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01 NOVEMBRE 2006
Referendum Usa, caso unico in Italia
Referendum Usa, caso unico in Italia di G. M. Mancassola Magari alla fine ci scriveranno un bel manuale di diritto sugli istituti di partecipazione. La richiesta di indire un referendum comunale su un insediamento militare ad uso di un esercito straniero, a quanto pare, non vanta molti precedenti in Italia. Venerdì alle 17 il comitato dei saggi chiamati a giudicare sull’ammissibilità del quesito protocollato dal comitato promotore si riunirà per la prima volta. La domanda è semplicissima: «Sei favorevole alla realizzazione del progetto Usa di costruzione di una nuova base militare nell’area dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza?». La risposta che dovranno dare i saggi è invece complicatissima. A disposizione avranno un mese di tempo dal ricevimento della documentazione. Questo significa che la data ultima sarà il 24 novembre. Componenti titolari del comitato degli esperti sono il commercialista Giorgio Tavagna, gli avvocati Alberto Righi, Maria Luisa Bartolini, Antonio Ferretto e Silvano Ciscato, che è il presidente. Sin dalla prima riunione, il comitato ha aperto le porte anche ai rappresentanti del comitato promotore e ai loro esperti. Il parere viene espresso votando a maggioranza. L’ultima volta, con il quesito del “referendum sui referendum” finì 3 a 2. Si dovesse accendere il disco verde dei saggi, il regolamento sugli istituti di partecipazione è talmente complesso, che alle urne si andrebbe fra qualche mese, probabilmente a ridosso dell’estate. Finisse con il disco rosso, non è escluso che si vada davanti al Tar o che ci sia un secondo tentativo, con la presentazione di un altro quesito. Sia come sia, il rebus da risolvere si presenta senza precedenti in Italia. «Difficilmente basterà la riunione di venerdì. La materia è molto aggrovigliata - avverte subito il presidente, l’avv. Ciscato - non solo nella definizione dei limiti delle competenze, ma anche in relazione al fatto che il consiglio comunale si è già espresso. Non possiamo prescindere dalla forma e dai contenuti di quel voto». Giovedì scorso, infatti, in sala Bernarda non solo la maggioranza dei consiglieri ha votato sul medesimo argomento di cui tratta il referendum, esprimendosi a favore della nuova caserma, ma ha anche votato sulla prospettiva di organizzare un referendum, bocciandola. A questo punto si profilano due diversi orizzonti per i promotori, uno dà qualche speranza, l’altro sembrerebbe toglierla. Se i saggi si fossero già pronunciati prima del voto di sala Bernarda, il referendum sarebbe decaduto automaticamente, perché il consiglio ha sempre la possibilità di avocare a sé l’ultima parola su questi argomenti. D’altro canto, se anche il quesito dovesse essere ammesso, il Consiglio potrà riunirsi per votare nuovamente sul dal Molin, azzerando il referendum e vanificando ogni sforzo dei promotori. In gergo, un po’ brutale, si parla di “aborto spontaneo” della procedura. Questi, però, sono conti fatti senza l’oste: il team degli esperti, infatti, non si è ancora espresso. «Lo spirito del comitato - assicura Ciscato - è sempre stato e sarà collaborativo, non certo censorio. Non assumeremo l’atteggiamento di chi si chiude nella sua stanza e dice sì o no. La trasparenza sarà massima. Ci confronteremo con i promotori». Per il “referendum sui referendum” di “Piùdemocrazia”, gli esperti chiesero a più riprese di correggere il testo originario e questo potrebbe accadere ancora: «Il quesito, però, deve mantenere elementi di evidente chiarezza e cioè deve consentire la piena percezione del contenuto e degli effetti che produrrà il voto - sottolinea Ciscato -. La materia è nuova e particolarmente sdrucciolevole, anche perché non ci sono precedenti richieste di attivare un referendum sull’insediamento di una base militare straniera. In piccolo, la questione si pone come la Tav in Val di Susa».
Hüllweck e l’ipotesi di via Aldo Moro (g. m. m.) «Per la verità, il primo ad avanzare la proposta ufficiale di un sito alternativo al Dal Molin per costruire la nuova caserma americana sono stato io, quando il 12 settembre ho messo nero su bianco, in una lettera indirizzata al ministro della Difesa Arturo Parisi, la richiesta di esaminare anche altre soluzioni». Enrico Hüllweck non lo nomina mai, ma è chiaro che il bersaglio delle sue parole è l’on. Mauro Fabris, capogruppo dell’Udeur, che continua a dirsi contrario alla soluzione Dal Molin ma favorevole ad altre ipotesi, come quella di via A. Moro, tanto da averne parlato con Parisi nel vertice di maggioranza dello scorso week-end. «Noto che, quasi fosse una novità, c’è chi mette in campo un sito alternativo, neanche avesse scoperto chissà cosa - commenta il sindaco -. In realtà, l’ordine del giorno da me scritto e votato dai 21 consiglieri presenta in modo chiaro e forte l’alternativa. Tanto che recita: “si chiede al ministro di considerare ipotesi alternative”. C’è un chiarissimo riferimento fatto con precisione assoluta a via Moro. Non solo: quando ho incontrato Parisi lo scorso 16 ottobre, gli ho consegnato il progetto proposto dalla presidente della Provincia Manuela Dal Lago e da me, caldeggiando questa soluzione». Hüllweck chiarisce che «il consiglio comunale ha votato un parere condizionato che accetta la riunificazione della brigata, al Dal Molin o in altro sito, imponendo le medesime garanzie. Oserei dire che il Consiglio ha quasi privilegiato il sito alternativo». Perché allora non lo ha imposto, dicendo sì all’ampliamento della Ederle, ma solo in via Moro e non al Dal Molin? «Perché sarebbe stato come vendere la pelle dell’orso. Quei terreni non sono pubblici, appartengono a vari privati. Basta l’opposizione di uno di questi per complicare le cose. E questo ci avrebbe esposto a una figuraccia: come potevamo dire al Governo di scegliere via Moro senza contare sulla proprietà dell’area? La storia del Cis è un esempio perfettamente calzante». Hüllweck, comunque, si dice in piena sintonia con la presidente Dal Lago sulla prospettiva di applicare il progetto ai terreni di via Moro, sull’altro lato rispetto alla Ederle, con cui verrebbe creato un collegamento via tunnel. «Credo che alla fine il testo messo a punto fosse in equilibrio. Il Comune ha votato, come richiesto da Parisi, ponendo condizioni accettabili. Il nostro lavoro è stato fatto, anche se ora c’è questa incertezza relativa al quesito referendario, che comunque non credo abbia molte possibilità nel percorso legale. Staremo a vedere»
Tra il 2004 e il 2005 le presenze degli immigrati sono aumentate del 19% contro un solo 2% degli utenti vicentini Il poliambulatorio è straniero Il direttore Michele Farina: «Pronti manifesti e opuscoli multilingue» di Franco Pepe Aumenta la presenza degli immigrati ai servizi del poliambulatorio n. 1. Gli extracomunitari scelgono sempre più il centro di S. Lucia come proprio ospedale di riferimento, e il direttore dott. Michele Farina, dinanzi a questa massiccia onda d’urto, pone in atto una serie di iniziative per migliorare l’accoglienza e rispondere adeguatamente a richieste che arrivano da persone di diverse nazionalità, soprattutto africani, asiatici, europei dell’est. Sono intere famiglie di stranieri a prenotare la visita e ad entrare nei 16 ambulatori del polo sanitario Ulss di S. Lucia. Si parla, ovviamente, di stranieri regolari, a posto con il permesso di soggiorno. Perché, sempre a S. Lucia, ma solo come logistica, viene ospitato anche un ambulatorio specifico per gli irregolari sotto la responsabilità del dott. Nicola Di Fabrizio, infettivologo del S. Bortolo. Ma questi pazienti senza tutela sanitaria non hanno nulla a che fare con gli stranieri che hanno, invece, diritto all’assistenza da parte del servizio sanitario nazionale. Ebbene nel 2004 gli extracomunitari in regola, che hanno effettuato una o più visite al poliambulatorio n. 1, erano 5 mila, nel 2005 sono diventati 6 mila 157, e quest’anno il numero è destinato a essere ampiamente superato. In un anno le presenze straniere sono cresciute quasi del 19 per cento contro il 2 per cento dei vicentini, e, su un totale di accessi che nel 2005 è stato di 74 mila 331 persone, hanno inciso nella misura dell’8,3 per cento, ma si sa già che questa percentuale alla fine del 2006 sforerà il 10 per cento. Il numero maggiore di immigrati si presenta a odontostomatologia, per i denti, e a ostetricia, per gravidanze e patologie femminili varie. Seguono con cifre più basse, come ambulatori maggiormente richiesti, dermatologia, radiologia, oculistica, ortopedia, allergologia e cardiologia. La verità, come detto, è che gli stranieri preferiscono venire qui invece che al S. Bortolo, anche perché la struttura del poliambulatorio risponde di più alla propria cultura sanitaria ed è più vicina ai servizi per “out patients” molto diffusi nei paesi di origine, ad esempio nell’Africa di lingua inglese. Ed è per questo che Farina ha deciso di adottare alcuni accorgimenti. Il primo, semplice, è quello dei cartelli tradotti in inglese, francese, serbo-croato, arabo e cinese, per guidare gli stranieri nella geografia interna del poliambulatorio e per diminuire le difficoltà di accesso. Il secondo è un mini-dizionario, sempre tradotto in 5 lingue, con i nomi più comuni della nomenclatura sanitaria e le frasi più ricorrenti delle conversazioni fra medico e paziente, per eliminare disagi che ancora esistono nella comprensione. «I disagi - spiega Farina - si avvertono specie con i cinesi, anche se ora sempre più spesso si fanno accompagnare da qualcuno che conosce l’italiano». Il terzo strumento adottato nel poliambulatorio di S. Lucia è un questionario mirato che una tirocinante sottopone agli extracomunitari ogni volta che si presentano agli sportelli o arrivano per effettuare la visita prenotata. «Lo scopo - spiega Farina - è di cogliere la percezione del servizio da parte di questi pazienti non vicentini ma anche degli operatori sanitari, dei medici, del personale che entra in contatto con loro, per migliorare la comunicazione e cercare di ricondurre tutti i percorsi in quel binario di qualità di cui siamo accreditati». Negli uffici c’è già una bella pila di risposte, ed è possibile dare anche alcune anticipazioni. La prima è che gli extracomunitari, ma questo si sa, hanno un concetto del tempo diverso da quello del mondo occidentale, per cui questa diversità di cultura porta a non rispettare, anche in buonafede, almeno nei primi contatti, orari e appuntamenti. «L’esperienza ci dice - afferma Farina - che alla fine però si adeguano presto»
Trincea anti-rom, ora è un caso L’iniziativa del sindaco Dalla Via che ha fatto scavare dei fossati in zona industriale per impedire l’accampamento degli zingari ha richiamato l’attenzione della stampa italiana. Intanto infuria la polemica: i Verdi rilanciano le critiche e An chiede la “testa” di due assessori di Mauro Sartori Il fossato anti-nomadi in zona industriale diventa un caso nazionale. L’iniziativa comunale, riportata con risalto dal nostro giornale nell’edizione di venerdì, di creare una trincea lunga oltre 100 metri, larga un metro e profonda una settantina di centimetri in via Lago di Misurina per evitare il ritorno di carovane di nomadi, ha ieri avuto grande eco nei media italiani. Tra mercoledì e giovedì scorsi una ventina di carovane sono state cacciate dalla zona, in applicazione di un’ordinanza di sgombero firmata dal sindaco Luigi Dalla Via. I riflettori della stampa nazionale inquadrano ora l’Alto Vicentino, per un provvedimento eclatante, ma comunque non originale. C’era già stato, in zona, un “precedente” assai discusso, quello del sindaco di Piovene Rocchette Maurizio Colman che sta combattendo una sua “guerra” contro la presenza di zingari nel territorio comunale: in un paio d’anni è passato dai fossati anti-roulotte ai cartelli agli ingressi del paese per avvertire che la sosta dei nomadi è vietata persino nelle aree di proprietà, passando per la denuncia e le multe di oltre 500 euro per inosservanza delle ordinanze, fino a rigettare, qualche settimana fa, la richiesta avanzata dai nomadi di essere iscritti nel registro dell’anagrafe cittadina. Una battaglia che a Schio, sino a pochi giorni fa, non trovava consensi negli ambienti politici di maggioranza tanto che in città, da diversi anni, è in corso un progetto di inserimento sociale di una famiglia rom. Ma le tattiche adottate dai Comuni limitrofi, che facevano convergere su Schio le carovane respinte, hanno costretto la giunta di centro-sinistra a correre ai ripari, sospinta anche dalle lamentele di imprenditori e residenti in zona industriale. Nel mirino in particolare una serie di furti, atti vandalici e ritorsioni. «Questo provvedimento vuole essere un freno alla sosta selvaggia di gruppi nomadi ed è stato reso necessario dalle numerose richieste giunte dai cittadini - sottolinea il sindaco Luigi Dalla Via - Da tempo il Comune ha avviato un proficuo progetto con una singola famiglia, oggi stanziale e perfettamente integrata. Il nostro obiettivo è favorire la sedentarizzazione. Su questa strada vogliamo continuare a lavorare, affrontando il problema in modo unitario con gli altri Comuni e le istituzioni presenti sul territorio». Gli zingari a Schio ci possono stare, dunque, purché abbandonino le loro tradizioni legate al nomadismo e si inseriscano nella società civile, passando dalla frequenza regolare delle scuole per arrivare ad un lavoro onesto. «Quanto sta accadendo a Schio è segnale che abbiamo scelto per primi la strada giusta - controbatte il collega piovenese Colman -. Non posso pretendere il “brevetto” del fossato, ma l’assessore scledense Emilia Laugelli che ci tacciava di fare propaganda leghista adesso dovrà ricredersi». Una scelta, quella del fossato, che ha scatenato in questi giorni reazioni opposte. I Verdi, che sono rappresentati in giunta, sparano a zero nel condannare duramente la scelta amministrativa: «Schio non è un qualunque Comune vicentino in cui le buone pratiche della solidarietà e della tolleranza si applicano, se si applicano, solo a chi ci piace di più - afferma Olol Jackson. - Pensiamo invece che Schio debba distinguersi, come è sempre stata capace di fare, per una visione realmente solidale della politica». Applausi invece dalla Lega Nord: «Impiegare le ruspe comunali per creare trincee invalicabili alle roulotte è un metodo efficace per frenare le conseguenze del nomadismo incontrollato», afferma il senatore Paolo Franco che annuncia una prossima manifestazione a Piovene, a sostegno del sindaco Colman, querelato dall’associazione Opera Nomadi. Il capogruppo di An, Alberto Bressan, chiede le dimissioni di mezza giunta: «Di certo non possono essere tralasciate le conseguenze politiche dell’intera vicenda. Ritengo quindi del tutto legittimo chiedere che gli assessori Laugelli e Lorenzo Baiocchi (Verdi) prendano le distanze dalla scelta del sindaco Dalla Via e di conseguenza diano le dimissioni. Per coerenza rispetto alle proprie idee più volte espresse pubblicamente in tema di nomadi e per rispetto degli elettori che li hanno votati». Benzina sul fuoco, dunque, su una questione che a Schio ha provocato pure un referendum popolare, indetto dalla Lega Nord e reso vano dal mancato raggiungimento del quorum necessario, nonostante quasi 10 mila scledensi avessero espresso la loro contrarietà all’insediamento di campi nomadi in città.
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