<div align="center"><h2><b>I CPT: CONOSCERLI PER COMBATTERLI


I CPT: CONOSCERLI PER COMBATTERLI



 

-CHE COS’E UN CPT

I centri di permanenza temporanea ed assistenza sono dei luoghi di detenzione previsti dalla legge 40/98 ed istituiti con decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con i Ministeri per la solidarietà sociale, del tesoro e del bilancio.

Essi servono a trattenere i cittadini di paesi non appartenenti all’Unione Europea e gli apolidi nei cui confronti sia stata:
1. decretata l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera;
2. adottato il respingimento alla frontiera;

sempre che tali misure non possano essere eseguite con immediatezza per uno o più dei seguenti motivi:

  1. perché occorre procedere al soccorso dello straniero (è il caso, ad esempio, dello straniero ripescato in mare che non può essere immediatamente rimpatriato perché necessita di cure);
    2. perché occorre procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla identità o nazionalità dello straniero (è il caso, frequentissimo, di chi non ha documenti di identità ovvero che rifiuta di fornire indicazioni al riguardo);
    3. perché occorre procedere all’acquisizione di documenti per il viaggio;
    4. per l’indisponibilità immediata del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo.
  2. torna al sommario

 

-CHI PUO VENIRE ESPULSO, E PERCHÉ

Limitando la nostra attenzione alla espulsione amministrativa (è quella che maggiormente interessa), occorre sapere che essa è disposta:
1. dal Ministero dell’Interno con decreto motivato per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato;
2. dal Prefetto, con decreto motivato, nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Quanto poi all’esecuzione di detta espulsione amministrativa, questa può attuarsi con due distinte modalità:
1. accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica;
2. intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 15 giorni dalla notificazione del provvedimento.
In entrambi i casi l’espulsione è eseguita dal Questore.

CASI DI ESPULSIONE CON ACCOMPAGNAMENTO ALLA FRONTIERA
A) Qualora l’espulsione sia disposta direttamente dal Ministro dell’Interno per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato;
B) qualora lo straniero espulso con intimazione non abbia ottemperato all’intimazione stessa e, quindi, non abbia abbandonato il territorio dello Stato entro 15 giorni dalla notificazione del decreto espulsivo (con il che si vede come anche l’espulsione con intimazione può tradursi in un caso di espulsione con accompagnamento);
C) espulsione per cosiddetta “pericolosità sociale” riguarda:
1) coloro che debba ritenersi siano abitualmente dediti a traffici illeciti;
2) coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
3) coloro che, per il loro comportamento, debba ritenersi che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica;
4) coloro che siano indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso.
In tutti questi casi, si procede all’espulsione con le forme dell’accompagnamento immediato, qualora il Prefetto rilevi, sulla base di circostanze oggettive, il concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento (qualora, beninteso, questo venisse adottato con le modalità esecutive dell’intimazione).
D) Espulsione per “ingresso clandestino”.
Riguarda coloro che siano entrati nel territorio nazionale sottraendosi ai controlli di frontiera e (ovviamente) non siano stati respinti.
In tale caso si procede all’esecuzione dell’espulsione con le forme dell’accompagnamento immediato qualora lo straniero sia privo di valido documento ed il Prefetto rilevi, tenuto conto dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo, un concreto pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione del provvedimento espulsivo.
E) Espulsione per “mancanza del permesso di soggiorno”.
Si verifica qualora lo straniero si sia trattenuto in Italia senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine di otto giorni lavorativi dal suo ingresso, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato, annullato, ovvero scaduto da più di 60 giorni e non è stato rinnovato ed il Prefetto rilevi un concreto pericolo che il soggetto si sottragga all’esecuzione dell’espulsione.
In tutti i cinque casi sopra indicati, il Questore dispone il trattenimento nei centri di permanenza temporanea qualora risultino le esigenze relative:
A) al soccorso dello straniero;
B) ad accertamenti circa l’identità e nazionalità;
C) all’acquisizione di documenti per il viaggio;
D) all’indisponibilità immediata del vettore.

Come si è detto, il presupposto giuridico per la restrizione della libertà personale nei centri in questione è un decreto motivato dalla autorità amministrativa.
Poiché i casi sono predeterminati dalla legge, trattasi – quantomeno apparentemente – di una attività vincolata della pubblica amministrazione.
E’ tuttavia evidente che l’adozione dei provvedimenti di espulsione, con le modalità dell’accompagnamento immediato, lascia alle Prefetture un ampio margine di discrezionalità.

Valutazioni quali:

·        l’essere abitualmente dediti a traffici delittuosi;

·        il vivere abitualmente con proventi di attività delittuose;

·        il pericolo che lo straniero si sottragga alla esecuzione del provvedimento di espulsione;

·        il tener conto dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo …


sono fisiologicamente discrezionali sia in ragione della genericità delle rispettive locuzioni, sia perché adottate in assenza di parametri certi di riferimento ai quali ancorare il giudizio prognostico.
Ad esempio, sulla base di quali elementi un Prefetto potrà ritenere che Tizio sicuramente si sottrarrà all’intimazione a lasciare l’Italia, mentre invece, per Caio non sussiste alcun pericolo al riguardo?
D’altro canto, è sufficiente leggere i provvedimenti prefettizi per verificare che si tratta di prestampati con tutta la casistica già indicata (ripetendo, dunque, il dettato legislativo), ove la valutazione del Prefetto si estrinseca mediante l’apposizione di una crocetta a fianco dell’ipotesi scelta.
Sotto tale profilo, quindi, l’obbligo di motivazione – che pure la legge richiede – è più apparente che reale, concretizzandosi in apodittiche formule di stile.
Il che è ancor più sconcertante se si considera che tali provvedimenti vengono assunti dalla autorità amministrativa “inaudita altera parte”, in assenza di contraddittorio.
Né vale obiettare che l’adozione di provvedimenti siffatti è comune a quasi tutti i provvedimenti amministrativi: altro è ordinare la demolizione di un’opera edilizia abusiva, altro è porre il presupposto per una limitazione della libertà personale.
A ciò si aggiunga che mentre contro un’ordinanza di demolizione il destinatario ha 60 giorni di tempo per far ricorso e può chiedere la sospensiva del provvedimento impugnato (e se l’amministrazione soccombe in giudizio viene condannata alle spese ed al risarcimento), diversamente lo straniero ha cinque giorni di tempo per ricorrere, senza che il suo ricorso giurisdizionale abbia efficacia sospensiva.
Se dunque il decreto che dispone l’espulsione con accompagnamento alla frontiera per il tramite della forza pubblica è un provvedimento prefettizio in parte discrezionale, il provvedimento con il quale si dispone il trattenimento nei centri in questione è un provvedimento del Questore che si pone in rapporto di consequenzialità rispetto all’antecedente decreto di espulsione.

torna al sommario

 

-I CPT IN ITALIA: DOVE SONO

 

C’è inoltre da aggiungere che ne vogliono aggiungere uno in Veneto, non si sa ancora se a Padova o a Vicenza…

torna al sommario

 

-COSA C’E DI SBAGLIATO IN UN CPT

 1) L’ESEMPIO DI VIA CORELLI, MILANO

Un cpt rappresenta sicuramente non solo una violazione della libertà umana, ma anche ai diritti umani più elementari. Prendiamo, come esempio e testimonianza, parte del dossier divulgato dal “Centro delle culture “ di Milano, datato 1999:

 

“Dal 19 aprile 1999 il Centro delle Culture entra ogni lunedì dalle 14.30 alle 16 al centro di via Corelli, con una delegazione di sei persone che comprende un esperto legale e traduttori in varie lingue. Nel corso di queste visite abbiamo appurato i seguenti problemi:

·        Situazioni igieniche vergognose, non a caso sia a Milano che a Roma sono stati rilevati dei casi di scabbia; le carenze igieniche sono spesso diretta conseguenza di come è stata organizzata la struttura stessa del centro, con gli immigrati che vivono in container, dove non ci è stato possibile entrare.

·        Mancanza di traduzioni e informazioni legali sulla situazione degli immigrati stessi, che trovano così moltissime difficoltà nell'organizzare il ricorso contro il decreto di espulsione, che per di più deve essere effettuato entro cinque giorni; molti stranieri non sanno neanche il motivo per cui si ritrovano rinchiusi. Si pensi poi alla modalità assurda con cui le associazioni, come il Centro delle Culture, sono costrette ad offrire assistenza legale: gli stranieri non possono richiedere direttamente aiuto, ma devono essere i rappresentanti dell'associazione a scegliere a caso degli stranieri tra la lista dei presenti nel centro.

·        Numerosi tentativi di suicidio, per la disperazione di una situazione disumana.

·        Molestie sessuali nei confronti delle donne, recluse insieme agli uomini; di notte dormono in container separati, e questo è forse l'unico momento della giornata nel quale posso stare tranquille.

·        Violenze da parte delle forze dell'ordine, con particolare riferimento alla deportazione dal centro verso l'aeroporto per l'espatrio.

·        Mancanza di rispetto delle libertà di culto degli stranieri presenti, con il cibo che viene distribuito senza distinzioni anche a chi, come i musulmani, segue delle regole precise.

·        Mancanza di ogni possibilità di socializzazione, non esistono spazi a tale scopo (nonostante siano previsti dal regolamento di attuazione), mentre è proibito consegnare agli immigrati reclusi qualsiasi oggetto, compresi libri, quaderni e penne.

Prima di affrontare l'inquietante casistica ci preme segnalare alcuni aspetti.

La presenza delle associazioni all'interno del Centro, e le denunce fatte delle sue carenze, hanno portato a un progressivo miglioramento delle condizioni di vita degli stranieri "ospiti". Nei primi tempi seguenti alla sua apertura abbiamo visto di tutto, soprattutto quando alla discriminazione e violenza delle forze dell'ordine si sommava l'ignoranza della legge e la non applicazione del regolamento. Solo grazie al nostro deciso intervento abbiamo ottenuto piccoli passi verso un trattamento umano, anche se il solo trattamento umano reale sarebbe la chiusura del centro di detenzione. Ci resta il dubbio di come sarebbero andate avanti le cose se non avessimo voluto a tutti i costi entrare nel Corelli e intervenire in difesa degli immigrati.

Alcuni degli episodi a cui si fa riferimento tra i casi che seguono, riguardano infatti aspetti che dopo la segnalazione sono stati risolti, come la distribuzione degli assorbenti alle donne, la qualità del cibo, le condizioni igieniche generali, la pericolosità delle coperture in amianto dei tetti della struttura adiacente al centro.

Molti altri aspetti però, soprattutto riguardanti l'assistenza legale e informativa, sono tutt'ora notevolmente carenti.

Inoltre vogliamo far notare che, sebbene siano numerosi gli episodi preoccupanti rilevati nelle nostre visite, il reale numero è notevolmente superiore, in quanto ci sono state concesse solo un paio di ore alla settimana. In pratica il campione da noi rilevato è esiguo rispetto al numero di immigrati detenuti nel centro, e quindi possiamo solo immaginare quante ingiustizie siano state perpetrate.

 

Discriminazione per chi è regolare

All'interno del centro spesso abbiamo trovato immigrati perfettamente in regola, ma che erano stati trovati senza documenti o ai quali la polizia non aveva creduto. Questa è la evidente dimostrazione di quante ingiustizie possono avvenire con l'istituzione di questi centri di detenzione. In molti casi, grazie al nostro intervento, siamo riusciti a liberare gli stranieri, ma in molti altri non ci è stato possibile per la scadenza dei termini previsti. Molti immigrati sono stati quindi espulsi e rimpatriati pur essendo in regola, magari anche con casa, lavoro e famiglia qui in Italia.

Tra i regolari rientrano anche gli immigrati che hanno presentato domanda nella sanatoria di fine 98. Proprio in questi casi sono state commesse le maggiori ingiustizie, in quanto molti immigrati, pur in possesso della ricevuta della domanda e con la possibilità di essere accolti (i termini per la presentazione dei documenti relativi scadono il 20 ottobre 1999), sono stati frettolosamente espulsi.

In molti casi il nostro intervento è stato decisivo per la loro liberazione, recuperando da parenti o amici i documenti necessari.

È evidente quindi l'assenza di una capacità di verifica della situazione degli immigrati, spesso a causa anche delle differenti modalità applicative delle diverse questure (alcune rilasciano delle ricevute, altre timbrano i passaporti, ecc.) e della solita macchinosa burocrazia.

Ma al di là dei limiti tecnici, il fatto che un semplice interessamento da parte dei volontari del Centro delle Culture abbia portato alla liberazione immediata di molti immigrati detenuti ingiustamente, è l'evidente sintomo della volontà da parte dei responsabili del centro di detenzione di non prendersi cura dei casi, di non credere a quanto dichiarato dagli immigrati stessi, di non metterli nella condizione di spiegare la loro situazione e di non svolgere tutti gli accertamenti necessari.

agosto 99 - B. E., nigeriana, fermata e portata in questura, senza l'assistenza di un interprete viene rinchiusa nel centro e dichiara false generalità; riusciamo in extremis a recuperare i suoi documenti (permesso di soggiorno e carta d'identità) contattando un amico, dopodiché viene rilasciata.

agosto 99 - R. G., 20 anni, bulgara, in Italia con regolare visto Schengen, mai assistita da un interprete.

agosto 99 - B., nigeriana, passaporto con timbro della questura di Roma per appuntamento per la sanatoria, fatta uscire dopo il nostro intervento.

luglio 99 - T. O., con ricevuta per la sanatoria, espulsa.

luglio 99 - D. N., 22 anni, rumeno, in Italia dal 1994, ha perso i documenti ed è in attesa del rinnovo da parte del consolato.

luglio 99 - M. H., in attesa di presentare ricorso contro il rifiuto di una delle sue prove per la sanatoria.

giugno 99 - A. C., 55 anni, senegalese, con permesso di soggiorno scaduto ma con ricevuta per sanatoria, in Italia da 7 anni, sposato, assistito da un avvocato ha presentato ricorso.

giugno 99 - L. E., senegalese, senza interprete, ha fatto ricorso.

giugno 99 - M., nigeriana, in possesso della ricevuta della sanatoria ma non vengono effettuati accertamenti, dopo il nostro intervento viene liberata.

giugno 99 - J. J. A., nigeriana di 24 anni, con domanda per sanatoria rifiutata per scadenza dei termini (ma i termini devono ancora scadere...), per paura dichiara false generalità, presenta ricorso tramite avvocato e viene liberata.

maggio 99 - O. A. O., nigeriana, la questura aveva rifiutato i suoi documenti per scadenza dei termini, viene accolto il suo ricorso ed esce dal Corelli .

maggio 99 - R., 23 anni, nigeriana, con fotocopia della domanda per la sanatoria, uscita solo dopo che abbiamo recuperato il documento originale.

maggio 99 - M., ucraina, con appuntamento per la sanatoria scaduto.

maggio 99 - J., peruviano, prelevato dalla polizia durante una partita di pallone tra amici, portato al Corelli perché senza documenti, dichiara alla polizia di aver fatto domanda per la sanatoria ed avere la ricevuta, ma non ottiene ascolto. Fortunatamente arriva in tempo la sua ragazza con la ricevuta.

maggio 99 - R. M. M. D, colombiana di 45 anni, con regolare visto, nessuno le ha tradotto il decreto di espulsione che ha dovuto firmare senza ottenere spiegazioni.

maggio 99 - M. P., bulgara, entrata con regolare visto per turismo, ha fatto come previsto il permesso di soggiorno entro 8 giorni, fermata dalla polizia le hanno ritirato passaporto e permesso, revocato il visto e fatto firmare il decreto di espulsione in inglese, lingua a lei sconosciuta, senza l'assistenza di un interprete.

maggio 99 - G. U., 21 anni, nigeriana, con domanda di sanatoria e appuntamento, senza assistenza di un interprete.

maggio 99 - A., uruguaiana, da 9 anni in Italia, con passaporto rinnovato in Italia al consolato uruguaiano, stava per fare domanda di cittadinanza, fermata, portata al Corelli ed espulsa.

maggio 99 - S. H., tunisino con permesso di soggiorno.

maggio 99 - R., in possesso della fotocopia della ricevuta della domanda per la sanatoria, ma la fotocopia non viene considerata valida e non vengono svolti accertamenti, grazie all'intervento di un amico che porta l'originale viene rilasciata.

aprile 99 - A., con permesso di soggiorno rinnovato.

aprile 99 - B. D., 32 anni, dal Senegal, da 15 anni in Italia, malato di TBC, dichiara di non aver ricevuto assistenza sanitaria, uscito nei giorni seguenti.

aprile 99 - R. A., cileno di 23 anni, con permesso di soggiorno, dichiara di essere malato e di aver subito violenze.

aprile 99 - E., con permesso di soggiorno francese, liberata dopo alcuni giorni.

aprile 99 - B. S., 32 anni, del Benin, con domanda di sanatoria e ricevuta per appuntamento.

Discriminazione per chi richiede asilo politico

Occorre inoltre prestare attenzione a tutti gli immigrati che possono correre rischi per la loro vita o libertà se rimpatriati nel loro paese di origine. Purtroppo nel centro di via Corelli la parola "asilo politico" non è contemplata: manca la più elementare assistenza legale, figuriamoci per affrontare una procedura complessa e intricata come la richiesta di asilo.

agosto 99 - I. I., palestinese, ha chiesto asilo politico in Olanda.

aprile 99 - S. F., rumeno di 25 anni, sposato in italia e con figlio di 3 anni, con passaporto in possesso dei familiari, con i quali non riesce a mettersi in contatto, dichiara di rischiare la vita se ritorna in Romania dalla quale era fuggito anni fa, ha tentato il suicido nei giorni di permanenza al Corelli.

aprile 99 - H. C., algerino di 23 anni, fuggito dall'Algeria per problemi politici, non ha chiesto asilo (non sa come si fa.).

Discriminazione per chi ha bisogno di un'interprete e di assistenza legale

In moltissimi casi abbiamo verificato che agli stranieri non sono state fornite informazioni sufficienti sulla loro situazione legale, con particolare riferimento alla traduzione dei documenti.

Molti addirittura dichiarano di non sapere assolutamente per quale motivo si trovano rinchiusi in quel posto. Non li elenchiamo perché sono praticamente l'80% degli stranieri che abbiamo incontrato.

Il potere decisionale della Polizia

Alcuni gravi casi evidenziano poi il comportamento discriminatorio e fortemente discrezionale da parte delle forze di polizia.

agosto 99 - I. I., bulgara, 18 anni, rapita in Bulgaria, portata in Albania e lì venduta ad un italiano che la porta in Italia con passaporto falso, costretta a prostituirsi, subisce violenza e droga contro la sua volontà, un giorno scappa e si presenta alla polizia per denunciare tutto questo, dando il nome vero (i suoi parenti hanno fatto denuncia in Bulgaria per la sua scomparsa). La polizia non le crede e la rinchiude al Corelli, dove dichiara di subire violenze e che la polizia non interviene se non quando la situazione degenera.

maggio 99 - F. A., nigeriana, portata in Italia con la promessa di lavorare come parrucchiera, scappata perché hanno cercato di farla prostituire ed andata spontaneamente alla polizia per denunciare i suoi sfruttatori. Non è stata creduta e portata al Corelli, in seguito espulsa al suo paese, dove aveva dichiarato di rischiare la vendetta dei suoi sfruttatori.

maggio 99 - A. G. M., libanese di 32 anni, collaborava con la polizia come informatore avendo ricevuto la promessa di un permesso di soggiorno in cambio, ma dopo un po' lo hanno fermato con l'accusa di non aver fornito informazioni che conosceva ed è stato rinchiuso al Corelli.

Molestie sessuali e violenze

Infine la vita dentro al centro è molto pericolosa, soprattutto per le donne; uomini e donne dormono in container separati ma vivono insieme di giorno all'interno del centro, e la polizia interviene solo quando la situazione degenera. Durante i colloqui abbiamo ascoltato racconti agghiaccianti sulle molestie sessuali che alcune donne hanno subito dentro e fuori dal Corelli.

Alle nostre domande i responsabili del centro hanno risposto in maniera evasiva.

maggio 99 - R. dichiara di aver subito molestie sessuali dal personale in servizio al centro.

maggio 99 - A. S., venezuelana, ha fatto ricorso, dichiara che la notte le donne ricevono molestie perché i container non sono chiusi, in precedenza è stata insultata pesantemente in questura e ha ricevuto un pessimo trattamento da parte della polizia.

Non abbiamo avuto testimonianze dirette di episodi di violenza commessi dalle forze dell'ordine nel centro. L'unica segnalazione riguarda il trasporto di un gruppo di rumeni verso l'aeroporto, che dalla Romania hanno fatto sapere che la polizia li ha ripetutamente picchiati, durante il tragitto e nell'imbarco sull'aereo.

Purtroppo non è possibile assistere al trasporto degli immigrati dal centro all'aeroporto dove vengono imbarcati, operazione che viene spesso effettuata in tutta fretta e senza preavvisi.

Assistenza sanitaria

L'assistenza sanitaria viene assicurata dalla Croce Rossa, che sembra curiosamente convinta della validità del Valium come medicina globale. A causa della limitata permanenza del centro, i tossicodipendenti non ricevono una terapia al metadone, ma semplici dosi di Valium a seconda delle loro richieste.

Ogni straniero viene visitato al momento di entrare nel Centro e successivamente su sua richiesta.

Non ci è stato possibile verificare le condizioni igieniche all'interno dei container, anche se molti immigrati ci hanno segnalato problemi igienici (ad es. lenzuola di carta non cambiate).

I vari casi di scabbia verificatisi al Corelli di Milano e a Ponte Galeria di Roma sono però un chiaro indicatore della situazione igienica all'interno dei centri di detenzione.

Un recente caso (settembre 99), in particolare, evidenzia come il mancato rispetto di norme igieniche fondamentali può portare a conseguenze drammatiche per chi viene detenuto, per di più ingiustamente, dentro al centro. Tre ragazze sudamericane sono infatti risultate positive al test della TBC, dopo che nel loro container aveva dormito un'altra donna infetta da TBC.

torna al sommario

 

 

 

2) CONSIDERAZIONI GIURIDICHE SULL’ILLEGITTIMITÀ DEI CPT

La normativa, così come sommariamente delineata, presenta alcuni profili di ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE.
Un primo profilo di illegittimità costituzionale riguarda la mancata previsione della obbligatoria assistenza di un difensore all’udienza di convalida del provvedimento di trattenimento presso il centro.
Il che parrebbe in contrasto con l’art. 24, comma II, della Costituzione laddove è prescritto che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, con ciò intendendosi qualunque tipo di procedimento, sia penale, civile o amministrativo. Né dovrebbero sussistere dubbi circa l’applicabilità del precetto costituzionale ai cittadini di paesi non appartenenti all’Unione Europea ed agli apolidi per, quantomeno, due ordini di ragioni:
1) per consolidata giurisprudenza, l’art. 24 Cost. si applica in qualsiasi tipo di procedimento, indipendentemente dalla nazionalità della persona sottoposta;
2) la legge 40/98 prevede, all’art. 2 (diritti e doveri dello straniero) che “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato” (e dunque anche al clandestino) “sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno …” e non v’è dubbio alcuno che il diritto di difesa rientri nel novero dei diritti fondamentali delle persone.
La stessa norma prevede inoltre che “allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione …”.
Per tali motivi, la mancata previsione della presenza obbligatoria di un difensore all’udienza di convalida di un provvedimento che limita la libertà personale, viola l’art. 24 Cost.. Vero è che il regolamento di attuazione della Legge 40/98 sembrerebbe prevedere la presenza del difensore a tale udienza, tuttavia non solo a tutt’oggi il regolamento non è ancora stato emanato, ma, quand’anche lo fosse, è dubbio che una norma regolamentare, dunque di rango inferiore alla legge, possa supplire ad un deficit di costituzionalità proprio della legge.
Vi è poi un secondo profilo di possibile illegittimità costituzionale che merita attenzione e che riguarda il titolo in forza del quale viene disposta la restrizione della libertà personale.
Punto di partenza del ragionamento deve essere l’art. 13 Cost.. Tale norma, al II comma, prescrive che “non è ammessa forma alcuna di detenzione … né qualsiasi altra forma di restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Il che significa che, se manca un provvedimento motivato di un giudice, non si può restringere la libertà di alcuno.
Il III comma dell’art. 13 Cost. prevede che “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e perdono di efficacia”.
Dall’esame della normativa in questione sopra esposta, emerge chiaramente come il provvedimento che determina la restrizione nel centro di permanenza temporanea sia un atto amministrativo del Questore che è consequenziale rispetto ad un altro atto amministrativo del Prefetto. Infatti, come abbiamo visto, il provvedimento del Questore non è che una modalità di attuazione di quella particolare forma di espulsione che va sotto il nome di “espulsione con accompagnamento alla frontiera”. Quindi, manca quel provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria che, a norma dell’art. 13, comma II, Cost. può consentire la restrizione della libertà personale. In altre parole manca un titolo costituzionalmente previsto per disporre la detenzione.
Tuttavia, è prevista la convalida del giudice che deve avere ad oggetto, secondo il dettato normativo, sia i presupposti dell’espulsione che quelli del trattenimento. Ma ciò, a ben vedere, non muta il quadro di sospetta incostituzionalità.
Invero, convalidare significa attribuire validità ad una azione o ad un atto precedentemente compiuto. Convalidare è, pertanto, sinonimo di ratificare, sanare qualcosa che è già accaduto e che, senza, appunto, la “convalida” non potrebbe avere validità.
Nel caso di specie, pertanto, il provvedimento di convalida, serve ad attribuire validità alla restrizione della libertà personale avvenuta non più tardi delle precedenti 96 ore (48+48).
Ma che accade per il tempo successivo alle 96 ore?
Può, in altri termini, un provvedimento di convalida sanare l’attività precedentemente compiuta dalla pubblica sicurezza e, al tempo stesso, attribuire validità per la stessa attività per i successivi 16 giorni? (20 giorni – 96 ore = 16 giorni)
Si noti, inoltre, che è la legge a prescrivere che “la convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi 20 giorni”.
Il che significa che la permanenza (cioè la restrizione della libertà personale) non è autonoma conseguenza del provvedimento del giudice, ma è conseguenza prevista dalla legge.

Se così è manca il titolo di detenzione costituzionalmente legittimo, cioè il provvedimento motivato del giudice, essendo il titolo di detenzione un effetto consequenziale della convalida secondo il dettato normativo.
Quindi la restrizione della libertà personale non è altro che una conseguenza per legge (e non per atto motivato della autorità giudiziaria) della convalida dell’attività di P.S. compiuta nelle prime 96 ore.
La cosa non è di poco conto sotto il profilo pratico. Infatti, supponiamo che Tizio, espulso con accompagnamento immediato, venga trattenuto nel centro con provvedimento del Questore perché manca il vettore, per tale motivo, la libertà personale di Tizio viene sacrificata per 20 giorni.
Ma chi ci dice se l’indisponibilità del vettore perdura effettivamente per tutti i 20 giorni?
E quindi che controllo giurisdizionale c’è sulla legittimità della corrispondente privazione della sua libertà?

Venendo poi a trattare della gestione pratica della convalida, con riferimento a quanto accade al Centro di permanenza temporanea di Torino, la situazione è a dir poco allarmante. Non solo, come si è detto, essa non avviene alla presenza di un difensore (perché non è prevista dalla legge), ma avviene altresì quasi sempre in assenza di un interprete.
Se a ciò si aggiunge che il recluso normalmente non viene informato da nessuno circa il tipo di udienza cui viene condotto e che il giudice spesso nulla conosce della sua situazione, perché gli atti gli vengono forniti sul momento dalla polizia, è evidente che il giudice si troverà a decidere unicamente sul materiale cartaceo fornitogli dalla Questura dopo aver sentito, sommariamente senza interprete e senza difensore, lo straniero ristretto.
Va da sé che, in tale contesto normativo e fattuale, la convalida rischia di tradursi in un atto di mero avallo acritico dell’operato della Questura.
Quindi, il controllo di legittimità e di merito che il giudice è chiamato ad operare rischia, nei fatti, di essere più virtuale che reale.

Alla luce di quanto sinora esposto, pare evidente che, tra le tante novità previste dalla legge n. 40/98 vi sia l’introduzione surrettizia della detenzione amministrativa mascherata da un simulacro di provvedimento giurisdizionale.
E siccome, una volta convalidato il trattenimento, l’espulsione può avvenire in qualsiasi istante, è evidente come l’udienza di convalida del trattenimento sia l’unico momento in cui è utilmente possibile far valere eventuali ragioni che siano di ostacolo all’allontanamento coattivo dal paese.
C’è anche da domandarsi che senso abbia prevedere, sulla carta, delle categorie protette di soggetti inespellibili, se poi questi difficilmente possono far valere le loro condizioni. Si pensi, ad esempio, ad una donna in stato di iniziale gravidanza (per legge inespellibile): o questa per puro caso ha con sé, al momento del “fermo”, documentazione medica attestante la sua condizione, oppure difficilmente riuscirà a provarla nel breve termine entro il quale avverrà la convalida.
Si pensi ancora, ai tanti che, in forza della recente “sanatoria”, hanno presentato domanda di regolarizzazione magari presso una Questura diversa rispetto al luogo in cui ha sede il Prefetto che dispone l’espulsione e non abbiano con sé la “ricevuta” al momento del fermo e del loro trattenimento: anche per costoro sarà arduo riuscire a dimostrare di aver richiesto un permesso di soggiorno in sanatoria.
Certo, con l’ausilio di un avvocato, dopo la convalida (e prima della partenza) potranno sempre fare un ricorso tardivo, perché privo di efficacia sospensiva.
In alternativa, la legge consentirà loro di presentare ricorso – entro il comodo termine di 30 giorni – direttamente presso le rappresentanze consolari o diplomatiche italiane all’estero.

Qualora lo straniero da espellere sia sottoposto a procedimento penale, la legge richiede il nulla osta della autorità giudiziaria, che deve essere concesso, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali. Tale norma risponde ad un criterio di garanzia e ragionevolezza: prima di espellere un imputato, è utile sentire il suo giudice per verificare se non vi siano esigenze processuali che ostacolino il suo allontanamento.
Ma, come spesso accade, la prassi riesce a stravolgere le intenzioni del legislatore.
Infatti, se inizialmente il nulla osta è stato richiesto al Pubblico Ministero, (spesse volte addirittura al P.M. di “turno” per gli arrestati e quindi, nemmeno al P.M. titolare delle indagini che dovrebbe avere una certa conoscenza del fascicolo processuale dell’imputato) invece che ad un giudice terzo (che meglio garantirebbe una valutazione circa la sussistenza di ostacoli all’esecuzione dell’espulsione), ultimamente, sulla scorta di una isolata pronuncia di un giudice di merito (Pretura di Bologna 3.7.1998), è invalsa la prassi – non prevista dalla legge – del cosiddetto “nulla osta tacito”. Con ciò intendendosi che, ogniqualvolta l’autorità giudiziaria (cioè la Procura della Repubblica) dimentica di comunicare il nulla osta all’espulsione di un imputato, lo stesso si considera virtualmente acquisito a meno che l’autorità giudiziaria non comunichi l’esistenza di cause ostative. E così, sull’altare dell’efficienza – intesa come sbrigativa e superficiale celerità – si sorvola su di una norma volta a “garantire” l’andamento del processo penale, salvaguardando le esigenze processuali dell’accusa, della difesa e, perché no, anche della parte offesa.
Altra questione di notevole rilevanza riguarda la possibilità di reiterare la permanenza nel centro qualora, nonostante la proroga a 30 giorni del “soggiorno”, non si riescano a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla esecuzione dell’espulsione (perché, ad esempio, non si riesce ad identificare lo straniero per scarsa collaborazione delle rappresentanze consolari estere). In tal caso, alla scadenza del 30° giorno, l’espellendo dovrà essere sicuramente rilasciato. Tuttavia continuerà a gravare nei suoi confronti il decreto di espulsione del Prefetto con accompagnamento immediato: occorre tenere ben presente, infatti, che, decorso il termine massimo del trattenimento, è solo questo a venir meno, non certo l’espulsione che continua la sua efficacia. Pertanto, qualora lo straniero o non si renda irreperibile o non abbandoni “spontaneamente” il paese, si pone il problema della possibilità di reiterare la permanenza coatta, dopo averlo temporaneamente liberato. E siccome la legge nulla dice al riguardo, sarà la prassi di ogni singola questura a dettare legge.
Con un duplice rischio:

- la disomogeneità di trattamento per situazioni analoghe (vi saranno infatti delle questure che riterranno di poter ripristinare la misura non appena lo straniero avrà varcato la soglia del cancello del centro, ed altre che potrebbero optare per il ripristino solo dopo un congruo lasso di tempo, dando così la possibilità allo straniero di ottemperare di “sua volontà” al provvedimento espulsivo);
- la reiterabilità “a catena” della restrizione, intervallata da brevi sospensioni ogni 30 giorni. E così potrebbe darsi il caso di un soggetto cui sarà data la entusiasmante possibilità di saggiare le condizioni di ospitalità in tutti i centri di permanenza italiani.
In tal caso, però, i dubbi di incostituzionalità sopra esposti aumenterebbero a dismisura, perché non sarebbero “neppure” limitati da una restrizione predeterminata per legge anche in ordine alla sua durata.

torna al sommario

 

 


L’IMPORTANZA DELL’INFORMAZIONE SUI CPT

 

L’esistenza ed il concreto funzionamento dei centri di permanenza italiani è argomento di cui poco si conosce e si parla. Assai di rado ne riferiscono le cronache, cosicchè l’opinione pubblica non ne è informata.
Nemmeno l’avvocatura associata che, a torto od a ragione non importa, rivendica da anni una soggettività politica derivatagli dal suo ruolo di mediazione e garanzia nel conflitto tra individuo ed istituzione, ha sinora mostrato un qualche interesse per la questione in oggetto. Tant’è che il risultato di questa generale disattenzione comporta la collocazione dei centri di permanenza in una sorta di limbo, non certo dorato, dimenticato dai più ed avvolto da una cortina di riservatezza che ne fa un luogo “separato”.
Separatezza significa mancanza di trasparenza, e quindi di informazione ove la discrezionalità può diventare arbitrio senza che nessuno se ne accorga, tranne chi lo subisce.
L’informazione è dunque un grimaldello essenziale per infrangere la separatezza e, ovviamente, necessita della possibilità (e dell’obbligo politico) di informarsi e informare.
Basterà un esempio istituzionale. Saputo dell’esistenza di un regolamento interno del centro di permanenza di Torino, il Presidente dell’ASGI chiedeva, in forza della cosiddetta legge sulla “trasparenza amministrativa”, di accedere al regolamento.
Significativa è la risposta della locale Prefettura: “… si comunica che il Ministero dell’Interno, interpellato da questa Prefettura, ha ritenuto non sussistere nel caso in esame, il diritto di accesso in quanto non emerge l’interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che costituisce il diritto in parola …”.
Né ovviamente, per le stesse ragioni il regolamento è reso noto mediante affissione in bacheca o altrove agli “ospiti” del Centro di Torino. Dunque esso è segreto.
Infine, sempre in tema di informazione, è opportuno sottolineare nuovamente che la legge impone la notificazione agli interessati degli atti concernenti l’espulsione, il trattenimento e l’eventuale proroga tradotti “in una lingua da lui (cioè dallo straniero) conosciuta ovvero, ove ciò non sia possibile in lingua inglese, francese o spagnola”.
Ebbene, tutti gli atti in questione sono esclusivamente tradotti in una delle lingue europee indicate dalla legge solo in via subordinata. Nonostante Torino sia sede di istituti universitari e nonostante che interpreti giudiziari frequentino quotidianamente le aule di giustizia, l’amministrazione non è in grado di provvedere alla traduzione ed alla stampa di moduli tradotti in lingua araba, albanese o rumena.
Ed allora la disinformazione riguarda anche il versante interno al centro, riguarda i detenuti che non sono messi in condizione di esercitare i loro peraltro già esigui diritti.
Se all’ingresso nel centro non viene comunicato all’”ospite” che può contattare un avvocato, che entro 96 ore sarà sentito da un magistrato e che, nelle more, può ricorrere al giudice il quale valuterà il suo ricorso unitamente alla convalida del suo trattenimento, è ovvio che la misera tutela giurisdizionale resterà anch’essa una facoltà inespressa, con l’unico vantaggio di non creare ulteriori intoppi alla esecuzione della sua espulsione.

torna al sommario

- IN EUROPA…NON C’E MOLTO DA STARE ALLEGRI

A conferma di quanto esposto finora, tracciamo una breve panoramica della situazione in   alcuni stati europei, riportando episodi che anche nella loro sinteticità contribuiscono alla comprensione della situazione stessa.

Francia - La stampa imbavagliata

Cominciamo il nostro breve giro europeo dai nostri vicini d'oltralpe, con i quali condividiamo una legislazione sull'immigrazione molto simile in vari aspetti.

E' interessante notare come proprio in Francia siano maggiormente segnalati i casi di violenza contro i giornalisti che si siano in qualche modo impegnati nel documentare le ingiustizie perpetrate nei confronti degli stranieri. Sembra che questo irrigidimento nei confronti della stampa sia cominciato dall'estate 1997, quando ebbe vasta risonanza l'occupazione della chiesa di S.Bernard da parte di alcuni "sans-papiers". Come

conseguenza le autorità da allora impediscono a giornalisti e fotografi di documentare i vari episodi legati a manifestazioni, deportazioni, incidenti nei centri di detenzione o negli aeroporti e sono numerosi i casi in cui i giornalisti stessi sono stati trattati brutalmente, arrestati, trattenuti e interrogati per ore. Le macchine fotografiche vengono sistematicamente sequestrate, con la scusa di "motivi di sicurezza".

Se questo è il trattamento riservato ai giornalisti francesi che cercano di documentare quel che succede agli immigrati, possiamo immaginare come vengono trattati gli immigrati stessi.

Paesi Bassi - La fine dei servizi sociali

L'Olanda è stato uno dei primi paesi a introdurre i centri di detenzione e anche ora resta all'avanguardia nell'introduzione di misure discriminatorie.

Nel 98 é stato infatti varato un decreto per colpire gli immigrati illegali negando loro i servizi sociali, anche quelli fondamentali come l'assistenza sanitaria.

L'applicazione di questa normativa non ha colpito però solo gli stranieri illegali, ma anche i richiedenti asilo, gli immigrati in attesa di ricongiungimento familiare e, paradossalmente, anche gli immigrati in possesso di permesso di soggiorno che lavorano legalmente (e che quindi sono obbligati a pagare i contributi per quei servizi sociali che ora vengono loro negati).

Germania - La violenza di stato

La Germania da sempre si contraddistingue per i maltrattamenti perpetrati da parte della polizia, che gode di una notevole impunità e autonomia. Gli episodi documentati sono numerosi e nei rarissimi casi in cui si

giunge a un processo, i tempi lunghissimi e i vari cavilli legali insabbiano il caso, mentre gli immigrati che hanno denunciato le violenze possono comunque essere deportati, testimoni compresi.

Per sfuggire alle violenze delle forze dell'ordine, gli immigrati spesso si rifugiano nelle chiese, ma ormai la polizia non ha più scrupoli, basti pensare a quando sono entrati con la violenza in una chiesa per arrestare il curdo A.M.Duzenli, espulso il giorno dopo in Turchia assieme alla sua famiglia (compresa la moglie incinta)

Sotto l'aspetto legislativo, oltre ai tempi lunghissimi e alle difficoltà per ottenere asilo politico, le interpretazioni della legge sull'immigrazione portano a risultati paradossali, come la situazione di algerini e afgani, ai quali non viene riconosciuto asilo perché la Germania non riconosce come valida ai fini della richiesta di asilo la persecuzione da parte di enti non governativi. Non solo, nel caso degli algerini, nonostante siano documentate le torture perpetrate dalla polizia algerina nei confronti di chi cerca di emigrare illegalmente, la documentazione relativa alla loro richiesta di asilo viene direttamente consegnata

dalla polizia tedesca alla polizia algerina. Inoltre la permanenza in Germania è strettamente legata alla propria situazione penale e basta un piccolo reato per essere espulsi, anche se minorenni e se non si è mai vissuto nel proprio paese (un ragazzo turco di 14 anni è stato deportato senza i suoi genitori in Turchia).

Regno Unito - I giudici non possono giudicare

Più di 70.000 persone sono in attesa da anni della pronuncia sulla loro richiesta di asilo; di questi 800 risultano rinchiusi in prigione, sebbene non abbiano commesso nessun crimine.

La detenzione di un immigrato richiedente asilo può essere disposta da un ufficiale in base al semplice sospetto che l'immigrato possa venir meno ai suoi obblighi durante il periodo di attesa.

I centri di detenzione sono tristemente noti per le situazioni di violenza e discriminazione; nove africani accusati di rivolta hanno finalmente ottenuto l'assoluzione in quando si sono dimostrate infondate le accuse della polizia nei loro confronti; nessuno dei media ne ha parlato. Il Regno Unito è uno dei paesi (come anche l'Australia) dove non vi è effettiva supervisione della magistratura nei casi di detenzione di richiedenti asilo.

Austria - L'asilo politico è un'opinione

Proprio l'Austria ha presentato, dietro le porte chiuse del Comitato K4, che si occupa dell'immigrazione nell'Unione Europea, un documento riservato nel quale si propone di abolire la convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato e di considerare l'asilo non come un diritto soggettivo individuale ma come un'offerta del paese ospitante. Questo atteggiamento da parte del governo austriaco è confermato anche dalle

dichiarazioni del ministro dell'interno.

Si tratta di un attacco gravissimo alla convenzione che rappresenta il fondamentale strumento internazionale per la protezione dei rifugiati. Nel documento in questione si propone anche di vincolare gli aiuti della cooperazione internazionale alla capacità da parte degli stati extraeuropei di mantenere gli impegni presi per garantire i flussi migratori.

Il documento è in via di revisione, ma la sua redazione avviene a porte chiuse.

In Austria il 3 per cento dei richiedenti ottiene asilo, su un totale di quasi 14.000 domande.

Grecia - L'espulsione violenta

La Grecia è tristemente nota per le violenze e per il trattamento disumano riservato agli immigrati. Non esistono centri di accoglienza, mentre nei numerosi centri di detenzione vengono detenuti anche per mesi gli immigrati irregolari, in condizioni indecenti sotto tutti gli aspetti, igienico-sanitario e legale. Raramente esistono traduzioni dei documenti legali, mentre le espulsioni vengono eseguite in maniera sommaria.

Parecchi immigrati sono stati uccisi nel 1998 dalla polizia o da civili, spesso con la giustificazione dell'autodifesa, sebbene gli immigrati fossero disarmati.

Da luglio 1999 è cominciata un'intensa operazione di "pulizia", con l'obiettivo di giungere all'espulsione di tutti i clandestini (oltre 500.000) entro dicembre. Di conseguenza vengono arrestati immigrati irregolari ma anche regolari con incriminazioni pretestuose; spesso i permessi di soggiorno vengono stracciati dalla polizia, nell'ipotesi che siano falsi, senza addurre altre motivazioni. Gli immigrati vengono poi rinchiusi nelle prigioni a tempo indeterminato, in quanto la legge non pone limiti di tempo alla detenzione.

Il Ministero dell'Ordine Pubblico ha potere assoluto sugli immigrati detenuti, cioè può trattenere in carcere ed espellere anche chi è stato assolto dalla Magistratura per le accuse che avevano portato al suo arresto.

Stati Uniti - Il presunto modello

Facciamo un salto oltre oceano a vedere com'è la situazione là dove si applicano da tempo gli stessiprovvedimenti restrittivi nei confronti degli stranieri che sono stati introdotti da qualche anno in Europa.

Gli immigrati reclusi come conseguenza della legge sull'immigrazione sono più di 16.000 e i centri di detenzione non sono più in grado di sostenere la situazione. Sono stati aperti alcuni centri di detenzione privati, ma attualmente il 60% degli immigrati viene recluso nelle normali prigioni.

Le prigioni però non riconoscono le normative sui diritti degli immigrati, per cui agli stranieri non vengono garantiti i diritti alla comunicazione, assistenza legale e sanitaria che spetterebbero loro. Come conseguenza solo il 10% degli immigrati detenuti è riuscito ad ottenere assistenza dal proprio consolato. Le donne rappresentano solo il 7% e poiché mancano strutture per ospitarle vengono spesso detenute in situazioni miste.

Anche per i bambini, che non dovrebbero essere detenuti oltre 72 ore, non mancano casi in cui sono state superate, in aperta violazione delle normative internazionali sui diritti del bambino.

Il rapporto dello Human Rights Watch a riguardo è impressionante, gli episodi di violenza e

discriminazione razziale, religiosa e sessuale compiuti dalla polizia sono numerosi.

L'inadeguatezza della legislazione americana mostra i suoi effetti appena arrivati all'aeroporto, dove la deportazione immediata (summary exclusion) spesso viene decisa da funzionari inesperti e dove gli immigrati non possono usufruire di assistenza legale.

Il trattamento dei richiedenti asilo in U.S.A. è altrettanto scandaloso. Non appena giunti, vengono imprigionati fin quando non dimostrano una "paura credibile" di ritornare nel loro paese. Non sono chiari i criteri che stabiliscono la "credibilità" della paura...

Anche se hanno parenti negli U.S.A. che potrebbero ospitarli e aiutarli, non vengono rilasciati ma detenuti nei centri di detenzione, in attesa del pronunciamento sulla loro richiesta di asilo, che può richiedere svariati anni. Annualmente circa 6000 richiedenti sono detenuti ogni anno. Una situazione paradossale che si verifica da tempo negli Stati Uniti riguarda attualmente quasi 3500 persone, detenute in quanto immigrati illegali ma che non possono essere mandate ai loro paesi di origine con i quali gli Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche. Questi immigrati si trovano quindi condannati alla detenzione infinita, (in pratica l'ergastolo) semplicemente perché ricadono in uno vuoto legislativo. Non è infatti previsto dalla normativa americana un termine temporale per il rilascio degli immigrati detenuti. Anche per gli immigrati regolari la situazione non è semplice; in base alla normativa vigente, basta un reato anche irrilevante, come l'offesa o il gioco d'azzardo, per incorrere nell'espulsione. La legge che ha introdotto questi criteri è anche retroattiva, per cui molti immigrati regolari si ritrovano con il decreto di espulsione pendente e magari non ne sono ancora a conoscenza.

L'esempio statunitense evidenzia un altro aspetto della detenzione degli stranieri irregolari, ovvero il suo alto costo economico, nel contesto della politica sull'immigrazione, decisamente sproporzionato e inadeguato.

Pur affermando decisamente che non sono certo le variabili economiche che possono determinare l'atteggiamento dello Stato verso le persone e i loro diritti, vogliamo far notare come anche sotto questo punto di vista i centri di detenzione siano un fallimento.

Nonostante gli sforzi per espellere gli immigrati irregolari e ridurre al minimo il loro tempo di permanenza nei centri, l'applicazione esasperata delle leggi discriminatorie ha portato a un continuo aumento dei detenuti

e dei giorni di permanenza all'interno dei centri.

Problematiche burocratiche e diplomatiche si sommano al mancato rispetto del diritto di difesa degli stranieri, come risultato gli stranieri si ritrovano detenuti per tempi lunghissimi se non infiniti. In alcuni stati europei è stato introdotto un limite temporale alla detenzione e in questo caso assistiamo al paradossale balletto di immigrati che entrano ed escono più volte dal centro, rilasciati per scadenza dei termini e subito dopo ricatturati.

Il costo della detenzione di uno straniero negli Stati Uniti arriva anche a 144$ al giorno; la stima dell'INS (Immigration and Naturalization Service), approssimativa perché neanche loro sanno il numero preciso di stranieri detenuti, è che nel 2001 gli U.S.A. spenderanno 500 milioni di dollari l'anno per la detenzione degli stranieri irregolari.

Cifre enormi, per altro di un paese che vanta il triste primato della maggior percentuale di detenuti rispetto alla popolazione. Occorre inoltre precisare che qui stiamo parlando solo dei costi di detenzione, ai quali dobbiamo aggiungere i costi relativi alla deportazione, spesso in aereo e con scorta, degli stranieri espulsi.

 

torna al sommario

VIA CORELLI: UNA TESTIMONIANZA

È passato un altro giorno. Uno di quelli più brutti della mia vita nel lager per stranieri di Via Corelli 28 a Milano. Da quando sono in Italia per la prima volta sono dispiaciuta per il modo nel quale si comportano le persone in uniforme che occupano determinati posti. Prima non pensavo che alcuni italiani potessero essere nazisti, però adesso, stando in questo posto da noi chiamato lager, ho cambiato idea, sì possono. Una sera alcune ragazze di colore, che stavano in un container vicino al nostro, stavano protestando perché venivano sempre maltrattate e discriminate per il colore. Dopodiché noi siamo state portate fuori mentre loro le hanno chiuse dentro senza corrente né acqua. Poi ci hanno portato a dormire in una grande e sporca stanza su materassi per terra; come cani senza bagno e al freddo, perché l'ispettore non voleva fare niente per migliorare la situazione nel modo più decente possibile. Per loro era più comodo così, portarci fuori al freddo, dandoci sempre un cibo schifoso che a volte non si riusciva a mandare giù, farci morire di fame, metterci a dormire su lenzuola di carta. Lenzuola che quando arrivano nuove persone non vengono nemmeno cambiate. Lasciano quelle delle persone che sono "andate via" facendoci venire fuori delle allergie cutanee. Così si va dal dottore il quale, per curarci il corpo ed il viso, ci dà una crema con la quale l'allergia peggiora ancora di più. Se ti succede qualcosa, se ti fa male la testa vai dal dottore, aspetti 2 ore prima che qualcuno ti dia attenzione e alla fine ti danno una pastiglia che ti fa passare il mal di testa ma in compenso non riesci a dormire tutta la notte dal mal di stomaco che ti ha fatto venire. Io e tutti quelli che con me hanno sottoscritto questo articolo siamo testimoni di una bruttissima scena al Corelli: un uomo era salito sul tetto, voleva impiccarsi perché lo volevano mandare al suo paese. E la moglie ed il figlio nato in Italia lo guardavano dall'altra parte della rete e piangevano. Un atto che non può essere perdonato ai responsabili di questo lager. Secondo me la gente che arriva a tanta disperazione non è suicida ma è spinta ad ammazzarsi. Il motivo per il quale uno straniero viene in Italia è cercare una vita migliore, cercare lavoro, poter curare la sua famiglia, avere un tetto sulla testa ... però dove sono queste possibilità? Scrivo a nome di tutte le persone che hanno firmato in fondo. Voglio che tutti quelli che leggeranno capiscano che qui è un inferno. Nella mia vita non ho fatto niente contro la legge per stare in galera ed essere trattata come ladra o assassina, per essere picchiata in Questura. Dove posso denunciare? Chi mi può difendere? Chi sono io qua? Un animale come il resto di tutti gli stranieri che sono in Italia senza documenti perché non hanno i soldi per comprarseli. Chi sono questi tutori della legge che possono mettere in galera gente indifesa che soltanto gira per la strada ma non fa del male a nessuno? Chi sono questi che si permettono di fare di te tutto quello che vogliono solo perché sono protetti dalla legge? "Noi siamo esseri umani come tutti voi e dobbiamo avere gli stessi diritti. Viviamo nello stesso mondo ma perché? Per essere maltrattati da voi ed essere rinchiusi in un lager come tempo fa faceva Hitler con gli ebrei! Tutti pensano che questo sia 'passato' e che non ci sarà un secondo Hitler. La differenza tra i suoi Lager e questi centri in Italia è che lì li uccidevano e a noi ci spediscono nei nostri paesi. E la stretta somiglianza è l'odio verso la gente diversa da te."

Scritto e firmato da:
Stefca Stefanova, bulgara

Collaboratori:
Elisabeth Michailova, bulgara
Veronica Peeva, bulgara
Ivanka Gresceva, bulgara
Sachav Iolanela, polacca
Valentina Popola, bulgara
Adriana Cenay, albanese
Adana Alazi, albanese
Bulas Daniela, rumena
Golub Olia, russa

torna al sommario


 

 

 

Questo è tutto…per il momento. Per la creazione di questo dossier ci siamo serviti dei documenti “Dossier Corelli”, preparato dal “Centro delle culture” di Milano, e  del testo “Chiudere i lager!” prodotto da “Zone di conflitto”, di Torino.