SPECIALE ELEZIONI IN IRAQ
Un paese occupato militarmente da truppe straniere, attentati, sparatorie, bombardamenti, insomma le condizioni ideali
per svolgere delle libere e democratiche elezioni in un paese ancora colpito dalla guerra.
I media embedded hanno dipinto questo evento come un trionfo della democrazia e della libertà contro il terrorismo.
Vediamo però anche altri commenti, pareri sulla vicenda...
Dovete intanto assolutamente dare uno sguardo a questo blog tratto da reporterassociati.org dedicato esclusivamente alle elezioni irachene:
http://elezioniraq.splinder.com
Due interventi PRE-elezioni:
Lo scopo delle elezioni americane in Iraq: “legittimare l’occupazione”
Le non-elezioni irachene
Tutto sulla preparazione delle elezioni dalla newsletter di "Osservatorio Iraq"
COMMENTI POST-ELEZIONI
Seguite la rassegna stampa e l'evoluzione delle notizie su:
http://znetit.mahost.org/annunci/annunci.htm
Iraq: possibile maggioranza assoluta seggi a sciiti
Interpretare le elezioni di Phyllis Bennis
"Truppe di occupazione", per i media "liberatori" di Naomi Klein
Un ex ufficiale delle Nazioni Unite in Iraq dichiara:«Se queste elezioni avessero avuto luogo in Zimbabwe, l'occidente ne avrebbe denunciato l’irregolarità»
Elezioni in Iraq. Un maquillage provvisorio.Editoriale di Radio Città aperta.
IRAQ -- LA GRANDE MENZOGNA ELETTORALE
Anche in Vietnam l'affluenza al voto era stata buona...
Quello che non vi dicono delle "elezioni"
Elezioni sui cadaveri
Gli iracheni hanno votato in massa, oltre ogni previsione?
VOTARE DAVANTI ALLA CANNA DEL FUCILE.Dopo l’Afghanistan, l’Iraq si unisce alla farsa elettorale
La grande fabbrica della menzogna arruola anche parte della sinistra
Nessuna legittimità viene da votazioni in condizione di occupazione
tratti da www.reporterassociati.org
Iraq, elezioni: tra farsa e tragedia
di marisca
31 Jan 2005
Non ci voleva grande fantasia per aspettarsi che ci saremmo trovati di fronte ad una farsa colossale. Il 72% degli aventi diritto avrebbe votato già al mattino? Neanche col voto elettronico taroccato sarebbe possibile, figuriamoci... Il Tg1 con una corrispondente piuttosto di parte, ha ribadito almeno 4 volte che la partecipazione era stata notevole: il 70% o il 60%. Ridicolo! Mentre ripeteva queste parole quattro volte per dare forza a ciò che razionalmente è una assurdità, si vedevano alcune file, chissà riprese dove, di soli uomini.
Non c'erano osservatori internazionali per cui i soliti duecento, quando hanno finito rientrano una volta pulite le mani e rivotano fino a sera. I duecento diventano così duemila e poi, un po' di propaganda di regime e il gioco è fatto! Ha vinto il governo fantoccio filo Bush! Ma il popolo la pensa diversamente.
Non si è vista una sola donna nelle file riprese dalla telecamera di regime. Fatti due conti, considerando che in Iraq le donne sono di gran lunga la maggioranza, dopo i massacri e le torture Usa, ci si rende subito conto della bugia grande come una piramide.
Avrà votato si e no il 2%, lo 0,2% se si tiene conto che hanno fatto votare all'estero chissà chi, probabilmente molti non erano neppure iracheni ma immigrati tirati su chissà come e a cui sono stati forniti documenti falsi dalla Cia. Mi sa tanto che le cose si sono svolte in questo modo.
Poi la faccenda di votare con l'inchiostro..... ci sono inchiostri che si possono cancellare così si riforma la fila e votano tre quattro volte...anche l'1% diventa cosìì il 4% al resto ci pensano i soliti media di regime.
Qualcuno faccia un po`i conti, quanto tempo avrebbero avuto a disposizione i presunti 8 milioni di votanti per sbrigare le formalità di voto nei seggi (pochi) diponibili e in una sola giornata? Poi la balla dei 250.000 che avrebbero votato all`estero. Non occorre essere matematici per capire...
Anche un cretino sa che per avere il 70% dei votanti in Italia ci vogliono due giorni di votazioni, gli appelli di tutti i partiti dell'arco costituzionale ad andare a votare, bel tempo. Questo in Italia. Evidentemente gli iracheni ci tenevano così tanto che sprezzanti della certezza di attentati, delle distanze dai seggi, della mancanza di trasporti, del fatto che un terzo delle etnie non fossero rappresentate, del fatto che un solo partito in lizza (quello del "premier") sia riuscito a fare campagna per incitare al voto, del fatto che le elezioni siano state volute ad ogni costo da coloro che hanno portato almeno un morto in ogni famiglia irachena...
Se nonostante tutto sono andati a votare al 70% può voler dire che:
a) la "democrazia" è scesa su di loro come lo spirito santo, illuminandoli.
b) hanno paura tanto dei "terroristi" quanto di Allawi, quindi voto di scambio
Oppure (ed è un oppure grande come una casa) le percentuali sono del tutto farlocche Daltronde queste elezioni non servono agli iracheni, servono al mondo per convincerlo che questa guerra ha un senso, per oscurare il senso vero che non riescono più a nascondere, ma neanche a "completare".
Gli americani stanno inguaiati e allora si mettono a giocare a monopoli in giro per il mondo. In attesa di girare i loro carroarmatini colorati verso gli unici nemici che dovranno affrontare veramente nei prossimi anni: la Cina e l'Europa. Spero che non bombardino le strade di montagna (mi sono appena comprata la moto).
Risultati certi e noti in alcuni ambienti di Bagdad (secondo il mio amico Abdulrasak che li ci vive):
-Allawi quale supporter della coalizione: 58,7%
-Partecipazione vera al voto:meno del 30%
-Partecipazione "ufficiale" dichiarata dalle forze di occupazione: circa il 60%.
Il resto non conta.
marisca
Iraq, elezioni: ma di cosa stiamo parlando?
di mazzetta
01 Feb 2005
Quando oggi, e anche domani, dopodomani…aprirete i giornali italiani, li troverete tutti impegnati a parlare delle elezioni in Iraq in maniera veemente, senza risparmio di titoloni. Troverete imbecilli di destra che plaudono al trionfo della democrazia e leggerete imbecilli di sinistra annichiliti che annaspano di fronte a quello che ritengono un successo americano, quindi una loro sconfitta. Mi sono chiesto il perché di questi atteggiamenti mentre l'onda montava, e solo dopo un po' sono riuscito a capire perché succedesse, anche al di là delle rispettive convenienze politiche.
Credo che la spiegazione risieda nel fatto che quasi nessuno, in Italia, abbia capito bene per cosa abbiano votato gli iracheni; e che questa situazione sia sfruttata a proprio vantaggio dal nostro governo e dai suoi solerti trombettieri.
A questo gioco si accodano poi tutti, anche le opposizioni, più inclini a reagire in maniera stereotipata che a cercare di riflettere. Chiaramente della sorte degli iracheni non importa a nessuno, tutto è da mettere in relazione solo ai miseri interessi delle botteghe nostrane. Sembra che tutti stiano giocando sull'equazione che vuole le elezioni come un successo americano, equazione ovviamente imposta dagli americani e dai media che li supportano, ma non facilmente verificabile. Tra chi non stima l'amministrazione Bush. sembra essersi diffusa, naturalmente, l'esigenza di svilire queste elezioni.
Il fatto che ci sia stata una buona affluenza è da considerarsi scontato per un paese che non votava da oltre 50 anni ed è passato attraverso una dittatura tanto lunga; su questo puntava l'amministrazione Usa per segnare un punto a buon mercato; il fatto che il dato possa essere stato gonfiato ad uso e consumo degli interessi politici di Bush sip può dare altrettanto per scontato, e non desterebbe scandalo, ormai. Operazione riuscita con risultati modesti nel mondo, ma clamorosi in Italia, dove tutti i giornali sono pieni di titoli allucinanti che combattono con fervore degno di miglior causa su questo fronte, trascinando con sé schiere di politici ignoranti costretti a misurarsi con materie sconosciute.
E 'scattata la più classica delle discussioni da bar, perfetta nei toni come nella profondità delle argomentazioni, non mancano singoli spericolati che si producono in veri e propri numeri da circo, ma la grande maggioranza ormai è partita con tutti i carri ed i buoi verso la nuova trincea irachena. Il bello, o il brutto, è che tutti parlano commentando dati assolutamente campati in aria, discutendo come se si fosse di fronte ad una svolta epocale. Peccato che qualcosa non torni. Il processo di formazione del nuovo Iraq, così come disegnato dagli alleati e controfirmato dall'Onu, rende il voto di ieri solo il primo passo di un cammino abbastanza lungo.
Gli iracheni hanno solamente eletto coloro i quali scriveranno la costituzione irachena. La quale dovrà essere convalidata da un referendum, al quale seguiranno, finalmente, le vere e proprie elezioni politiche. Questo significa che fino a questa data, prevista per dicembre prossimo, il governo resterà comunque quello di Allawi, e che quindi sia molto improprio parlare di nascita di un nuovo Iraq. Questo spiega anche perché l'Onu ed i media degli paesi, che capiscono il senso di queste elezioni, non abbiano insistito troppo sulla loro perfezione formale, e si accingano a certificarle senza grosse tensioni.
Questo processo, appena iniziato, presenta molte incognite e scogli, tra i quali queste elezioni dei costituenti sono un passaggio importante, ma non sicuramente il culmine della tensione; non certo la vetta scollinata la quale l'Iraq si avvia alla discesa verso la democrazia. L'Assemblea Costituente eletta ieri, dovrà entro settembre scrivere una nuova costituzione, sulla quale la popolazione avrà poco più di un mese di tempo per discutere, e quindi la voterà in un referendum confermativo. Gli eletti avranno parecchio da correre se vorranno rispettare questi tempi, elaborare una costituzione che metta d'accordo esigenze diverse e che fughi i diffusi timori, non sarà facile.
Da domani in Iraq non cambia niente, al contrario, ora viene il difficile; che consiste nel verificare se il risultato del voto verrà accettato, quanti saranno veramente i voti, a quale composizione dell'Assemblea Costituente porteranno, e se questa sarà in grado di produrre un testo condiviso. Esattamente per questo motivo, le elezioni irachene sono presto sparite dalle edizioni internazionali, passato l'effetto celebrativo. L'Iraq torna sulle prime pagine dei giornali stranieri solo perché si è scoperto che qualcuno ha evaporato qualche miliardo di dollari; qualcuno se ne è accorto, e negli Usa ed in Iraq è la notizia del giorno.
Si parla di bustarelle. Considerando che le aziende che operano in Iraq sono per gran parte americane, e che il governo lo hanno designato loro, si può ben dire che qualche americano ha rubato qualche miliardo di dollari destinato agli iracheni. Storie che per l'Italia hanno poco fascino, nel Sud del nostro paese sono anni che aspettano l'acqua, nonostante le cifre stanziate fossero sufficienti per mettere tubi d'oro negli acquedotti.
In Italia una notizia del genere non merita più di un trafiletto. Da noi invece alcuni credono di aver vinto la lotteria, altri di aver perso il portafogli; sbalzi di umore incomprensibili tra la destra che festeggia sfacciata e alcuni a sinistra che preventivamente dubitano del risultato. Si agitano per nulla; non sanno di cosa stanno parlando, o fanno i furbi; da domani in Iraq sarà ancora Allawi, o chi per lui scelto dagli americani; sarà ancora qaedismo, e sarà ancora resistenza popolare e regolamenti di conti tra etnie.
Gli iracheni continueranno a non avere acqua e luce e a far la fila per la benzina, mentre i contractors americani faranno sparire i soldi dei contribuenti americani. La novità è che alcuni iracheni si giocheranno con gli americani la futura costituzione del paese. Un altro anno di trattative e campagna elettorale a base di sangue e bombe, che magari farà crescere nella gente normale la voglia di un governo forte, come della tutela americana. Continueranno a non avanzare i lavori pubblici, non c'è alcuna ragione per aspettarsi un miglioramento della sicurezza, o del benessere della popolazione, in particolare a Baghdad e nella zona sunnita la situazione continuerà a peggiorare.
Bush ha già la risposta in tasca, quando dice che se ne andrà se richiesto dagli iracheni lo fa solo per alimentare l'illusione. Il voto di domenica non poteva, neanche per assurdo, formare una maggioranza in grado di chiedere il ritiro americano. La questione non si poneva nella realtà, è stata posta nei paesi alleati solo per segnare sui media un punto a favore, un punto che segnalasse una prova dell'esistenzadella famosa democrazia, portata in Iraq con tanta irruenza.
In Iraq non ha ancora vinto nessuno, di sicuro ogni giorno perdono gli iracheni, quelli definiti meravigliosi ieri perché andava così; gli stessi che domani torneranno di nuovo invisibili per noi. Questa sconfitta, questa pena degli iracheni è il vero motivo per quale, da sempre, si chiede il ritiro delle truppe d'invasione; per la nostra politica la loro pena non esiste, l'Iraq è un'opportunità come un altra, solo un tema sul quale scannarsi.
Illusioni, immagini irreali, umori impazziti dominano la comunicazione e la politica. Guardate il cucchiaio; il cucchiaio non esiste.
mazzetta
Iraq, elezioni: hanno perso gli iracheni
di Jean-Marie Benjamin
02 Feb 2005
Con questo editoriale, Padre Jean Marie Benjamin inizia la sua collaborazione con Reporter Associati.
Esulta Bush, è raggiante Berlusconi, gioisce il campo dei super-ricchi e super-potenti: “le elezioni in Iraq sono un grande successo. Dimostrano che si può esportare la democrazia” dicono. Che Berlusconi avesse tanta voglia di affiancarsi a Bush in questa avventura, già da tempo l’avevamo capito tutti. Ieri, però, l’ho ha confessato pubblicamente. Fantastico. Si rallegra Bush ma a mio parere, a Teheran ci sono alcuni che si rallegrano molto più di lui. E gridano, ringraziando il cielo: “una forte partecipazione alle urne!” Hanno ragione, una forte partecipazione degli sciiti e dei kurdi…(nella foto l’autore dell’articolo).
Non so se avete visto le manifestazioni degli sciiti ieri a Sadr city? Io le ho seguite su Rai Tre, in un servizio di Giovanna Botteri. in migliaia a sfilare con canti di gioia e con tante bandiere. Il problema è che in mezzo a queste centinaia di bandiere, non c’era una sola bandiera irachena. Tutte bandiere verdi. Verdi come l’Islam.
Non dò tre settimane di più e le manifestazioni si faranno con il Corano in mano.
Su tutte le Tv del mondo si è visto votare Allawi, solo lui, nessun altro. Se qualcuno ha visto una trasmissione dove si mostrava votare, ad esempio, Moqtada al Sadr, o qualche Ulema sunnita, o alcuni capi di Tribù, mi mandi una email.
Gli Sciiti ringraziano.
Pensate, di tutti i paesi arabi (e sono numerosi) l’unico a maggioranza sciita è il Bahreim, adesso con l’Iraq sono due. I Sunniti, dai quali sulle reti italiane non abbiamo sentito alcuna dichiarazione e che in maggioranza non sono andati a votare, da quanto ho sentito dai loro commenti sulle reti francesi e svizzere, sono relativamente sereni: godono dell’appoggio morale, economico e strategico del 90 % delle popolazioni arabe. Si preparano.
Poi ci sono i Kurdi, che cantano e ballano.
Poverini, non hanno capito il piano della grande mistificazione americana. Mi dispiace perché sono brava gente. Non sognano più uno Stato indipendente, ci stanno lavorando. E la Turchia sta soffiando sui 15 milioni di Kurdi, un vento di autonomia che comincia a preoccupare molto Ankara. E’ vero, dicono, che i Kurdi in Iraq sono i buoni che erano perseguitati da Saddam; in Turchia, invece, i Kurdi sono i cattivi, i terroristi. Per questo, i Turchi hanno (in 12 anni) bombardato e cancellato 2.000 villaggi Kurdi con circa 90.000 morti (nel 1994 con l’aiuto degli aerei americani).
Si rallegra Bush, ma credo che i Kurdi si rallegrino molto più di lui, soprattutto in Turchia. Ci sarà un Parlamento iracheno. Finalmente, anche se il paese sarà ingovernabile, ci sarà, con maggioranza Sciita e Kurda. Non so se gli “esperti” di “Porta a Porta” sanno che per gli sciiti, i Kurdi non sono i più amati in Iraq. A tal punto che a confronto, Saddam fa la figura di un chierichetto.
Si preannunciano dibattiti interessanti nel nuovo Parlamento iracheno.
E poi, abbiamo sentito le serene dichiarazioni del Ministro Martino, sempre a “Porta a Porta” la più attiva delle divisioni di propaganda di questa RAI militarizzata. Il Ministro: “Il voto in Iraq ha battuto il terrorismo”. Intanto i “terroristi” hanno abbattuto un Hercules C130 Britannico.
Si va verso la democrazia in Iraq - è quello che dicono - pertanto, mandano nuovi elicotteri di combattimento a Al Nassiriya. Non ho ben capito. Se si va verso la democrazia, perché mandano all’esercito di pace italiano degli aerei da combattimento?
Dobbiamo riconoscere alla politica dei tre B, di Londra, Washington e Roma, la coerenza della loro determinazione nell’applicazione delle loro teorie di “Democrazia Export”. La sinistra italiana, invece, che triste spettacolo! Da una parte: “Si, devono restare i nostri militari”; dall’altra, “no, devono andarsene”; e ancora: “però, potrebbero restare ancora un po’, poi andarsene”. Che l’unità della sinistra italiana sia ad anni luci di distanza dall’unità della sinistra spagnola, lo sappiamo, ma che siano caduti così in basso, da non poter più raggiungerli, è spettacolare.
I super-ricchi e super-potenti si rallegrano: la “Democrazia Export” funziona.
Il metodo e l’etica di questa impresa multinazionale ha anche la sua Bibbia: prima si fa morire di fame e di malattia la popolazione del paese da democratizzare con embargo e perpetui bombardamenti, poi quando sono ben disarmati, si distrugge il paese un’altra volta e si invade (perché è un paese pericoloso con tremende armi di distruzione di massa). Una volta massacrata di bombe la popolazione e distrutto il paese, si invade, chi si oppone è arrestato e, se è cattivo, è torturato. Il metodo è radicale, il problema è che si rischia di partorire un mostro. E quello sì che sarà difficile da abbattere!
I super-ricchi e super-potenti sono veramente meravigliosi: prima succhiano fino all’ultima goccia di sangue di un popolo già all’agonia e poi fanno i buoni samaritani nel mandare aiuti umanitari, nell’impegnarsi per la ricostruzione, nel portare la libertà. E’ un po’ come se Dracula, dopo aver succhiato il sangue alle sue vittime, chiedesse che venga fatta loro una trasfusione.
Abbiamo visto delle immagini dove in alcuni seggi per le votazioni, lo spoglio avveniva a lume di candela. A quasi due anni della fine dichiarata della guerra, ancora non hanno l’elettricità! Nel 1998, dopo i bombardamenti dell’Iraq (16-19 dicembre), in cui le forze anglo-americane avevano evidentemente ancora colpito le centrali elettriche, in otto mesi, nonostante le difficoltà create dall’embargo, le avevano ricostruite.
Nel 2001, sono andato a fare un reportage presso l’ospedale di Al Nassiriya, c’era la corrente elettrica. Quando sono tornato, sono andato a proporre il mio reportage alla Rai. Mi hanno risposto: “Al Nassiriya, dove è?”. E’ vero che adesso le cose sono cambiate. Al Nassirya sanno dove è, e sono fioriti tanti esperti dell’Iraq.
Ecco, ho una voglia pazza di fare agli “esperti” di “Porta a Porta” alcune domande: Adesso che hanno votato gli iracheni, sul terreno i 62 gruppi di combattimento di Al Zarqawi sono rimasti o sono andati via?
I circa 800 comandi autonomi regionali della resistenza organizzata dal partito Baath’s (da Mosul a Bassora, passando da Samarra, Falludja e Babilonia) hanno deposto le armi?
E le tribù irachene (che rappresentano circa 8 milioni della popolazione e cioè un terzo del paese) cosa ne pensano delle elezioni?
Se sulla fuga dei cristiani dell’Iraq, non fossero ben informati, mi permetto di segnalare che, dalla fine dichiarata della guerra ad oggi, sono scappati dal paese oltre 50.000 cristiani e, con la fisionomia di Parlamento che si sta prefigurando a Baghdad, molti altri stanno già facendo i bagagli. E’ questo il terribile dilemma: prima c’era la dittatura senza bombe nelle chiese né sequestri di cristiani, non facevano saltare gli uffici dell’ONU, non c’erano gli estremisti islamici e non c’era nessun collegamento con Al Qaeda (né con l’11 settembre), lo hanno riconosciuto anche Bush e il rapporto al Senato Americano.
Oggi, invece, hanno votato: i Kurdi pretendono uno Stato, gli Sciiti una Repubblica Islamica, le organizzazioni estremiste islamiche sono diffuse in tutto il paese, la resistenza è attiva sull’insieme del territorio e dai diversi paesi arabi arriva un sostegno maggiore alla guerriglia, ogni giorno più forte ed organizzata.
Cari amici, ve l’hanno detto in televisione: “in Iraq oramai la Democrazia Export funziona”, speriamo che non sia come la corrente elettrica!
Jean-Marie Benjamin