|
05 LUGLIO 2006
«La caserma Usa riguarda anche noi»
«La caserma Usa riguarda anche noi» Il Comune scende in campo sulla vicenda dell’aeroporto Dal Molin e chiama all’appello Provincia e Regione. Dura presa di posizione del sindaco Marcello Vezzaro e del corpo di assessori di Caldogno sulla vicenda della paventata militarizzazione dello scalo aeroportuale. In un documento deliberato all’unanimità la giunta comunale prende atto della latitanza del comune di Vicenza nel ruolo di guida e dell’atteggiamento refrattario dello stesso rispetto alle esigenze delle città a nord del capoluogo. Nel testo, inviato ai Ministeri della Difesa e delle Infrastrutture e Trasporti, alla Regione Veneto, al prefetto di Vicenza, alla Provincia e al Comune vicentino, l’amministrazione esprime la propria preoccupazione per una prospettiva che prevede una progressiva militarizzazione e cementificazione dell’area e auspica l’avvio di un rapporto consultivo fra i comuni interessati. Con la richiesta di un intervento diretto di Provincia e Regione, visto l’impatto a largo raggio che determinerebbe un insediamento militare, con conseguenti problemi di sicurezza, viabilità e inquinamento acustico e ambientale. «L’amministrazione comunale di Vicenza dovrebbe assumersi quel ruolo di guida che compete a un comune capoluogo - sottolinea il sindaco Marcello Vezzaro -. Invece si è mosso da solo e senza coinvolgere minimamente gli altri enti interessati, come se la questione riguardasse solo la città di Vicenza. Siamo legittimamente preoccupati perché l’area del “cono di volo” interessa il territorio di Caldogno, ma soprattutto per le conseguenze e i rischi che una militarizzazione dell’aeroporto comporterebbe». Quattro gli ordini di problemi sollevati dalla giunta calidonense: innanzitutto l’impatto sull’ambiente, sia sul piano degli spazi verdi che lascerebbero il posto a edifici civili e militari in un’area di oltre 600 mila metri quadrati, sia per quanto riguarda l’inquinamento acustico, considerato l’incremento del numero di voli oltre che di veicoli in transito nella zona; le ripercussioni sul traffico, in un’arteria che immette nel capoluogo già satura nelle ore di punta; la sicurezza, con una preoccupazione esplicita per i rischi derivanti dall’esposizione ad atti terroristici vista la presenza di soldati americani; infine, il problema della serie di servizi da garantirsi a cittadini, civili e militari di stanza nell’area. Quattro istanze promosse dalla giunta che pretendono risposte esaurienti e circostanziate, abbinate alla richiesta rivolta a Provincia di Vicenza e Regione Veneto di farsi promotrici di un collegamento informativo e consultivo tra tutti i comuni interessati, garantendo a questi ultimi quella pari dignità e quella massima trasparenza che il comune capoluogo finora non ha concesso.
Qui inizia la tratta delle moldave
di Eugenio Marzotto Nella piazza dell’Hotel National ci sono tre pullman che aspettano di partire, uno è parcheggiato di fronte all’ingresso della grande Accademia delle Scienze, un altro punta il muso sull’ex strada intitolata a Lenin, il terzo è guardato a vista da cinque corrieri, scafisti su quattro ruote, che attendono di partire. Dal centro di Chisinau, ma anche dallo stadio o da Corso “Agosto 1989”, partono ogni settimana centinaia di badanti e lavoratori, molti dei quali passano per Vicenza che qui è conosciuta più di Torino o Bologna. La città del Palladio infatti, insieme a Padova e Brescia è stata tra le prime mete dei moldavi, da quando, alla fine degli anni ’90 è iniziata un’immigrazione di massa per un paese di 4 milioni e mezzo di abitanti ora ridotto a tre milioni. Il business vero, in una nazione in cui manca tutto per ricominciare, lo fanno quasi mille agenzie di viaggio, falsi tour operator in grado di fornire passaporti, viaggi clandestini e nuove identità che servono per immigrare in Italia, via Ungheria, ma anche in Romania, Turchia e Grecia. Ed è in questi viaggi organizzati che trovano il loro triste destino donne che vengono vendute sul mercato della prostituzione. Le agenzie sparse per la capitale sono una vera potenza il cui legame con i rami del governo è diretto, un governo che copre tratte e collabora per far passare in Europa i suoi cittadini, spesso per evitare loro i morsi della fame. L’immigrazione organizzata. Costa fino a 4 mila euro venire in Italia con una modalità apparentemente semplice. Si entra in agenzia, si chiede di venire in Italia e la risposta che arriva è sempre la stessa: «Va bene, mi devi portare quattro foto e i soldi». Queste piccole agenzie venderanno falsi visti Schengen, validi per scopi turistici. Buoni per due settimane, in realtà significano l’ingresso nell’occidente per sempre. Da clandestini. Il primo ostacolo è trovare quei soldi (3-4 mila euro corrispondono ad un anno di lavoro), ma in città i finanziatori si trovano e chiedono almeno il 10% di interessi. Spesso sono baristi a fornire soldi, a volte le stesse agenzie, altre volte ancora sono soldi sporchi che arrivano dal mondo della prostituzione. Le badanti sanno che al loro arrivo in Italia il primo obiettivo sarà quello di restituire quel denaro con gli interessi. In ogni modo. Dopo due settimane si parte, appuntamento nelle piazze centrali della capitale. In tasca spesso si ha passaporto moldavo con visto ungherese o rumeno, visto che sono le stesse agenzie a reperire, grazie ai loro contatti con i consolati e ambasciate dove lavorano moldavi che a loro volta vengono retribuiti per i favori. Ma al confine tra Ungheria e Austria l’identità cambia. «Si diventa tutto ad un tratto donne russe - racconta Olga ora regolare che lavora come badante in una famiglia di Vicenza -. I corrieri, le bande che lavorano per le agenzie, estraggono da sotto i pulmini passaporti russi con visti per l’Austria e su quelle pagine compaiono le nostre foto con identità diverse». «Dobbiamo nascondere dai nostri bagagli tutto ciò che riguarda la Moldova, imparare a memoria i dati anagrafici della persona che “presta il passaporto” e soprattutto parlare il russo che è la nostra seconda lingua e che conosciamo fin da bambini». A quel punto il gioco è fatto. Si passa il confine austriaco, gli uomini dell’agenzia riconsegnano i passaporti originali moldavi e nascondono nel cassone del pullman quelli russi che serviranno per la prossima tratta. Questo è l’unico modo per venire in Italia, dopo che il nostro paese ha chiuso la possibilità di entrare dalla Moldavia con un permesso turistico. Una possibilità peraltro elusa da un sistema malavitoso e ben organizzato e che spesso vede la collaborazione dei consolati. In barba alle leggi sull’immigrazione vigenti negli stati dell’Unione Europea, ma soprattutto in barba ai flussi degli immigrati che assegnano alla Russia, ad esempio, centinaia di quote in più della Moldova o la Romania. Senza contare che ottenere un visto per l’Ungheria oggi per i popoli dell’est è fin troppo semplice. Ma c’è anche un’altra modalità per giungere in Italia e ben più drammatica. Sempre le stesse agenzie, in queste caso le più piccole e che operano con pulmini da dieci posti (ben visibili però nei giornali di annunci diffusi in Moldova), organizzano le tratte più pericolose. Con il solito visto ungherese si giunge nei pressi dell’Austria e le donne vengono lasciate per strada, lì sul posto. Dovranno attraversare a piedi boschi e pianure, eludendo dogane, con la complicità di accompagnatori, “sherpa” collegati alle agenzie che anche in questo caso chiedono dai tre ai quattromila euro. «In questi viaggi - continua Olga - si può anche morire, si cammina per dodici ore senza mangiare, attendendo la notte per passare il confine, ma per noi, passare al di là, conquistare l’Austria, vale la sopravvivenza».
Alle giovani donne tante promesse, ma poi il futuro è a luci rosse (e. mar.) Passa per Deva in Romania e Chisinau in Moldova la tratta delle prostitute che arrivano nella nostra provincia ogni mese, costrette a qualsiasi tipo di ricatto. E spesso, ancora una volta, sono le agenzie turistiche fasulle ad organizzare i viaggi della disperazione e dell’illusione, perchè per i moldavi l’Italia vale come l’America e forse di più, una nazione la nostra, che questa gente sente vicina come nessun’altra. «La nostra lingua ha la stessa matrice neolatina», un’ancora di speranza che attrae un popolo inconsapevole di cosa spesso li aspetta. Si tratta di immigrazione clandestina che passa quasi inosservata, quasi che il colore della pelle faccia la differenza. Al nord gli stranieri dell’est si notano meno di quelli che provengono dal sud del mondo. Ma dal Friuli Venezia Giulia o dal nord del Veneto, arrivano migliaia di persone ogni anno e le rotte di questi sordidi traffici sono ormai note: ci sono i paesi che forniscono le ragazze: Russia, Polonia, Ucraina, Romania e Moldavia e i paesi che le accolgono come Italia, Francia e Germania. Non c’è donna a Chisinau che non conosca qualche famiglia toccata dalla piaga prostituzione. Il contatto delle donne moldave che poi arrivano nel Veneto, avviene in due modi. Nel primo caso i magnaccia, che in molti casi sono italiani, avvicinano le donne giovani e più carine che già lavorano nei locali notturni del posto, proponendo per loro un futuro migliore, fatto di spettacoli in tv o nei grandi locali italiani e ottime prospettive di guadagno. Le ragazze partono, ma una volta arrivate sono subito incastrate nella rete del degrado e della malavita. Sono costrette a lavorare sulla strada per pagarsi il visto fornito dalle agenzie, ma capita anche che diventino ballerine nei nostri locali di lap dance costrette spesso ad extra fuori orario. C’è poi la tratta che arriva dal sud della Moldova, la zona più povera, terra di contadini e piccoli centri come Bender, Causeni, Camrut o Cahol. Suor Michelina Bottega, che opera nella periferia di Chisinau in un centro voluto dal vescovo per aiutare i poveri, ne conosce molte di ragazze che sono riuscite a tornare dopo essere state raggirate e racconta: «La situazione ormai è drammatica, siamo al punto che le prime prostitute che in Italia arrivarono sette anni fa, ora fanno le protettrici e recuperano le ragazze dalla campagna. Le costringono ad un periodo di “ambientamento coatto” sulle strade di Chisinau e poi le vendono alle organizzazioni moldave, rumene, russe e italiane. Per loro la strada è segnata». «Una settimana fa - continua suor Michelina originaria di Mezzano di Primiera e che gestisce in città il “Centro Providential” da 180 pasti al giorno - una madre, ex prostituta e ritornata in Moldova è venuta da me ad implorarmi di aiutarla a ripartire per l’Italia attraverso le agenzie. Qui tutti la evitano e non trova nessuno che gli dia lavoro». È una delle tante facce di un paese con un prodotto interno lordo annuo pro capite di 340 euro e che ha il tasso di scolarizzazione più alto d’Europa, ma che deve fare i conti con una povertà diffusa soprattutto nel centro sud di una terra che non ha sbocchi sul mare e nemmeno fonti primarie come gas o petrolio. Non resta quindi che l’esodo e affidarsi al mercato della prostituzione, con tratte ormai consolidate. Difficile calcolare l’ammontare del flusso migratorio, anche se il ministero delle Pari Opportunità italiano nel 2005 ha fornito dati allarmanti. Sulle strade italiane si prosituiscono 50mila donne provenienti dall’est per un giro d’affari che si calcola intorno ai 100 milioni di euro al mese e molti di questi soldi passano per Vicenza, così come passano i furgoni di quelle “agenzie” che obbligano a queste donne di vendere il proprio corpo per estinguere il debito contratto alla partenza
|