Elezioni nel Paese Basco. 150.000 voti “fantasma”
di Marco Santopadre
Delle amministrative del 25 maggio si parlerà ancora. Non per
la presunta vittoria dei regionalisti della coalizione PNV-EA al governo
della Comunità Autonoma, i cui voti in realtà sono stati
inferiori rispetto alle precedenti elezioni. Per il Partido Popular
è andata anche peggio, perché in due anni un terzo dei
suoi elettori sono evaporati. Il Partito Socialista di Euskadi, mantenendo
i suoi voti ha aumentato il suo peso relativo a causa del maggiore tasso
di astensionismo.
L’apparente terremoto nel Parlamento regionale deriva dal fatto
che la messa fuori legge della cosiddetta Sinistra Patriottica ha concesso
agli altri partiti la possibilità di spartirsene i seggi. Ad
approfittarne è stato soprattutto il patto PNV-EA che ottiene
la maggioranza assoluta nelle giunte provinciali di Bizkaia e Gipuzkoa.
Ma non c’è stata la “marea umana” che il “lehendakari”
Ibarretxe chiedeva a sostegno del suo fumoso “Piano di associazione
con la Spagna”. Aralar, propostosi come l’alternativa socialdemocratica
e pacifista a Batasuna, raccoglie pochi voti e concentrati nella pragmatica
Navarra.
Solo Esker Batua, sezione locale della Sinistra Unita, cresce intercettando
una parte dell’elettorato di Batasuna che, privato del diritto
a votare liberamente, ha scelto l’opzione più a sinistra
tra quelle permesse.
La vera rivoluzione di questa giornata elettorale è stata l’espulsione
di 150.000 cittadini baschi dal sistema politico. Il Premier Aznar e
il supergiudice Garzòn sono riusciti a ottenere che nei consigli
provinciali, nel Parlamento Forale Navarro e nella maggioranza dei consigli
comunali la sinistra indipendentista basca non possa più contare
su alcuna rappresentanza. Ciò costituisce sicuramente un durissimo
colpo per Batasuna, oltre che per la democrazia. Ma i 150.000 voti comunque
ottenuti dalle liste escluse dalla competizione costituiscono un messaggio
chiaro al Governo di Madrid.
Nonostante la sistematica persecuzione – la destra come negli
anni ’30 ha denunciato la “congiura rosso-separatista”
- e l’appello al “voto utile” lanciato dai regionalisti,
l’opzione politica messa fuori legge ha raggiunto comunque l’11%,
confermando i dati del 2001, quando però era legale.
Se questi voti avessero concorso alla ripartizione dei seggi, nei Municipi
l’erede di Batasuna avrebbe ottenuto 580 eletti e 30 sindaci,
configurandosi come seconda forza regionale. Pur soppressa dai tribunali,
la sinistra indipendentista è giunta in testa in numerosi centri,
così come in alcune località nelle quali le Piattaforme
Popolari hanno potuto concorrere in condizioni di legalità.
L’esclusione dalle elezioni delle liste della sinistra basca sancisce
un vero e proprio regime di “Apartheid politico”, nel quale
un’opzione politica di massa viene eliminata dal panorama legale
attraverso un’azione coordinata tra potere giudiziario ed esecutivo.
La divisione dei poteri e il principio democratico “una testa
un voto” non valgono per una parte consistente della popolazione
basca.
La famigerata Legge dei Partiti, varata ad hoc durante l’estate,
esclude da ogni partecipazione politica attiva tutti coloro che sono
stati eletti, candidati o anche solo dirigenti dei diversi partiti della
sinistra baschista. Tale provvedimento non solo impone lo scioglimento
di Batasuna, ma genera la criminalizzazione di tutti coloro che hanno
militato in partiti all’epoca legali. Questo assurdo effetto retroattivo
ha portato all’incriminazione di 22 persone che hanno ricoperto
incarichi in Herri Batasuna o in Euskal Herritarrok dal 1977 al 2001.
Molti di questi non sono più militanti politici attivi, ma ciò
non impedisce che ad esempio l’intellettuale marxista J. A. Egido
rischi 12 anni di prigione.
Il teorema è semplice quanto brutale: qualunque organizzazione
sociale, politica e culturale condivida i programmi e l’ideologia
della sinistra indipendentista è da ritenersi una copertura o
prolungamento del terrorismo. In nome dell’equazione “oppositore=terrorista”
tanto cara a George W. Bush, il nazionalismo spagnolo ha chiuso sedi
politiche, culturali e mezzi d’informazione (come il quotidiano
Egunkaria, il cui direttore ha denunciato di aver subito tortura); messo
fuori legge gruppi giovanili, femminili e l’associazione dei parenti
dei prigionieri politici (720, più che durante il franchismo).
Se nel resto dello Stato la responsabilità penale è individuale,
nel Paese Basco essa diventa collettiva. Quando il Tribunale Costituzionale
ha rilevato la presenza di individui inabilitati nelle liste presentate
dal movimento di liberazione, avrebbe potuto escludere le singole candidature;
ma, in base a una logica più politica che giuridica, ha escluso
ben 225 piattaforme popolari sulle 241 presentate nei comuni, così
come le liste provinciali di AuB (Assemblee per l’Autodeterminazione),
privando tutta la popolazione del diritto di scegliere liberamente i
propri amministratori.
Il nazionalismo di sinistra, che storicamente ha concepito l’azione
politica come la combinazione della mobilitazione sociale e dell’iniziativa
istituzionale, rimane fuori dagli enti locali, ma conferma intatta la
sua forza che certamente cercherà di utilizzare per far pressione
sui partiti regionalisti e sulla sinistra moderata. Il dopo-voto dipende
dalla capacità di Batasuna di imporre la propria presenza nelle
istituzioni aggirando il divieto giudiziario attraverso commissioni
consiliari aperte, comitati di gestione unitari, governi locali ombra
composti sulla base dei voti espressi e non di quelli validi.
I nuovi sindaci eletti in virtù dell’esclusione di AuB,
sanno che la loro legittimità è discutibile, dato che
non rappresentano la volontà degli elettori e che la maggioranza
dell’opinione pubblica basca, al di là delle opzioni ideologiche,
è contraria all’esclusione della sinistra abertzale dalla
scena politica. Anche perché il rischio, tragico quanto concreto,
è che la massa sociale “illegalizzata” adotti metodi
di lotta corrispondenti alla clandestinità alla quale è
relegata.
Una delegazione internazionale per “monitorare” il voto
Di Marco Santopadre
Masibuko Jara parla apertamente di Apartheid:
“Ciò che vedo qui oggi mi ricorda la storia del mio popolo,
che per un secolo non ha goduto dei diritti politici e civili a causa
del colore della pelle o delle opinioni politiche”.
Il deputato del Partito Comunista sudafricano sorride soddisfatto quando
lo informo che a Buenos Aires 700 persone, convocate dal Partito Comunista
Argentino, stanno chiedendo all’ambasciatore spagnolo il rispetto
dei diritti politici nel Paese Basco.
“La solidarietà internazionale ci ha aiutato ad abolire
la segregazione razziale - continua - ed è per questo che ho
risposto all’appello della società civile basca affinché
una presenza internazionale monitorasse un voto così anomalo”.
Anche il deputato verde italiano Mauro Bulgarelli ha fatto parte della
delegazione, convinto “che in Euskadi si stia sperimentando un
modello repressivo utilizzabile per mettere fuori legge movimenti sociali
e politici scomodi nel resto d’Europa”. Bulgarelli è
al terzo viaggio in Euskal Herria, interessato all’esperienza
del Municipalismo e ai movimenti di disobbedienza civile che si stanno
radicando nonostante la criminalizzazione, il più imponente dei
quali è proprio il voto nullo ma attivo del 25 maggio. “Non
sono qui solo per esprimere solidarietà - dichiara - ma per imparare”.
Anche un deputato Scozzese, un consigliere municipale di Derry (Nordirlanda)
e un parlamentare Lappone hanno seguito da vicino il processo elettorale
basco, visitando i seggi, incontrando giuristi, avvocati e dirigenti
politici.
L’appello era stato lanciato solo pochi giorni prima da una “Commissione
Nazionale di Garanzia”, composta da 15 intellettuali, sindacalisti
e sacerdoti. La Commissione ha analizzato la situazione dal punto di
vista giuridico e ha coordinato il conteggio imparziale dei dati elettorali
avvalendosi di 3000 volontari sparsi nei seggi.
Per Madrid le 150.000 schede di Aub messe nelle urne sono spazzatura,
ma il valore politico di questi voti è enorme, tanto più
che sono stati ottenuti nonostante la consapevolezza che sarebbero stati
considerati nulli. Inoltre nessuno spazio elettorale è stato
concesso sui media pubblici; i meeting elettorali sono stati sciolti
con la forza e la propaganda elettorale vietata; le schede elettorali
illegali sono state distribuite in modo militante.
I membri della Commissione Internazionale si sono impegnati a portare
alle istituzioni comunitarie e all’ONU la denuncia della grave
violazione dei diritti politici dei cittadini in atto in quest’angolo
d’Europa, nella speranza che si fermi la spirale repressiva e
il conflitto possa essere affrontato e risolto con strumenti di tipo
politico, sul modello del processo di pace nordirlandese.