Il poliambulatorio è straniero
Il direttore Michele Farina: «Pronti manifesti e opuscoli multilingue»
di Franco Pepe
Aumenta la presenza degli immigrati ai servizi del poliambulatorio n. 1. Gli extracomunitari scelgono sempre più il centro di S. Lucia come proprio ospedale di riferimento, e il direttore dott. Michele Farina, dinanzi a questa massiccia onda d’urto, pone in atto una serie di iniziative per migliorare l’accoglienza e rispondere adeguatamente a richieste che arrivano da persone di diverse nazionalità, soprattutto africani, asiatici, europei dell’est.
Sono intere famiglie di stranieri a prenotare la visita e ad entrare nei 16 ambulatori del polo sanitario Ulss di S. Lucia. Si parla, ovviamente, di stranieri regolari, a posto con il permesso di soggiorno. Perché, sempre a S. Lucia, ma solo come logistica, viene ospitato anche un ambulatorio specifico per gli irregolari sotto la responsabilità del dott. Nicola Di Fabrizio, infettivologo del S. Bortolo.
Ma questi pazienti senza tutela sanitaria non hanno nulla a che fare con gli stranieri che hanno, invece, diritto all’assistenza da parte del servizio sanitario nazionale. Ebbene nel 2004 gli extracomunitari in regola, che hanno effettuato una o più visite al poliambulatorio n. 1, erano 5 mila, nel 2005 sono diventati 6 mila 157, e quest’anno il numero è destinato a essere ampiamente superato.
In un anno le presenze straniere sono cresciute quasi del 19 per cento contro il 2 per cento dei vicentini, e, su un totale di accessi che nel 2005 è stato di 74 mila 331 persone, hanno inciso nella misura dell’8,3 per cento, ma si sa già che questa percentuale alla fine del 2006 sforerà il 10 per cento.
Il numero maggiore di immigrati si presenta a odontostomatologia, per i denti, e a ostetricia, per gravidanze e patologie femminili varie. Seguono con cifre più basse, come ambulatori maggiormente richiesti, dermatologia, radiologia, oculistica, ortopedia, allergologia e cardiologia.
La verità, come detto, è che gli stranieri preferiscono venire qui invece che al S. Bortolo, anche perché la struttura del poliambulatorio risponde di più alla propria cultura sanitaria ed è più vicina ai servizi per “out patients” molto diffusi nei paesi di origine, ad esempio nell’Africa di lingua inglese.
Ed è per questo che Farina ha deciso di adottare alcuni accorgimenti. Il primo, semplice, è quello dei cartelli tradotti in inglese, francese, serbo-croato, arabo e cinese, per guidare gli stranieri nella geografia interna del poliambulatorio e per diminuire le difficoltà di accesso.
Il secondo è un mini-dizionario, sempre tradotto in 5 lingue, con i nomi più comuni della nomenclatura sanitaria e le frasi più ricorrenti delle conversazioni fra medico e paziente, per eliminare disagi che ancora esistono nella comprensione.
«I disagi - spiega Farina - si avvertono specie con i cinesi, anche se ora sempre più spesso si fanno accompagnare da qualcuno che conosce l’italiano».
Il terzo strumento adottato nel poliambulatorio di S. Lucia è un questionario mirato che una tirocinante sottopone agli extracomunitari ogni volta che si presentano agli sportelli o arrivano per effettuare la visita prenotata. «Lo scopo - spiega Farina - è di cogliere la percezione del servizio da parte di questi pazienti non vicentini ma anche degli operatori sanitari, dei medici, del personale che entra in contatto con loro, per migliorare la comunicazione e cercare di ricondurre tutti i percorsi in quel binario di qualità di cui siamo accreditati».
Negli uffici c’è già una bella pila di risposte, ed è possibile dare anche alcune anticipazioni. La prima è che gli extracomunitari, ma questo si sa, hanno un concetto del tempo diverso da quello del mondo occidentale, per cui questa diversità di cultura porta a non rispettare, anche in buonafede, almeno nei primi contatti, orari e appuntamenti. «L’esperienza ci dice - afferma Farina - che alla fine però si adeguano presto»
L’iniziativa del sindaco Dalla Via
che ha fatto scavare dei fossati in zona
industriale per impedire l’accampamento
degli zingari ha richiamato l’attenzione
della stampa italiana. Intanto infuria
la polemica: i Verdi rilanciano le critiche
e An chiede la “testa” di due assessori
di Mauro Sartori
Il fossato anti-nomadi in zona industriale diventa un caso nazionale. L’iniziativa comunale, riportata con risalto dal nostro giornale nell’edizione di venerdì, di creare una trincea lunga oltre 100 metri, larga un metro e profonda una settantina di centimetri in via Lago di Misurina per evitare il ritorno di carovane di nomadi, ha ieri avuto grande eco nei media italiani. Tra mercoledì e giovedì scorsi una ventina di carovane sono state cacciate dalla zona, in applicazione di un’ordinanza di sgombero firmata dal sindaco Luigi Dalla Via.
I riflettori della stampa nazionale inquadrano ora l’Alto Vicentino, per un provvedimento eclatante, ma comunque non originale. C’era già stato, in zona, un “precedente” assai discusso, quello del sindaco di Piovene Rocchette Maurizio Colman che sta combattendo una sua “guerra” contro la presenza di zingari nel territorio comunale: in un paio d’anni è passato dai fossati anti-roulotte ai cartelli agli ingressi del paese per avvertire che la sosta dei nomadi è vietata persino nelle aree di proprietà, passando per la denuncia e le multe di oltre 500 euro per inosservanza delle ordinanze, fino a rigettare, qualche settimana fa, la richiesta avanzata dai nomadi di essere iscritti nel registro dell’anagrafe cittadina.
Una battaglia che a Schio, sino a pochi giorni fa, non trovava consensi negli ambienti politici di maggioranza tanto che in città, da diversi anni, è in corso un progetto di inserimento sociale di una famiglia rom. Ma le tattiche adottate dai Comuni limitrofi, che facevano convergere su Schio le carovane respinte, hanno costretto la giunta di centro-sinistra a correre ai ripari, sospinta anche dalle lamentele di imprenditori e residenti in zona industriale. Nel mirino in particolare una serie di furti, atti vandalici e ritorsioni.
«Questo provvedimento vuole essere un freno alla sosta selvaggia di gruppi nomadi ed è stato reso necessario dalle numerose richieste giunte dai cittadini - sottolinea il sindaco Luigi Dalla Via - Da tempo il Comune ha avviato un proficuo progetto con una singola famiglia, oggi stanziale e perfettamente integrata. Il nostro obiettivo è favorire la sedentarizzazione. Su questa strada vogliamo continuare a lavorare, affrontando il problema in modo unitario con gli altri Comuni e le istituzioni presenti sul territorio».
Gli zingari a Schio ci possono stare, dunque, purché abbandonino le loro tradizioni legate al nomadismo e si inseriscano nella società civile, passando dalla frequenza regolare delle scuole per arrivare ad un lavoro onesto.
«Quanto sta accadendo a Schio è segnale che abbiamo scelto per primi la strada giusta - controbatte il collega piovenese Colman -. Non posso pretendere il “brevetto” del fossato, ma l’assessore scledense Emilia Laugelli che ci tacciava di fare propaganda leghista adesso dovrà ricredersi».
Una scelta, quella del fossato, che ha scatenato in questi giorni reazioni opposte. I Verdi, che sono rappresentati in giunta, sparano a zero nel condannare duramente la scelta amministrativa: «Schio non è un qualunque Comune vicentino in cui le buone pratiche della solidarietà e della tolleranza si applicano, se si applicano, solo a chi ci piace di più - afferma Olol Jackson. - Pensiamo invece che Schio debba distinguersi, come è sempre stata capace di fare, per una visione realmente solidale della politica».
Applausi invece dalla Lega Nord: «Impiegare le ruspe comunali per creare trincee invalicabili alle roulotte è un metodo efficace per frenare le conseguenze del nomadismo incontrollato», afferma il senatore Paolo Franco che annuncia una prossima manifestazione a Piovene, a sostegno del sindaco Colman, querelato dall’associazione Opera Nomadi.
Il capogruppo di An, Alberto Bressan, chiede le dimissioni di mezza giunta: «Di certo non possono essere tralasciate le conseguenze politiche dell’intera vicenda. Ritengo quindi del tutto legittimo chiedere che gli assessori Laugelli e Lorenzo Baiocchi (Verdi) prendano le distanze dalla scelta del sindaco Dalla Via e di conseguenza diano le dimissioni. Per coerenza rispetto alle proprie idee più volte espresse pubblicamente in tema di nomadi e per rispetto degli elettori che li hanno votati».
Benzina sul fuoco, dunque, su una questione che a Schio ha provocato pure un referendum popolare, indetto dalla Lega Nord e reso vano dal mancato raggiungimento del quorum necessario, nonostante quasi 10 mila scledensi avessero espresso la loro contrarietà all’insediamento di campi nomadi in città.