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da Liberazione, martedì 3 Dicembre La manifestazione di sabato ha il merito di aver allargato il fronte contro l'orrore dei Cpt. Ora servono forme più incisive di lotta Dopo Torino non si può non vederedi Fabio Raimondi e Maurizio Ricciardi
Circa 30mila persone hanno manifestato sabato 30 novembre a Torino chiedendo
a gran voce (così come a Lecce e ad Agrigento) la chiusura dei Centri
di permanenza temporanea e assistenza (Cpt) istituiti dalla legge Turco-Napolitano
(varata dal precedente governo di centro-sinistra) e che la recente legge
Bossi-Fini conserva facendone uno strumento di ulteriore controllo sul
migrante. La manifestazione, indetta dal Tavolo migranti dei social forum,
ha visto oltre alla partecipazione di tutte le componenti del Movimento,
anche quella di soggetti che finora erano rimasti, per loro scelta, ai
margini di questo percorso politico, in particolare la sinistra Ds e la
Cgil, consentendo di allargare ulteriormente il fronte di coloro che lotteranno
per far scomparire l'aberrazione giuridica rappresentata dai Cpt e proponendo
anche, finalmente, l'avvio di un rapporto più stretto tra lavoratori italiani
e immigrati.
L'impatto emotivo dell'entrata nel Cpt di corso Brunelleschi, registrato
dall'ampia delegazione di circa 200 persone, è stato forte, perché ha
confermato l'idea di trovarsi in un vero e proprio lager. I Cpt, infatti,
sono centri di detenzione amministrativa dove gli immigrati vengono rinchiusi
senza aver commesso alcun reato, ma "colpevoli" solo di non possedere
un regolare permesso di soggiorno in Italia, ossia, secondo il dettato
della Bossi-Fini, "colpevoli" di essere disoccupati, dato che il permesso
si può ottenere solo se si è in possesso di un contratto di lavoro. La
verità è che questa legge considera la disoccupazione un reato. In questo
modo il migrante è ridotto a figura esclusivamente economica, privata
di ogni altra dimensione dell'esistenza: semplicemente merce. Questo non
significa confondere o peggio identificare i Cpt con i campi del nazismo,
ma ritenere che se i campi sono stati possibili nel passato e ritornano
a essere possibili oggi, ciò implica l'istituzione di un doppio binario
giuridico (regole diverse per italiani e stranieri) e laddove inizino
a prender corpo le legislazioni speciali i binari del diritto si moltiplicano
facilmente originando una piramide fatta di corporazioni che dispongono
gli individui all'interno di una scala sociale gerarchica basata sui privilegi.
I Cpt sono l'emblema del modello segregazionista che, nelle intenzioni
del governo di centro-destra, dovrebbe caratterizzare la società del prossimo
futuro.
Nel momento in cui la globalizzazione si presenta come abbattimento delle
frontiere nazionali per merci, capitali e fasce sociali privilegiate,
i Cpt svolgono invece la funzione di confini interni, che hanno il loro
corrispettivo nella militarizzazione delle frontiere per profughi e migranti.
La libertà di movimento che i migranti esprimono, talvolta anche con la
volontà di sottrarsi a condizioni di lavoro assai dure, viene negata attraverso
nuovi confini e nuove forme di detenzione. I Cpt funzionano, da un lato,
come una camera di decompressione del mercato del lavoro, che permette
un controllo della forza-lavoro secondo le esigenze dei padroni, dall'altro
perpetuano un rituale di umiliazione e sfruttamento del migrante, trasformandolo
di nuovo in forza-lavoro costretta a vivere in condizioni di esclusione
e marginalità. In definitiva, la Bossi-Fini punta a clandestinizzare tutti
i lavoratori migranti, regolari e non, e cerca di fare del lavoro-merce-migrante
la leva per una trasformazione complessiva del mercato del lavoro italiano,
in linea con le ristrutturazioni europee e con i dettati degli accordi
di Schengen. La clandestinità del migrante, dunque, è solo l'altra faccia
della clandestinizzazione a cui si vorrebbe condannare il lavoro nel suo
complesso. Quale destino spetterà agli operai Fiat una volta espulsi da
quello che molti si ostinano a chiamare il mercato del lavoro dei "garantiti"?
La manifestazione di Torino è dunque un contributo importante alla visibilità
di ciò che finora era rimasto invisibile, e che molte forze politiche
vorrebbero restasse tale. Portare alla luce i meccanismi di detenzione
e espulsione degli immigrati significa, infatti, far emergere la contraddizione
insita nella volontà di rendere invisibile la loro presenza, confinandola
nella delinquenza e nella clandestinità, così tacendo lo sfruttamento
a cui sono sottoposti per garantire il funzionamento della macchina economica
italiana.
La battaglia cominciata dal Tavolo migranti dei social forum non si chiude
dunque con quest'esperienza: non solo perché il gruppo di lavoro sui Cpt
sarà una struttura di lavoro politico permanente, ma anche perché, come
proposto durante le giornate del Forum sociale europeo a Firenze, esso
parteciperà alla campagna europea per la chiusura dei Cpt: non si tratta,
infatti, di chiederne l'umanizzazione o il rispetto dei diritti umani
all'interno (certo sistematicamente violati), ma di esigere la scomparsa
di luoghi la cui esistenza è una sospensione del diritto in quanto tale,
perché in essi l'eccezione diventa regola.
Crediamo che quest'esperienza ponga all'attenzione di tutti noi la necessità
di radicalizzare maggiormente il nostro sforzo, cercando di evitare quanto
più possibile modalità "turistiche" per cercare forme più incisive di
lotta in grado di imporre all'agenda politica la necessità della chiusura
di tutti i Cpt. Di questo il Tavolo inizierà a discutere già sabato e
domenica prossimi in occasione della riunione del Forum nazionale che
si terrà a Roma presso la Casa dello studente di via De Lollis, con inizio
alle ore 15.00.
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