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03 OTTOBRE 2006
Il gen. Helmick si dice ottimista: «Credo che si farà» Il gen. Helmick si dice ottimista: «Credo che si farà» di G. M. Mancassola Si dice ottimista sul “Dal Molin”, il generale Frank Helmick, da tre mesi al comando della Setaf. Volto spigoloso, sorriso alla Bruce Willis, il numero uno della Ederle ieri mattina per la prima volta ha accettato di parlare del progetto per la costruzione di una nuova caserma in una porzione dell’aeroporto berico. Lo ha fatto nella “hall of heroes”, la sala degli eroi, assistito da Felice “Doc” Maselli, per 42 anni consigliere politico della Setaf e dal successore Vincent Figliomeni. L’obiettivo del generale è «chiarire e minimizzare la confusione ingeneratasi sulla vicenda dell’aeroporto Dal Molin». Così, inizia con il precisare che il comando Setaf «in totale stretta cooperazione con le autorità italiane a tutti i livelli, nazionale, regionale e locale, ha manifestato il proprio interesse nell’acquisizione di uno spazio sito all’interno del Dal Molin». Perché Vicenza? «Al momento la 173ª brigata paracadutisti è divisa fra Italia e Germania, fra Vicenza, dove c’è il comando, Bamberg e Schweinfurt - spiega il generale - ma non può essere permanentemente dislocata in sedi diverse, dovrà essere accorpata in una località unica, preferibilmente a Vicenza presso la Setaf, l’unità militare da cui la brigata dipende». Al Dal Molin non sembrano esserci alternative, perché «è un’area del demanio militare vicina alla Ederle». Helmick non è a conoscenza di progetti alternativi, come quello di portare tutta la brigata in Germania, mentre schiva abilmente le insidie delle prospettive che si aprirebbero nel caso in cui il progetto venisse bocciato: «Sono un ottimista di natura e credo che il progetto andrà in porto. Se dovessero sorgere intoppi di qualche tipo, sarà un problema che dovrà essere risolto dai governi di Stati Uniti e Italia». Gli armamenti. Uno dei tasti più delicati per l’impatto del progetto sull’opinione pubblica riguarda il tipo di armamenti che verrebbero stoccati al Dal Molin. «Quando la brigata si trasferirà tutta nella nuova caserma, l’attuale livello di forza passerà da circa 2.900 militari a un totale di meno di 5 mila uomini. L’area designata, dove troverebbero accasermamento quattro battaglioni e il comando della brigata, occuperebbe una superficie di circa 40 ettari. Tali dimensioni non renderebbero di certo il Dal Molin la base americana più grande d’Europa». Poi alcuni dettagli: «Non vi saranno in assoluto carri M1, blindati per trasporto truppe tipo M2bradley, nessun tipo di artiglieria semovente e mortai, né tantomeno lanciamissili Mlrs, così come non vi sarà nessun tipo di aereo da ricognizione senza pilota tipo Predator. Vi sono e senz’altro saranno destinati ad aumentare veicoli da trasporto truppe del tipo Hmmwv e altri veicoli di supporto logistico. Le attività che verranno svolte al Dal Molin non saranno dissimili da quelle che sono già svolte alla Ederle». La pista dell’aeroporto. Un altro passaggio chiave riguarda l’utilizzo della pista dell’aeroporto: «Resterà sotto il pieno controllo del personale militare e delle autorità civili italiane - precisa il generale -. Non useremo l’aeroporto per trasporti aerei di materiali e personale destinati a impiego fuori area. L’aeroporto di Aviano è e resterà il nostro punto di imbarco per tutte le attività operative». Le truppe saranno trasportate da Vicenza ad Aviano «con autobus scortati dai carabinieri, come avviene oggi». Il comando Setaf dichiara poi che «le future costruzioni rispetteranno non solo le norme ambientali e regolamentari, ma seguiranno lo stile architettonico palladiano allo scopo di integrare le costruzioni al contesto circostante. Per limitare ogni impatto ecologico l’operatività del nuovo insediamento sarà ad alto tasso pedonale». La contropartita. «Non direi la verità - ammette Helmick - se dicessi che il nuovo insediamento non avrà un impatto sulla viabilità della zona. Per questo stiamo lavorando e continueremo a lavorare in stretto contatto con le competenti autorità cittadine per trovare soluzioni ottimali per ogni eventuale problema concernente questioni di traffico ed esigenze di servizi. Con la realizzazione del progetto Dal Molin è inoltre suscettibile di incremento il numero di dipendenti civili italiani attualmente in forza alla Setaf». «I progetti - prosegue il generale - saranno resi pubblici tramite bandi e ogni appalto sarà assegnato alle ditte nel pieno rispetto di quanto previsto dalle leggi italiane. Va rilevato che in oltre 50 anni di presenza della Setaf a Vicenza è storicamente accertato che la massima parte dei progetti di costruzioni sono stati aggiudicati a imprese locali». Nel 2005 l’investimento per contratti, stipendi ai dipendenti civili, affitti e altre voci è stato di 176 milioni di euro. Fra il 2007 e il 2011 arriverà fino a 272 milioni di euro all’anno, dovendo prevedere anche le costruzioni. L’obiettivo degli americani, infatti, resta l’ottenimento del via libera dal Governo italiano in tempo per avviare il cantiere nel 2007. Il progetto principale fino al 2011 sarebbe il Dal Molin, con 300 milioni di euro di investimento. Ma importanti piani riguardano anche il potenziamento del villaggio di Vicenza est, dove sono progettati un nuovo complesso scolastico, un centro giovanile e una postazione di controllo, e la caserma Ederle, dove si prevede di erigere un nuovo centro sanitario, un centro ricreativo con piste da bowling e nuovi insediamenti residenziali. Dal 2012 al 2020, infine, la spesa ipotizzata è di 243 milioni di euro all’anno, con una nuova prospettiva: la riprogettazione della caserma Ederle per 549 milioni di euro.
Hüllweck “circoscrive” i movimenti dell’assessore Cicero (g. m. m.) “C’eravamo tanto amati”, verrebbe da citare ascoltando il sindaco Enrico Hüllweck mentre precisa che ha incontrato il nuovo comandante della Setaf, il gen. Frank Helmick, soltanto in un’occasione, il 18 settembre e che se altri colloqui ci sono stati fra americani e vicentini sono da rubricare alla voce “iniziative a titolo personale”. Di chi? Chi se ne intende appena un pochettino della telenovela “Dal Molin” non può che rispondere a colpo sicuro: Mister Claudio Cicero, assessore comunale ai trasporti, fino a pochi mesi fa superprotetto del primo cittadino. Mezz’ora dopo il briefing alla Ederle, in cui il gen. Helmick aveva appena finito di ripetere per l'ennesima volta che ogni passo compiuto dai militari statunitensi è avvenuto «in stretto contatto e coordinamento con le competenti autorità italiane», il sindaco accetta di scambiare due chiacchiere su questa relationship così intima. «L’unico atto ufficiale da parte di tecnici comunali è il parere dell’ing. Roberto Pasini, direttore dell’Edilizia privata, nella primavera scorsa. Poi c’è stata la presentazione del progetto in consiglio comunale, io personalmente ho incontrato il precedente generale Jason Kamiya a fine maggio, quindi si passa al 18 settembre quando c’è stata la visita di cortesia dell’attuale generale, che ha preceduto di due giorni l’incontro con l’ambasciatore». Contatti continuano a essercene - conferma il sindaco - perché il Comune non vuole farsi trovare impreparato di fronte a un improvviso via libera da Roma all’operazione, studiando così la contropartita, in particolare viabilistica. «Ma gli incontri ufficiali sono solo questi. Se Cicero ha avuto un dialogo per proprio conto è un altro paio di maniche, perché in questo momento l’amministrazione comunale non sta discutendo di nulla. Ho il sospetto che ci siano contatti personali, come avviene nelle migliori famiglie». Irritato quanto basta, dall’altra parte l’assessore Cicero si morde la lingua e si limita a un «secchissimo no comment» in attesa di tempi migliori, mentre il sindaco si prende la briga di «mettere i puntini sulle u, visto che tutti mettono i puntini sulle i» e risponde al ministro della Difesa Arturo Parisi: «L’incontro con il Governo lo vado chiedendo da tempo, anche con lettere datate 12 giugno, 5 luglio e 12 settembre. Stante l’oggettiva difficoltà a realizzare l’incontro (comprensibile, visto gli impegni del Governo) ho gradito l’intervento di autorevoli intermediari. Quanto all’incontro con Rutelli all’Olimpico, sul quale il consigliere Cangini cerca punzecchiature, è alla luce del sole che il ministro ha disdetto l’incontro previsto un’ora prima e non si è presentato alla cena in Basilica: io, non lui, sono stato piantato in asso. Ma queste sono cose da poco: l’importante è potersi incontrare».
“Il Giornale di Vicenza” è l’unica testata italiana invitata dagli Usa a Bruxelles dove si prepara il super-vertice di Riga
di Marino Smiderle Bruxelles ha fama di essere città burocratica, politica, diplomatica. Migliaia di persone che affollano i corridoi dei palazzi di vetro e portano benzina ideale a chi dovrà accendere i motori del mondo. Qui si decidono tante cose, soprattutto quelle che vedranno la propria realizzazione lontano, molto lontano. La rappresentanza degli Stati Uniti alla Nato ha voluto partire da qui per spiegare quello che dovrebbe essere il futuro dell’Alleanza Atlantica. E lo spiegherà a una quindicina di giornalisti di diversi paesi d’Europa. Per l’Italia, tenuto conto dell’importanza rivestita da Vicenza nello scacchiere complessivo della riorganizzazione militare a stelle e strisce (vedi il caso-Dal Molin), lo zio Sam ha invitato “Il Giornale di Vicenza”. Il nostro giornale, infatti, è l’unica testata italiana invitata a una serie di incontri ad altissimo livello e volti a preparare il vertice di Riga, a fine novembre, dove si incontreranno tutti i capi di stato dei 26 paesi della Nato. Il viaggio parte, come detto, da Bruxelles, diventata sede politica della Nato nel 1967, dopo che Charles de Gaulle tolse la Francia dal comando militare Nato per poter proseguire autonomamente il programma nucleare. Per questo motivo il quartier generale della Nato traslocò da Parigi a Bruxelles, contribuendo a fare della capitale del Belgio un centro strategico della massima importanza. Già, la Nato. Fino a pochi anni fa anche Vicenza aveva un’importante base Nato, situata proprio al Dal Molin, che ospitava la V Ataf. Il punto è che la Nato la fanno i politici e i soldati dei Paesi membri. Dunque, se è vero che gli americani a Vicenza sono in tutto e per tutto parte dell’esercito degli Stati Uniti, è altrettanto vero che questi stessi soldati possono essere impiegati in missioni condotte sotto l’egida della Nato. Prendiamo per esempio l’Afghanistan. Dopo aver sperimentato il suo primo impiego militare nel 1999, durante la guerra in Kosovo, l’11 settembre 2001 la Nato invocò per la prima volta nella sua storia l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato. Quell’articolo, va ricordato, costituisce il nucleo fondante del Trattato, firmato il 4 aprile 1949 a Washington, e dice che ogni attacco portato a uno stato membro della Nato costituisce un attacco all’intera alleanza. L’11 settembre gli Stati Uniti vennero attaccati da un nemico sui generis, inimmaginabile durante la Guerra Fredda, quando si temeva la minaccia del blocco sovietico. A rendere la Nato un’organizzazione sempre più vitale, importante e più grande, considerato l’alto numero di nuove adesioni pervenute dopo la caduta del muro di Berlino, ha provveduto proprio l’attacco di Al Qaeda agli Stati Uniti. Un nemico diverso, ma pure sempre un nemico, anche dal punto di vista militare. Ecco allora che, oltre all’intervento diretto degli Usa, in Afghanistan è andata anche la Nato, con la missione Isaf (International security assistance force). Nei giorni scorsi, a Portorose, in Slovenia, i ministri della Difesa dei Paesi Nato hanno stabilito che 12 mila militari Usa in servizio nell’area orientale dell’Afghanistan passeranno sotto il comando della Nato. Scenderanno a ottomila le forze speciali di “Enduring Freedom” che rimarranno alle dipendenze degli Stati Uniti. È di questo nuovo ruolo, più incisivo, più attivo, della Nato che gli alti ufficiali Usa parleranno in questi giorni. Si va verso un vertice, quello di Riga, decisivo per le sorti dell’organizzazione sorta per opporsi alla minaccia del comunismo. Un compito che la Nato, senza sparare un colpo, assolse molto bene, se è vero, come è vero, che dopo la caduta del muro di Berlino sono corsi a iscriversi i paesi dell’ex Patto di Varsavia. La stessa Russia, pur non essendo a tutti gli effetti un membro della Nato, ha firmato un accordo di partenariato. A Riga i capi di Stato dovranno dire con chiarezza cosa intendono fare della Nato. Qualcuno sta spingendo perché i membri si impegnino maggiormente, viste le condizioni internazionali di crescita, per organizzare più efficaci operazioni di peacekeeping. E poi c’è l’altro tema importante dell’ulteriore allargamento ad altri paesi alla finestra, come la Croazia, la Macedonia, l’Albania fino alla Georgia e all’Ucraina. In questa settimana di full immersion sulle cose politico-militari degli Usa, che hanno ripercussioni immediate sull’attualità vicentina, ci sarà l’opportunità di confrontarsi con i vertici Nato a Bruxelles e a Washington. Sono previste sessioni di lavoro al Pentagono e al Dipartimento di Stato. Gli americani diranno come vorrebbero fosse strutturata la Nato del futuro, quali compiti assegnarle. Forse sono stufi di vedersi dipinti come i gendarmi del mondo: tutti li accusano di essere troppo propensi a portare guerre in giro per il pianeta, ma tutti li chiamano quando è ora di levare le castagne dal fuoco. Si deve voltare pagina, possibilmente tornando a fare paura al nemico senza essere costretti a sparare.
Una vicentina di 35 anni ha scatenato un pandemonio a S. Rocco Vuole una casa del Comune Picchia l’assessore e il vigile È stata arrestata. Patrizia Barbieri è stata medicata in ospedale di Diego Neri Voleva a tutti i costi una casa del Comune dopo essere stata allontanata dall’albergo cittadino. Ma quando si è presentata all’appuntamento con i vertici dell’assessorato era così agitata da non riuscire a tenersi a freno. Prima ha scagliato contro il neoassessore agli Interventi sociali Patrizia Barbieri un tavolo, poi ha aggredito un agente, quindi si è rivolta minacciosamente ancora contro il politico e infine ha ferito un altro vigile. Inevitabile l’arresto: Roberta Benetton, 35 anni, di Vicenza, è stata portata in cella a Verona per resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Il movimentato episodio è vvenuto ieri mattina alle 11.40 nell’ufficio dell’assessore in contrà Mure S. Rocco. La storia della Benetton è quanto mai travagliata. Qualche settimana fa aveva malmenato quattro fra operatori e ospiti dell’albergo cittadino, dove abitava, ed aveva passato alcuni giorni ricoverata al S. Bortolo. Quando è stata dimessa non poteva rientrare, per il suo comportamento violento, nella struttura e per questo aveva chiesto un incontro. All’appuntamento, con la Barbieri, c’erano anche il direttore e lo psicologo dell’albergo, un operatore e l’assistente sociale, mentre fuori dalla porta attendevano i vigili. «Lei voleva una casa, subito - precisa Barbieri -, mentre sotto alle finestre c’era il suo compagno. Le abbiamo spiegato che non era possibile, e che le proponevamo due giorni pagati dal Comune in un hotel, e quindi sarebbe stata ospite di una comunità. È il modo migliore per seguirla e curarla, prima di inserirla in una casa famiglia. Ma non può essere un progetto coercitivo, deve essere d’accordo. E lei, che era molto agitata oltre che confusa, non lo era». Incassato il no, Benetton è andata su tutte le furie. Ha preso un tavolino e l’ha scagliato contro Barbieri. I vigili l’hanno bloccata e lei ha reagito. Fra l’assessorato e il comando, ha graffiato un agente che è preoccupato perché teme di aver contratto qualche malattia. Barbieri ha subito un colpo di frusta ed ha dovuto recarsi al S. Bortolo, dove le hanno messo un collare. Guarirà in 6 giorni. Dopo una settimana sullo scranno di assessore poteva aspettarsi di meglio. Mentre il sindaco Hüllweck, preoccupato per l’accaduto, esprime solidarietà sia nei confronti del membro di giunta che del vigile ferito, Barbieri precisa di provare pena per la povera donna. «Mi spiace per l’agente, che è giovane e si è appena sposato; speriamo non sia nulla di serio. Ma mi spiace pure per quella donna: non ci sono strutture attrezzate per curare lei e altre persone con problemi simili, i ricoveri ospedalieri non risolvono situazioni spesso anche molto pesanti per le loro famiglie».
Violenza. La baruffa nella notte, decisivo l’intervento dei Cc Setaf Far West in corso Padova Sette gli arrestati per rissa In galera cinque militari Usa e due serbi, tutti feriti negli scontri (d. n.) L’alcol fa da propellente e la rissa che si scatena è furibonda. Sono scene da far west urbano quelle che si sono viste l’altra notte in centro città, con botte che volavano da tutte le parti. Sono dovuti intervenire i carabinieri in forze con l’ausilio della Militar police per frenare i contendenti. Alla fine sono stati in sette a finire dietro le sbarre, cinque militari americani di stanza alla 173ª brigata della Ederle e due serbi irregolari in Italia. Dovrebbero essere interrogati in mattinata. In carcere sono stati accompagnati i serbi Nenad Mitrovic, 22 anni, e Dejan Petrovic, 25, assieme agli statunitensi Thomas Lee Underwood, 23, Paul Albert Lockhart, 22, Justine T. James Crivello, 28, Brat Allan Perry, 28, e infine Brandon Tyler Mecum, 20. L’accusa per tutti è di rissa aggravata: prima di essere trasportati al S. Pio X sono stati medicati al pronto soccorso dell’ospedale S. Bortolo, e le prognosi variano da 7 a 8 giorni. In cella avranno modo di calmarsi e di ragionare su quanto accaduto, che conferma i timori dei residenti del quartiere che più volte in passato si erano lamentati del comportamento degli avventori di alcuni bar, giungendo a chiedere aiuto al difensore civico Massimo Pecori. L’episodio è avvenuto poco dopo la mezzanotte di sabato. In base ad una prima ricostruzione dei carabinieri della Setaf, i sette - probabilmente con altre persone - erano andati a bere qualcosa all’interno del pub “The celtic stone” di corso Padova, luogo di ritrovo per molti americani che vivono in città. Dopo aver alzato tutti un po’ troppo il gomito, è scoppiata una discussione anche se i contorni restano da chiarire. In base ad alcune testimonianze potrebbe riguardare una cessione che non ha trovato d’accordo le parti, in base ad altre si sarebbe trattato di uno scontro di nazionalità. Ad ogni modo di certo c’è che fra due dei sette la discussione è degenerata complice l’alcol bevuto in quantità smodata, e si sono messi le mani addosso, presto raggiunti anche dagli altri, in difesa dei rispettivi amici. I contendenti se le sono date di santa ragione dentro e fuori il locale, rompendo qualche suppellettile. Ma soprattutto se la sono presa con gli altri, non tanto con il bar, e la baruffa è proseguita a lungo. Nel frattempo, mentre in corso Padova si era radunato un gruppetto di curiosi che non volevano intervenire per non prenderle, è stato dato l’allarme al 112 e al “Celtic stone” sono arrivate le pattuglie dei carabinieri della Setaf. I militari del tenente colonnello Fortunato Spolaore hanno avuto il loro bel daffare per sedare i sette esagitati, mentre probabilmente poco prima qualcuno altro era riuscito ad allontanarsi. I sette sono stati identificati e bloccati. Stamattina, assistiti dall’avv. Leonardo Maran, saranno sentiti dal giudice. Le indagini, coordinate dal pm Monica Mazza, non sono concluse perché c’è da capire se siano coinvolte altre persone e quale fosse il motivo del violento litigio. La rissa ha risollevato il problema di convivenza e di ordine pubblico del quartiere di corso Padova, laddove la questura era stata costretta a chiudere temporaneamente un bar per i frequenti episodi di violenza che vi avvenivano. Fra l’altro, lo scorso anno i poliziotti di quartiere erano stati malmenati lungo la strada, e numerosi sono i casi citati dai residenti che spesso si trovano le auto rigate dagli ubriachi o le fioriere dei negozi divelte e spaccate.
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