Intendiamo con questo scritto esprimere la nostra opinione a riguardo della creazione nello Stato italiano di una Rete di Solidarietà con il Paese Basco, e dei termini analitici e politici con cui ciò si sta realizzando.
Senza dilungarci eccessivamente, vorremmo spendere alcune parole a proposito dei passati tentativi analoghi. Non certo con scopo celebrativo o lapidatorio, dato che non ci interessano liturgie né pubbliche esecuzioni di alcun genere, ma per inquadrare meglio la questione specifica.
Ai tempi in cui l’attuale escalation repressiva nei confronti della Sinistra Abertzale muoveva i suoi primi passi, ci riferiamo per intenderci all’incriminazione ed arresto della Mesa Nacional di Herri Batasuna per il solo fatto di aver divulgato in dibattiti pubblici il contenuto della proposta di Alternativa Democratica messa sul piatto da ETA, a quei tempi, dicevamo, il lavoro di informazione e solidarietà conobbe una crescita molto significativa, se è vero che nacquero nuovi Comitati in aggiunta a quelli già esistenti, e che questi, insieme a singoli compagni e compagne, diedero vita ad un Coordinamento che fu senza alcun dubbio molto attivo e capace di rendere visibile la questione basca in un contesto politico che cercava sempre di metterla sotto silenzio in quanto scomoda, difficilmente spendibile per aree e settori politici che in maniera assoluta osteggiano forme di lotta radicali che senz’altro caratterizzano il popolo basco.
Si tende oggi a dire che questo lavoro terminò con un fallimento, il che, secondo noi, non è del tutto vero. L’obiettivo era in primo luogo informare, e questo è stato indiscutibilmente fatto in quel periodo. L’altro obiettivo era attivare manifestazioni politiche di solidarietà, e proprio su questo vanno fatte delle considerazioni. Giustamente, nei suoi intenti, la Rete di Solidarietà che sta nascendo, chiede partecipazione come singoli, e non come membri o aderenti ad aree od organizzazioni. A prescindere dal fatto che ciò sia ottenibile o meno, resta la realtà secondo la quale, appena fuori dalla porta della Rete, con queste istanze si dovranno fare i conti. Questo successe anche allora. Le numerose manifestazioni organizzate, talvolta anche simultaneamente in diverse città, vennero sistematicamente boicottate, anche da gran parte dei Centri Sociali, in obbedienza ad un settarismo tutto italiano che più di molte altre cose fa da pastoia allo sviluppo positivo e propositivo delle lotte stesse nello Stato italiano. Ci furono iniziative che ottennero, in apparenza, lo scopo. Ad esempio la raccolta di firme contro la carcerazione della Mesa Nacional.Le firme furono raccolte, la Mesa Nacional rimase in carcere. Non certo perché fosse mancato il numero nelle adesioni, ma perché certe forme di pressione non hanno alcuna speranza di sortire lo scopo prefisso. Si tratta tutt’al più di pronunciamenti, per cui, riporre su di essi troppe aspettative, equivale ad incorrere in fallimenti scontati.
A seguito di molti fattori, il Coordinamento si sciolse, o meglio, si dissolse. A parte squallidi episodi, le cause vanno ricercate, un po’ in smanie di egemonismo, nella poca chiarezza sul significato reale di ogni iniziativa e del contesto in cui si collocava, ed inoltre nel fatto che, qui come dovunque, la lotta di un popolo per l’autodeterminazione si deve necessariamente saldare alla più generale ed ampia lotta di classe internazionale. Il che modifica per forza di cose obiettivi immediati, pratiche e forma dell’impegno. Come giustamente dicevano i compagni e le compagne di Askapena al II° Incontro Mondiale sul Neoliberismo, la massima forma di solidarietà che si può offrire alla lotta di un popolo, è combattere il comune nemico sul proprio territorio. Detto altrimenti, una delle cause della dissoluzione del Coordinamento, e di alcuni Comitati, è il fatto che non appare molto utile né giusto un impegno di tipo specialistico. La lotta fra le classi è giustamente un contesto mondiale, per cui, salvo momenti particolari, emergenze, come sicuramente è quella che il popolo basco sta vivendo attualmente, appare come un dispendio eccessivo di energie focalizzare il lavoro su di una sola questione. Anche perché, oggi più che mai, è impensabile sperare che il contenzioso che oppone Euskal Herria agli Stati spagnolo e francese, si possa risolvere di per sé, avulso dal contesto generale. L’esperienza irlandese insegna.
In questo senso, manifestiamo i nostri sinceri dubbi circa la costruzione di una struttura stabile e permanente quale la Rete di Solidarietà intende essere. Esistono certo modi e mezzi per coordinare il lavoro d’informazione, senza necessariamente chiedere un impegno così continuativo e sistematico che, a nostra modesta opinione, difficilmente può sperare in un lungo respiro. Ciò non toglie che la nostra intenzione di collaborare sul piano dell’informazione e della solidarietà rimanga invariata, e sul piano quantitativo rimanga subordinata solo a questioni di possibilità materiali ed esigenze contingenti.
Sui propositi espressi per la Rete, dobbiamo dire che il nostro interesse riguardo la lotta particolare del popolo basco, è dettato in gran parte dall’originale forma politica, sociale ed organizzativa proposta dalla Sinistra Abertzale. In questo senso condividiamo l’interesse di portare a conoscenza di questo modello le varie istanze della sinistra nello Stato italiano. Ma teniamo a ricordare, che non ha senso essere sandinisti in Australia, come non lo ha essere abertzales nello Stato italiano per l’appunto. Semmai, e qui parte la “tirata d’orecchi”, compagni e compagne locali dovrebbero chiedersi come mai manifestano questo interesse su di una lotta di liberazione che vede coinvolti un popolo e due stati fuori di qui (per alcuni, che la ignorano volutamente, sono anche troppo vicini), mentre non prendono minimamente in considerazione, o liquidano con sorrisi sarcastici, l’analoga lotta, meno appariscente, ma certo non meno legittima, che oppone ad esempio il popolo sardo allo Stato italiano. In questo contesto riteniamo contraddittorio chiedere solidarietà ed aiuti per un popolo ad uno Stato, od a suoi rappresentanti istituzionali, che ne opprime un altro allo stesso identico modo. Analogamente, nonostante il fatto di aver finalmente avuto occasione di discutere con i compagni baschi recentemente venuti in visita qui a Genova, dopo mesi di imbarazzante silenzio da parte di Batasuna di fronte alle proteste che da più parti si alzavano, continuiamo a dissentire fortemente in merito alla questione Cossiga. Parlare di differenti livelli di coscienza, in un partito che dice di lottare per forme di democrazie popolare, non spiega né giustifica l’intrattenere rapporti con uno dei peggiori nemici sia della democrazia che dei popoli. La solidarietà internazionalista deve scorrere in tutte le direzioni e nei due sensi. Mai e poi mai dei compagni sarebbero giustificati nel cercare, o anche solo accettare, aiuti o solidarietà da aguzzini come Felipe Gonzales, per esempio. La lotta fondamentale, per dei compagni, è fra classe oppressa e classe che opprime. Le istituzioni, lo Stato, sono emanazione della classe dominante, il che, rende poco credibile che queste possano veramente dare aiuto, contro i propri stessi interessi, alla classe oppressa di un qualunque paese.
Per quanto riguarda la non soluzione del conflitto basco, inutile farsi illusioni. Questa può avvenire solo nel momento in cui il popolo basco sarà veramente e completamente libero di decidere per sé. Cioè, senza alcuna pressione di tipo militare, politico o economico. E’ abbastanza improbabile che l’oligarchia spagnola, di cui fa parte la borghesia imperialista basca, ed i loro alleati internazionali siano così facilmente ben disposti a concedere una cosa simile. Né esistono più blocchi sovietici cui appoggiarsi anche tappandosi il naso. Il che non toglie, ovviamente, la legittimità e giustezza del lottare quotidianamente per questo obiettivo.
Altra questione è invece lottare per il rispetto dei diritti civili e politici. Per sradicare il diffusissimo fenomeno della tortura; per ripristinare le libertà di parola, stampa ed associazione; per i diritti e la liberazione incondizionata dei prigionieri e delle prigioniere; per maggiori spazi di autodeterminazione.
La lotta fra le classi è determinata da interessi, innanzitutto economici, antagonisti. Non si può credere che la borghesia affronti una questione, ancorché locale, sul terreno politico, dimenticando i propri interessi economici.
Non riteniamo comunque che la lotta vada vista in termini biblici, nel senso di considerare solo le grandi mete finali, senza saper conquistare le proprie condizioni di vita materiali momento per momento.
Queste righe infatti intendono essere solo il nostro contributo al dibattito. L’impegno, come detto, rimarrà invariato, e la collaborazione, si spera, accresciuta. Questo senza starci troppo a chiedere, per le ragioni suddette, se aderire o meno alla Rete. Questa scelta riteniamo semmai deva essere individuale, ancorché politicamente motivata.

 

Atzera

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