per questo e per altro, la soluzione sta in un'altra linea
strategica che vada direttamente contro l'oppressione nazionale e di
classe, ed anche contro l'oppressione di sesso-genere, perché
se c'è qualcosa di maschilista è lo sport e non il gioco.
Speciale per La Haine