Erano tutti assunti. E tutti clandestini
In 318 avevano un regolare contratto
ed erano impiegati in svariate aziende
Trecentodiciotto clandestini. Rigorosamente tutti assunti con un contratto regolare, se non fosse per il fatto che non avevano un permesso di soggiorno.
È quanto hanno scoperto, al termine di una lunga indagine, i carabinieri della Tutela del lavoro di Vicenza, che hanno portato alla luce la gestione quanto meno singolare di una cooperativa i cui dipendenti lavoravano in svariate aziende vicentine. I titolari della cooperativa di facchinaggio “Cometa” di Verona, Giovanni Marcazzan, 30 anni, e Ignazio La Manna, 50, entrambi residenti nel capoluogo scaligero, sono stati denunciati per utilizzo della manodopera clandestina. Sono stati multati per violazioni amministrative per un ammontare di 120 mila euro, mentre dovranno versare contributi per altri 136 mila euro.
L’inchiesta è partita un anno fa quando i militari vicentini, guidati dal maresciallo Leonardo Anderlini, hanno compiuto un controllo nella ditta “Nd logistics Italia” di via Lago Maggiore ad Altavilla che poi - come emerso dalle indagini - è risultata del tutto estranea alla vicenda. All’interno della struttura i carabinieri hanno trovato 12 fra moldavi, romene e brasiliani che stavano inscatolando dei pacchi. Nessuno di loro aveva il permesso di soggiorno. La titolare della “Nd” è caduta dalle nuvole. Ha mostrato tutti i libri matricola e i prospetti delle assunzioni. Quegli operai erano della “Cometa” a cui lei aveva dato in appalto quel lavoro. Per la ditta vicentina, che aveva preteso la massima regolarità, quei dipendenti erano regolarmente assunti.
Com’era possibile? Clandestini assunti in regola?
Gli inquirenti hanno voluto vederci chiaro ed hanno compiuto un blitz nella sede della cooperativa, dove hanno sequestrato centinaia di pratiche il cui esame è stato lunghissimo ed ha portato a scoprire una serie di irregolarità.
In particolare, i carabinieri hanno accertato come la maggior parte dei numerosi dipendenti della “Cometa” fossero clandestini. In tutto erano 300. Altri 18 avevano sì un permesso di soggiorno, ma non valido per un posto di lavoro subordinato. Gli stranieri, provenienti da ogni parte del mondo, operavano poi di fatto in decine di aziende del Veronese e del Bresciano, ma soprattutto in provincia di Vicenza, fra la città, Arzignano, Altavilla, Montecchio Maggiore e Montebello. Tutti i titolari delle imprese però erano certi che tutto fosse a posto.
L’ipotesi degli investigatori è che la “Cometa” avesse assunto regolarmente quelle persone anche se non avevano il permesso. In sostanza, gli operai venivano pagati con puntualità, non erano sfruttati, e la cooperativa versava i contributi (non tutti) dopo aver inviato la comunicazione dell’assunzione al Centro per l’impiego. Per quest’ultima pratica non è necessario presentare anche copia del permesso di soggiorno e così nessuno se n’era mai accorto. Evidentemente, non erano mai stati compiuti controlli incrociati , tanto che perfino gli istituti di previdenza, in qualche occasione, avevano versato il dovuto nel caso in cui gli immigrati si ammalassero. Come se fossero in regola.
In base a quanto ricostruito, la “Cometa” aveva chiesto per i clandestini la regolarizzazione con il decreto dei flussi, ma la maggior parte delle numerose domande era stata respinta per questioni di numeri. Ma la cooperativa aveva fatto come se niente fosse. È probabile che Marcazzan e La Manna, carichi di possibilità di lavoro e nuovi contratti, piuttosto che rinunciare per mancanza di personale abbiano deciso di assumere coloro che si presentavano in azienda, anche se non in regola.
Il caso, pressoché unico nelle sue dimensioni, è ora al vaglio della procura di Verona. Gli oltre 300 stranieri non hanno più il loro posto di lavoro - sono stati allontanati dalle ditte dai carabinieri - e rischiano l’espulsione immediata dall’Italia.
Dal Molin, l’opposizione non vota
Il sindaco: «L’insediamento porta troppi rischi e inquinamento»
Sulla vicenda Dal Molin il consiglio comunale di Dueville è solidale con quello di Caldogno, sia pure con un documento condiviso dalla sola maggioranza. L’ordine del giorno presentato l’altra sera all’assemblea prevedeva un formale sostegno alle iniziative dell’amministrazione comunale di Caldogno sull’ipotesi di cessione di alcune aree dell’aeroporto vicentino al governo statunitense per la creazione di una base militare. Più che sul merito, il consiglio si è spaccato sul metodo.
I consiglieri di opposizione hanno accusato il sindaco Bertinazzi di avere preso posizione contraria all’ipotesi della base militare a nome di Dueville prima del passaggio in consiglio, e per questo non hanno voluto prendere parte alla votazione.
Dal canto suo il primo cittadino ha precisato che sia le interviste concesse ai giornali che l’intervento ad una assemblea del comitato del no erano avvenuti a titolo personale.
In merito alla mancata partecipazione al voto, il consigliere Tonellotto di Progetto Democratico ha detto di considerare «troppo ideologico l’approccio alla vicenda Dal Molin, tanto da rendere difficile qualsiasi confronto dialettico che si voglia basare sul buon senso e sulla pacata discussione tra le parti. Tanto che la manifestazione del 2 dicembre rischia di degenerare per le troppe tensioni che accompagnano il dibattito».
Gli ha risposto il sindaco Bertinazzi, ricordando che «l’ordine del giorno non nasce da una posizione ideologica, ma da semplici considerazioni riguardanti la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini che risiedono nei pressi del Dal Molin. Oltre ai rischi per l’incolumità delle persone, ci sono in ballo problemi di inquinamento, acustico ed ambientale, disagi per la già travagliata viabilità del Vicentino».
Sullo stesso piano la dichiarazione di voto del neo assessore Gazzola, il quale ha precisato di essere anche «contrario alle manifestazioni di piazza» e di ritenere necessario che «le decisioni di politica estera vengano prese dal governo e non da gruppi contrapposti di cittadini».